rivista anarchica
anno 48 n. 425
maggio 2018


società.1

Anarchismo e cambiamento sociale

di Francesco Codello


Il mondo sta cambiando ed è necessaria una rivisitazione di alcune nostre idee e strategie. Sempre più dobbiamo rivolgerci all'esterno, alle altre e agli altri. Proponendo i nostri ideali, mai cercando di imporli.


«Poiché non si può convertire la gente tutta in una volta e non si può isolarsi per necessità di vita e per l'interesse della propaganda bisogna cercare il modo di realizzare quanto più di anarchia è possibile in mezzo a gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi». Così scriveva Errico Malatesta (Gradualismo, Pensiero e Volontà, n. 12, 1° ottobre 1925) sottolineando inoltre: «Per conto mio, io credo che non vi sia “una soluzione” ai problemi sociali, ma mille soluzioni diverse e variabili, come è diversa e variabile, nel tempo e nello spazio, la vita sociale» (A proposito di «revisionismo anarchico», Pensiero e Volontà, n. 9, 1° maggio 1924).
Queste affermazioni del grande rivoluzionario anarchico italiano si prestano molto bene a essere meditate e utilizzate per orientare la nostra azione e sviluppare il nostro pensiero. Naturalmente sappiamo tutti molto bene che il pensiero di Malatesta è ben più articolato ed è cambiato nel corso degli anni, a seconda dei temi, dei problemi e degli accadimenti storici che lo hanno ispirato. Nonostante questo, ritengo importante prendere spunto da queste brevi frasi, per riflettere sul tipo di postura che un anarchico dovrebbe assumere nei confronti di chi anarchico non è, e inoltre rispetto alla complessità delle soluzioni possibili che si possono proporre ai vari problemi organizzativi che una società complessa come la nostra ci propone.
La prima questione è quella della scelta dei nostri interlocutori. Con chi parliamo, con chi pratichiamo azioni di lotta e sperimentazioni di pratiche alternative, chi escludiamo a priori dal nostro orizzonte relazionale, in che modo, con quali mezzi, con quali atteggiamenti ci proponiamo nei confronti di chi non condivide o non conosce le nostre idee? Queste alcune possibili domande che ritengo importante affrontare sapendo benissimo che possono costituire sia un alibi per l'autoisolamento referenziale sia il rischio di diluire eccessivamente la nostra proposta in un insieme di generiche affermazioni di maniera.

Una scelta molto più ampia

La questione dell'interlocutore si è concretizzata e trasformata ormai in quella degli interlocutori. Appare quanto mai difficile limitare questa scelta in un ambito tradizionalmente classista (la classe operaia, il proletariato, ecc.) anche se, ovviamente e per costituzione fondativa, l'anarchismo ha da sempre (e non può che essere così) privilegiato e individuato come possibili soggetti rivoluzionari queste classi sociali escluse dal dominio economico e di potere. Ma pensare che l'idea di cambiamento sociale, di cui siamo portatori, possa tradursi oggi in una scelta tradizionalmente di classe, appare quanto mai inefficace sia per il continuo e incessante processo di trasformazione in senso quantitativo e qualitativo della classe operaia, sia per un fenomeno di invasiva colonizzazione dell'immaginario dominante all'interno dei ceti più esclusi, sia infine per la comparsa evidente e massiccia di nuove “classi” o masse di esclusi ed emarginati non collocabili facilmente all'interno di una logica tradizionalmente classista.
Da queste premesse deriva l'inevitabilità di fare una scelta molto più ampia e articolata nel definire e scegliere i nostri interlocutori. Ciò che resta inevitabilmente ancora valido è l'esclusione di tutti quei soggetti che consapevolmente e deliberatamente esercitano ruoli e praticano volutamente relazioni di dominio. Questi non sono disponibili per definizione a un cambiamento che neghi alla radice la natura più profonda del loro ruolo e comunque, anche lo fossero, dovrebbero rinunciarvi volontariamente (il che appare quanto meno estremamente difficile se non impossibile).
Fatta questa premessa, a scanso di equivoci, resta però aperta una prateria di possibili riferimenti e non appare più proponibile pertanto un'azione libertaria e una propaganda anarchica che si consumi entro quattro mura ed escluda a priori, magari con posture rigide e confessionali, il mondo che c'è al di fuori dei nostri spazi ristretti.

