tra il '68 e oggi
Link, Bologna: un'esperienza
di Luca Vitone
Lo sguardo di un artista anarchico sulle trasformazioni in Italia dal 1968 ad oggi. E il ricordo della storia di un centro culturale molto particolare, a metà tra le due date. Un modo diverso di riflettere sugli ultimi decenni di storia. A partire dal punk.
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Bologna, anni '90 - Il centro culturale Link Foto: Mauro Boris Borella |
Quello che mi sono proposto di
raccontare, qui oggi, è la storia di un luogo che a posteriori
si può considerare come un'isola di libertà che
ha contribuito alla formazione culturale della generazione nata
a metà anni Sessanta e forse di quella successiva.
La generazione che non ha vissuto il Sessantotto, ma è cresciuta in quell'onda, che da quella data topica si è sviluppata per tutti gli anni Settanta e che, in Italia, ha visto il tentativo di un radicale cambiamento culturale e sociale, che voleva portare nell'individuo la consapevolezza di partecipare attivamente alla vita del Paese.
Le lotte operaie, studentesche e civili, il femminismo, le feste
del proletariato giovanile, figure determinanti per la coscienza
della Nazione come Pier Paolo Pasolini, la rilevanza della produzione
culturale, la proliferazione di luoghi in cui si sviluppano
il dibattito e la partecipazione come festival, convegni, mostre,
rassegne in ogni ambito, dal cinema al teatro, dalla danza alla
letteratura, dalle arti visive all'architettura, dalla musica
alla poesia si diffondono su tutto il territorio nazionale creando
nei cittadini il desiderio di esserci, di condividere intensamente
e in modo collettivo il mondo politico, economico e culturale
del Paese.
La partecipazione e il desiderio di cambiamento sono tali che
nella seconda metà degli anni Settanta il movimento giovanile,
studentesco e del mondo del lavoro, esplode in una seconda ondata
di rivolte e rivendicazioni ancora più radicale che sfocia
in quello che è stato definito, per l'anno in cui si
è affermato in modo più esplicito, il Movimento
del Settantasette, caratterizzato da un desiderio immediato
di vedere soddisfatte le proprie istanze, accompagnando l'azione,
anche violenta, con un'alta dose d'ironia, sentimento libertario
e forte desiderio di raggiungere il godimento. Tutto questo
vede in Bologna il luogo principale o, forse, è meglio
dire simbolico, che vede la città come un laboratorio
dei bisogni del Movimento.
Lo spirito culturale e politico dell'Italia
Ebbene, quest'ondata, che mi piacerebbe definire rivoluzionaria
per il cambiamento che ha portato nelle abitudini dei cittadini,
che consciamente o meno hanno vissuto o subìto queste
trasformazioni sociali, termina con l'arrivo del decennio successivo,
quando il potere economico e politico, che gestisce lo Stato,
attua un colpo di stato bianco, invisibile, per riprendere in
mano il controllo del territorio che stava per sfuggirgli di
mano.
Il processo 7 aprile del 1979 che criminalizza un'ampia fascia del movimento extraparlamentare; la “marcia dei quarantamila” a Torino nel 1980, in cui i quadri della FIAT manifestano per porre fine alle lotte sindacali operaie; la diffusione di massa dell'eroina, promossa da un'attività mafiosa agevolata da “distrazioni” governative, nei quartieri del proletariato urbano e nella provincia, in cui si stava propagando il cambiamento; il fallimento del controverso progetto insurrezionale della lotta armata, aiutato da infiltrazioni di figure appartenenti ad apparati deviati dei servizi segreti, collusi con organizzazioni eversive neofasciste, finanziati dal capitale e appoggiati da organi del potere statale; l'organizzazione di logge segrete economico-massoniche come la P2 per il controllo e la gestione del potere, che non desse la possibilità democratica a un cambio di governo, portano a un consolidamento reazionario dello status quo che sviluppa un'idea di nazionalismo patriottico avulso da una posizione critica nei confronti dell'autorità.
Non bisogna dimenticare che tutto questo è stato accompagnato per più di un decennio da attentati terroristici, in cui persero la vita decine di cittadini, eseguiti e promossi da gruppi eversivi di estrema destra pilotati dai servizi segreti e da personalità dell'esercito, grazie a coperture d'importanti esponenti politici appartenenti ai partiti di governo.
