rivista anarchica
anno 48 n. 428
ottobre 2018





Processo Mastrogiovanni/
La Cassazione decreta: inizio pena mai

Il processo per la morte dell'insegnante elementare cilentano Francesco Mastrogiovanni si è concluso, mercoledì 20 giugno 2018, con una sentenza emessa dalla V Sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal Consigliere Dr. Maurizio Fumo, che ha confermato, seppur riducendole, le condanne per i sei medici e gli undici infermieri imputati. Considerato che le pene comminate sono al di sotto dei due anni, nessuno dei sanitari sconterà un giorno di prigione e cosa più grave ritorneranno tutti al loro posto di lavoro senza neanche aver chiesto scusa alla famiglia del povero Franco.
Di quella stanza dell'ospedale “San Luca” rimangono, nella nostra memoria, le raccapriccianti immagini riprese dall'impianto di videosorveglianza interno al reparto, e depositate agli atti, le quali testimoniano che in Italia esiste la tortura. Il trattamento inflitto all'insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni, in una struttura dello Stato che avrebbe dovuto curarlo e proteggerlo, ci obbligano ad avviare una seria critica politica delle atrocità nel nostro Paese. Gli altri drammatici casi di inaudita violenza (Cucchi, Aldrovandi, caserma Diaz di Genova, Uva, Bianzino ecc.) ci raccontano di personale che sembra privo di qualsiasi “voce etica della propria coscienza” in cui l'idea del bene e la sua dimensione sembrano essere scomparsi.
Ricoverato in seguito a un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), illegittimo e illegale, il 31 luglio 2009, Franco è deceduto, dopo 4 giorni di strazio, nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell'Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania, alle ore 1.45 del 4 agosto 2009 (ma i sanitari si accorgeranno del decesso solo sei ore dopo) in seguito a un'interrotta contenzione meccanica durata 87 ore documentate dai filmati delle telecamere di videosorveglianza.

La sua storia, magistralmente riassunta nel docufilm dal titolo «87 ore» di Costanza Quatriglio trasmesso da Rai 3, ha portato anche ad una proposta di legge da parte del Partito Radicale per riformare il trattamento sanitario obbligatorio. La sentenza Mastrogiovanni è importantissima in quanto afferma, in modo inequivocabile, che la “contenzione” così come è stata effettuata a Vallo della Lucania (Sa) è sequestro di persona. La sentenza è seguita ad una lunga requisitoria durata due ore pronunciata, il giorno prima, dal procuratore generale Luigi Orsi, il quale aveva tentato di demolire l'intero impianto accusatorio, chiedendo l'annullamento senza rinvio della condanna degli infermieri e per i medici la conferma delle pene per falso ideologico e sequestro di persona, in quanto il reato di morte come conseguenza di altro reato (art. 586) era andato prescritto nel mese di marzo.
Il grido di dolore dei familiari, degli amici e degli avvocati di Franco Mastrogiovanni oggi è rivolto contro l'Asl di Salerno la quale, costituitasi parte civile nel processo contro i propri dipendenti, non ha adottato nei loro confronti alcun provvedimento. Loreto D'Aiuto, avvocato della famiglia Mastrogiovanni per il processo in Cassazione, ribadisce che è necessario che si apra immediatamente un'indagine ispettiva interna all'Asl per approfondire la complessa, e per certi versi assurda, situazione.
L'avvocata Caterina Mastrogiovanni, cugina di Franco, ribadisce con forza che: “senza la delittuosa opera dell'Asl e del suo personale, Mastrogiovanni sarebbe ancora vivo e con noi. Con la crudele tortura, chiamata per abbellire con il termine contenzione, eseguita dal primo all'ultimo minuto di ricovero per circa 80 ore cioè con la privazione di ogni movimento, del cibo, dei bisogni naturali, dei vestiti, di ogni bene necessario per sopravvivere e in generale della libertà, l'Asl ha procurato la morte del maestro. L'Asl è una istituzione dello Stato italiano non è un centro di tortura dell'Isis”.
L'esiguità delle pene inflitte e la sospensione per i medici dell'interdizione dai pubblici uffici hanno prodotto, già dopo la sentenza di secondo grado, nei familiari dell'insegnante e in gran parte dell'opinione pubblica un grande sconcerto. È impensabile che questo personale sanitario, condannato anche in Cassazione, possa continuare ad indossare il camice e rientrare in un reparto dove nell'indifferenza, nella barbarie (l'autopsia del corpo appartenuto a Mastrogiovanni rivelò, tra le altre, macerazione dei testicoli, braccialetto infisso nel polso a causa delle fascette di contenzione di plastica, ferite diffuse agli arti inferiori ecc.) e nella disumanità si è prima sequestrato, privandolo di tutti i suoi diritti, e poi lasciato morire, un paziente collaborativo, insegnante pacifico e non violento, di grande umanità e sensibilità.
Franco Mastrogiovanni, il “maestro più alto del mondo” come lo definivano i suoi scolari, non è il solo che è deceduto in una struttura dello Stato. In Italia, da troppi decenni, si muore durante le manifestazioni di piazza, durante un arresto, un trattamento sanitario obbligatorio, nelle carceri, nelle caserme. “In ognuna di queste morti, la morte dello Stato di diritto”.

Angelo Pagliaro




Ricordando Errico Pedone/
Un nome e un cognome carichi di storia

Un anarchico, un compagno, un fratello. Venerdì 6 luglio se ne è andato Errico Pedone, il “gentiluomo anarchico di Torre del Greco”. Una malattia senza possibilità di sbocchi se l'è portato via nel giro di pochi, sofferti mesi.
Ma Errico era così, dall'inizio alla fine, un artista della presenza nei momenti decisivi della vita e, al contempo, un promotore di discrete sparizioni, quando il tempo ritornava ad essere quotidiano. Ricevuto il proprio nome dalla maestosa (in termini di spessore etico, politico ed umano) figura paterna, quel Raffaele Pedone, figura di spicco del movimento anarchico di Torre del Greco, fautore di lotte di giustizia ed equità al porto di Napoli e non solo (come quella storica per la parificazione dei salari nelle sedi dislocate dell'Olivetti), nel secondo dopoguerra, Errico non smise mai di apprezzare quel “lascito nominale pesante” derivato dal grande Malatesta.

