contro l'agribusiness/1
Dietro Fico
di Diego Rosa
Un nostro collaboratore “veronelliano” visita e analizza la Fabbrica Italiana Contadina aperta di recente a Bologna. E la demolisce. In senso figurato, s'intende.
Fico, la Fabbrica Italiana Contadina,
sembra una follia ma è la lucida conclusione di una lunga
parabola e l'inizio di un nuovo percorso: turismo in entrata
e prodotti agroalimentari da esportare. Di conseguenza il nostro
paese va sistemato per dare assoluta garanzia di tranquillità,
bellezza e buon cibo. Un percorso questo che, come vedremo,
è nato a sinistra e che all'inizio sembrava rivoluzionario
attirando a sé simpatie e condivisioni indistinte da
tutto il mondo. Però nello stesso tempo ha creato una
rete stretta col capitalismo italiano che sta cercando nuove
strade. Il messaggio che passa è “scelgo per te
il meglio, fidati e sarai felice”.
L'unico ad avere visto, fin dagli inizi, una certa ambiguità
e inaffidabilità è stato Luigi Veronelli, ancorato
saldamente al suo concetto di anarchia, di individualità
e di assunzione di responsabilità. Ma procediamo con
ordine.
La felicità, in questa “società dello spettacolo”,
ci insegna Debord, si riassume nel cercare ciò che si
trova e non nel trovare ciò che si cerca. Fico (Fabbrica
Italiana Contadina) in questo senso è il “delitto
perfetto”. L'individuo nel tempo è stato dissolto
lentamente e alla fine è impotente e prigioniero. Partiamo
dalla storia chomskyana della “rana bollita”? Quando
la rana viene messa nell'acqua, che è sul fuoco, sente
un piacevole tepore e si crogiola contenta. Quando l'acqua diventa
sempre più calda, la rana comincia a non stare più
così bene perché è sempre più debole
e quando arriva la bollitura non è più in grado
di reagire. Se fosse stata immersa direttamente nell'acqua bollente
avrebbe reagito schizzando fuori all'istante. Così è
la storia che porta a Fico e che, come vedremo, viene da lontano.
È importante sottolineare che Fico può essere
solo a Bologna, città del cibo e del sapere, Bologna
“la dotta e la grassa”. È anche la capitale
del capitalismo emiliano, una particolare socialdemocrazia dove
il potere pubblico di sinistra governa e dove prosperano le
cooperative rosse. Tornando alla rana e a Fico, termina qui
un discorso iniziato trent'anni fa, nel 1986, col Gambero Rosso
che, passando per Arcigola, arriva fino a Slow Food e ora a
Fico. Il Gambero Rosso nasce come inserto del “Manifesto”.
Si interessa del “mondo del cibo” e del suo percorso,
dalla semina alla tavola pubblica e privata. Lo fa da sinistra,
questa è la novità.
Nel 1989 nasce Slow-Food che aggiunge “la tutela e il
diritto al piacere”. “Noi siamo un'associazione
che vuole cambiare il mondo, che ha d'interesse salvare il pianeta
praticando il piacere”. Il profitto, il capitalismo, questo
il primo messaggio, non sono più i nemici dichiarati
perché Slow Food, ci dice Petrini, è una pratica
non rivoluzionaria in quanto il consumo non ha più nulla
a che vedere con la produzione. Infatti anche se è vicino
ai movimenti No global, Slow Food non userà mai i metodi
di José Bové, anzi rinnega perfino la conflittualità
dimostrativa, simbolica. Slow Food, guarda caso, esploderà
e raggiungerà una dimensione planetaria nel periodo della
“concertazione” (inizio '90 del '900), quando tutti,
partiti e sindacati sostengono la resa incondizionata e c'è
l'azione dei “governi-Attila” o proto-tecnici di
Amato e Ciampi: dalla parte di Slow Food si schierano tanti
personaggi famosi, da Guccini a Dario Fo, al regista Olmi, a
Ermete Realacci, a Valentino Parlato, per citarne alcuni, e
addirittura il principe Carlo d'Inghilterra. Dopo il “Salone
del gusto” del 2000 il governo Berlusconi dà 200.000
euro per ogni Presidio di Slow Food: sono soldi di tutti noi,
anche di quelli che non possono permettersi i prodotti in questione
che, grazie al nuovo marchio, aumentano automaticamente, triplicandoli,
i prezzi. E la merce a marchio Slow Food, diffusa dalla Coop,
è ormai per una élite che può permettersela.