Ma questa è solo una breve sintesi, dal mio punto di vista, per inquadrare lo spirito culturale e politico dell'Italia, per dire come la mia generazione sì è affacciata, nel periodo universitario, in un ambiente in cui fare politica, e soprattutto politica culturale, era fuori moda. In cui il “made in Italy” del sistema della moda doveva sostituire ogni altro immaginario, di come Milano, definita “capitale morale” della Nazione, risultava, dopo anni di baldoria e di aperitivi festaioli, corrotta come il resto del Paese. Anzi di più, divenne l'esempio aggressivo, superficiale e qualunquista di un individualismo ed egoismo ipocrita dedito solo al profitto economico personale senza rispetto della collettività.
Dimensione di socialità collettiva
Questa condizione ha prodotto una latitanza di responsabilità
da parte di chi avrebbe dovuto assumersene, che fece lentamente
naufragare le istituzioni pubbliche culturali esistenti e ne
impedì la formazione di nuove in un momento, dopo la
nascita del Centre Georges Pompidou parigino, in cui nel mondo
cosiddetto occidentale fiorivano luoghi di produzione e promozione
della ricerca culturale, provocando un deserto intellettuale
diffuso e facendo credere che quest'ultima fosse una pratica
superflua, avulsa dal tessuto sociale.
Questa situazione produsse una perdita di punti di riferimento,
uno spaesamento, che fece arroccare chi ancora aveva desiderio
di lottare e mettere in discussione le modalità di vita
dell'esistente. Quindi, da una parte una ricerca individuale
solitaria o per lo meno appartata, e per chi voleva mantenere
una dimensione di socialità collettiva, la creazione
di luoghi definiti “centri sociali occupati” che
si prefiggevano di mantenere e promuovere una critica sociale
contraria alla convenzione del pensiero dominante.
Una condizione che io definii atopica in un'opera del 1988 costituita
da una carta geografica, Carta Atopica, stampata da una
casa editrice di cartografie come quelle che si potevano comprare
in un negozio, ma dove, in sede di stampa, erano stati eliminati
tutti i toponimi, riproducendo così un territorio irriconoscibile,
“illeggibile”, senza punti di riferimento, come
se un luogo valesse un altro. Un paesaggio naturale pre-acculturato
che diventava una tabula rasa da dove ricominciare.
Con l'inizio degli anni Novanta sembrò che ci fosse la
possibilità di un cambiamento. Agli occhi dei cittadini,
appare la possibilità che la corruzione e il malgoverno
vengano definitivamente sconfitti. È il momento di “Mani
pulite” e “Tangentopoli” in cui, grazie a
un errore di un uomo politico milanese, la magistratura scopre
una rete enorme di tangenti in cui sono coinvolti la maggior
parte dei partiti politici, la borghesia finanziario-speculativa,
i poteri occulti e la criminalità organizzata.
Crollano i partiti istituzionali, ne nascono di nuovi e nel
1994 si va alle elezioni, dove vince il partito Forza Italia
guidato da Silvio Berlusconi e si torna, con un sistema apparentemente
rinnovato, alla restaurazione del sistema politico dominante.
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Bologna,
anni '90 - Il centro culturale Link |
Recuperare il dialogo (poi fallito) con l'amministrazione pubblica
Ma proprio in quell'anno nasce a Bologna il Link Project, il primo centro di produzione culturale indipendente d'Italia. E qui arriviamo al punto importante di cui vi voglio raccontare.
Il Link trova le sue radici nell'evoluzione del movimento punk
degli anni Ottanta, nei collettivi universitari, specialmente
del DAMS, la Facoltà dedicata alle discipline dell'arte,
della musica e dello spettacolo, nata a Bologna negli anni Settanta.
Queste realtà, nella seconda metà del decennio,
iniziarono un lavoro intenso di appropriazione del sapere istituzionale
per renderlo autonomo e propositivo. A questo si aggiunge l'importanza
che hanno avuto le occupazioni di case e facoltà che
in quel periodo divennero i luoghi principali della sperimentazione
diffusa.