Errico Pedone ad una mostra di denuncia in Valpolicella

Incontrai Errico nel lontano 2003, alla scuola steineriana di Verona. Mi lasciò per otto lunghi, splendidi anni la figlia Irene, con la quale, prima da “maestro” e poi da accompagnatore, ci auto-formammo alle pratiche dell'educazione libertaria, crescendo assieme. Errico, sempre cortese, col suo stile “partenopeo” gentile, attento, fermo, deciso, estremamente onesto, fu uno dei primi aderenti al collettivo libertario genitoriale che fondò Kiskanu, esperienza-laboratorio pilota che portò alla crescita dell'educazione libertaria a Verona, nel Veneto, in Italia.
Amava leggere i classici del pensiero anarchico, mettendo in luce con tagliente intelligenza gli “inciampi temporali e a volte dottrinali” che in essi inevitabilmente si possono annidare, per proporre aggiornamenti possibili al mantenimento “ogni-dove” di una sorta di silenziosa rivoluzione permanente anarchica, radicalmente non-violenta. “Altrimenti, che ci mettiamo a fare? Ricalchiamo le strategie e usiamo gli stessi mezzi dei “potenti”? No di certo!”, aggiungeva con il suo sorriso tagliato e sereno.
Negli ultimi giorni di lucidità ricordava ancora con trasporto e coinvolgimento emotivo, gli aneddoti indelebili di vita passati tra amici e amiche più stretti e le figure dei parenti a lui cari; immagini di donne e di uomini con il cuore forte e ribelle, come il nonno Antonio, sarto raffinato che si era rifiutato di fare il prete, la mamma morta centenaria, dalle doti ritrattistiche eccellenti (sua una raffigurazione “di getto” di Armando Borghi regalata all'omonima Biblioteca Libertaria di Castel Bolognese), i campi estivi presso la colonia anarchica Maria Luisa Berneri in Toscana, dove diceva “ero un rompiscatole e facevo arrabbiare l'Aurora che un giorno mi lanciò giustamente dietro una forchetta...”, o il caro fratello Antonio, in un certo qual modo “depositario storico” dell'importante raggruppamento anarchico di Torre del Greco, accorso a condividere le ultime ore accanto al fratello di sempre.

Giulio Spiazzi




Pedagogia libertaria/
Oltre la democrazia

Sabato 6 maggio 2018 in collaborazione con “A testa in giù” (https://www.facebook.com/atestaingiu/), si è tenuto l'8° Incontro nazionale della Rete dell'educazione libertaria (REL) “Oltre la democrazia”. Un incontro con la presenza delle diverse realtà che compongono la REL e di un variegato pubblico desideroso di comprendere ciò che in Italia è in atto come 'educazione libertaria'.
“A testa in giù” è una delle realtà auto-educanti libertarie che compongono la REL. Da circa due anni, bambin*, genitori e accompagnatori, Andrea e Iratxe, hanno dato vita a una realtà autogestita di auto-apprendimento libero. In un vecchio casolare ai confini di ettari di bosco, in questi due anni bambin* e adulti hanno costruito rapporti di fiducia paritari nei processi decisionali e nelle esperienze di auto-apprendimento, vivendo rapporti educativi non gerarchici e non autoritari, imparando insieme a gestire limiti e tensioni, diventando una comunità auto-educante che si nutre di un agire quotidiano estremamente concreto.
Il principio cardine dell'apprendimento è l'incidentalità. Che siano i limitrofi centri urbani o gli ettari di bosco, bambini e bambine si muovono liberamente e in autonomia per incontrare la realtà e in essa apprendere. Un luogo più che adatto per questo incontro della REL dedicato al tema “Oltre la democrazia”.
La REL non è un'associazione formalmente costituita. Dieci anni fa, presso l'Ateneo degli Imperfetti di Marghera, alcune persone si sono prese l'impegno di promuovere e diffondere in Italia esperienze di educazione libertaria. Da allora a oggi, in questi dieci anni, le scuole sono aumentate. Da sempre la REL si è data due differenti momenti di confronto: le attività di “seminario”, momenti di riflessione sulle pratiche che riguardano più direttamente le realtà autoeducanti, e gli “incontri nazionali”, dove quelle stesse realtà si aprono al dialogo con soggetti esterni (famiglie, insegnanti, studenti, educatori, associazioni...).
Da sempre la REL ha manifestato la volontà di un confronto pubblico sulla possibilità e sulle ragioni delle pratiche di autoeducazione libertaria in atto oggi in Italia. La REL è quindi questo arcipelago, questo crogiolo di esperienze in campo educativo e politico in continuo divenire. Esperienze di auto-educazione contrassegnate da sperimentazione, autogestione e autodeterminazione. Esperienze realizzate in forme auto-organizzate secondo principi libertari.
Non ci si iscrive alla REL, non esistono quote associative, tessere, affiliazioni. La REL non rilascia certificazioni, non organizza kermesse finalizzate alla pubblicità delle proprie 'offerte'. Per inverso è molto semplice esserne parte. Non facile ma semplice sì. Laddove un collettivo di persone, educatori/educatrici, bambin* e ragazz*, i loro genitori, fossero determinati a dare vita a un'esperienza di auto-apprendimento libero in forma autogestita è sufficiente che entrino in contatto con la realtà esistente a loro più vicina per avviare con questa un dialogo, uno scambio di informazioni, di suggerimenti e organizzare insieme un primo incontro. La reciproca conoscenza potrà favorire maggiore consapevolezza nel progetto e portare il collettivo in fieri a partecipare a un primo seminario REL, poi un altro, per poi contribuire alla realizzazione di un Incontro Nazionale... e così via. Ecco, in genere è così che si diviene parte di quel collettivo di esperienze che compongono la REL.
La REL è quindi una realtà collettiva aperta, autodeterminata e in continuo mutamento che non ha portavoce e nemmeno può averne credo, come è facile comprendere. Tornando all'8° Incontro Nazionale REL quanto qui scritto sono solo considerazioni espresse a titolo personale. Considerazioni che pagano, in ogni caso, un enorme debito alle relazioni vissute, agli scambi e ai confronti nei nostri seminari e incontri, in questi dieci anni particolarmente importanti e intensi.

