Processo Mastrogiovanni/
La Cassazione decreta: inizio pena mai
Il processo per la morte dell'insegnante elementare cilentano
Francesco Mastrogiovanni si è concluso, mercoledì
20 giugno 2018, con una sentenza emessa dalla V Sezione della
Corte di Cassazione, presieduta dal Consigliere Dr. Maurizio
Fumo, che ha confermato, seppur riducendole, le condanne per
i sei medici e gli undici infermieri imputati. Considerato che
le pene comminate sono al di sotto dei due anni, nessuno dei
sanitari sconterà un giorno di prigione e cosa più
grave ritorneranno tutti al loro posto di lavoro senza neanche
aver chiesto scusa alla famiglia del povero Franco.
Di quella stanza dell'ospedale “San Luca” rimangono,
nella nostra memoria, le raccapriccianti immagini riprese dall'impianto
di videosorveglianza interno al reparto, e depositate agli atti,
le quali testimoniano che in Italia esiste la tortura. Il trattamento
inflitto all'insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni,
in una struttura dello Stato che avrebbe dovuto curarlo e proteggerlo,
ci obbligano ad avviare una seria critica politica delle atrocità
nel nostro Paese. Gli altri drammatici casi di inaudita violenza
(Cucchi, Aldrovandi, caserma Diaz di Genova, Uva, Bianzino ecc.)
ci raccontano di personale che sembra privo di qualsiasi “voce
etica della propria coscienza” in cui l'idea del bene
e la sua dimensione sembrano essere scomparsi.
Ricoverato in seguito a un Trattamento Sanitario Obbligatorio
(TSO), illegittimo e illegale, il 31 luglio 2009, Franco è
deceduto, dopo 4 giorni di strazio, nel Servizio Psichiatrico
di Diagnosi e Cura dell'Ospedale “San Luca” di Vallo
della Lucania, alle ore 1.45 del 4 agosto 2009 (ma i sanitari
si accorgeranno del decesso solo sei ore dopo) in seguito a
un'interrotta contenzione meccanica durata 87 ore documentate
dai filmati delle telecamere di videosorveglianza.
La sua storia, magistralmente riassunta nel docufilm dal titolo
«87 ore» di Costanza Quatriglio trasmesso da Rai
3, ha portato anche ad una proposta di legge da parte del Partito
Radicale per riformare il trattamento sanitario obbligatorio.
La sentenza Mastrogiovanni è importantissima in quanto
afferma, in modo inequivocabile, che la “contenzione”
così come è stata effettuata a Vallo della Lucania
(Sa) è sequestro di persona. La sentenza è seguita
ad una lunga requisitoria durata due ore pronunciata, il giorno
prima, dal procuratore generale Luigi Orsi, il quale aveva tentato
di demolire l'intero impianto accusatorio, chiedendo l'annullamento
senza rinvio della condanna degli infermieri e per i medici
la conferma delle pene per falso ideologico e sequestro di persona,
in quanto il reato di morte come conseguenza di altro reato
(art. 586) era andato prescritto nel mese di marzo.
Il grido di dolore dei familiari, degli amici e degli avvocati
di Franco Mastrogiovanni oggi è rivolto contro l'Asl
di Salerno la quale, costituitasi parte civile nel processo
contro i propri dipendenti, non ha adottato nei loro confronti
alcun provvedimento. Loreto D'Aiuto, avvocato della famiglia
Mastrogiovanni per il processo in Cassazione, ribadisce che
è necessario che si apra immediatamente un'indagine ispettiva
interna all'Asl per approfondire la complessa, e per certi versi
assurda, situazione.
L'avvocata Caterina Mastrogiovanni, cugina di Franco, ribadisce
con forza che: “senza la delittuosa opera dell'Asl e del
suo personale, Mastrogiovanni sarebbe ancora vivo e con noi.
Con la crudele tortura, chiamata per abbellire con il termine
contenzione, eseguita dal primo all'ultimo minuto di ricovero
per circa 80 ore cioè con la privazione di ogni movimento,
del cibo, dei bisogni naturali, dei vestiti, di ogni bene necessario
per sopravvivere e in generale della libertà, l'Asl ha
procurato la morte del maestro. L'Asl è una istituzione
dello Stato italiano non è un centro di tortura dell'Isis”.
L'esiguità delle pene inflitte e la sospensione per i
medici dell'interdizione dai pubblici uffici hanno prodotto,
già dopo la sentenza di secondo grado, nei familiari
dell'insegnante e in gran parte dell'opinione pubblica un grande
sconcerto. È impensabile che questo personale sanitario,
condannato anche in Cassazione, possa continuare ad indossare
il camice e rientrare in un reparto dove nell'indifferenza,
nella barbarie (l'autopsia del corpo appartenuto a Mastrogiovanni
rivelò, tra le altre, macerazione dei testicoli, braccialetto
infisso nel polso a causa delle fascette di contenzione di plastica,
ferite diffuse agli arti inferiori ecc.) e nella disumanità
si è prima sequestrato, privandolo di tutti i suoi diritti,
e poi lasciato morire, un paziente collaborativo, insegnante
pacifico e non violento, di grande umanità e sensibilità.
Franco Mastrogiovanni, il “maestro più alto del
mondo” come lo definivano i suoi scolari, non è
il solo che è deceduto in una struttura dello Stato.
In Italia, da troppi decenni, si muore durante le manifestazioni
di piazza, durante un arresto, un trattamento sanitario obbligatorio,
nelle carceri, nelle caserme. “In ognuna di queste morti,
la morte dello Stato di diritto”.
Angelo Pagliaro
Ricordando Errico Pedone/
Un nome e un cognome carichi di storia
Un anarchico, un compagno, un fratello. Venerdì 6 luglio
se ne è andato Errico Pedone, il “gentiluomo anarchico
di Torre del Greco”. Una malattia senza possibilità
di sbocchi se l'è portato via nel giro di pochi, sofferti
mesi.
