Intervista a Lara Molino, abruzzese, cantora e autrice di tradizione
Viviamo un'epoca dove ormai la parola, e il suo senso etimologico, è offerta al miglior mercante di linguaggi e sacrificata sull'altare della massificazione mediatica e idolatrante. Il popolo, ormai, parla con i “sottotitoli”, si muove con passo decadente sul sentiero della volgarità. Si aggira arrogante e indifferente tra le rovine provocate dalla sua irreparabile idiozia e irrinunciabile egoismo che genera morte. Sopravvive come profugo nel caos della normalizzazione isterica.
Vive un luogo dove la dignità è svenduta, il sogno indagato, la voce umiliata, il sapere ghettizzato, le passioni incatenate, i sentimenti corrosi, l'infanzia messa al bando, il desiderio bandito, il pensiero dietro filo spinato, le bellezze uccise, l'attesa soggiogata, il silenzio internato, la solidarietà messa al bando, il piacere vilipeso, la lentezza inquisita, la parola umiliata, il sesso derubato, la libertà privatizzata, l'amore giustiziato.
Per essere immuni da cotanta sterilità bisogna avere un animo, e anticorpi, “Fòrte e Gendìle”.
Espressione della terra d'Abruzzo, “fòrte e gendìle”, che Lara Molino, abruzzese appunto, cantora e autrice di tradizione, ha fatto sua per raccontare attraverso, le radici e le origini, storie, luoghi e genti che con la parola hanno germogliato consapevolezza e volontà per ridisegnare un cammino prossimo lieve e ricco di opportunità.
G.F.
Gerry Ferrara - Lara, come hai fatto a transumare
il passato pregno di pagine ancora da svelare nell'urgenza del
presente gravido di macerie.
Lara Molino - L'ho fatto con molta passione e determinazione
perché ho sentito in me una forza, una necessità,
un'esigenza, che mi spingevano a guardare indietro, alle mie
genti, alla storia della mia terra abruzzese, alla bellezza
dei suoi luoghi e dei personaggi a cui avevo sempre guardato,
affascinata ma in fondo distaccata, distante.
L'incontro col produttore artistico del mio disco, Michele Gazich,
determinante in quanto proprio lui, più di tutti, ha
creduto in questa ricerca e nelle mie potenzialità e
in più la fortuna di avere un padre che da anni scrive
poesie sulla sua terra, studia, si documenta, mi hanno spinto
ad occuparmi di questo progetto “forte e gentile”,
a portarlo avanti nonostante qualche momento di incertezza,
a dare voce ad un passato che aiuta a capire meglio il presente,
chi siamo, da chi proveniamo. Un concetto di “identità”
che non è chiusura, ma apertura al mondo, al confronto
con altri popoli e culture, perché è solo conoscendo
bene chi siamo che ci possiamo confrontare serenamente con gli
altri.
Senza rispolverare o riguardare il cronologico diario
delle esperienze musicali e senza sforzarsi di rammentare i
“primi vagiti” canori, da quale contesto del tuo
vissuto e del tuo cammino pensi di aver attinto a piene mani
per sviluppare sensibilità e attitudini da “cantastorie”.
Ho sempre avuto, sin da bambina, molta creatività: mi
piaceva inventare favole, racconti, li narravo spesso a mia
sorella Emanuela, più piccola di me. Riuscivo ad inventare
anche brevi canzoni a soli tre anni. Dunque, sicuramente, un
dono naturale, anche ereditato, visto che mio padre componeva
poesie e mia madre testi teatrali. Poi, con gli anni, certamente
la passione per la lettura e la musica mi hanno aiutato, e ho
iniziato a scrivere le prime canzoni. Ascoltavo molto i cantautori,
De Andrè, Guccini, Pino Daniele, Lucio Dalla.
Voce, chitarra e armonica, tutta l'essenzialità
che concede la possibilità di viaggiare, conoscere, elaborare,
suonare in strada, scambiare opportunità per rinnovare
continuamente la ricerca e il passo... è così,
o è stato così, anche per te?
La chitarra, il mio grande amore, non so ancora se è
lei ad aver scelto me o io ad aver scelto lei... Ho scelto questo
strumento, sicuramente per il suono e la sua forma che mi affascinavano,
ma anche perché ho sempre pensato che, con facilità,
avrei potuto portarmela dietro, suonare ovunque, confrontarmi
con altri musicisti, incontrati per caso, durante i miei viaggi
e spostamenti e alcune volte è stato davvero così.
