psichiatria
In volo con i matti
intervista di Piero Cipriano a Silvano Agosti
Sull'aereo che ha sorvolato Venezia nel '73, insieme a Franco Basaglia e ai pazienti dell'ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste, c'era anche il regista Silvano Agosti. Il nostro collaboratore Piero Cipriano lo ha intervistato. Sul suo legame con Basaglia, sulla psichiatria e i manicomi.
Prima di fare lo psichiatra volevo
fare il regista. Tra i vari corsi di regia, montaggio, produzione,
il più illuminante che mi capitò di fare fu un
laboratorio di ricerca sul linguaggio cinematografico, proprio
col regista clandestino Silvano Agosti. Proprio qui, dove sono
ora. Nel cinema museo – l'Azzurro Scipioni – dove
lui, uscito di sua sponte dal grande circuito di produzione
e distribuzione cinematografica, ha deciso non dico di seppellirsi
– espressione fuorviante perché lui è vivo
e vegeto, più vivo e vegeto di molti registi acclamati
e mainstream – ma ha scelto di auto-esiliarsi.
Forse di proteggersi.
Quel laboratorio con Agosti fu così illuminante che dopo
decisi di piantarla coi miei filmetti brevi e artigianali.
Speso l'ho citato nei miei libri. Ne Il manicomio chimico
(Elèuthera 2015) lo vado a trovare insieme a Ivan Fëdorovi,
nom de plume di Francesco Andreani, che in questo libro
invece si riappropria della sua identità. Francesco che
avevo istigato a fuggire da un pernicioso reparto psichiatrico
del nord-est, dove era stato legato al letto e dopo venti giorni
ancora non si decidevano a dimetterlo. Gli dissi, quando mi
venne a trovare a Roma, adesso ti porto a conoscere l'autore
di Matti da slegare. E non solo. Anche di un film su
Basaglia, La seconda ombra, peccato che Basaglia fosse
impersonato da Remo Girone. Che qualche anno dopo trovo da Bruno
Vespa a dir bene dell'elettrochock. Non ci potevo credere. Confessava
a Porta a porta che lo psichiatra scrittore Mario Tobino,
fiero nemico di Basaglia e dei novatori, gli aveva suggerito
lo shock elettrico per curarsi la depressione. Che tristezza.
Chissà se Agosti avrebbe scelto lui, avendo sentito questo
triste spot pro-elettroshock.
Ora sono qui, molti anni dopo, Silvano è alla cassa,
più autarchico che mai, il suo cinema museo, bellissimo,
almeno una volta nella vita bisogna venirci, è aperto
ormai solo di venerdì sabato e domenica. Ha appena fatto
partire il film, per cui questo regista cineasta ma soprattutto
poeta per un'ora è libero, è tutto per me. Prima
di cominciare mi chiede se come compenso all'intervista gli
compro una copia di Lettere dalla Kirghisa. Il piccolo
romanzo in cui prova a convincere le persone a non lavorare
più di due ore al giorno. Lì in Kirghisia, questo
posto utopico, dice, non c'è mica la psicologia della
schiavitù che c'è nel nostro mondo, dove tutti
sono schiavi. Ma ce l'ho Silvano, ce l'ho già. Fa niente,
ne compri un altro e lo regali. Sai che Alejandro Jodorowski
volle cinquecentomila lire per farsi intervistare da me? Ma
certo, Silvano, te ne compro pure dieci. D'altra parte, il baratto
mi pare lo scambio più onesto.
Piero Cipriano – Franco Basaglia. Tu come l'hai
conosciuto? So che andasti a cercarlo a Gorizia? In che anno?
Silvano Agosti– Proprio all'inizio della sua esperienza,
nel '63 mi pare, ci sono andato perché qualcuno mi disse
che c'era uno psichiatra mezzo pazzo che voleva aprire i manicomi,
e mi dissi vado subito a vedere, e andai in autostop a Gorizia,
dove fui ospite suo per tre settimane.
Prima del grande afflusso, quando tutti andavano
a vedere questa novità del manicomio aperto?
Ancora non c'era nessuno allora che ci andava, accadde quando
lui decise di buttare giù il muro di cinta del manicomio,
in realtà buttò giù i muri che separavano
i reparti. Però io, nel film La seconda ombra,
gli ho fatto buttare giù il muro di cinta.
Hai filmato qualcosa di quei giorni?