Dopo dieci anni qualcosa di nuovo
Dieci anni hanno innanzitutto visto crescere le realtà che compongono la REL, e questo è già un primo elemento importante. In più l'incontro nazionale di quest'anno è stato occasione di un'esperienza nuova. Forma, modi e contenuti dell'incontro nazionale di quest'anno hanno avuto genesi e sviluppo differenti rispetto alle passate edizioni.
Quest'anno si è giunti a decidere argomenti, forma e organizzazione di questo ottavo incontro nazionale in modo consensuale, ossia attraverso quella difficile pratica della consapevolezza del consenso che caratterizza le stesse realtà educative anche come pratiche politiche ed esercizio di democrazia diretta.
Non che gli anni passati non ci si confrontasse in merito al possibile incontro nazionale annuale. Solo che ci si concentrava di più su aspetti organizzativi e logistici. Probabilmente per un po' di anni i seminari, ossia gli incontri tra le realtà, sono stati vissuti nell'urgenza principale del confronto delle pratiche in atto. La definizione e il senso di incontri pubblici era probabilmente sentita con minor forza e con minor senso di necessità.
Il confronto tra le realtà nelle attività dei seminari ha nel tempo avviato una riflessione collettiva, sempre più consapevole e profonda, sul senso e sul valore politico delle esperienze di autoeducazione e di autoapprendimento che si andavano realizzando. Confronto che ha consentito a ciascun* di chiarirsi ulteriormente sul profondo senso politico dell'intreccio “educazione e libertà”. A ciò si è aggiunta l'ulteriore consapevolezza che in Italia, in questi ultimi anni, «l'aggettivo libertario, affiancato al sostantivo educazione o pedagogia» è sempre più diffuso come aggettivazione generica e vaga.
Nel corso degli ultimi due anni, nei diversi seminari, è maturato il desiderio di una maggiore consapevolezza del significato 'politico' delle esperienze di educazione libertaria. Si è giunti così ad affermare che le realtà che costituiscono la REL hanno il carattere di veri e propri atti di autodeterminazione sociale che agiscono, all'interno di una società tutt'altro che libertaria, anche al fine di verificare come «sia possibile allargare il campo d'azione e di influenza dei metodi libertari, fino al punto che essi diventino i criteri normali con i quali gli esseri organizzano la loro convivenza» [Colin Ward, Anarchia come organizzazione, elèuthera].
Operando in campo 'educativo' le realtà che compongono la REL si sono progressivamente trovate unanimemente d'accordo sul fatto che queste stesse non siano mere attività di servizio. Nel loro autodeterminarsi non sono, ne vogliono essere annoverate, tra le tante “offerte” dei servizi educativi e per l'apprendimento presenti nel mercato.
Esserne parte vuol dire invece condividere un progetto che favorisce il libero auto-apprendimento e la libera autoeducazione di bambin* e ragazz* e, al tempo stesso, sostenere con consapevolezza atti di autodeterminazione sociale di matrice libertaria, progetti autogestiti e autonomi, esterni alle logiche del mercato come all'imposizione statuale e/o confessionale, che di fatto si oppongono alle forme delle relazioni sociali attualmente dominanti istituendo forme di relazioni più libere.
Non è quindi un caso se l'unica giornata dell'incontro nazionale di sabato 6 maggio 2018 sia stata espressamente dedicata al tema “Oltre la democrazia”. Come non è un caso che l'organizzazione della giornata sia stata scandita da una parte iniziale, la mattinata, dedicata a due interventi che hanno offerto una visione generale e un quadro teorico politico come riferimento e sfondo di senso a quanto poi, nel pomeriggio, le realtà hanno raccontato di sé, per quelle che sono le pratiche dei contesti e delle comunità autoeducanti.

Alle radici dell'educazione libertaria
Nella mattinata, nel primo intervento, Thea Venturelli (scuola libertaria a Urupia) ha reso conto di una lunga tradizione di riflessioni teoriche e di esperienze pratiche di educazione libertaria intimamente collegate a pensiero e prassi di matrice anarchica. Dalle riflessioni di fine Settecento di William Godwin, marito di Mary Wollstonecraft “filosofa e scrittrice britannica, fondatrice del femminismo liberale”, passando per Lev Tolstoj e la sua scuola di Jasnaja Poljana, della prima metà dell'Ottocento. Ricordando Paul Robin e l'esperienza di Cempius (1880) con la pratica dell'educazione integrale.
Riservando molto spazio a importanti figure di donne come Louise Michel che si dedicò intensamente all'attività di insegnamento rivolta a diseredati, orfani e alle ultime degli ultimi, le bambine, le ragazze, le donne: «Secondo Louise Michel se il proletario è lo schiavo della società, la donna è schiava del proletario.» Ricordando Francisco Ferrer Y Guardia, ma anche Leda Rafanelli, anarchica irregolare, scrittrice, fondatrice di una casa editrice rivolta all'infanzia, avversa al regime fascista e alla cultura imperialista e coloniale dell'epoca. Citando esperienze italiane come la scuola di Clivio, importante esperienza di autoeducazione nella Lombardia del primo Novecento e le esperienze e le riflessioni di Armando Borghi e del Movimento di Cooperazione Educativa.
Thea ha concluso il suo intervento, ricco di citazioni e riferimenti, dichiarando la propria riconoscenza a quanti e quante hanno saputo nutrirsi e coltivare un sogno utopico capace di arricchire ognun* di noi: «La visione utopica è una capacità da coltivare con forza». In chiusura ha ricordato un'altra donna, la scrittrice Ursula Le Guin: «Ursula Le Guin ci ha regalato Anarres (I reietti dell'altro pianeta), la sua descrizione di un'utopia realizzata in cui i giovani e le giovani crescono autocostruendo se stess* in un contesto di educazione integrale, incidentale, comunitaria. Riesce a immaginare cosa e come potrebbe essere una società costituita da persone libere e autodeterminate, che sono e rimangono in una continua, faticosa, straordinaria, umana.»