Ma Errico era così, dall'inizio alla fine, un artista
della presenza nei momenti decisivi della vita e, al contempo,
un promotore di discrete sparizioni, quando il tempo ritornava
ad essere quotidiano. Ricevuto il proprio nome dalla maestosa
(in termini di spessore etico, politico ed umano) figura paterna,
quel Raffaele Pedone, figura di spicco del movimento anarchico
di Torre del Greco, fautore di lotte di giustizia ed equità
al porto di Napoli e non solo (come quella storica per la parificazione
dei salari nelle sedi dislocate dell'Olivetti), nel secondo
dopoguerra, Errico non smise mai di apprezzare quel “lascito
nominale pesante” derivato dal grande Malatesta.
|
Errico Pedone ad una mostra di denuncia in Valpolicella |
Incontrai Errico nel lontano 2003, alla scuola steineriana di
Verona. Mi lasciò per otto lunghi, splendidi anni la
figlia Irene, con la quale, prima da “maestro” e
poi da accompagnatore, ci auto-formammo alle pratiche dell'educazione
libertaria, crescendo assieme. Errico, sempre cortese, col suo
stile “partenopeo” gentile, attento, fermo, deciso,
estremamente onesto, fu uno dei primi aderenti al collettivo
libertario genitoriale che fondò Kiskanu, esperienza-laboratorio
pilota che portò alla crescita dell'educazione libertaria
a Verona, nel Veneto, in Italia.
Amava leggere i classici del pensiero anarchico, mettendo in
luce con tagliente intelligenza gli “inciampi temporali
e a volte dottrinali” che in essi inevitabilmente si possono
annidare, per proporre aggiornamenti possibili al mantenimento
“ogni-dove” di una sorta di silenziosa rivoluzione
permanente anarchica, radicalmente non-violenta. “Altrimenti,
che ci mettiamo a fare? Ricalchiamo le strategie e usiamo gli
stessi mezzi dei “potenti”? No di certo!”,
aggiungeva con il suo sorriso tagliato e sereno.
Negli ultimi giorni di lucidità ricordava ancora con
trasporto e coinvolgimento emotivo, gli aneddoti indelebili
di vita passati tra amici e amiche più stretti e le figure
dei parenti a lui cari; immagini di donne e di uomini con il
cuore forte e ribelle, come il nonno Antonio, sarto raffinato
che si era rifiutato di fare il prete, la mamma morta centenaria,
dalle doti ritrattistiche eccellenti (sua una raffigurazione
“di getto” di Armando Borghi regalata all'omonima
Biblioteca Libertaria di Castel Bolognese), i campi estivi presso
la colonia anarchica Maria Luisa Berneri in Toscana, dove diceva
“ero un rompiscatole e facevo arrabbiare l'Aurora che
un giorno mi lanciò giustamente dietro una forchetta...”,
o il caro fratello Antonio, in un certo qual modo “depositario
storico” dell'importante raggruppamento anarchico di Torre
del Greco, accorso a condividere le ultime ore accanto al fratello
di sempre.
Giulio Spiazzi
Pedagogia libertaria/
Oltre la democrazia
Sabato 6 maggio 2018 in collaborazione con “A testa in
giù” (https://www.facebook.com/atestaingiu/),
si è tenuto l'8° Incontro nazionale della Rete dell'educazione
libertaria (REL) “Oltre la democrazia”. Un incontro
con la presenza delle diverse realtà che compongono la
REL e di un variegato pubblico desideroso di comprendere ciò
che in Italia è in atto come 'educazione libertaria'.
“A testa in giù” è una delle realtà
auto-educanti libertarie che compongono la REL. Da circa due
anni, bambin*, genitori e accompagnatori, Andrea e Iratxe, hanno
dato vita a una realtà autogestita di auto-apprendimento
libero. In un vecchio casolare ai confini di ettari di bosco,
in questi due anni bambin* e adulti hanno costruito rapporti
di fiducia paritari nei processi decisionali e nelle esperienze
di auto-apprendimento, vivendo rapporti educativi non gerarchici
e non autoritari, imparando insieme a gestire limiti e tensioni,
diventando una comunità auto-educante che si nutre di
un agire quotidiano estremamente concreto.
Il principio cardine dell'apprendimento è l'incidentalità.
Che siano i limitrofi centri urbani o gli ettari di bosco, bambini
e bambine si muovono liberamente e in autonomia per incontrare
la realtà e in essa apprendere. Un luogo più che
adatto per questo incontro della REL dedicato al tema “Oltre
la democrazia”.
La REL non è un'associazione formalmente costituita.
Dieci anni fa, presso l'Ateneo degli Imperfetti di Marghera,
alcune persone si sono prese l'impegno di promuovere e diffondere
in Italia esperienze di educazione libertaria. Da allora a oggi,
in questi dieci anni, le scuole sono aumentate. Da sempre la
REL si è data due differenti momenti di confronto: le
attività di “seminario”, momenti di riflessione
sulle pratiche che riguardano più direttamente le realtà
autoeducanti, e gli “incontri nazionali”, dove quelle
stesse realtà si aprono al dialogo con soggetti esterni
(famiglie, insegnanti, studenti, educatori, associazioni...).
Da sempre la REL ha manifestato la volontà di un confronto
pubblico sulla possibilità e sulle ragioni delle pratiche
di autoeducazione libertaria in atto oggi in Italia. La REL
è quindi questo arcipelago, questo crogiolo di esperienze
in campo educativo e politico in continuo divenire. Esperienze
di auto-educazione contrassegnate da sperimentazione, autogestione
e autodeterminazione. Esperienze realizzate in forme auto-organizzate
secondo principi libertari.
Non ci si iscrive alla REL, non esistono quote associative,
tessere, affiliazioni. La REL non rilascia certificazioni, non
organizza kermesse finalizzate alla pubblicità
delle proprie 'offerte'. Per inverso è molto semplice
esserne parte. Non facile ma semplice sì. Laddove un
collettivo di persone, educatori/educatrici, bambin* e ragazz*,
i loro genitori, fossero determinati a dare vita a un'esperienza
di auto-apprendimento libero in forma autogestita è sufficiente
che entrino in contatto con la realtà esistente a loro
più vicina per avviare con questa un dialogo, uno scambio
di informazioni, di suggerimenti e organizzare insieme un primo
incontro. La reciproca conoscenza potrà favorire maggiore
consapevolezza nel progetto e portare il collettivo in fieri
a partecipare a un primo seminario REL, poi un altro, per poi
contribuire alla realizzazione di un Incontro Nazionale... e
così via. Ecco, in genere è così che si
diviene parte di quel collettivo di esperienze che compongono
la REL.