Mi piace esprimermi con la voce, il canto e a volte aggiungo
l'armonica a bocca, strumento che ho imparato perché
desideravo tanto interpretare canzoni di Dylan e di Bennato.
L'essenzialità, la sobrietà, direi che sono la
mia forza, anche del disco, “Fòrte e gendìle”.
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Lara Molino foto di Roberto Ronca |
I testi in abruzzese, italiano e inglese
Si viaggia molto, anche solo metaforicamente, per
creare e poi ci si accorge che i rudimenti, i sedimenti e i
“resti”, i “forzieri”, anzi, i lasciti
fondamentali sono sempre stati accanto a te. È il caso
di Lara e di suo padre, Michele Molino, poeta profondamente
innestato nel suo tempo e in dialogo perenne con il suo circostante.
Vero, senza mio padre e i suoi versi non avrei potuto realizzare le canzoni del mio disco. Sono partita proprio da alcune sue poesie, quelle che sentivo più vicine al mio animo. Le ho poi musicate e trasformate in canzoni. Nel booklet contenuto nel disco ho inserito i testi in dialetto abruzzese e le traduzioni in italiano e in inglese, per facilitare l'ascoltatore e per sottolineare le parole, la poesia contenuta in quelle canzoni. In passato ho sempre cantato e composto in italiano, a volte in inglese o in spagnolo e mai avrei pensato che un giorno avrei messo da parte quel repertorio per dedicarmi a nuove canzoni, frutto della sensibilità di mio padre e della mia che si univano, come per miracolo.
C'era ruggine, ostracismo, lontananza, pudore all'idea
di utilizzare la tua lingua, o si è trattato di una naturale
e ineluttabile evoluzione per riprendere “contatto”
con i propri mondi interiori e per meglio coniugare passione
e pensiero.
In realtà i primi a meravigliarsi del fatto che io abbia deciso di cantare in lingua abruzzese sono proprio gli abruzzesi. Sicuramente è stata una scelta coraggiosa, lo ammetto, ma ho valutato bene tutto prima di cimentarmi a comporre e incidere le canzoni. Ho dovuto studiare bene la pronuncia e il significato di alcune parole che neanch'io conoscevo, è stato un lavoro che ho svolto con dedizione, curiosità e divertimento. La musica che ho scritto, rende le parole ancora più comprensibili e il tocco del Maestro Gazich rende il tutto più “internazionale”. È bello incontrare la gente alla fine dei concerti che si mostra entusiasta per ciò che ha visto e ascoltato e che addirittura mi ringrazia per quel che faccio, per aver ridato vita e dignità a un dialetto poco conosciuto.
Sicuramente non un omaggio o un riconoscimento alla
tua terra, o comunque non solo, ma la possibilità di
ridare, attraverso l'uso fonetico delle origini, verità
alla “parola” come veicolo sano per instillare a
chi ascolta la spinta a riprendersi il tempo e lo spazio per
ricominciare da versanti umani meno impervi e più rassicuranti.
Prima di tutto un regalo a me stessa perché avevo voglia, era giunto il momento, di riappropriarmi della mia “parlata” abruzzese. Anche un omaggio alle bellissime poesie di mio padre e il desiderio di essere diretti, essenziali, semplici. Avevo ed ho la speranza che le nuove generazioni possano attingere da questo lavoro, per non dimenticare il passato, la nostra storia e cultura, la nostra “lingua”.
Quanto ha inciso, nella tua precisa volontà
di raccontare alcune storie e i suoi protagonisti del passato,
il rapporto con la tua terra devastata dai recenti tragici eventi
e soprattutto dalla mortificante e depredante opera dell'uomo
che sciacalla sul dolore e sula morte di una civiltà.
Ha inciso molto e spiego come: quando c'è stata la tragedia di Rigopiano, stavo lavorando al disco, era una fase molto delicata. Dovevo prendere delle decisioni importanti per il sound del disco, della mia voce, ecc. Quando ho appreso la notizia, oltre lo sgomento e il dolore ho sentito un forte scoraggiamento e mi sono sentita superflua e superficiale nel dovermi occupare della mia Terra in quel modo. Mi sono bloccata per circa un mese.
Poi le parole di mio padre che aveva notato il mio dispiacere e conosceva i miei dubbi nel continuare ad occuparmi di questo progetto, mi hanno spinto a mettercela tutta e a dare il meglio di me. Lui mi ha detto queste semplici parole: “Ciò che è successo ai nostri corregionali e all'Abruzzo è un fatto grave e doloroso e proprio per questo devi fare di tutto e impegnarti ancora di più per far conoscere a tutti, attraverso le tue canzoni, la bellezza della nostra terra, la nostra forza!”.