Allora no, ci ero andato solo per la curiosità di vedere
cosa succedeva, poi quando lui si è trasferito a Roma
– nel 1979, subito dopo l'approvazione della 180 –
talvolta veniva a mangiare a casa mia. Gli insegnai a lavare
i piatti, per esempio.
Lui era un ricco veneziano, non era aduso a questa
pratica, immagino.
Lui mi fa non son bon. Io gli dico non c'è problema,
ti insegno, usa la spugnetta, con poco detersivo, pochissimo,
con acqua calda, eccetera. E ha cominciato a lavare i piatti.
Io mi sono seduto a leggere. Dopo un po' lui mi chiama, Silvano!,
dimmi, Franco. Mi piace! Gli piaceva lavare i piatti. Insomma
siamo stati davvero molto amici. Ma quello che era il suo sogno,
e anche l'immenso ostacolo che ha avuto, era che ogni manicomio
aveva centinaia e migliaia di pazienti, che prendevano centomila
lire al giorno dallo stato, una speculazione enorme. Questo
è stato il suo grande avversario. E c'erano più
di novanta manicomi. Andai anche a Parma. Quando lasciò
Gorizia e si trasferì lì, per poco.
Come nacque Matti da slegare?
Mario Tommasini, un operaio del gas che era diventato assessore
alla sanità, chiese a Marco Bellocchio se voleva fare
un film, Bellocchio mi chiama – allora eravamo sposati
io e Bellocchio – e mi dice Silvano, mi hanno chiesto
di fare un film sui matti, fallo tu perché a me i matti
mi fanno impressione. Avevamo appena conosciuto questi due ragazzi
che scrivevano su Ombre rosse, Stefano Rulli e Sandro
Petraglia, e io avevo detto facciamo un collettivo, lo facciamo
insieme ai mormoni, li chiamavo così questi due
ragazzi perché non sorridevano mai. E così abbiamo
fatto questo film in quattro.
Interessante che Bellocchio, che in seguito si farà
curare (per così dire) da quel tipo singolare di Massimo
Fagioli, specie di psico-guru che faceva le analisi collettive,
aveva timore della follia quella vera.
Di questo non ti saprei dire. Comunque, quel film, nonostante
abbia una certa abilità nel montaggio, ci ho messo un
anno a montarlo. C'era un operatore greco che negli istituti
religiosi non lo lasciavano entrare per filmare i matti. Dicevo
vai lo stesso, e entra. Quindi, due anni per realizzarlo perché
la materia era così incandescente, dignitosa, profonda,
che io volevo fosse lei stessa ad auto-trattarsi, e così
ho impiegato un sacco di tempo, e questo è un grande
film perché è una testimonianza inoppugnabile
della criminalità che ogni istituzione raggiunge quando
diventa istituzionale e non umana.
Nel 2000, a vent'anni dalla sua morte, fai questo
film su Basaglia.
In realtà non mi andava di fare un film su Basaglia,
perché lui era un personaggio troppo sacro per farci
un film, e allora l'ho fatto con Remo Girone dicendogli: tu
sei un direttore di manicomio che applica quello che diceva
Basaglia. Basaglia diceva ai giovani psichiatri: non vi mettete
il camice, perché le persone devono capire chi è
il medico da come si comporta, non dalla divisa. E poi diceva
ricordate che noi siamo qui per smettere di essere degli psichiatri
e diventare degli esseri umani. Sono frasi chiave, fondamentali
nel suo dire, capisci? E queste le ho riprodotte ne La seconda
ombra.
Lui era un uomo determinato, che aveva vicino, come ogni grande
uomo, una grande donna, sua moglie – Franca – era
una grande donna, e gli è stata vicina e lui ha potuto
fare questa impresa pazzesca anche grazie a lei. E fruendo un
po' del fatto che tra il '68 e il '78 c'era un paese meraviglioso.
L'Italia è stata stupenda in quei dieci anni.
E questa è la materia del mio nuovo film che si chiama
Ora e sempre riprendiamoci la vita, sono stati dieci
anni straordinari che sono stati nascosti, nessuno ha visto
niente di quegli anni lì, sono stati nascosti sotto un
po' di polvere tipo anni di piombo, oppure Brigate Rosse, ma
in realtà in quegli anni il popolo italiano ha avuto
un risveglio unico, come un risorgimento, c'era un popolo che
risorgeva e voleva delle cose precise.
Oggi non sarebbe più possibile
Una legge come la 180, probabilmente, poteva nascere
solo alla fine di quegli anni. Noi dopo quarant'anni siamo attaccati
a una 180 che adesso non sarebbe più possibile. Già
è difficile conservarla.