La REL è quindi una realtà collettiva aperta,
autodeterminata e in continuo mutamento che non ha portavoce
e nemmeno può averne credo, come è facile comprendere.
Tornando all'8° Incontro Nazionale REL quanto qui
scritto sono solo considerazioni espresse a titolo personale.
Considerazioni che pagano, in ogni caso, un enorme debito alle
relazioni vissute, agli scambi e ai confronti nei nostri seminari
e incontri, in questi dieci anni particolarmente importanti
e intensi.
Dopo dieci anni qualcosa di nuovo
Dieci anni hanno innanzitutto visto crescere le realtà
che compongono la REL, e questo è già un primo
elemento importante. In più l'incontro nazionale di quest'anno
è stato occasione di un'esperienza nuova. Forma, modi
e contenuti dell'incontro nazionale di quest'anno hanno avuto
genesi e sviluppo differenti rispetto alle passate edizioni.
Quest'anno si è giunti a decidere argomenti, forma e
organizzazione di questo ottavo incontro nazionale in modo consensuale,
ossia attraverso quella difficile pratica della consapevolezza
del consenso che caratterizza le stesse realtà educative
anche come pratiche politiche ed esercizio di democrazia diretta.
Non che gli anni passati non ci si confrontasse in merito al
possibile incontro nazionale annuale. Solo che ci si concentrava
di più su aspetti organizzativi e logistici. Probabilmente
per un po' di anni i seminari, ossia gli incontri tra le realtà,
sono stati vissuti nell'urgenza principale del confronto delle
pratiche in atto. La definizione e il senso di incontri pubblici
era probabilmente sentita con minor forza e con minor senso
di necessità.
Il confronto tra le realtà nelle attività dei
seminari ha nel tempo avviato una riflessione collettiva, sempre
più consapevole e profonda, sul senso e sul valore politico
delle esperienze di autoeducazione e di autoapprendimento che
si andavano realizzando. Confronto che ha consentito a ciascun*
di chiarirsi ulteriormente sul profondo senso politico dell'intreccio
“educazione e libertà”. A ciò si è
aggiunta l'ulteriore consapevolezza che in Italia, in questi
ultimi anni, «l'aggettivo libertario, affiancato al sostantivo
educazione o pedagogia» è sempre più diffuso
come aggettivazione generica e vaga.
Nel corso degli ultimi due anni, nei diversi seminari, è
maturato il desiderio di una maggiore consapevolezza del significato
'politico' delle esperienze di educazione libertaria. Si è
giunti così ad affermare che le realtà che costituiscono
la REL hanno il carattere di veri e propri atti di autodeterminazione
sociale che agiscono, all'interno di una società tutt'altro
che libertaria, anche al fine di verificare come «sia
possibile allargare il campo d'azione e di influenza dei metodi
libertari, fino al punto che essi diventino i criteri normali
con i quali gli esseri organizzano la loro convivenza»
[Colin Ward, Anarchia come organizzazione, elèuthera].
Operando
in campo 'educativo' le realtà che compongono la REL
si sono progressivamente trovate unanimemente d'accordo sul
fatto che queste stesse non siano mere attività di servizio.
Nel loro autodeterminarsi non sono, ne vogliono essere annoverate,
tra le tante “offerte” dei servizi educativi e per
l'apprendimento presenti nel mercato.
Esserne parte vuol dire invece condividere un progetto che favorisce
il libero auto-apprendimento e la libera autoeducazione di bambin*
e ragazz* e, al tempo stesso, sostenere con consapevolezza atti
di autodeterminazione sociale di matrice libertaria, progetti
autogestiti e autonomi, esterni alle logiche del mercato come
all'imposizione statuale e/o confessionale, che di fatto si
oppongono alle forme delle relazioni sociali attualmente dominanti
istituendo forme di relazioni più libere.
Non è quindi un caso se l'unica giornata dell'incontro
nazionale di sabato 6 maggio 2018 sia stata espressamente dedicata
al tema “Oltre la democrazia”. Come non è
un caso che l'organizzazione della giornata sia stata scandita
da una parte iniziale, la mattinata, dedicata a due interventi
che hanno offerto una visione generale e un quadro teorico politico
come riferimento e sfondo di senso a quanto poi, nel pomeriggio,
le realtà hanno raccontato di sé, per quelle che
sono le pratiche dei contesti e delle comunità autoeducanti.
Alle radici dell'educazione libertaria
Nella mattinata, nel primo intervento, Thea Venturelli (scuola
libertaria a Urupia) ha reso conto di una lunga tradizione
di riflessioni teoriche e di esperienze pratiche di educazione
libertaria intimamente collegate a pensiero e prassi di matrice
anarchica. Dalle riflessioni di fine Settecento di William Godwin,
marito di Mary Wollstonecraft “filosofa e scrittrice britannica,
fondatrice del femminismo liberale”, passando per Lev
Tolstoj e la sua scuola di Jasnaja Poljana, della prima
metà dell'Ottocento. Ricordando Paul Robin e l'esperienza
di Cempius (1880) con la pratica dell'educazione integrale.
Riservando molto spazio a importanti figure di donne come Louise
Michel che si dedicò intensamente all'attività
di insegnamento rivolta a diseredati, orfani e alle ultime degli
ultimi, le bambine, le ragazze, le donne: «Secondo Louise
Michel se il proletario è lo schiavo della società,
la donna è schiava del proletario.» Ricordando
Francisco Ferrer Y Guardia, ma anche Leda Rafanelli, anarchica
irregolare, scrittrice, fondatrice di una casa editrice rivolta
all'infanzia, avversa al regime fascista e alla cultura imperialista
e coloniale dell'epoca. Citando esperienze italiane come la
scuola di Clivio, importante esperienza di autoeducazione nella
Lombardia del primo Novecento e le esperienze e le riflessioni
di Armando Borghi e del Movimento di Cooperazione Educativa.
Thea ha concluso il suo intervento, ricco di citazioni e riferimenti,
dichiarando la propria riconoscenza a quanti e quante hanno
saputo nutrirsi e coltivare un sogno utopico capace di arricchire
ognun* di noi: «La visione utopica è una capacità
da coltivare con forza». In chiusura ha ricordato un'altra
donna, la scrittrice Ursula Le Guin: «Ursula Le Guin ci
ha regalato Anarres (I reietti dell'altro pianeta), la
sua descrizione di un'utopia realizzata in cui i giovani e le
giovani crescono autocostruendo se stess* in un contesto di
educazione integrale, incidentale, comunitaria. Riesce a immaginare
cosa e come potrebbe essere una società costituita da
persone libere e autodeterminate, che sono e rimangono in una
continua, faticosa, straordinaria, umana.»