“Contenta di lottare, di essere una donna”
Raccontaci allora questo tuo lavoro “fòrte
e gendìle”, raccontaci di questo diario di viaggio
redatto da altri e che tu, come nella meravigliosa tradizione
di trasmissione orale dei Griot, hai riverberi e rinnovi. Come
hai incontrato queste storie, i luoghi e i personaggi che li
abitano.
Adoro
le storie che canto in questi brani. Per me “Zì
Innare lu pesciaróle” (zio Gennaro il pescivendolo),
Nicoletta, la protagonista di “Fòrte e gendìle”,
il brigante Giuseppe Pomponio, sono persone e personaggi che
mi sembra di conoscere da sempre; li immagino, li sogno e saprei
descrivere i loro volti, come parlano, come si vestono. Tre
anni fa ho iniziato a documentarmi, leggere, studiare. Leggendo
il libro su Nicoletta Zappetti, contadina abruzzese, originaria
di Lentella (CH), sono stata colpita dalla sua vita, le sue
lotte e ho composto testo e musica di questa canzone. Mi sono
dovuta confrontare con mio padre per avere volumi, notizie preziose
e per capire meglio i testi delle sue poesie che descrivono
per esempio “Lu fóche de San Tumasse” (il
fuoco di San Tommaso) che si accende nella nostra città,
San Salvo, dal 1745, il 20 dicembre di ogni anno. Questo brano
è quello che apre il disco ed è diventato anche
un videoclip.
L'album, edito da FonoBisanzio e distribuito da IRD, contiene
dieci canzoni, tutte composte da me e mio padre, tranne “Scénne
d'ore” (ali d'oro) composta da Michele Gazich, mio padre
e me. L'ultima track del disco dal titolo “Casche la lìve”
(cadono le olive), è un canto del lavoro di Ortona (CH)
con cui ho voluto omaggiare la mia regione. L'ho cantato a cappella
per ricordare le donne nelle campagne che lo cantavano durante
la raccolta delle olive. Domenico Modugno ha utilizzato e ripreso
questo canto intitolandolo “Amara terra mia”.
Nel mio disco, dunque, canto storie di pescatori, contadini,
donne, briganti e folletti. Questi ultimi li chiamiamo “mazzemarèlle”,
sono brutti e dispettosi e ovviamente sono frutto della fantasia
popolare.
Chi si pone in cammino in modo silenzioso e vero
sui “tratturi”, sui sentieri della transumanza umana,
non può non incontrare viandanti che, per la stessa ragione
del viaggio, erano pronti a donare la propria bellezza e il
proprio sapere, complici consapevoli dell'altrui cammino. Nel
tuo caso l'incontro e il viandante si chiamano Michele Gazich.
Sì, Michele. Un grande amico, un vero artista! L'ho conosciuto
grazie ad un amico comune, in una sera calda d'estate. Era venuto
in Abruzzo, a Vasto, per suonare. Quella sera nacque in me il
desiderio di poterlo conoscere meglio. Dopo qualche anno, la
nostra amicizia è cresciuta, è nata sempre più
in me l'esigenza di confrontarmi con lui, di fargli ascoltare
le mie canzoni e alla fine è diventato il produttore
artistico del mio disco e l'arrangiatore dei miei brani. Il
suo apporto è stato fondamentale. Ci siamo incontrati
più volte, in Lombardia e in Abruzzo per suonare insieme,
far crescere i brani, lui col suo violino, io con la mia chitarra.
Il risultato è “Fòrte e gendìle”,
un disco pieno di passione, sentimento, un album pieno di luce!
Dovessi scegliere una frase “anarchica”
dal tuo disco e dalle storie del disco stesso, cosa “trasleresti”
per “A” rivista.
“Fòrte e gendìle, vaije pé lu
monne, cundènde de luttà, d'esse 'na dònne.
Fòrte e gendìle come la lune, che móve
l'onde e la notte t'allùme.”
Traduzione: Forte e gentile, vado per il mondo, contenta di
lottare, di essere una donna.
Forte e gentile come la luna che muove le onde e la notte ti
illumina.
Gerry Ferrara
Contatti:
www.laramolino.it
www.facebook.com/lara.molino
e-mail: laramolino@tin.it
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