Un di più di democrazia
Nel secondo intervento Francesco Codello ha avuto il non facile compito di rendere conto di quanto la “democrazia” sia profondamente in crisi e necessiti di un superamento, di un “oltre” da intendersi come un di più di democrazia.
I legami della riflessione proposta con le pratiche delle realtà libertarie che compongono la REL sono stati molteplici. Di rilievo il privilegio di un concetto di democrazia come confronto e discussione pubblica, costruzione di una pratica del consenso rispettosa della dignità di ogni componente la comunità; contrapposto al più comune concetto di democrazia che si risolve in procedure formali, procedimento finalizzato a una decisione che si esprime con una votazione che impone la “dittatura” della maggioranza e nega legittimità al dissenso e alle minoranze. Ne consegue la ricerca costante della costruzione di processi di partecipazione effettiva, reali, dove non venga lesa la dignità di ogni partecipante bensì sia valorizzata attraverso un ascolto attivo, rispettoso di ogni posizione e del pronunciamento di ognun*.
La densità dell'intervento non consente una restituzione piena di quanto espresso. Un passaggio importante è il fatto che tutte le soluzioni ai problemi che un “oltre la democrazia” comporta, «la dimensione ridotta del gruppo, la relazione tra democrazia diretta e azione diretta, la capacità di uscire dalla logica «io vinco, tu perdi», il metodo del consenso, la partecipazione attiva, il vincolo di mandato per la rappresentanza, la libertà e autonomia individuale, il diritto di veto, il valore del conflitto, la rotazione e/o sorteggio degli incarichi, la centralità della discussione e non del voto, i tempi necessari perché ognuno, dal più piccolo al più grande, arrivi ad accettare una decisione, quando l'accetta, senza sentirsi umiliato dalla decisione che viene presa», tutte queste questioni e le loro possibili soluzioni «le possiamo trovare solamente nelle pratiche» e in pratiche che non siano solo sperimentazioni fine a se stesse ma siano capaci di nutrirsi di una visione.
Nel suo intervento Francesco ha riportato una riflessione di Paul Goodman che si ricollega alla chiusura dell'intervento di Thea: «Tu sogni un altro mondo, sogni altre relazioni, sogni altri modi di convivenza, li immagini. Bene! Comincia a vivere adesso, subito, immediatamente, nella realtà in cui sei, quel tuo sogno! Non aspettare che quel sogno arrivi perché non arriverà mai se non cominci a viverlo immediatamente, nei tuoi momenti fondativi delle tue relazioni sociali.»

Realtà in atto, un sogno che si realizza
Nel pomeriggio bambin*, ragazz* e adulti hanno raccontato le realtà del loro sogno in atto rispondendo a domande su differenti argomenti, descrivendo esperienze pertinenti a ciò che, in modo più teorico e generale, era stato esposto nella mattinata. Domande sull'assemblea decisionale, sul consenso, sull'apprendere liberi nel bosco, su cosa voglia dire nel concreto educazione incidentale, sul senso e la qualità delle relazioni, sulla partecipazione attiva, su cosa accade quando il percorso finisce e nasce il desiderio di altre esperienze...
Ricordo, tra tante altre, le parole di alcuni bambini che hanno dichiarato quanto andare liberi nel bosco e negli spazi aperti, specialmente in assenza degli adulti, fosse l'esperienza più 'bella', quella che li fa sentire più vivi e curiosi di apprendere “facendo di tutto”.
Domande e risposte si sono succedute in modo partecipe e sincero. Parole e racconti di un'utopia che si realizza. Testimonianze di una scommessa, di una promessa di felicità che vede, già vive di futuro, tracce di una società al presente più libera e più giusta.

Maurizio Giannangeli




Ricordando Misato Toda/
Quella “figlia di Malatesta”

Misato Toda (25 novembre 1933 – 11 gennaio 2018) è stata una ricercatrice storica su Errico Malatesta, professoressa dell'Università di Bunkyō¨.
È nata a Tō¨kyō¨ nel 1933 come primogenita di Kō¨taro Ōmori e Hide Toda. Un fratello di suo padre Kō¨taro è stato un anarchico, Shō¨hachi Ōmori. Nel 1961 si è iscritta al corso di specializzazione dell'Università di Tō¨kyō¨ dopo che si era laureata all'Università delle Donne di Giappone [Nihon Joshi Daigaku]. Poi si è iscritta al corso di dottorato di ricerca nell'Università di Tō¨kyō¨. Ha vinto la borsa Fulbright e ha studiato dal 1966 al 1969 all'Università di Boston, dove ha fatto ricerche sul nazionalismo polacco. Nel 1969 è ritornata in Giappone dopo un viaggio di tre mesi. Dei tanti paesi europei che ha visitato l'Italia è stato quello che le è piaciuto di più. Nel 1971 ha conosciuto Yutaka Shida, uno degli imputati nel caso del gruppo studentesco anarchico Haihansha, durante l'assemblea tenuta al parco di Hibiya a Tō¨kyō¨. Ha poi ricevuto uno dei saggi di Malatesta, Fra contadini (tradotto in giapponese nel 1929 e ristampato nel 1971), da Eizaburō¨ Ōshima all'altra assemblea tenuta a Takadanobaba. Il giorno dopo ha partecipato con Shida alla riunione ordinaria tenuta dal Japan Anarchist Club, ricordando che suo zio era anarchico.