Tomacelli scrive che “il marchio Slow Food (finisce per)
valere oro e Petrini deve solo scegliere a chi vendere le sue
visioni”.
La guerra dei marchi e delle sigle è spietata. Molto
gettonati sono DOP e IGP, valgono finanziamenti e sono spacciati
per assoluta garanzia di qualità e trasparenza, ma non
è così. Si sa che è importante l'origine
del prodotto e si dà per scontato che le sigle garantiscano
l'informazione, ma non è così perché, per
la legislazione europea, l'origine del prodotto si ha dove avviene
l'ultima trasformazione sostanziale che, in parole povere, è
l'imballaggio. Famoso è stato il caso del “Pomodoro
pelato di Napoli IGP” che con la “Mozzarella di
Gioia del Colle DOP” ha fatto litigare Puglia e Campania.
“Pomodoro pelato di Napoli”, ma in realtà
coltivato quasi esclusivamente (95%) nel Tavoliere della Puglia,
in provincia di Foggia, e il restante 5% proveniente dal Molise
e Basilicata. Etichettato “di Napoli” perché
imballato a Napoli.
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Bologna - La Fabbrica Italiana Contadina |
Le De. Co. proposte da Luigi Veronelli
Luigi Veronelli, che da sempre ha preteso il diritto al piacere, alla libertà e alla vita, ha proposto, invece, per la massima trasparenza, le Denominazioni Comunali (De. Co.) contro i mercati che hanno la convenienza a imporre i propri prodotti globalizzati, acquistati dove più conviene. Complice assoluta e silenziosa di questo schifoso imbroglio è la “Grande distribuzione organizzata” (Gdo) che si scaglia contro le “aziende locusta”, ma poi mette tranquillamente i loro prodotti sugli scaffali (vedi Coop). Le aziende locusta sono quelle che ne hanno inglobate molte altre mantenendone i marchi: un esempio è la famigerata Nestlè. Veronelli ha quindi proposto che ogni bene, non solo alimentare, possa fregiarsi del nome del comune all'interno del quale è prodotto. Il Sindaco fa da garante, non lo Stato.
La De. Co. non entra nel merito della qualità, ma garantisce solo l'origine, la territorialità del bene. “La Denominazione d'origine Comunale significa...nient'altro che la scrittura in etichetta del nome del territorio di coltivazione e di trasformazione (si vuole che i due siti coincidano). Non c'è un disciplinare di produzione: c'è solo la terra coi suoi confini”. La qualità sarà sancita dalla capacità del contadino di produrre un prodotto eccellente e di metterlo sul mercato.
Questo è il modo di scardinare il potere delle multinazionali
e restituire i diritti alle comunità locali evidenziando
la responsabilità dei produttori. Le De. Co. sono una
rivendicazione dal basso dell'importanza del territorio e degli
individui. È sotto questo aspetto che Veronelli non accetta
l'“arca dei presìdi” di Slow Food. Petrini
vuole come garante lo Stato, Veronelli invece la Comunità
dove si trova e dove si produce il prodotto. “...(Petrini)
lui marxista e io anarchico (abbiamo) avuto lo stesso identico
proposito: far divenire benestanti i poveri e frenare la possanza
dei ricchi. Diversissime le vie: lui attraverso una organizzazione
partitica (desmais pluripartitica), io con l'anarchia,
ossia con l'assunzione individuale di responsabilità...