È così. Adesso, per esempio, mi censurerebbero
un film come D'amore si vive.
Matti da slegare con L'istituzione negata
con I giardini di Abele di Sergio Zavoli sono stati tre
mezzi narrativi importanti per far conoscere al pubblico la
realtà dei manicomi.
Matti da slegare lo portai in tutti i paesi d'Europa.
Invece il documentario che realizzasti nel '73, sorvolando
Venezia, Il volo? Le persone normali
non andavano in aeroplano, come fu andare con gli internati?
La tecnica di Basaglia era di normalizzare l'incontro tra la
cittadinanza e i matti per far capire che non erano dei mostri,
e così si fece prestare dall'Itavia questo aereo per
far un giro di un paio d'ore su Venezia, e Il volo io
lo amo moltissimo, finisce in una festa dove i matti costruiscono
un aereo di carta, c'è poi un grande ballo. Mi ricordo
una vecchietta, a cui chiesi: ma è emozionata? E lei:
no, mi son vedova. Fantastica risposta lampo. E lì,
prima del decollo, lo stuart dice: i signori passeggeri sono
pregati di legarsi con le cinture. Tutti si sono guardati perplessi,
al che Basaglia precisa: si lega solo chi vuole, va bene? E
loro: ah! Chi vuole. Allora non si è legato nessuno.
Cosa pensi dell'esser folli?
Io avessi la possibilità di gestire un comune inviterei
i matti tutti i giorni, perché c'è qualcosa nella
follia che assomiglia alla fragranza della creatività.
Probabilmente una delle concause di uno stato di follia è
la negazione alla propria creatività, unica e irripetibile,
di esprimersi. Uno non può esprimersi attraverso i linguaggi
che sono la letteratura, la musica, la pittura, il cinema, non
ha questa possibilità e esplode la follia, ma con le
caratteristiche portanti e imprevedibili della creatività
frustata.
E la psichiatria la lega. Ancora oggi. Lo sai, no,
che ancora oggi si lega nei luoghi psichiatrici d'Italia, mezzo
secolo dopo Matti da slegare?
Loro non dicono che li legano, dicono che se no di notte cadono
dal letto. Nel mio film La seconda ombra il matto continua
a dire: dottore, quand'è che mi slegano? Però
non è l'aspetto peggiore quello. Il problema è
che non sono gli psichiatri le persone competenti a guarire
la follia, sono i comuni, che dovrebbero dare case e cibo gratuito
a tutti. Uno che ha casa e cibo non diventa matto.
Mario Tommasini, prima che Basaglia arrivasse a Colorno,
da politico, aveva già fatto uscire duecento persone
dal manicomio, proprio in questo modo, procurando una casa e
un lavoro agli internati.
Io D'amore si vive l'ho fatto dicendo a Tommasini che
uno dei territori rimasti salvi dalla follia sono i giovani
e lui mi ha detto facciamolo.
Film copiato da Walter Veltroni?
Ma non si può copiare L'infinito di Leopardi.
Ma me lo immagino, il film di Veltroni. Un film che mi ha molto
deluso per esempio è Comizi d'amore, perché
parla sempre Pasolini. Invece i miei personaggi sono fantastici.
Danteschi. Archetipi. Basaglia è un simbolo dell'arretratezza
della borghesia medio-alta di questo paese che potrebbe fare
le cose per cambiarlo ma non le fa, e continua a credere che
sia una democrazia, mentre di democratico non c'è niente,
ma proprio niente, ci sono persone oggi che piangono, un mio
amico della ferramenta ha chiuso per le tasse. Non so che progetto
abbia adesso il sistema – stavo dicendo il regime –
ma sicuramente oggi ci sarebbe bisogno di una decina di Basaglia.
In vari ambiti delle istituzioni.
Che abbiano il coraggio di Franco di smantellare la propria
figura ufficiale di psichiatra: siamo qui per smetterla di fare
gli psichiatri e diventare degli esseri umani, diceva, rivolgendosi
ai giovani medici. E non indossate il camice, la gente deve
capire chi è il medico dal suo comportamento, non dalla
divisa. Questa era la sua frase chiave. L'essere umano va costruito,
va ospitato su questo pianeta, perché questo pianeta
è pieno di ragionieri, di ingegneri, di artisti, di registi,
di papi, di professori, di dirigenti, di presidenti, è
pieno di questi ruoli ognuno dei quali imprigiona l'essere umano
e lo soffoca, capisci? Però se un giorno ci sarà
la possibilità per l'essere umano di essere se stesso,
questo davvero diventerà il Pianeta azzurro raccontato
da Franco Piavoli. Però un pianeta di vita, non di mera
esistenza. Adesso è di esistenza.