Un di più di democrazia
Nel secondo intervento Francesco Codello ha avuto il non facile
compito di rendere conto di quanto la “democrazia”
sia profondamente in crisi e necessiti di un superamento, di
un “oltre” da intendersi come un di più di
democrazia.
I legami della riflessione proposta con le pratiche delle realtà
libertarie che compongono la REL sono stati molteplici. Di rilievo
il privilegio di un concetto di democrazia come confronto e
discussione pubblica, costruzione di una pratica del consenso
rispettosa della dignità di ogni componente la comunità;
contrapposto al più comune concetto di democrazia che
si risolve in procedure formali, procedimento finalizzato a
una decisione che si esprime con una votazione che impone la
“dittatura” della maggioranza e nega legittimità
al dissenso e alle minoranze. Ne consegue la ricerca costante
della costruzione di processi di partecipazione effettiva, reali,
dove non venga lesa la dignità di ogni partecipante bensì
sia valorizzata attraverso un ascolto attivo, rispettoso di
ogni posizione e del pronunciamento di ognun*.
La densità dell'intervento non consente una restituzione
piena di quanto espresso. Un passaggio importante è il
fatto che tutte le soluzioni ai problemi che un “oltre
la democrazia” comporta, «la dimensione ridotta
del gruppo, la relazione tra democrazia diretta e azione diretta,
la capacità di uscire dalla logica «io vinco, tu
perdi», il metodo del consenso, la partecipazione attiva,
il vincolo di mandato per la rappresentanza, la libertà
e autonomia individuale, il diritto di veto, il valore del conflitto,
la rotazione e/o sorteggio degli incarichi, la centralità
della discussione e non del voto, i tempi necessari perché
ognuno, dal più piccolo al più grande, arrivi
ad accettare una decisione, quando l'accetta, senza sentirsi
umiliato dalla decisione che viene presa», tutte queste
questioni e le loro possibili soluzioni «le possiamo trovare
solamente nelle pratiche» e in pratiche che non siano
solo sperimentazioni fine a se stesse ma siano capaci di nutrirsi
di una visione.
Nel suo intervento Francesco ha riportato una riflessione di
Paul Goodman che si ricollega alla chiusura dell'intervento
di Thea: «Tu sogni un altro mondo, sogni altre relazioni,
sogni altri modi di convivenza, li immagini. Bene! Comincia
a vivere adesso, subito, immediatamente, nella realtà
in cui sei, quel tuo sogno! Non aspettare che quel sogno arrivi
perché non arriverà mai se non cominci a viverlo
immediatamente, nei tuoi momenti fondativi delle tue relazioni
sociali.»
Realtà in atto, un sogno che
si realizza
Nel pomeriggio bambin*, ragazz* e adulti hanno raccontato le
realtà del loro sogno in atto rispondendo a domande su
differenti argomenti, descrivendo esperienze pertinenti a ciò
che, in modo più teorico e generale, era stato esposto
nella mattinata. Domande sull'assemblea decisionale, sul consenso,
sull'apprendere liberi nel bosco, su cosa voglia dire nel concreto
educazione incidentale, sul senso e la qualità delle
relazioni, sulla partecipazione attiva, su cosa accade quando
il percorso finisce e nasce il desiderio di altre esperienze...
Ricordo, tra tante altre, le parole di alcuni bambini che hanno
dichiarato quanto andare liberi nel bosco e negli spazi aperti,
specialmente in assenza degli adulti, fosse l'esperienza più
'bella', quella che li fa sentire più vivi e curiosi
di apprendere “facendo di tutto”.
Domande e risposte si sono succedute in modo partecipe e sincero.
Parole e racconti di un'utopia che si realizza. Testimonianze
di una scommessa, di una promessa di felicità che vede,
già vive di futuro, tracce di una società al presente
più libera e più giusta.
Maurizio Giannangeli
Ricordando Misato Toda/
Quella “figlia di Malatesta”
Misato Toda (25 novembre 1933 – 11 gennaio 2018) è
stata una ricercatrice storica su Errico Malatesta, professoressa
dell'Università di Bunkyō¨.
È nata a Tō¨kyō¨ nel 1933 come primogenita
di Kō¨taro Ōmori e Hide Toda. Un fratello di suo padre
Kō¨taro è stato un anarchico, Shō¨hachi Ōmori.
Nel 1961 si è iscritta al corso di specializzazione dell'Università
di Tō¨kyō¨ dopo che si era laureata all'Università
delle Donne di Giappone [Nihon Joshi Daigaku]. Poi si è
iscritta al corso di dottorato di ricerca nell'Università
di Tō¨kyō¨. Ha vinto la borsa Fulbright e ha studiato
dal 1966 al 1969 all'Università di Boston, dove ha fatto
ricerche sul nazionalismo polacco. Nel 1969 è ritornata
in Giappone dopo un viaggio di tre mesi. Dei tanti paesi europei
che ha visitato l'Italia è stato quello che le è
piaciuto di più. Nel 1971 ha conosciuto Yutaka Shida,
uno degli imputati nel caso del gruppo studentesco anarchico
Haihansha, durante l'assemblea tenuta al parco di Hibiya
a Tō¨kyō¨. Ha poi ricevuto uno dei saggi di Malatesta,
Fra contadini (tradotto in giapponese nel 1929 e ristampato
nel 1971), da Eizaburō¨ Ōshima all'altra assemblea
tenuta a Takadanobaba. Il giorno dopo ha partecipato con Shida
alla riunione ordinaria tenuta dal Japan Anarchist Club,
ricordando che suo zio era anarchico.
Allora il Club organizzava una riunione al mese, a turno nelle
case di ogni membro. Tra i membri del gruppo c'erano Kuninobu
Watabiki, Shin Furukawa, Kanzaemon Onaya, Nobuyo Ueno, Kō¨kichi
Adachi, Kō¨ Mizunuma e altri, oltre a Shida e Toda. Secondo
le sue memorie, comparse sulla Rivista anarchica A, ha
ricordato che “le riunioni si tenevano la domenica pomeriggio
dall'una alle sei ed in una atmosfera familiare si proponevano
temi di discussioni a cui tutti i membri partecipavano liberamente”1.