Erano gli anni in cui dominavano due fenomeni relativamente
nuovi, l'Industrial e il Cyberpunk, in cui l'immaginario era
un po' quello di Mad Max che faceva da contraltare allo sfavillio
dei party della “Milano da Bere” degli anni Ottanta,
come ricorda uno dei fondatori del Link project, Daniele Gasparinetti,
che in un'intervista sintetizza bene quest'atmosfera: “Non
si trattava tanto di ribellismo, quanto di un modo di costruire
un proprio codice d'esistenza in mezzo a una società
percepita come cumulo di macerie e menzogna.”
In questo panorama si realizza la svolta del Link, che nasce
dal tentativo di recuperare il dialogo tra chi occupa e l'amministrazione
pubblica, provocando una rottura con alcune frange del Movimento
e la marginalizzazione, nel proprio partito, del funzionario
che aveva avviato le trattative. Un dialogo che non avrà
grande successo. Individuato il luogo, viene prima occupato,
poi destinato da parte dell'Amministrazione alle attività
preposte e poi... più nulla. Le promesse di riqualificazione
del posto e di finanziamenti non vengono mantenute e nessuno
pagherà mai un affitto, e di anno in anno la sua apertura
verrà accettata e confermata oralmente.
È così che ha inizio un'avventura unica nel panorama italiano. Il Link è stato il luogo della sperimentazione e della ricerca sul contemporaneo della cultura italiana di fine secolo, un luogo interdisciplinare, dove si potevano sperimentare progetti che non erano possibili in altri luoghi, per un pubblico stimolato a seguire una programmazione eterogenea che offriva nella stessa serata più proposte di ambiti diversi: teatro, danza, cinema, video, musiche varie, arti visive, letteratura, in uno spazio di 2.000 mq costituito da cinque sale, quattro bar, un ristorante e una libreria, aperto dalle 22:00 al mattino, con la capacità di disciplinarsi in un lavoro comune costituito da piccoli gruppi di persone, redazioni, ognuno con un compito organizzativo, che, con metodo che definirei anarchico, riusciva, senza bisogno di un'autorità, in modo orizzontale, a concepire un programma di attività quotidiane creando un magnifico laboratorio di relazioni che ha dato la possibilità a ognuno di conoscere e incontrare una moltitudine di persone con cui scambiare opinioni, creare collaborazioni, pensare progetti.
I soldi, dalla musica e dal bar
Ogni sera c'erano tre o quattro eventi in programma e le notti
dei fine settimana erano dominate da concerti e dai primi dj
set, ma sempre anticipati da altre proposte e accompagnati da
rassegne cinematografiche. Al Link si potevano incontrare, vedere,
ascoltare gli esponenti più interessanti della musica
dance e di frontiera. Lì è cresciuta la generazione
teatrale che ha caratterizzato gli anni Novanta e quella precedente
vi ha realizzato progetti che non avrebbe potuto mettere in
scena in altri luoghi. Si poteva assistere a proiezioni dei
lavori video e in pellicola più incisivi dell'ultimo
ventennio. E poi performance artistiche, presentazioni di libri,
convegni, festival, rassegne, e anche il set televisivo per
un programma sperimentale notturno di RAI 3. Fondamentale è
stato l'House Organ, un magazine bimestrale che esportava il
proprio essere al mondo, composto di articoli in cui ogni redazione
raccontava il programma pensato per il periodo, con approfondimenti
e reprint di testi del passato a volte inediti in Italia.
Le sale erano pensate per essere agilmente trasformate a seconda
della funzione che il progetto richiedeva.
Le redazioni erano: Löew & Associati per la grafica,
Opificio Ciclope per la produzione video, Officine Alchemiche
per le scenografie, diverse per la musica e poi per teatro,
cinema e video, arti visive, ufficio stampa e comunicazione,
ristorante, bar, servizio pulizie, servizio d'ordine, libreria,
una per la boutique e infine Turbanzeta per il web, che stava
diffondendosi nel mondo.
