rivista anarchica
anno 48 n. 428
ottobre 2018




Il primo gennaio dell'anno 10.000
è arrivato

Ho iniziato la mia collaborazione con “A” da uomo ombra (così si chiamano gli ergastolani senza nessuna possibilità di liberazione, se non metti un altro al posto tuo) e ho intitolato la mia rubrica “9999 fine pena mai” perché nel nostro certificato di detenzione c'è scritto: fine pena 31/12/ 9999.
Poi, grazie a un miracolo (io non credo ai miracoli, ma ci speravo) il mio ergastolo ostativo ai benefici, dopo 24 anni, è stato trasformato in ordinario e mi ha dato la possibilità prima di usufruire di permessi premio e poi della semilibertà. Fin quando, il 14 agosto scorso ricevo una di quelle telefonate che ti salvano e ti cambiano la vita. Il numero di telefono era quello del carcere di Perugia.
Mi avvisano di rientrare subito in carcere perché devo essere scarcerato. È uno dei giorni più belli della mia vita. Mi notificano l'esito positivo della Camera di Consiglio sull'istanza di richiesta di liberazione condizionale, che prevede: “Al soggetto sono impartite disposizioni concernenti la frequentazione di determinati luoghi o ambienti, gli orari nei quali deve essere reperito presso l'abitazione, i limiti territoriali negli spostamenti e, in particolare, l'obbligo di sottoporsi alla sorveglianza dell'autorità di pubblica sicurezza e di tenere contatti con il Centro di servizio sociale.”
Quando esco dal carcere mi gira la testa. Il mio cuore batte forte. Respiro a bocca aperta. In pochi istanti mi ritornano in mente tutti i ventisette anni di carcere, con i periodi d'isolamento, i trasferimenti punitivi, i ricoveri all'ospedale per i prolungati scioperi della fame, le celle di punizione senza libri, né carta né penna per scrivere, né radio, né tv, ecc. In quei momenti non avevo niente. Passavo le giornate solo, guardando il muro.
Poi scrollo la testa. Smetto di pensare al passato. Mi accendo una sigaretta e, dopo la prima tirata, medito che adesso dovrei smettere di fumare, perché ora la mia unica via di fuga per essere libero non è più solo la morte. Alzo lo sguardo al cielo. Osservo il muro di cinta del carcere. Per un quarto di secolo ho sempre creduto che sarei morto nella cella di un carcere.
Penso che una condanna cattiva e crudele come la pena dell'ergastolo, che Papa Francesco chiama “pena di morte mascherata”, difficilmente può far riflettere sul male che uno ha fatto fuori. Più che credere in me stesso, penso di aver scelto di credere negli altri. E forse questa è stata la mia salvezza. Io credo di essere rimasto vivo solo per l'amore che davo e ricevevo dai miei figli e dalla mia compagna.
Sono stati anni difficili, perché non ho mai scelto solo di sopravvivere, ma ho sempre lottato anche per vivere. E proprio per questo ho sofferto tanto. Non ho mai pensato realmente di farcela e forse, proprio per questo, ce l'ho fatta.
Adesso mi sembra tanto strano intravedere un po' di felicità nel mio futuro. Il mio cuore mi sussurra: “Per tanti anni hai pensato che l'unica cosa che ti restava da fare era aspettare l'anno 9.999, invece ce l'hai fatta! Sono felice per te... e anche per me”.
Non è ancora la libertà piena, ma ci sono vicino e sono tanto, tanto, felice. Questo risultato non è solo mio o dei miei familiari, ma di tutte le persone che in questi anni mi sono state vicine, in un modo o nell'altro. Da solo non ce l'avrei mai fatta. (Un estratto dal mio diario.)
Adesso che fare con la mia rubrica? Spero che “A” continuerà a darmi spazio per portare avanti la lotta contro il fine pena mai e per dare voce ai miei compagni.