I membri condividevano vincoli d'amicizia, lei in particolare
con Shin Furukawa. Dal 1972 al 1973 fece parte del Gruppo
di Appoggio di Tō¨kyō¨ [Tō¨kyō¨
Kyūen Gurūpu] con Shin'ichirō¨ Ōsawa.
Nel frattempo ha cominciato a studiare seriamente l'italiano
perché era rimasta incantata dalle parole “molto
penetranti” di Malatesta in Fra contadini. Poi
ha studiato sia in Germania che in Italia dal 1976 al 1977 in
occasione della ricerca all'estero di Tatsuru Miyake, suo marito
dal 1973. Ha visitato la Biblioteca “Max Nettlau”
a Bergamo e poi, sotto la guida del direttore Pier Carlo Masini,
ha tenuto una relazione sui soggiorni in Giappone di Bakunin
e Metchnikoff nel convegno internazionale di studi bakuniani
nel centenario della morte di Bakunin a Venezia.
Da allora, grazie agli incontri con le compagne e i compagni
italiani, si convinceva che Malatesta non apparteneva mai al
passato. Durante questo soggiorno in Europa ha pubblicato il
suo primo saggio su Malatesta: “Una lettera dall'Europa
meridionale [Nan'ō¨ kara no tegami]” in giapponese.
Dopo il suo ritorno in Giappone è stata docente a contratto
e ha insegnato storia occidentale e relazioni internazionali
in alcune università come l'Università delle Donne
di Giappone e quella di Rikkyō¨. L'assemblea sulla rivoluzione
spagnola, tenuta verso il 1980, è stata l'inizio dell'organizzazione
dei seminari su Malatesta.
Poi, ancora una volta, ha fatto ricerche in Italia dal 1982
al 1984 con una borsa di studio per gli scambi culturali del
Ministero degli Affari Esteri d'Italia. Ha studiato da ricercatrice
presso l'Istituto della Storia del Risorgimento e dell'Età
Contemporanea della facoltà di Lettere dell'Università
di Napoli, sotto la guida del professore Alfonso Scirocco. Questa
esperienza di ricerca ha portato alla pubblicazione del suo
libro Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin: la sua formazione
giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873) (Napoli,
1988) in italiano. Il libro è ancora oggi uno dei punti
di riferimento sulla prima parte della vita di Malatesta.
Dal 1982 ha contribuito con articoli e lettere su Malatesta
alla Rivista anarchica A. A settembre 1982 ha tenuto
una relazione al convegno per il 50° anniversario della
morte di Malatesta a Milano. Nel 1986 ha visitato il luogo dove
fu tenuta a Saint-Imier la riunione del Congresso Internazionale
anti-autoritario a cui Malatesta partecipò nel 1872.
Inoltre ha fatto una relazione a Mosca al convegno accademico
per il 150° anniversario della nascita di Kropotkin nel
dicembre 1992.
Nel 1990 ha ottenuto una cattedra presso la facoltà di
studi internazionali dell'Università di Bunkyō¨.
Nel 1997, dopo che aveva visitato la Spagna per seguire le orme
di Camillo Berneri, si è recata in Uruguay e ha incontrato
Luce Fabbri (che aveva 90 anni allora), figlia di Luigi Fabbri
e affezionata a Malatesta come a un nonno, ed è andata
in visita dai giovani che autogestivano le comunità2.
Ha poi fatto ricerche su Malatesta in esilio in Argentina. Nel
2004 è andata in pensione per raggiunti limiti di età.
Ha però continuato a fare ricerche su Malatesta. È
stata colpita da infarto cerebrale nel 2005. Nonostante la riabilitazione
è scomparsa a 84 anni, l'11 gennaio 2018.
Dicono che si definisse una “figlia di Malatesta”.
Isao Matsumoto, Kazuya Sakurada e Hikaru Tanaka
traduzione di Shinya Kitagawa
- Misato Toda, “Malatesta a Tokyo,” A/Rivista
Anarchica, anno 12 nr. 100, aprile 1982. http://www.arivista.org/?nr=100&pag=100_12.htm
- Misato Toda, “Il mio incontro con Luce,” A /
Rivista Anarchica, anno 28 n. 248, ottobre 1998. http://www.arivista.org/?nr=248&pag=31.htm
Nota:
Altri scritti di Misato Toda nella rivista anarchica A:
- Misato Toda, “Anarchia nel Levante,” A / Rivista
Anarchica, anno 22 nr. 196, dicembre 1992 - gennaio 1993.
http://www.arivista.org/?nr=196&pag=196_16.htm
- Misato Toda, “Lettera da Tokyo,” A / Rivista Anarchica,
anno 32 n. 282, giugno 2002. http://www.arivista.org/?nr=282&pag=38.htm#1
Si vedano i prodotti di ricerca di Toda nella pagina seguente
in giapponese: http://cira-japana.net/pr/?p=681
Anarchiche
foto di: Mimmo Pucciarelli
Lione (Francia), 1986 - In occasione del seminario internazionale di studi “Anarchica”: (da sinistra) Rossella Di Leo (Centro Studi Libertari - Elèuthera / Milano), Gemma Failla (Atelier de Creation Libertaire / Lione), Aurora Failla (“A” rivista anarchica / Milano), Silvia Ribeiro (Comunidad / Stoccolma), Heloisa Castellanos (Parigi), Marianne Enckell (Centre Internationale de Recherche sur l'Anarchisme - Losanna).
La tradizione iconografica dei movimenti di lotta, compreso quello anarchico, è in netta prevalenza al maschile. Ci fa piacere pubblicare questa foto di 32 anni fa, con sei compagne tuttora attive. Heloisa è l'unica di cui non è indicata un'iniziativa di riferimento, perché in quell'anno non ne aveva, dopo l'esperienza de La lanterne noire e prima di quella di Refractions.
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Paesi arabi/
Ma qualcosa si muove (basta saper guardare)
Lo scorso 26 giugno un tribunale di Casablanca ha emesso una
pioggia di condanne contro 53 imputati appartenenti al movimento
Hirak, nato del Rif marocchino ed estesosi in tutto il paese1.