Misato Toda

Allora il Club organizzava una riunione al mese, a turno nelle case di ogni membro. Tra i membri del gruppo c'erano Kuninobu Watabiki, Shin Furukawa, Kanzaemon Onaya, Nobuyo Ueno, Kō¨kichi Adachi, Kō¨ Mizunuma e altri, oltre a Shida e Toda. Secondo le sue memorie, comparse sulla Rivista anarchica A, ha ricordato che “le riunioni si tenevano la domenica pomeriggio dall'una alle sei ed in una atmosfera familiare si proponevano temi di discussioni a cui tutti i membri partecipavano liberamente”1. I membri condividevano vincoli d'amicizia, lei in particolare con Shin Furukawa. Dal 1972 al 1973 fece parte del Gruppo di Appoggio di Tō¨kyō¨ [Tō¨kyō¨ Kyūen Gurūpu] con Shin'ichirō¨ Ōsawa.
Nel frattempo ha cominciato a studiare seriamente l'italiano perché era rimasta incantata dalle parole “molto penetranti” di Malatesta in Fra contadini. Poi ha studiato sia in Germania che in Italia dal 1976 al 1977 in occasione della ricerca all'estero di Tatsuru Miyake, suo marito dal 1973. Ha visitato la Biblioteca “Max Nettlau” a Bergamo e poi, sotto la guida del direttore Pier Carlo Masini, ha tenuto una relazione sui soggiorni in Giappone di Bakunin e Metchnikoff nel convegno internazionale di studi bakuniani nel centenario della morte di Bakunin a Venezia.
Da allora, grazie agli incontri con le compagne e i compagni italiani, si convinceva che Malatesta non apparteneva mai al passato. Durante questo soggiorno in Europa ha pubblicato il suo primo saggio su Malatesta: “Una lettera dall'Europa meridionale [Nan'ō¨ kara no tegami]” in giapponese. Dopo il suo ritorno in Giappone è stata docente a contratto e ha insegnato storia occidentale e relazioni internazionali in alcune università come l'Università delle Donne di Giappone e quella di Rikkyō¨. L'assemblea sulla rivoluzione spagnola, tenuta verso il 1980, è stata l'inizio dell'organizzazione dei seminari su Malatesta.
Poi, ancora una volta, ha fatto ricerche in Italia dal 1982 al 1984 con una borsa di studio per gli scambi culturali del Ministero degli Affari Esteri d'Italia. Ha studiato da ricercatrice presso l'Istituto della Storia del Risorgimento e dell'Età Contemporanea della facoltà di Lettere dell'Università di Napoli, sotto la guida del professore Alfonso Scirocco. Questa esperienza di ricerca ha portato alla pubblicazione del suo libro Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin: la sua formazione giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873) (Napoli, 1988) in italiano. Il libro è ancora oggi uno dei punti di riferimento sulla prima parte della vita di Malatesta.
Dal 1982 ha contribuito con articoli e lettere su Malatesta alla Rivista anarchica A. A settembre 1982 ha tenuto una relazione al convegno per il 50° anniversario della morte di Malatesta a Milano. Nel 1986 ha visitato il luogo dove fu tenuta a Saint-Imier la riunione del Congresso Internazionale anti-autoritario a cui Malatesta partecipò nel 1872. Inoltre ha fatto una relazione a Mosca al convegno accademico per il 150° anniversario della nascita di Kropotkin nel dicembre 1992.
Nel 1990 ha ottenuto una cattedra presso la facoltà di studi internazionali dell'Università di Bunkyō¨. Nel 1997, dopo che aveva visitato la Spagna per seguire le orme di Camillo Berneri, si è recata in Uruguay e ha incontrato Luce Fabbri (che aveva 90 anni allora), figlia di Luigi Fabbri e affezionata a Malatesta come a un nonno, ed è andata in visita dai giovani che autogestivano le comunità2. Ha poi fatto ricerche su Malatesta in esilio in Argentina. Nel 2004 è andata in pensione per raggiunti limiti di età. Ha però continuato a fare ricerche su Malatesta. È stata colpita da infarto cerebrale nel 2005. Nonostante la riabilitazione è scomparsa a 84 anni, l'11 gennaio 2018.
Dicono che si definisse una “figlia di Malatesta”.

Isao Matsumoto, Kazuya Sakurada e Hikaru Tanaka

traduzione di Shinya Kitagawa

  1. Misato Toda, “Malatesta a Tokyo,” A/Rivista Anarchica, anno 12 nr. 100, aprile 1982. http://www.arivista.org/?nr=100&pag=100_12.htm
  2. Misato Toda, “Il mio incontro con Luce,” A / Rivista Anarchica, anno 28 n. 248, ottobre 1998. http://www.arivista.org/?nr=248&pag=31.htm

Nota:
Altri scritti di Misato Toda nella rivista anarchica A:
- Misato Toda, “Anarchia nel Levante,” A / Rivista Anarchica, anno 22 nr. 196, dicembre 1992 - gennaio 1993. http://www.arivista.org/?nr=196&pag=196_16.htm
- Misato Toda, “Lettera da Tokyo,” A / Rivista Anarchica, anno 32 n. 282, giugno 2002. http://www.arivista.org/?nr=282&pag=38.htm#1
Si vedano i prodotti di ricerca di Toda nella pagina seguente in giapponese: http://cira-japana.net/pr/?p=681




Anarchiche


foto di: Mimmo Pucciarelli

Lione (Francia), 1986 - In occasione del seminario internazionale di studi “Anarchica”: (da sinistra) Rossella Di Leo (Centro Studi Libertari - Elèuthera / Milano), Gemma Failla (Atelier de Creation Libertaire / Lione), Aurora Failla (“A” rivista anarchica / Milano), Silvia Ribeiro (Comunidad / Stoccolma), Heloisa Castellanos (Parigi), Marianne Enckell (Centre Internationale de Recherche sur l'Anarchisme - Losanna).

La tradizione iconografica dei movimenti di lotta, compreso quello anarchico, è in netta prevalenza al maschile. Ci fa piacere pubblicare questa foto di 32 anni fa, con sei compagne tuttora attive. Heloisa è l'unica di cui non è indicata un'iniziativa di riferimento, perché in quell'anno non ne aveva, dopo l'esperienza de La lanterne noire e prima di quella di Refractions.