Carmelo Musumeci



Per un mondo senza galere

Tranquillo Carmelo. La tua rubrica di lotta contro il carcere, con particolare attenzione alla lotta contro l'ergastolo e con ulteriore particolare attenzione alla lotta contro l'ergastolo ostativo (tutte cose che hai sperimentato sulla tua pelle), non te la tocca nessuno. Anche perché la “tua” rubrica è programmaticamente aperta a tutte le carcerate e i carcerati, nonché a persone non detenute che abbiano cose da dire, ingiustizie da denunciare. Come avviene anche in questo numero di “A”.
Di questa apertura della tua rubrica ebbi modo di parlare anche nel corso di una seduta del congresso di Nessuno tocchi Caino, tenutosi nel carcere di Padova, dove tu eri detenuto. E alcuni dei numerosi carcerati presenti ebbero poi modo di scrivere su “A”.
Della tua scarcerazione – seppure ancora con obbligo di firma settimanale presso i locali carabinieri, obbligo di non uscire tra le ore 22 e le 6, necessità di autorizzazione per uscire dalla provincia – siamo ben lieti. Per te e per lo spiraglio che si può aprire per altri ergastolani. Abbiamo avuto modo di vederti intervistato in televisione e abbiamo apprezzato il tono misurato, equilibrato e umano delle tue parole, e soprattutto la determinazione a continuare nel tuo impegno. Come c'era scritto sula tua maglietta, “mai dire mai”.
L'orizzonte di riferimento, per noi anarchici, è quello di un mondo senza galere. Un mondo senza violenza, istituzionale o meno che sia: “liberarsi dalla necessità del carcere” è l'espressione che forse meglio indica questa finalità. Nel frattempo siamo impegnati a denunciare le diseguaglianze sociali, le ingiustizie, i proibizionismi che riempiono le carceri e vogliamo continuare a lottare nel concreto contro la mentalità forcaiola del “buttateli dentro e buttate via la chiave”.
Caro Carmelo, ne abbiamo di strada da percorrere insieme. Non necessariamente sempre ci siamo trovati o ci ritroveremo d'accordo su tutto, ma per fortuna. Vuol dire che ragioniamo con le nostre testoline.
Da quando ci conoscemmo la prima volta a metà degli anni '80, nella sala-colloqui del carcere di Porto Azzurro, sull'isola d'Elba, mentre ero in visita a un altro ergastolano che ci presentò, ne è passato di tempo. E di lettere. E di colloqui dentro.
Sembrava impossibile che l'ergastolano ostativo che eri potesse mai sedersi sulla mia poltrona nella redazione di “A”.
Ma non allargarti troppo.

Paolo Finzi

Milano, giugno 2018 - Carmelo Musumeci, nel capoluogo lombardo
per un suo intervento pubblico, nella redazione di “A”




Questa volta ripubblico una parte del giornalino “Salvis Juribus” con lo stesso titolo di questa mia rubrica (“9999”), esattamente dal n. 3 datato giugno 2018, pubblicato da Strade Bianche/Stampa alternativa.

