rivista anarchica
anno 48 n. 428
ottobre 2018


politica

Mentre tutto va in pezzi

di Andrea Papi

Non sono solo le infrastrutture a crollare. In Italia il decadimento sociale, politico e morale sembra non avere fine. Ma l'autogestione, sostiene il nostro collaboratore, è un buon modo per resistere.


Per gli amanti della libertà, anarchici in testa, il clima sociale che si sta respirando in quello che una volta si chiamava “belpaese” è sempre più preoccupante. Oltre alla decadenza politica, ormai di ordinaria quotidianità – per cui stanno trionfando incompetenze, misure repressive, voglie securitarie portate allo stremo e spinte xenofobe con frequenti accenti razzisti – c'è una costante percezione di un vero e proprio decadimento fisico, di palazzi, strade, ponti, strutture e infrastrutture di collegamento. Per usare un eufemismo consumato, anzi abusato, siamo pervasi dalla sgradevole sensazione che il paese in cui viviamo, la “bella Italia”, stia cadendo letteralmente a pezzi.
Non a caso il crollo devastante e letale del “ponte Morandi” a Genova il 14 agosto scorso (43 morti e più di una decina di feriti) è diventato l'emblema dello sfascio nazionale percepito. Un avvenimento che ha aggiunto insicurezza e sul quale speculano i politicanti che hanno in mano le nostre sorti.
La schizofrenia che stiamo vivendo risiede proprio in un'aporia irrisolvibile. Da una parte un'ansiogena richiesta a strutture di comando di garantire sicurezza, dall'altra inefficienza e un crescendo di interventi autoritari e repressivi, con cambi di personaggi al comando.

Il potere non funziona

Mi preme sottolineare che non s'intravedono possibilità di soluzioni a breve termine. Ciò che sta accadendo è una dimostrazione palese che i sistemi di potere che regolano le nostre vite funzionano solo molto di rado, soprattutto perché non sono predisposti a tal fine.
Messo in rilievo da diversi osservatori, è ormai acclarato che i movimenti economici e finanziari globali ruotano attorno all'accumulo di ricchezze e rendite gestite da una cerchia molto ristretta di pochi che ne beneficiano. Il resto delle popolazioni è in balia di tale organizzazione arbitraria del privilegio, con una minoranza che vive con qualche agio abbastanza in tranquillità, circondata da una maggioranza a oltranza quotidianamente costretta a trascinarsi tra mille stenti, divisa tra povertà e miseria.
Ciò che viene organizzato da istituzioni e strutture operative rientra all'interno di questo modus operandi economicamente indirizzato. Tendenzialmente si deve sempre intravedere un business e ogni cosa da costruire dev'essere pensata per produrre capitali. Qualsiasi altro intervento al di fuori di questo paradigma, anche se ritenuto socialmente indispensabile, non essendo moltiplicatore di ricchezza, difficilmente riuscirà a godere di cure e attenzioni che ne garantiscano l'efficienza.
Quando poi si avvia qualcosa che, pur non avendo finalità di arricchimento, comporta comunque quantità e giri di denaro molto grandi, attira irrimediabilmente corruzioni, scambi di capitali non controllati e illegali, speculazioni varie. Sembra che qualsiasi investimento, pur se indispensabile a livello sociale, non interessi per questo fine, mentre diventa occasione per tentare di guadagnare al di fuori di ogni ufficialità.
L'Italia da tempo sembra talmente afflitta all'ennesima potenza da questo “giro affaristico”, che ormai non riusciamo a immaginare opera pubblica di dimensioni medio-grandi che non ne sia contagiata. Essendo tormentata da un debito pubblico tra i maggiori al mondo, regalatoci da decenni di amministrazioni troppo “allegre”, è continuamente impegnata a riempire una voragine senza fine nella quale s'ingrassano soltanto istituti finanziari già opulenti, costringendoci a un degrado inarrestabile. Loro si rimpinguano e noi deperiamo.