Paesi arabi/
Ma qualcosa si muove (basta saper guardare)

Lo scorso 26 giugno un tribunale di Casablanca ha emesso una pioggia di condanne contro 53 imputati appartenenti al movimento Hirak, nato del Rif marocchino ed estesosi in tutto il paese1. Diverse centinaia di anni di carcere duro. Nasser Zafzafi, Nabil Ahanjik, Samir Ighid, 3 dei leader del movimento, sono stati condannati a 20 anni di carcere. Nei giorni seguenti, in una regione ormai completamente militarizzata, le proteste pacifiche – uno degli elementi costitutivi del movimento – notturne e diurne sono andate avanti. Cortei e manifestazioni sono state organizzate a Rabat, Casablanca e anche all'estero. Al momento attuale (luglio 2018) questi stessi prigionieri sono in sciopero della fame. Nasser Zafzafi ha fatto sapere di non voler fare appello dal momento che non crede nella giustizia del regime del Makhzen.
Agli inizi di giugno in Giordania, il primo ministro è stato costretto a dimettersi in seguito a durissime proteste di piazza e scioperi ininterrotti in tutte le principali città del paese. A essere preso di mira il piano di austerity siglato dal governo con il FMI (fondo monetario internazionale), la crisi economica e la corruzione. Ma anche la gestione autoritaria e poco democratica del potere della monarchia. Tenuto conto delle proporzioni imponenti del movimento, il re ha dovuto cancellare l'entrata in vigore delle riforme.
Dopo i moti dello scorso gennaio, le proteste contro il deterioramento delle condizioni sociali ed economiche non smettono di susseguirsi in Tunisia. Le elezioni comunali sono state quasi completamente boicottate. Il paese vive in continuo stato d'agitazione. Movimenti spontanei per strada e sui social accusano le violenze della polizia e dello Stato, così come tutte le norme e gli obblighi sociali2. Durante il Ramadan numerosi sit-in reclamavano apertamente il diritto di non seguire il digiuno in pubblico.
In Bahrain da 7 anni a questa parte azioni dimostrative, disordini e sabotaggi sono all'ordine del giorno nonostante la dura e brutale repressione della monarchia e il silenzio che accompagna le lotte delle e degli attivisti democratici e per il rispetto dei diritti umani.
Non si tratta di proteste o movimenti isolati. Esattamente come successo nel 2011 (in realtà anche prima) le frontiere statali non riescono a bloccare la diffusione di movimenti rivoluzionari e di protesta in tutta la regione che va dal Marocco, al Bahrain, allo Yemen. Benché all'interno di molteplici e differenti contesti, gruppi sociali e politici condividono strategie di lotte, obiettivi, slogan, uso di mezzi e, cosa ancora più importante, solidarietà reciproca.
L'Italia e l'Europa stentano a capire la portata, in termini di radicalità e di novità di contenuti, dei movimenti rivoluzionari innescati nel cosiddetto Sud e Est del Mediterraneo da 7 anni a questa parte. Analisi geopolitiche antiquate e saccenti, la cancellazione di ogni tentativo di ascolto e comprensione delle parole delle/degli attori, un orientalismo malsano e razzista, il rifiuto di solidarizzare con tutto quello che non si conforma a un'immagine rivoluzionaria stereotipata (la presenza di combattenti armati e in divisa per esempio) han di fatto bloccato ogni sorta di tentativo di unire il dissenso sociale e politico su una più ampia scala.
Del resto da dove potremmo iniziare a tessere delle relazioni di lotta se perseveriamo a definire “complotti”, “leader antimperialisti” (Gheddafi o Assad), “inverno” quello che le attrici e gli attori (di cui molti/molte sono morti/e o in carcere) definiscono “rivoluzione”, “dittatori criminali”, “processo controrivoluzionario”? Quando definiamo la Libia con il possessivo “ci”, rispolverando oscene pretese coloniali?3 Quando esaltiamo commossi la radicalità delle lotte altrui e pretendiamo che le nostre siano “civili” e “democratiche”? O, al contrario, quando neghiamo o mettiamo in secondo piano le aspirazioni al “pane, libertà, giustizia sociale” reclamate a gran voce da piazze e strade – così come dalle carceri, dai cimiteri e dalle macerie di guerre brutali – in nome di analisi figlie dell'arroganza e della presunzione eurocentrica?

Marocco/ Un intero Paese in rivolta
Da qualche anno il Marocco vive una fase di forte fermento sociale e politico che minacciano seriamente la tenuta del sistema (Makhzen) e la stessa figura del re4. Dopo l'assassinio di Mohsine Fikri, un venditore ambulante triturato da un camion della spazzatura mentre cercava di recuperare il pesce sequestratogli dalla polizia (nel dicembre 2010 un venditore ambulante in Tunisia si diede fuoco dando inizio alla rivoluzione), il Rif è in rivolta. Manifestazioni, proteste, disobbedienza civile, scioperi generali e quant'altro si susseguono nella regione, in tutto il paese e in molte città europee. Il movimento Hirak pretende dal regime un piano di sviluppo preciso della regione (ospedali, scuole, università, attività economiche) oltre a un'inchiesta sull'elevato tasso di mortalità da cancro sicuramente legata all'uso massiccio di gas tossici durante la guerra contro la Spagna (1921-1926). Ma non si tratta solo di questo.
Nel febbraio 2017, per più di un mese, lavoratori delle miniere di Jerada hanno messo a ferro e fuoco la città e la regione dopo l'ennesima morte sul lavoro di alcuni loro colleghi. Inoltre, ormai da tempo, una larga e imponente campagna di boicottaggio sta mettendo in ginocchio tre grosse multinazionali e aziende vicine al regime (Danone, acqua Sidi Ali, benzina Afriquia) accusate di speculare sull'aumento dei prezzi. La repressione del regime, sebbene molto molto dura, serve a poco. Torture, stupri, arresti di massa non fanno altro che incoraggiare le proteste.
Il boicottaggio è quello che meglio rappresenta la complementarità di differenti movimenti che non contestano tale o talaltra misura, quanto l'intero sistema politico del Makhzen (partiti politici inclusi). Le reti dei militanti del Hirak sono in prima linea nell'incoraggiare il boicottaggio. Poveri e indigenti hanno risposto in massa e in maniera entusiasta all'appello nato dal basso. Esattamente come il movimento palestinese BDS (Boycott, Divestment, Sanctions against Israel), anche in Marocco viene minacciato e attaccato il cuore dell'economia del regime rendendo inefficaci le sole misure repressive.
Tuttavia la lotta del popolo Rif ha travalicato le frontiere ed estendendosi anche in Europa. Il 12 giugno esuli del movimento Hirak racchiusi in un CIE di Aluche, in Spagna, hanno cominciato un lungo sciopero della fame per impedire la loro deportazione nelle gabbie del Makhzen (alcuni di loro saranno deportati). Più o meno negli stessi giorni le donne stagionali marocchine, molte delle quali provenienti dal Rif, sfruttate e abusate nei campi di fragole di Huelva Sud della Spagna, hanno dato il via a una serie di proteste per denunciare le discriminazioni razziste (e islamofobiche), sessiste e classiste di cui sono vittime nei campi e nella società spagnola5.
Nell'uno come nell'altro caso siamo di fronte a due battaglie di resistenza e dignità del tutto complementari alle lotte dei loro fratelli e sorelle portate avanti nel Rif. Due battaglie che ci sollecitano direttamente a riflettere non solo sulla rappresentazione dell'Altrx (il vecchio tema sulle dinamiche tra potere e sapere) quanto sulla nostra capacità/volontà di sostenere e mettere in relazione percorsi diversi di autorganizzazione e di rivolta6.