Diverse centinaia di anni di carcere duro. Nasser Zafzafi, Nabil
Ahanjik, Samir Ighid, 3 dei leader del movimento, sono stati
condannati a 20 anni di carcere. Nei giorni seguenti, in una
regione ormai completamente militarizzata, le proteste pacifiche
– uno degli elementi costitutivi del movimento –
notturne e diurne sono andate avanti. Cortei e manifestazioni
sono state organizzate a Rabat, Casablanca e anche all'estero.
Al momento attuale (luglio 2018) questi stessi prigionieri sono
in sciopero della fame. Nasser Zafzafi ha fatto sapere di non
voler fare appello dal momento che non crede nella giustizia
del regime del Makhzen.
Agli inizi di giugno in Giordania, il primo ministro è
stato costretto a dimettersi in seguito a durissime proteste
di piazza e scioperi ininterrotti in tutte le principali città
del paese. A essere preso di mira il piano di austerity siglato
dal governo con il FMI (fondo monetario internazionale), la
crisi economica e la corruzione. Ma anche la gestione autoritaria
e poco democratica del potere della monarchia. Tenuto conto
delle proporzioni imponenti del movimento, il re ha dovuto cancellare
l'entrata in vigore delle riforme.
Dopo i moti dello scorso gennaio, le proteste contro il deterioramento
delle condizioni sociali ed economiche non smettono di susseguirsi
in Tunisia. Le elezioni comunali sono state quasi completamente
boicottate. Il paese vive in continuo stato d'agitazione. Movimenti
spontanei per strada e sui social accusano le violenze della
polizia e dello Stato, così come tutte le norme e gli
obblighi sociali2. Durante il
Ramadan numerosi sit-in reclamavano apertamente il diritto di
non seguire il digiuno in pubblico.
In Bahrain da 7 anni a questa parte azioni dimostrative, disordini
e sabotaggi sono all'ordine del giorno nonostante la dura e
brutale repressione della monarchia e il silenzio che accompagna
le lotte delle e degli attivisti democratici e per il rispetto
dei diritti umani.
Non si tratta di proteste o movimenti isolati. Esattamente come
successo nel 2011 (in realtà anche prima) le frontiere
statali non riescono a bloccare la diffusione di movimenti rivoluzionari
e di protesta in tutta la regione che va dal Marocco, al Bahrain,
allo Yemen. Benché all'interno di molteplici e differenti
contesti, gruppi sociali e politici condividono strategie di
lotte, obiettivi, slogan, uso di mezzi e, cosa ancora più
importante, solidarietà reciproca.
L'Italia e l'Europa stentano a capire la portata, in termini
di radicalità e di novità di contenuti, dei movimenti
rivoluzionari innescati nel cosiddetto Sud e Est del Mediterraneo
da 7 anni a questa parte. Analisi geopolitiche antiquate e saccenti,
la cancellazione di ogni tentativo di ascolto e comprensione
delle parole delle/degli attori, un orientalismo malsano e razzista,
il rifiuto di solidarizzare con tutto quello che non si conforma
a un'immagine rivoluzionaria stereotipata (la presenza di combattenti
armati e in divisa per esempio) han di fatto bloccato ogni sorta
di tentativo di unire il dissenso sociale e politico su una
più ampia scala.
Del resto da dove potremmo iniziare a tessere delle relazioni
di lotta se perseveriamo a definire “complotti”,
“leader antimperialisti” (Gheddafi o Assad), “inverno”
quello che le attrici e gli attori (di cui molti/molte sono
morti/e o in carcere) definiscono “rivoluzione”,
“dittatori criminali”, “processo controrivoluzionario”?
Quando definiamo la Libia con il possessivo “ci”,
rispolverando oscene pretese coloniali?3
Quando esaltiamo commossi la radicalità delle lotte altrui
e pretendiamo che le nostre siano “civili” e “democratiche”?
O, al contrario, quando neghiamo o mettiamo in secondo piano
le aspirazioni al “pane, libertà, giustizia sociale”
reclamate a gran voce da piazze e strade – così
come dalle carceri, dai cimiteri e dalle macerie di guerre brutali
– in nome di analisi figlie dell'arroganza e della presunzione
eurocentrica?
Marocco/ Un intero Paese in rivolta
Da qualche anno il Marocco vive una fase di forte fermento sociale
e politico che minacciano seriamente la tenuta del sistema (Makhzen)
e la stessa figura del re4.
Dopo l'assassinio di Mohsine Fikri, un venditore ambulante triturato
da un camion della spazzatura mentre cercava di recuperare il
pesce sequestratogli dalla polizia (nel dicembre 2010 un venditore
ambulante in Tunisia si diede fuoco dando inizio alla rivoluzione),
il Rif è in rivolta. Manifestazioni, proteste, disobbedienza
civile, scioperi generali e quant'altro si susseguono nella
regione, in tutto il paese e in molte città europee.
Il movimento Hirak pretende dal regime un piano di sviluppo
preciso della regione (ospedali, scuole, università,
attività economiche) oltre a un'inchiesta sull'elevato
tasso di mortalità da cancro sicuramente legata all'uso
massiccio di gas tossici durante la guerra contro la Spagna
(1921-1926). Ma non si tratta solo di questo.
Nel febbraio 2017, per più di un mese, lavoratori delle
miniere di Jerada hanno messo a ferro e fuoco la città
e la regione dopo l'ennesima morte sul lavoro di alcuni loro
colleghi. Inoltre, ormai da tempo, una larga e imponente campagna
di boicottaggio sta mettendo in ginocchio tre grosse multinazionali
e aziende vicine al regime (Danone, acqua Sidi Ali, benzina
Afriquia) accusate di speculare sull'aumento dei prezzi. La
repressione del regime, sebbene molto molto dura, serve a poco.
Torture, stupri, arresti di massa non fanno altro che incoraggiare
le proteste.
Il boicottaggio è quello che meglio rappresenta la complementarità
di differenti movimenti che non contestano tale o talaltra misura,
quanto l'intero sistema politico del Makhzen (partiti politici
inclusi). Le reti dei militanti del Hirak sono in prima linea
nell'incoraggiare il boicottaggio. Poveri e indigenti hanno
risposto in massa e in maniera entusiasta all'appello nato dal
basso. Esattamente come il movimento palestinese BDS (Boycott,
Divestment, Sanctions against Israel), anche in Marocco viene
minacciato e attaccato il cuore dell'economia del regime rendendo
inefficaci le sole misure repressive.