Contrasto sì. Lui a sostenere l'esigenza dell'autorità,
io quella sola degli individui”. Il Presìdio garantisce
la qualità, anzi esclude che il prodotto non abbia qualità,
ma non garantisce la particolarità, che è la vera
eccellenza. Poi tiene controllati i guadagni del produttore
(non i prezzi sul mercato) che deve adattarsi.
È vero. le De.Co. non sono una patente, ma la constatazione
di ciò che la terra produce in un luogo e che può
divenire, grazie al lavoro artigiano, una eccellenza che però
la De.Co. non certifica. Saranno i compratori del prodotto a
certificarla nei fatti. Il marchio Slow Food è invece
una patente che permette di aumentare molto i profitti del distributore.
Con tutti i rischi collaterali che si corrono. Fico ne è
la dimostrazione. È la fine di ogni individualità,
è il frutto di un grande compromesso che porta alla riduzione
della qualità assoluta e all'unidirezionalità
dell'offerta.
Su tutto un dio, il profitto
A questo aggiungiamo attualmente un clima, non certo spontaneo,
di grande festa continua e un messaggio subliminale sempre presente:
il mondo è troppo parcellizzato e tu, lavorando, mi devi
delegare la tutela della tua salute, della tua cultura, della
tua gioia, del tuo piacere. Su tutto c'è un dio: il profitto.
E se nel tutto uno ha tanto, per gli altri deve esserci sempre
meno. Poi diventa importante una scuola che trasmetta questo
sapere, che crei dei funzionari rigidi e attenti e dei futuri
utenti-clienti disciplinati, una massa silenziosa, speranzosa
e perennemente convinta di essere felice.
Serve anche un periodo di pace per potere lavorare bene. Un
periodo in cui tutte le istituzioni collaborano e in cui non
ci siano rivendicazioni, né lotte conseguenti. Slow Food,
ci dice Petrini, garantisce un avvenire migliore perciò
non c'è bisogno di lottare. Veronelli invece invitava
anche alla sovversione, assolutamente non violenta, quando necessaria.
“La società la cambi se la vivi, se ci sei dentro,
se puoi operare con trattative continue all'inizio per un mantenimento,
sino alla sovversione. Quando condivisa dalla stragrande maggioranza
della popolazione, è l'apice della democrazia”.
Ed eccoci a Fico. La descrizione che ne fa Bukowsky sul sito “Wu Ming” è impietosa e impareggiabile. “Il superstore è naturalmente un negozio “green” e il più sfacciato “greenwashing” (significa costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale) lo abbraccia da tutti i lati con percorsi pedonali (...) e il nuovo tratto ciclabile, alberelli striminziti e postazioni per le auto elettriche”.
Ricordiamo che a Bologna ci sono già nove maxistore alimentari
oltre a tanti punti vendita più piccoli. Una vera invasione
nata dal rapporto morboso tra Partito Democratico e Grande distribuzione
organizzata (Gdo) che ormai con la Coop è proprietaria
di Bologna, diventata un ipermercato con possibilità
di alloggio, il cui centro storico è un centro commerciale
naturale. Il comune è poi proprietario di “Caab”
(valore 60 milioni di euro), un mercato generale agroalimentare
enorme e sottoutilizzato. È stato uno spreco di denaro
e territorio.
Si ripuliscono le città per i clienti futuri
Ora è la struttura di Fico. La grande area verde di
fronte a Fico è in attesa di cementificazione da vent'anni.
Oggi è di proprietà di Carisbo, che è dentro
a Fico.
Fico potrebbe quindi rendere attrattiva un'area considerata
troppo popolare, perciò invendibile, tanto che il “Sole
24 ore” la definisce “soprattutto un progetto immobiliare
innovativo, il primo nel suo genere”. Nel gruppo di finanziatori
di Fico ci sono pure Coop Alleanza 3.0 e Reno, Legacoop e, sopra
a tutti, ci sono gli enti previdenziali privatizzati, cioè
le casse dei liberi professionisti che nel tempo si sono alleggerite
dell'investimento diretto in immobili vendendo le residenze.