Betlemme, Palestina - Particolare di graffiti sul muro di separazione tra Palestina e Israele

Egitto/ La resistenza continua
Dalla presa del potere da parte dell'esercito e il successivo massacro di Rabaa, in cui polizia ed esercito massacrarono in poche ore più di 800 persone vicine al presidente Morsi, l'Egitto è diventato una sconfinata, orrenda prigione7. Migliaia di assassini di stato, sparizioni forzate, decine di migliaia di prigionieri/e politici/e, torture, violenze sessuali, negligenza medica in carcere, abusi, detenzioni illegali. Migliaia sono le condanne a morte e le condanne capitali. Il regime ha imposto il divieto di manifestare e di parola. Controlla internet con tecnologie sofisticate importate dall'Europa, la stampa, la televisione. L'esercito conduce da anni una guerra criminale nel Nord Sinai. Gaza è stata letteralmente isolata, la città di Rafah distrutta per permettere la costruzione di una zona cuscinetto con la Palestina.
A tutto ciò, tuttavia, non ha fatto seguito il silenzio delle attiviste e degli attivisti protagonisti della rivoluzione del 2011. Quell'imponente movimento dal basso che in pochi giorni buttò giù Mubarak e che nel novembre dello stesso anno, sulle barricate di Muhammad Mahmoud, mise faccia al muro la giunta militare. Ormai da anni, di fronte alla controrivoluzione del regime, la resistenza ha preso varie forme. Prima di tutto quella della difesa dei diritti umani, dell'assistenza delle persone in carcere, della solidarietà durante i processi e dopo le scarcerazioni.
Poi ci sono i movimenti di resistenza popolare spontanei, contro i progetti di speculazione edilizia in varie parti del paese e contro il vertiginoso aumento dei prezzi legato agli accordi con il FMI. Non cessano di protestare neppure lavoratori e lavoratrici nonostante la repressione brutale (alcuni operai sono stati condannati anche da tribunali militari) del movimento sindacale indipendente. Infine, una battaglia particolarmente importante è la conservazione della memoria della rivoluzione del 2011 e dei suoi martiri. Una storia che il regime cerca di riscrivere, appropriandosi di spazi e parole, provando a cancellare il ricordo, stravolgendone i principi8. Nel novembre del 2017, per esempio, il collettivo Mosireen ha messo online “l'archivio della resistenza 858” che contiene video e audio girati durante i giorni delle proteste contro Mubarak.

Palestina/ A 70 anni dalla Nakba
Quest'anno ricorrono i 70 anni dalla Nakba, 70 anni dalla catastrofe che segnò la nascita dello stato sionista. Dal 30 marzo le/gli abitanti della striscia di Gaza provano a violare in maniera pacifica e non-violenta le barriere e i muri costruiti illegalmente dallo stato israeliano. Fino ad ora (luglio 2018) sono 136 le persone assassinate dall'esercito israeliano durante le varie “marce del ritorno”. Migliaia quelle ferite da armi da fuoco e lacrimogeni.
Vanno avanti ininterrotte anche le proteste contro lo spostamento dall'ambasciata americana a Gerusalemme. Così come si prova a resistere contro gli sgomberi illegali, la distruzione di villaggi, le deportazioni di massa. Tuttavia, in attesa di conoscere i dettagli del “piano del secolo” proposto di Trump le/i palestinesi, abitanti della Cisgiordania non mancano di protestare contro la stessa autorità palestinese e le sanzioni “punitive” ordinate da Abu Mazen contro la striscia di Gaza. Il 13 giugno una grande manifestazione spontanea a Ramallah è stata caricata dalle forze speciali dell'Autorità palestinese: almeno 30 gli arresti, diversi i feriti. Non è la prima volta che succede e non sarà l'ultima. Del resto, il governo palestinese non si comporta differentemente in termini di autoritarismo, violenza e dinamiche clientelari da gran parte dei regimi dell'area.

Al di là della solidarietà
Nemmeno ai tempi delle guerre decoloniali contro l'imperialismo europeo, la regione araba (un nome convenzionalmente che non descrive affatto l'eterogeneità di popoli, lingue e culture che la compongono) si presentava nelle drammatiche condizioni attuali. Conflitti cruenti, regimi spietati, gruppi armati islamisti, crisi economica e povertà, instabilità diffusa.
A tutto ciò ha corrisposto – nel resto del Mediterraneo, in Europa e altrove nel mondo – prima l'attuazione di politiche razziste, sessiste e classiste e, adesso, l'arrivo al potere di forze politiche apertamente fasciste, suprematiste e xenofobe. Ora, è del tutto evidente che le due cose siano separate solo nella mente di chi dall'alto dei suoi privilegi pensa il mondo sotto forma di strutture passive, sgombro da ogni tipo di soggettività.
Al contrario, una prospettiva realmente rivoluzionaria spingerebbe all'intersezione delle lotte e/o delle resistenze. Non solo in termini di solidarietà (specie quando ci si erge al ruolo di santi protettori) e supporto, quanto al fine di apprendere/lavorare insieme a chi – qui vicino a noi o altrove nel mondo – non ha alcuna voglia di rassegnarsi all'oppressione.