Tuttavia la lotta del popolo Rif ha travalicato le frontiere
ed estendendosi anche in Europa. Il 12 giugno esuli del movimento
Hirak racchiusi in un CIE di Aluche, in Spagna, hanno cominciato
un lungo sciopero della fame per impedire la loro deportazione
nelle gabbie del Makhzen (alcuni di loro saranno deportati).
Più o meno negli stessi giorni le donne stagionali marocchine,
molte delle quali provenienti dal Rif, sfruttate e abusate nei
campi di fragole di Huelva Sud della Spagna, hanno dato il via
a una serie di proteste per denunciare le discriminazioni razziste
(e islamofobiche), sessiste e classiste di cui sono vittime
nei campi e nella società spagnola5.
Nell'uno come nell'altro caso siamo di fronte a due battaglie
di resistenza e dignità del tutto complementari alle
lotte dei loro fratelli e sorelle portate avanti nel Rif. Due
battaglie che ci sollecitano direttamente a riflettere non solo
sulla rappresentazione dell'Altrx (il vecchio tema sulle dinamiche
tra potere e sapere) quanto sulla nostra capacità/volontà
di sostenere e mettere in relazione percorsi diversi di autorganizzazione
e di rivolta6.
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Betlemme, Palestina - Particolare di graffiti sul muro di separazione tra Palestina e Israele |
Egitto/ La resistenza continua
Dalla presa del potere da parte dell'esercito e il successivo
massacro di Rabaa, in cui polizia ed esercito massacrarono in
poche ore più di 800 persone vicine al presidente Morsi,
l'Egitto è diventato una sconfinata, orrenda prigione7.
Migliaia di assassini di stato, sparizioni forzate, decine di
migliaia di prigionieri/e politici/e, torture, violenze sessuali,
negligenza medica in carcere, abusi, detenzioni illegali. Migliaia
sono le condanne a morte e le condanne capitali. Il regime ha
imposto il divieto di manifestare e di parola. Controlla internet
con tecnologie sofisticate importate dall'Europa, la stampa,
la televisione. L'esercito conduce da anni una guerra criminale
nel Nord Sinai. Gaza è stata letteralmente isolata, la
città di Rafah distrutta per permettere la costruzione
di una zona cuscinetto con la Palestina.
A tutto ciò, tuttavia, non ha fatto seguito il silenzio
delle attiviste e degli attivisti protagonisti della rivoluzione
del 2011. Quell'imponente movimento dal basso che in pochi giorni
buttò giù Mubarak e che nel novembre dello stesso
anno, sulle barricate di Muhammad Mahmoud, mise faccia al muro
la giunta militare. Ormai da anni, di fronte alla controrivoluzione
del regime, la resistenza ha preso varie forme. Prima di tutto
quella della difesa dei diritti umani, dell'assistenza delle
persone in carcere, della solidarietà durante i processi
e dopo le scarcerazioni.
Poi ci sono i movimenti di resistenza popolare spontanei, contro
i progetti di speculazione edilizia in varie parti del paese
e contro il vertiginoso aumento dei prezzi legato agli accordi
con il FMI. Non cessano di protestare neppure lavoratori e lavoratrici
nonostante la repressione brutale (alcuni operai sono stati
condannati anche da tribunali militari) del movimento sindacale
indipendente. Infine, una battaglia particolarmente importante
è la conservazione della memoria della rivoluzione del
2011 e dei suoi martiri. Una storia che il regime cerca di riscrivere,
appropriandosi di spazi e parole, provando a cancellare il ricordo,
stravolgendone i principi8.
Nel novembre del 2017, per esempio, il collettivo Mosireen ha
messo online “l'archivio della resistenza 858” che
contiene video e audio girati durante i giorni delle proteste
contro Mubarak.
Palestina/ A 70 anni dalla Nakba
Quest'anno ricorrono i 70 anni dalla Nakba, 70 anni dalla catastrofe
che segnò la nascita dello stato sionista. Dal 30 marzo
le/gli abitanti della striscia di Gaza provano a violare in
maniera pacifica e non-violenta le barriere e i muri costruiti
illegalmente dallo stato israeliano. Fino ad ora (luglio 2018)
sono 136 le persone assassinate dall'esercito israeliano durante
le varie “marce del ritorno”. Migliaia quelle ferite
da armi da fuoco e lacrimogeni.
Vanno avanti ininterrotte anche le proteste contro lo spostamento
dall'ambasciata americana a Gerusalemme. Così come si
prova a resistere contro gli sgomberi illegali, la distruzione
di villaggi, le deportazioni di massa. Tuttavia, in attesa di
conoscere i dettagli del “piano del secolo” proposto
di Trump le/i palestinesi, abitanti della Cisgiordania non mancano
di protestare contro la stessa autorità palestinese e
le sanzioni “punitive” ordinate da Abu Mazen contro
la striscia di Gaza. Il 13 giugno una grande manifestazione
spontanea a Ramallah è stata caricata dalle forze speciali
dell'Autorità palestinese: almeno 30 gli arresti, diversi
i feriti. Non è la prima volta che succede e non sarà
l'ultima. Del resto, il governo palestinese non si comporta
differentemente in termini di autoritarismo, violenza e dinamiche
clientelari da gran parte dei regimi dell'area.
Al di là della solidarietà
Nemmeno ai tempi delle guerre decoloniali contro l'imperialismo
europeo, la regione araba (un nome convenzionalmente che non
descrive affatto l'eterogeneità di popoli, lingue e culture
che la compongono) si presentava nelle drammatiche condizioni
attuali. Conflitti cruenti, regimi spietati, gruppi armati islamisti,
crisi economica e povertà, instabilità diffusa.
A tutto ciò ha corrisposto – nel resto del Mediterraneo,
in Europa e altrove nel mondo – prima l'attuazione di
politiche razziste, sessiste e classiste e, adesso, l'arrivo
al potere di forze politiche apertamente fasciste, suprematiste
e xenofobe. Ora, è del tutto evidente che le due cose
siano separate solo nella mente di chi dall'alto dei suoi privilegi
pensa il mondo sotto forma di strutture passive, sgombro da
ogni tipo di soggettività.