Un investimento che rendeva poco, anzi pesava sui conti. Ora,
come ci dice sempre il “Sole 24 ore”, acquistano
il “mattone di carta” invece del “mattona
reale”. Perché investire in immobili che si potrebbero
dare in affitto? Meglio partecipare a fondi che sono speculativi,
gentrificanti e ricchi di cemento. La loro strategia è
distruggere, con la menzogna della riqualificazione, interi
quartieri popolari (abbiamo visto che qui nemmeno si iniziano
a costruire) rendendo la vita impossibile ai vecchi abitanti,
poi si cacciano anche le associazioni di territorio e i centri
sociali.
Si ripuliscono le città per i turisti futuri. Tra gli
altri investitori abbiamo Fondazione Carisbo, Poligrafici (editore
del Resto del Carlino), banche, Eataly, cioè Oscar Farinetti,
e Prelios Sgr che gestisce il fondo Pai. Del gruppo Prelios
fa parte Pirelli & C. Spa le cui azioni sono in mano a Chem
China, colosso dei pesticidi e fertilizzanti chimici.
Fico però si presenta come “luogo di produzione
di valori”, prima che di prodotti. È Fabbrica Italiana,
è Contadina, intesa come pratica, pienamente connessa
alla terra. Cosa ci fanno, ci chiediamo, dentro a Fico aziende
come Mutti, Balocco, Venchi, Carpigiani, tanto per citarne alcuni,
che di certo sono molto lontane dal contadino, dall'artigianalità,
dal localismo, dal recupero dei valori... E cos'è diventata
Slow Food che ora ha a che fare con Autogrill, che è
di Benetton, Barilla, Ferrero, Parmacotto? Quanta acqua è
passata sotto i ponti da quando Veronelli, morto nel 2004, dialogava,
anche se a distanza, col Petrini marxista, prevedendo tutto
ciò. E la partecipazione a Expo 2015 insieme a chi portava
gli Ogm? Petrini risponde che è rispettoso delle nostre
leggi, perciò ora è contro gli Ogm che sono vietati,
però un domani...
Degrado è anche la vita reale
Fico vuole più di dieci milioni di visitatori l'anno
che al mattino visiteranno Fico e al pomeriggio faranno shopping
nel centro di Bologna. Vuole gareggiare con Disneyworld di Parigi
e diventare il monumento più visitato d'Italia (sic!).
Quindi nessuna regola. Questo è il secondo salto di qualità
richiesto. Ecco allora la campagna del “compagno”
Farinetti contro i funzionari pubblici che lottano contro il
bene dello stato ingigantendo la burocrazia: vanno licenziati.
Il ceto politico va selezionato dal padronato ed è sempre
revocabile. Ogni amministrazione deve quindi lavorare per il
bene e il progresso dell'Italia. Il 21 maggio del 2013 a La7,
nella trasmissione “l'aria che tira”, Farinetti
dice che “...è arrivato il momento che noi e voi
(...), noi imprenditori e voi sindaci, ci becchiamo un po' di
avvisi di garanzia e facciamo delle robe: questa rivoluzione
dobbiamo incominciarla noi, freghiamocene... Io non lo nascondo
che dei miei 21 Eataly che ci sono in Italia, 7 o 8 li ho aperti
senza licenza, perché non me la davano per problemi burocratici.
Io ho aperto e ho invitato i sindaci all'inaugurazione”.