Costantino Paonessa

  1. Perché il Rif marocchino si è rivoltato? https://lapiega.noblogs.org/post/2018/06/28/perche-il-rif-marocchino-si-e-rivoltato/
  2. Ultrà in Tunisia: dietro la passione della curva, un'ode alla resistenza https://lapiega.noblogs.org/post/2018/04/29/159/
  3. Si guardino alcuni degli articoli di Alberto Negri sulla Libia pubblicati sulle pagine del Manifesto
  4. Contestazione sociale in Marocco: Muhammad VI ha un piano? https://lapiega.noblogs.org/post/2018/05/28/contestazione-sociale-in-marocco-muhammad-vi-ha-un-piano/
  5. Las moras delle fragole contro il razzismo e il sessismo https://lapiega.noblogs.org/post/2018/06/11/las-moras-delle-fragole-contro-il-razzismo-e-il-sessismo/
  6. Sulla connessione tra lotte di lavoratori e lavoratrici, singolx e collettività militanti si guardi il blog http://campagneinlotta.org/
  7. Su resistenze e repressione in Egitto si veda la sezione del blog https://hurriya.noblogs.org/post/category/dallegitto/
  8. Questa traduzione di un articolo di Rasha Azzab (nota attivista egiziana) è fondamentale per capire la differenza di prospettiva esistente tra gli/le attrici della rivoluzione 2011 e quanto si continua a ripetere, per esempio, in Italia. https://hurriya.noblogs.org/post/2018/07/09/egitto-il-raccolto-della-cospirazione-di-gennaio-2011-e-quello-della-rivoluzione-di-giugno-2013/



Qualche precisazione
su sionismo e Israele

Non è certo questa la sede per affrontare in modo approfondito le radici storiche, le implicazioni internazionali, gli interessi economici e quant'altro stia dietro all'attuale situazione mediorientale. Ma qualche precisazione mi sembra utile.
Il sionismo è stato un movimento di stampo “risorgimentale”, analogo a quelli che nell'Ottocento portarono all'idea e poi alla realizzazione degli stati nazionali. In campo ebraico tutto era più complesso per la millenaria diaspora, quindi la mancanza di un territorio che non fosse la Palestina in cui alcuni ebrei sempre rimasero nel corso del tempo.
La costituzione dello stato d'Israele, nel 1948, dopo lo sterminio nazista (e perduranti le consuete persecuzioni e pogrom in tanti posti) rappresentò per il popolo più perseguitato nella storia una base di sicurezza. Come anarchici siamo critici con tutti gli stati e non a caso seguimmo con particolare attenzione e simpatia l'esperienza dei kibbutz, forme concrete di vita comunitaria e autogestione che si caratterizzarono in senso socialista umanitario e libertario. Sullo sfondo figure di grande spessore etico come Martin Buber, nel solco del socialismo anarchico di Gustav Landauer.
Noi siamo da sempre critici con i governi dello stato d'Israele, abbiamo dato voce a quelle voci antimilitariste, libertarie, internazionaliste che in Israele si sono opposte agli insediamenti, alle repressioni, ai trattamenti di serie B. Israele resta comunque, pur con tutti i suoi limiti, una democrazia in cui l'opposizione ha voce, la gente scende in piazza in centinaia di migliaia di persone contro le politiche governative, gli anarchici, i gay, i nemici del governo hanno spazio. Uno spazio spesso contestato dal potere, come ovunque.
Paonessa sposa la causa palestinese, cita (solo) la Naqba (l'espulsione dei palestinesi nel 1948) e non – per esempio – i bombardamenti congiunti degli stati arabi circostanti contro Israele appena costituitosi in stato. Noi non sposiamo alcuna causa nazionale e cerchiamo di rispettare verità e diritti di tutti. Abbiamo sempre contrastato il nazionalismo e il terrorismo da qualsiasi parte venisse e l'antisemitismo (spesso mascherato da antisionismo) così diffuso anche tra le stesse masse arabe di cui Paonessa riferisce le lotte.
Anche sul boicottaggio la pensiamo diversamente da Paonessa. In genere è uno strumento che non ci convince, perché colpisce indistintamente un “paese”, quindi un popolo, indicato come nemico. Se comunque uno ne accettasse la logica, lo vedremmo piuttosto applicato a gran parte dei regimi arabi o musulmani, quasi tutti negatori dei principi basilari di libertà, libera espressione del pensiero, pari dignità delle donne, organizzazione sindacale, libertà di abbigliamento e dei costumi sessuali, ecc. ecc.
Siamo una rivista che ha sue posizioni e le esprime da sempre. Siamo contro qualsiasi pensiero unico, siamo aperti e interessati al dibattito. E queste note a un intervento, che sulla questione mediorientale ci trova dissenzienti, lo confermano.
Il dibattito è aperto, con la condizione che si intenda dialogare e non fare tifo da stadio. Per questo c'è già la Rete, che basta e avanza.

Paolo Finzi




Arezzo/
Come ti “libero” la biblioteca

Scandalo alla Biblioteca Città di Arezzo: preziosi opuscoli su Camillo Berneri “regalati” agli antiquari e ritrovati sui banchini!
L'opuscolo a cui mi riferisco (“Con te figlio mio!” di Adalgisa Fochi) fa parte di un “lotto” di altro materiale berneriano donato da Adalgisa Fochi, consegnato personalmente - il 23 aprile 1957 - dalla vecchia madre di Camillo al presidente della Biblioteca Città di Arezzo Cornelio Vinay. Di questa donazione si parla anche negli atti del convegno internazionale su Berneri tenutosi ad Arezzo nel 2007.
Sciatteria, ignoranza o qualcosa di peggio? Si tratta, quasi sicuramente, di una azione amministrativa “straordinaria” interna finalizzata a far posto sugli scaffali (sic! una decina di grammi e pochi millimetri di costola). Quindi propendo per ignoranza e superficialità.
Gli effetti sono comunque gravissimi, un danno irreparabile per la comunità. Nello specifico uno sfregio inconsulto alla memoria. Sarà questo l'unico caso?

Giorgio Sacchetti