Una decina di Basaglia insomma.
Franco è una delle persone che non riesce ad assentarsi
dal mio animo, dal mio cuore, perché fa parte –
non posso parlare al passato solo perché è morto
– della mia biologia. Io ho vissuto con lui dei silenzi
straordinari. Silenzi durante i quali cercavamo di formulare
delle proposte o delle soluzioni a situazioni irrisolvibili.
Lui era preparatissimo all'idea che non fosse la legge 180 la
soluzione del problema, ma fosse lo scandalo che lui era riuscito
a creare. Del resto, perfino Gesù Cristo, che secondo
me era semplicemente un Basaglia super, disse: sono venuto a
dare scandalo.
Suggestivo. Un Basaglia che va oltre la lotta ai
manicomi, ma che punta alla follia di una società assoggettata,
lo si comincia a intuire nelle sue conferenze in Brasile.
Le persone sono abituate a pensare che sia normale lavorare
otto-dieci ore della propria vita per avere da mangiare e da
dormire, è questa la vera follia. L'unico compito di
uno stato decente e di un governo decente è provvedere
al sostentamento dei cittadini. Invece lo stato è un
genitore che non solo schiavizza i propri figli, ma gli ruba
quel poco che gli resta, perché ha scoperto che per dominarli
ci vuole la disperazione, e lo stato produce solo disperazione.
Questo è uno stato che produce malati, produce fumatori,
produce prostitute, produce omicidi, produce femminicidi, l'elenco
della produzione di questo stato e della sua cultura è
un elenco di una ferocia senza pari. Io che ho scelto, scappando
di casa, di lavorare due ore al giorno, ho avuto, come direbbe
Pasolini, la possibilità e il tempo di capire quanto
è feroce questo stato. Gli altri il tempo di capire non
ce l'hanno perché vanno a casa esausti, si guardano un
po' di noia televisiva e poi vanno a dormire, e così
passa la vita e quando arriva il tempo della pensione, nel terrore
che possano essere finalmente liberi, gli dicono la pensione
non te la diamo, e ti massacrano anche lì, perché
c'è un talento vero e proprio delle istituzioni nel deludere
gli umani a tempo pieno. Che è quello di godere del male
che produce.
E questo è uno stato che ha realizzato, in modo perfetto,
ferocia fiscale. Mussolini, Stalin e Hitler, ti dirò,
hanno fatto tutti e tre lo steso gioco macabro. Quando hanno
capito che il socialismo era un'emozione globale, e tutto il
mondo era lì con lo sguardo perso nella speranza che
il socialismo creasse uguaglianza e diversa distribuzione del
benessere, hanno proclamato il loro essere socialisti, addirittura
Gramsci affida la direzione dell'Avanti a Mussolini, Hitler
si proclama nazionalsocialista, e Stalin socialista. E poi,
invece, sono diventati dittatori.
Paradossalmente né il cristianesimo né il socialismo
né il comunismo hanno mai trovato una possibilità
di applicazione. Come la costituzione italiana. Mai applicata.
Io l'ho letta a quindici anni e mi ha commosso: finalmente avrò
uno stato che mi protegge, pensavo. Invece nei restanti cinquant'anni
ho verificato che di tutti gli articoli della costituzione,
uno solo è stato davvero sempre applicato, quello che
dice che la bandiera italiana deve avere tre colori, bianco
rosso e verde.
Tu dunque lavori due ore al giorno. È il tuo
antidoto alla follia?
Io personalmente ho applicato il lavorare due ore al giorno
e mi ha portato giovamento. Perché il lavoro nega la
creatività. È ripetitivo. Ora ci sono le macchine,
che godono nell'essere ripetitive. Il mio film Il segreto,
avevo previsto tutto. Aveva previsto la sparizione della classe
operaia, ma non del lavoro che veniva affidato in ogni settore
a delle macchine. Oggi, non c'è più niente. E
però non è quel niente che prelude alla libertà
di tutti, è quel niente che prelude alla sparizione di
tutti.
Piero Cipriano
Quest'intervista è tratta dall'ultimo libro di Piero Cipriano, Basaglia e la metamorfosi della psichiatria, edito da Eleuthera (pp. 200, € 16,00), previsto in uscita nel mese di maggio, a quarant'anni dall'entrata in vigore della “legge Basaglia“.
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