Abbiamo già visto che un'altra parola d'ordine è
“lotta al degrado”, quindi gentrificazione e via
gli assembramenti nelle piazze del centro. Degrado è
anche la vita reale, quella dei lavoratori e dei poveri. C'è
un'equazione tra marginalità sociale e spazzatura. I
quartieri vanno ripuliti e rimessi a nuovo, senza più
poveri e lavoratori, portatori di povertà e la povertà
è brutta da vedere. La lotta al degrado è anche
divieto di conflitto. Chi ha poco non deve farsi sentire, non
deve alzare la voce. Per Farinetti il nostro mix di bellezza
(paesaggi, arte, agroalimentare) è “il nostro giacimento
petrolifero”. Il suo piano è “turismo e commercio”
perciò servono condizioni di lavoro assolutamente precarie
e nessuna garanzia perché quest'ultima serve solo a chi
non ha voglia di lavorare. “C'è tutto un mondo
che ha voglia d'Italia. Quindi c'è Fico, la prima risposta
importante”. Chi devono essere i visitatori di Fico? “I
turisti di tutto il mondo, i ragazzi delle scuole elementari
e medie, i cittadini di tutt'Italia...”
Alla fine chi può credere che in questo luogo coi suoi
alberelli striminziti, con qualche decina di animali in mostra
e qualche orticello, con prodotti che si trovano in qualsiasi
ipermercato e oltretutto qui costano di più, con ristoranti,
pizzerie e chioschetti da vecchia festa de L'Unità...
vengano almeno dieci milioni di persone l'anno? La fine di Fico
sarà quella di un centro commerciale qualsiasi e “i
turisti di tutto il mondo” diventeranno “visitatori
qualsiasi”. In fondo ci sono già centri commerciali
visitati da cinque milioni di persone e tre milioni sono clienti.
Si deduce che il Comune di Bologna ha dato immobili e costose
infrastrutture per un centro commerciale che servirà
per affari di cemento. E le famiglie se non andranno all'Ipercoop
andranno all'Iperfico: sono sempre soldi che entreranno alla
Coop che è il primo investitore privato di Fico ed ha
messo a reddito l'intera città di Bologna. Vale la pena
ricordare che la Coop non opera come una catena di negozi, ma
ridisegna ogni cosa, per esempio la distribuzione del cibo attraverso
le proprie centrali d'acquisto. Riscrive i ruoli lavorativi
nella filiera sovrasfruttando le aziende con contratti capestro
e queste si rifanno poi sui lavoratori che sono sfruttati e
sempre più precari. Determina poi il consumo passando,
senza alcun problema da “4 salti in padella” a Slow
Food. Coop e Gdo risalgono il processo produttivo a ritroso.
Non tengono conto delle scelte agricole, ma le determinano attraverso
l'imposizione di quali varietà e in quali luoghi.
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Bologna
- La Fabbrica Italiana Contadina |
Sicurezza, ordine, nessuna possibilità di critica
Gli agricoltori perdono la loro autonomia. Il processo produttivo
è quello di un gambero. È la Gdo che dà
norme precise per tutto, dai pesticidi ai concimi, dai prodotti
alla manodopera, alla logistica. A questo punto non serve conoscere
l'agricoltura. E la società deve collaborare col volontariato,
come a Expo 2015, con i tirocini gratuiti pagati dalla Regione.
L'ultima notizia è del 15 maggio scorso. “La Repubblica”,
giornale sfacciatamente allineato con Fico e Slow Food (vedere,
tra gli altri articoli, l'inserto del 14 dicembre 2017: “Fico.
Italian restaurant. Dalla 'nduja alla fassona una tavola per
20 regioni”. Petrini scrive poi sul giornale, pubblica
un articolo con questo titolo “Rifugiati a scuola da Slow
Food: il cibo è integrazione. Lezioni di nutrizione e
di cucina a Pollenzo, poi il tirocinio a Eataly. Così
trovare lavoro in Italia sarà più facile”.
Farinetti e la combriccola trovano normale lo sfruttamento,
spacciato per “farsi le ossa” o “imparare”
senza retribuzione per poi entrare nel mondo del lavoro. È
l'ultima frontiera.
A Fico poi, nonostante gli accordi coi sindacati, è cominciata,
da subito, la scrematura dei lavoratori, cioè la girandola
degli assunti che vanno e vengono. La strada fin qui descritta
potrebbe continuare col grande progetto per il Sud e la sua
sharmelsheikizzazione sempre accompagnati da cemento,
privatizzazione dei beni pubblici e ambientali, bassi salari,
precariato e repressione politica e sindacale. Si punta su sole,
vacanze, convivialità, ingegno italico e privatizzazione.