Con la scusa del debito

La scusa del debito diventa un alibi per risparmiare su tutto, salvo sottobanco spremere per interessi puramente privatistici ciò che ancora viene definito “pubblico”: non si fanno manutenzioni e si affronta con colpevole superficialità qualsiasi gestione, frequentemente lasciando deperire ogni cosa fino all'irrimediabilità. Solo quando s'intravede la possibilità di un business, come ad esempio è stato per Pompei, allora s'innesca un'inversione di rotta. Un trend italiano fiorente da diversi decenni indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni che si sono succedute.
A un certo punto si è aggiunto un problema prima inesistente: migrazioni di masse umane che se ne vanno dai loro paesi d'origine in fuga da fame, guerre, stenti e miseria e che vogliono vivere nell'occidente. Un esodo, quasi una diaspora, gestito da una criminalità spietata con metodologie che ricordano il peggior schiavismo.
I responsabili politici non sono in grado di gestirlo e il paese è in ginocchio. Sono in crisi profonda anche le istituzioni europee, anch'esse del tutto impreparate. Ne conseguono sia un dilagante spirito xenofobo, con punte di razzismo, alimentato da paure e insicurezze portate ad arte all'eccesso, sia una miriade di rinascenti gruppi neonazisti e neofascisti, i quali spererebbero di riportare in auge il “ducismo” e la mistica del Terzo Reich che ci eravamo illusi di vedere tramontati per sempre.
In altre parole stanno avanzando, purtroppo temo per molto tempo ancora, un clima sociale e una propensione politica che sembrano prometterci la riproposizione in forme aggiornate dei peggiori assolutismi del secolo scorso.
La cosa sconcertante è che trovano accondiscendenza sociale in larga diffusione, assieme alla richiesta dal basso di un aumento di autoritarismo nell'intervento politico ordinario. Si rinsalda l'illusione di sentirsi più sicuri e di stare meglio se si riesce ad esser governati bene e “con polso” da chi è delegato a farlo. Tendenze e inclinazioni che in questa fase sembrano godere di un consenso di popolo maggioritario.
La lotta allora, anzi l'azione, anarchica dovrebbe propendere soprattutto verso la denuncia più conseguente del potere, con l'intento e l'auspicio di farne a meno, smettendo di spendersi prevalentemente in un vano e inane scontro con le propaggini dei poteri del momento. Non è solo un problema di teste che comandano e s'impongono, che sarebbe sufficiente trovare il modo di abbattere.
Siccome sfortunatamente abbiamo a che fare con una richiesta dal basso in estensione che reclama l'esercizio del potere ed esige di essere comandata bene, sarebbe sbagliato voler portare all'estremo una guerra radicale tutta nostra al sistema, concentrando ed esaurendo la critica al potere in uno scontro letale all'ultimo sangue. Vorrebbe dire condannarsi a sicura sconfitta perché il popolo non parteciperebbe, assieme al rischio, quasi certezza, che invece di combattere contro il potere, come vorremmo, potremmo essere costretti a scontrarci contro chi ne è vittima.
Senza abbandonare in alcun modo le proteste e le denunce, decise e senza cedimenti, delle malefatte istituzionali, il nostro agire dovrebbe spostarsi soprattutto verso la proposizione ideale e sperimentale dell'autogestione anarchica, in contrapposizione alla criminale politica vigente.

Lo spazio per l'autogestione

A questo punto mi è spontaneo evocare la bellissima esperienza che ho avuto il piacere di vivere quest'estate a Roccatederighi, un borgo-castello medioevale di circa 800 abitanti nell'alta Maremma toscana. Il 16 d'agosto vi si è svolto il «II° Festival del Sedicidagosto – Rassegna di musica popolare – in ricordo di Sante Caserio», organizzato dai compagni del luogo e sostenuto dalla stampa anarchica e da alcune associazioni.
La ragione vera e profonda per cui la sto citando risiede nella qualità con cui si è svolta. Non si è trattato semplicemente di una kermesse in stile anarchico riuscita particolarmente bene. Ne è risultato qualcosina in più. Oltre ad essere completamente autogestita, dando una chiara e precisa idea di essere fuori da qualsiasi business, è riuscita a rendere un clima e un modo di porsi tutt'altro che faziosi. Sicuramente partigiani, perché dichiaratamente anarchici, ma per nulla esclusivi. Anzi! Vi si è respirata un'aria di apertura, di cooperazione spontanea e di accoglienza indipendentemente dalle appartenenze, rara di questi tempi. A dimostrazione il fatto che la popolazione del luogo è stata presente e ha partecipato con naturalezza e anche entusiasmo.
Senz'altro ci sono stati e ci sono tuttora altri interventi con caratteristiche simili e equivalenti. Un tale modo di proporsi in fondo è nelle viscere anarchiche. Ho citato questo perché vi ho notato un emergere veramente bello e qualitativamente pregnante delle caratteristiche che ci stanno a cuore. Proponeva in modo spiccatamente palese e gradevolmente accogliente il senso e il valore delle nostre proposte di società libera e autogestita, alternativa e contrapposta all'esistente.
Dovremmo impegnarci seriamente e amplificare interventi con questa qualità in ogni campo e in ogni ambito del sociale, riuscendo a mostrare a noi stessi e agli altri come può funzionare una situazione sociale di autentica libertà anarchica.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it