Al Link sono nati alcuni festival che hanno continuato a esistere
e sono cresciuti anche dopo la sua chiusura: Distorsonie, Angelica,
Incursioni, Italian Live Media Concept, Corpo Sottile, Hops!,
Fava of the Year, Netmage. E le personalità che vi sono
transitate sono state tantissime: Maus on Mars, Kinkaleri, Liliana
Moro, Motus, Terry Riley, Patrick Tuttofuoco, Societas Raffaello
Sanzio, Virgilio Sieni, Lydia Lunch, The Orb, Fernando Arrabal,
Daniel Pflumm, Massive Attack, Teatro Valdoca, Arto Lindsay,
Cesare Pietroiusti, Forced Enterteinment, Gianni Gebbia, Ice,
Ciprì e Maresco, Aphex Twin, Emir Kusturica, Judith Malina,
Pere Ubu, Stefano Zorzanello, Cosima von Bonin, Africa Bambaataa,
Ottonella Mocellin, DJ Spillus, Jeff Mills, Fanny & Alexander,
Silvano Bussotti, Elisa, Wang Inc., Eva Marisaldi, John Zorn,
Giorgio Barberio Corsetti, Daniela Cattivelli, Blonde Redhead,
Cesare Viel, Eugene Chadbourne, Loredana Putignani, John Waters,
Paolo Angeli, DJ Spooky, Teatrino Clandestino, Pansonic, Paco
Ignacio Taibo II, Roberto Castello, Fred Frith, Gerwald Rockenschaub,
Roscoe Mitchell, David Toop, John Giorno, Chris Cutler, Wu Ming,
MK, Alvin Currin, Giancarlo Cardini, Alexandro Jodorowsky, Thomas
Koener, Zeena Parkins, Mario Airò, Coldcut, Jon Rose,
Dominique Petitgand, Luisa Lambri e tanti altri.
La maggior parte delle entrate proveniva dalle attività
musicali e da quella dei bar che aiutavano la produzione delle
attività meno redditizie, ma nonostante le economie fossero
modeste, si è sempre riconosciuta la professionalità
delle persone coinvolte.
Il Link termina la sua fase originaria nel 2001 per divergenze
finanziarie, il denaro, come sappiamo, è una delle fonti
principali di diseguaglianze e conflitti e anche in questo caso
ha causato una grande frattura che non ha permesso però
di estinguere la progettualità del Link. Alcune delle
redazioni hanno proseguito con altri formati il proprio percorso.
Insomma,
possiamo affermare che il Link divenne i quegli anni uno dei
centri di cultura avanzata più interessanti del panorama
europeo, dove si poteva sperimentare la creazione di una forza
lavoro fuori dai canoni, capace di una riflessione sul binomio
piacere/divertimento, in grado di operare su una merce apparentemente
immateriale, per cui un centinaio di persone aveva modo di lavorare
sull'immaginazione. Un opificio delle meraviglie in cui una
generazione ha sfogato la propria fantasia vivendo nella consapevolezza
che l'unica alternativa allo status quo è l'autodeterminazione.
Quella bandiera rom e anarchica
Se c'è un'eredità è questa, che non è a mio avviso semplicemente del Sessantotto, ma più antica, che vede nel pensiero libertario ottocentesco il suo formarsi. Una voglia d'indipendenza, consapevolezza dell'essere e autodeterminazione sociale che permette all'individuo di trovare una relazione con l'ambiente in cui vive e il rispetto reciproco.
Sull'onda di questi pensieri nel 2002, l'anno dopo la mia cessata collaborazione col Link, ho prodotto una bandiera che sintetizza il disegno di due bandiere: quella anarchica e quella che rappresenta i popoli Rom e Sinti; questi sono temi che ho sviluppato negli anni Novanta, frutto di progetti con la comunità Rom di Colonia e su quelle anarchiche di Basilea e Roma. Una ruota rossa su fondo nero, espressione di un'idea di nomadismo libertario che afferma il desiderio del muoversi liberamente tra i luoghi del nostro vivere. Eppur si muove.
Luca Vitone
Scritto presentato sabato 12 aprile in occasione di Curating Zeitgeist 1968. Debate sobre a produçao artistica e cultural em comemoração aos 50 anos das manifestações de 1968, Casa do Povo, São Paulo, Brasil.
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