Azioni esemplari

Noi abbiamo bisogno del consenso di quante più persone possibili, abbiamo la necessità di spiegare che cos'è l'anarchia a quanta più gente possiamo, dobbiamo persuadere con l'esempio, la propaganda, interrogando e mettendo in discussione sistematicamente comportamenti e valori autoritari, abitudini e convinzioni consolidate e date per scontate, abbiamo necessità di forzare con azioni esemplari la rottura di un incantesimo consolidato di forme più o meno evidenti di dominio, ma per fare tutto questo abbiamo la necessità di incontrare e di comunicare con quanti non la pensano come noi. Dobbiamo essere consapevoli che l'anarchia non si fa per forza, non accade deterministicamente, non si concretizza mai compiutamente, non si può insomma imporre, sarebbe un controsenso oltreché un sicuro fallimento.
Ciascuno faccia la sua parte, incontri quante più persone possibile, scelga i modi e le forme che più lo fanno sentire a proprio agio, ma esca da una presunta superiorità, da un egocentrismo autoreferenziale, non tema di sporcarsi le mani stando a contatto con chi, per ragioni diverse, in buona fede, non ci capisce, non sa di che cosa stiamo parlando. Siamo minoranza, sempre e di più minoranza, ma per diventare almeno maggioranza, abbiamo bisogno che altri da noi accettino di fare la nostra stessa strada. Ecco perché è indispensabile avvicinare uomini e donne che non sono anarchici e anarchiche ma con le quali condividiamo momenti di vita quotidiana e affrontiamo comuni problemi concreti ogni giorno.
Abbiamo la necessità di spiegarci, di farci intendere, di ascoltare attivamente, bisogni, idee, speranze, preoccupazioni, persino idee e convinzioni che reputiamo sbagliate, di offrire esempi veri di soluzioni libertarie, avvicinandoci via via a un ideale sempre più evidente e condivisibile.
Non possiamo stare sempre tra noi, pochi ma buoni, ma nutrirci delle preoccupazioni degli altri e tentare di proporre il nostro sguardo obliquo al potere, con pazienza e soprattutto senza quella saccenza e presunzione che deriva da un mal inteso senso di superiorità.

Il legame tra mezzi e fini

Siamo diversi, lo sappiamo, lo rivendichiamo con forza, ma questa diversità deve essere riconosciuta come una possibile soluzione e non vissuta come una esclusione. Lavoro questo certamente più faticoso (molto più facile pensare di avere sempre ragione e la risposta giusta in cenacoli ristretti ed esclusivi), ma indispensabile per le ragioni qui dette. Inoltre, e non è cosa da poco, come ci suggeriva il buon Malatesta, non abbiamo una risposta a tutto e soprattutto non possediamo da soli le soluzioni a ogni problema sociale, abbiamo bisogno di sperimentare, di provare e riprovare, tenendo sempre stretto e indissolubile il legame tra mezzi e fini. Infatti le società umane «debbono essere il risultato dei bisogni e delle volontà, concorrenti o contrastanti, di tutti i loro membri che, provando e riprovando, trovano le istituzioni che in un dato momento sono le migliori possibili, e le sviluppano e le cambiano a misura che cambiano le circostanze e le volontà» (Qualche considerazione sul regime della proprietà dopo la rivoluzione, Risveglio, 30 novembre 1929).
Minoranza attiva allora che pungola con tenacia e coerenza i propri interlocutori incitandoli alla rottura con l'immaginario dominante, che li sostiene in realizzazioni di spazi e momenti di autonomia e libertà, che non perde di vista la visione più generale, con la convinzione che ogni forma di dominio è per natura produttrice di violenza, disuguaglianza, schiavitù. Ma con la medesima sicurezza che una società libertaria è pluralista e aperta e che non possiamo “fare la rivoluzione da soli”. Agire anarchicamente, pensare anarchicamente, ma mai tentare di imporre le nostre idee agli altri.
Se queste considerazioni hanno un senso probabilmente dovremo rivedere e ripensare alcune forme e ad alcuni atteggiamenti che talvolta mettiamo in campo nella nostra azione e nelle nostre relazioni. Parlare a chi anarchico non è o non conosce nulla delle nostre idee (se non magari quanto il potere gli ha insegnato) richiede una rivisitazione continua del nostro patrimonio di idee e di esperienze, cogliendo e valorizzando quanto di utile (tanto) c'è ancora e modificando quello che di ormai inefficace (poco) abbiamo nella nostra tradizione.

Giustizia, libertà, solidarietà umana

Infine tenere sempre presente un monito che Malatesta ci ha consegnato e che differenzia radicalmente l'anarchismo da ogni altra ideologia sociale: «La rivoluzione dovrà essere fatta in nome della giustizia, della libertà, della solidarietà umana e procedere con metodi che s'ispirano alla giustizia, alla libertà e alla solidarietà. Altrimenti non si farà che cadere da una tirannia in un'altra» (Comunisti e fascisti, Pensiero e Volontà, n. 9, 1 maggio 1924).

Francesco Codello