L'Italia deve diventare il paese di Bengodi, del gusto e dello
stile. Non sono questi lo slowfoodismo e il farinettismo? Ecco
che allora arriva “Italiadecide” fondata da Giuliano
Amato e Carlo Azeglio Ciampi e che ha tra i suoi Padoan, Violante,
Tremonti e Gianni Letta. Tra i soci ordinari poi troviamo Benetton
(Autostrade per l'Italia) e Intesa Sanpaolo, partners di Slow
Food, di Fico, di Expo 2015, delle speculazioni immobiliari.
Tutti al grido di “economia territoriale sostenibile e
competitiva”. Si propone un concetto innovativo del turismo
internazionale perciò servono sicurezza, ordine, nessuna
libertà di critica che minacci il sistema paese. Quindi
divieto di conflitto e risistemazione dei territori. Allora
il futuro meraviglioso è turismo in entrata e esportazione
di prodotti agroalimentari. Esportare “food” significa
dovere importare materie prime, perché le nostre non
basterebbero. Ecco che allora tutti i grandi discorsi sulla
biodiversità e sulla nostra eccellenza vanno, come suol
dirsi, a farsi fottere.
Altra cosa ritenuta molto importante è educare bambini
e bambine a considerare l'agricoltura null'altro che una variante
dei tanti centri commerciali che hanno visitato durante i loro
verdissimi anni. Farinetti ha poi inaugurato a Bologna il suo
“programma di educazione al turismo, un lavoro educativo
che parte dalle cose minime (il salutare, il sorridere, essere
disponibili, non buttare a terra i rifiuti) fino a quelle più
complesse (amare e studiare il proprio territorio, essere d'esempio)
e poi la scuola italiana deve specializzarsi sul turismo (dalle
elementari all'università)”. Una volta adulti i
nostri bimbi saranno pronti per essere inseriti nella “gioiosa
flessibilità farinettiana”.
L'importante è spararle grosse
E Fico? Andateci se volete. Ci sono stand dove si può
bere e mangiare, dal panino al piatto da ristorante, alla pizza.
Ci sono poi stand dove si compra. Se non volete camminare vi
danno la bici a tre ruote (non si cade) col cestino per la spesa.
Ci sono zone tematiche, a pagamento. C'è la libreria
e il piccolo anfiteatro per fare teatro e dibattiti, ci sono
dei giochi per i bimbi. Qualche orto e degli animali. Si compra
a prezzi maggiorati. Si può vedere mungere le mucche
e come si fanno il gelato e il formaggio. Tutto ciò fa
la differenza?
Della mia visita ricordo due cose. L'entrata con l'esposizione
delle mele “Melinda” e la scritta: “In Europa
ci sono più di 1200 varietà di mele... 1000 in
Italia e 200 nel resto d'Europa... Per questo abbiamo fatto
Fico”. “Grazie Melinda”.
Peccato che le cifre non siano vere, ma l'importante è
spararle e grosse. Ricordiamo poi a Fico che in Val di Non la
popolazione è insorta contro Melinda perché ha
colonizzato la valle e perché irrora con fitofarmaci
che inquinano e rendono l'aria irrespirabile. Oltre a Melinda
ricordo un panino con la mortadella mangiato alle 10 e 30 del
mattino.
L'orario e la voglia e la fame erano quelli giusti. Una cosa
veramente unica. Questa sì.
Diego Rosa
Quanto scritto è stato possibile anche grazie a “La
danza delle mozzarelle, Slow Food, Eataly, Coop e la loro narrazione”.
Wolf Bukowski. Edizioni Alegre. 2015 / “Westworld alla
Bolognaise. Viaggio a FICO, parco distopico farinettiano, prima
e seconda puntata”. (20 e 28 novembre 2017) pubblicato
da Wu Ming su wumingfoundation.com.
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