Al contrario, una prospettiva realmente rivoluzionaria spingerebbe
all'intersezione delle lotte e/o delle resistenze. Non solo
in termini di solidarietà (specie quando ci si erge al
ruolo di santi protettori) e supporto, quanto al fine di apprendere/lavorare
insieme a chi – qui vicino a noi o altrove nel mondo –
non ha alcuna voglia di rassegnarsi all'oppressione.
Costantino Paonessa
- Perché il Rif marocchino si è rivoltato? https://lapiega.noblogs.org/post/2018/06/28/perche-il-rif-marocchino-si-e-rivoltato/
- Ultrà in Tunisia: dietro la passione della curva,
un'ode alla resistenza https://lapiega.noblogs.org/post/2018/04/29/159/
- Si guardino alcuni degli articoli di Alberto Negri sulla Libia pubblicati sulle pagine del Manifesto
- Contestazione sociale in Marocco: Muhammad VI ha un piano?
https://lapiega.noblogs.org/post/2018/05/28/contestazione-sociale-in-marocco-muhammad-vi-ha-un-piano/
- Las moras delle fragole contro il razzismo e il sessismo
https://lapiega.noblogs.org/post/2018/06/11/las-moras-delle-fragole-contro-il-razzismo-e-il-sessismo/
- Sulla connessione tra lotte di lavoratori e lavoratrici,
singolx e collettività militanti si guardi il blog
http://campagneinlotta.org/
- Su resistenze e repressione in Egitto si veda la sezione
del blog https://hurriya.noblogs.org/post/category/dallegitto/
- Questa traduzione di un articolo di Rasha Azzab (nota attivista
egiziana) è fondamentale per capire la differenza di
prospettiva esistente tra gli/le attrici della rivoluzione
2011 e quanto si continua a ripetere, per esempio, in Italia.
https://hurriya.noblogs.org/post/2018/07/09/egitto-il-raccolto-della-cospirazione-di-gennaio-2011-e-quello-della-rivoluzione-di-giugno-2013/
Qualche precisazione
su sionismo e Israele
Non è certo questa la sede per affrontare in modo approfondito le radici storiche, le implicazioni internazionali, gli interessi economici e quant'altro stia dietro all'attuale situazione mediorientale. Ma qualche precisazione mi sembra utile.
Il sionismo è stato un movimento di stampo “risorgimentale”, analogo a quelli che nell'Ottocento portarono all'idea e poi alla realizzazione degli stati nazionali. In campo ebraico tutto era più complesso per la millenaria diaspora, quindi la mancanza di un territorio che non fosse la Palestina in cui alcuni ebrei sempre rimasero nel corso del tempo.
La costituzione dello stato d'Israele, nel 1948, dopo lo sterminio nazista (e perduranti le consuete persecuzioni e pogrom in tanti posti) rappresentò per il popolo più perseguitato nella storia una base di sicurezza. Come anarchici siamo critici con tutti gli stati e non a caso seguimmo con particolare attenzione e simpatia l'esperienza dei kibbutz, forme concrete di vita comunitaria e autogestione che si caratterizzarono in senso socialista umanitario e libertario. Sullo sfondo figure di grande spessore etico come Martin Buber, nel solco del socialismo anarchico di Gustav Landauer.
Noi siamo da sempre critici con i governi dello stato d'Israele, abbiamo dato voce a quelle voci antimilitariste, libertarie, internazionaliste che in Israele si sono opposte agli insediamenti, alle repressioni, ai trattamenti di serie B. Israele resta comunque, pur con tutti i suoi limiti, una democrazia in cui l'opposizione ha voce, la gente scende in piazza in centinaia di migliaia di persone contro le politiche governative, gli anarchici, i gay, i nemici del governo hanno spazio. Uno spazio spesso contestato dal potere, come ovunque.
Paonessa sposa la causa palestinese, cita (solo) la Naqba (l'espulsione dei palestinesi nel 1948) e non – per esempio – i bombardamenti congiunti degli stati arabi circostanti contro Israele appena costituitosi in stato. Noi non sposiamo alcuna causa nazionale e cerchiamo di rispettare verità e diritti di tutti. Abbiamo sempre contrastato il nazionalismo e il terrorismo da qualsiasi parte venisse e l'antisemitismo (spesso mascherato da antisionismo) così diffuso anche tra le stesse masse arabe di cui Paonessa riferisce le lotte.
Anche sul boicottaggio la pensiamo diversamente da Paonessa. In genere è uno strumento che non ci convince, perché colpisce indistintamente un “paese”, quindi un popolo, indicato come nemico. Se comunque uno ne accettasse la logica, lo vedremmo piuttosto applicato a gran parte dei regimi arabi o musulmani, quasi tutti negatori dei principi basilari di libertà, libera espressione del pensiero, pari dignità delle donne, organizzazione sindacale, libertà di abbigliamento e dei costumi sessuali, ecc. ecc.
Siamo una rivista che ha sue posizioni e le esprime da sempre.
Siamo contro qualsiasi pensiero unico, siamo aperti e interessati
al dibattito. E queste note a un intervento, che sulla questione
mediorientale ci trova dissenzienti, lo confermano.
Il dibattito è aperto, con la condizione che si intenda dialogare e non fare tifo da stadio. Per questo c'è già la Rete, che basta e avanza.
Paolo Finzi
Arezzo/
Come ti “libero” la biblioteca
Scandalo alla Biblioteca Città di Arezzo: preziosi opuscoli su Camillo Berneri “regalati” agli antiquari e ritrovati sui banchini!
L'opuscolo a cui mi riferisco (“Con te figlio mio!” di Adalgisa Fochi) fa parte di un “lotto” di altro materiale berneriano donato da Adalgisa Fochi, consegnato personalmente - il 23 aprile 1957 - dalla vecchia madre di Camillo al presidente della Biblioteca Città di Arezzo Cornelio Vinay. Di questa donazione si parla anche negli atti del convegno internazionale su Berneri tenutosi ad Arezzo nel 2007.
Sciatteria, ignoranza o qualcosa di peggio? Si tratta, quasi sicuramente, di una azione amministrativa “straordinaria” interna finalizzata a far posto sugli scaffali (sic! una decina di grammi e pochi millimetri di costola). Quindi propendo per ignoranza e superficialità.
Gli effetti sono comunque gravissimi, un danno irreparabile
per la comunità. Nello specifico uno sfregio inconsulto
alla memoria. Sarà questo l'unico caso?
Giorgio Sacchetti
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