Sull'abolizionismo penale
in materia di ergastolo

La pena detentiva perpetua ha avuto un certo seguito nel diritto penale europeo degli anni Settanta e Ottanta, quando il definitivo superamento, in molti Stati occidentali, del paradigma della pena capitale come più grave tra le pene principali rendeva il “fine pena mai” apprezzabile merce di scambio per meccanismi di formazione del consenso, già allora basati su accezioni demagogiche della norma penale.
Bisognerebbe avere il coraggio di concluderne che, esauritasi quella stagione in materia di pubblica sicurezza e di strategie preventive in ambito criminologico-forense, anche i modelli di garanzia devono evolversi. L'ergastolo non è necessariamente, persino per le ipotesi delittuose più gravi, il termine di paragone di un giusto bilanciamento tra la responsabilità del reo, le esigenze della sicurezza sociale e la funzione della pena negli scopi di politica criminale.
La Corte di Strasburgo, in composizione di “Grande Camera”, ha affrontato il tema dell'ergastolo in circostanze non meramente episodiche, ma in modo più diretto e “demolitivo” in occasione della decisione Vinter e altri c. Regno Unito, 9 Luglio 2013. Ne esce fuori un principio di civiltà giuridica che rende estremamente residuale la compatibilità dell'ergastolo col divieto di trattamenti inumani e degradanti, dimostrando lo sfavore complessivamente addebitabile nei confronti della pena detentiva perpetua. In particolare, l'ergastolo è una pena violativa del ricordato divieto se la scarcerazione sia espressamente vietata dall'ordinamento, se il detenuto, oltre il ventiseiesimo anno di pena, non possa adire altra autorità giurisdizionale per richiedere l'alleggerimento della pena, la scarcerazione o la revisione del processo. Da queste condizioni già precise e che ulteriori precisazioni terminologiche e metodologiche avrebbero potuto e dovuto meritare, emerge un'accezione residuale della pena perpetua al punto quasi da configurarsi quale comminatoria provvisionale, che in ogni tempo del suo svolgimento deve poter essere ridiscussa e se del caso scongiurata presso il sub-procedimento di esecuzione.
In Italia, è pluridecennale l'impegno per il superamento dell'ergastolo ed è forse proprio quell'impegno civile e dottrinale ad avere alimentato una giurisprudenza rispettosa delle garanzie accusatorie. Già a prezzo di equilibrismi, poco convinti e poco convincenti, la sentenza n. 264/1974 della Corte Costituzionale si era misurata sui rapporti contraddittori tra l'idea stessa di pena detentiva perpetua e l'accezione rieducativa della pena costituzionale. La costituzionalità dell'ergastolo era in fondo lì salvaguardata solo quanto alla parte non esclusivamente “muraria” (lavoro esterno, socialità, visite, ecc.) della sua esecuzione, non già quanto alla nozione, tipica del XIX secolo, del “fine pena mai” quale segregazione permanente e continuativa. Nemmeno dieci anni dopo (C. Cost. n. 274/1983), i condannati all'ergastolo vengono ammessi al beneficio di riduzione della pena: si anticipa la riflessione delle giurisdizioni europee e internazionali sulla auspicabile provvisorietà della condanna all'ergastolo. Nel decennio successivo (C. Cost. n. 168/1994) un altro principio di civiltà giuridica trova formale cartolarizzazione. L'impossibilità di condannare all'ergastolo i soggetti minori è certo norma a tutela della loro libera formazione, anche a seguito, in ipotesi, della commissione di un reato grave, ma è pure espressione di un primo ripensamento sull'afflittività in re ipsa della condizione carceraria – tale che decenni di detenzione comunque inducono nocumento alla personalità individuale.
L'ordinamento, per sua stessa coerenza intraordinamentale, non può guardare al condannato all'ergastolo con intenzioni “vendicative”: la liberazione condizionale non può essere preventivamente esclusa, nemmeno ove precedentemente revocata (C. Cost. n. 161/1997).
Questa breve rassegna di decisioni emblematiche è conseguenza di un contesto giuridico-culturale nel quale si era persino tentato di abolire l'ergastolo attraverso i referendum abrogativi del 1981. Allora era stata sottoposta all'attenzione degli elettori anche la famigerata legge di pubblica sicurezza “Reale”, la stessa che negli anni Settanta era stata metro regolativo di una fortissima azione repressiva dello Stato, certamente di gran lunga anticipatoria degli strumenti di prevenzione rispetto alle previgenti disposizioni di diritto comune. Quella circostanza avrebbe potuto essere momento di consapevolezza politica sulla stagione dell'eversione, ormai esauritasi, per quanto dalle ferite ancora troppo fresche nella coscienza collettiva. Si sarebbe potuto disinnescare l'emergenzialismo con cinque anni di anticipo rispetto alla legge Gozzini, 10 Ottobre 1986, n. 663, e guadagnando sette anni rispetto all'introduzione del “nuovo” codice processuale. Ciò avrebbe parallelamente aiutato a predisporre una normazione speciale extra-codicistica più coerente rispetto alla legislazione di diritto comune e, ancor più, in riferimento ai principi costituzionali.
L'opinione pubblica volle il mantenimento dell'ergastolo e il mantenimento della legge Reale.
In Europa, una soluzione normativa abolizionista si è innestata su diversi retroterra giuridico-culturali, ma in tutti i casi suscitando più apprezzamento che conflittualità sociale. È avvenuto in Portogallo, anche come momento simbolico che certifica la distanza dell'attuale ordinamento repubblicano rispetto ai trascorsi dittatoriali, autoritari e militari. È avvenuto in Norvegia, senza che l'esempio norvegese divenisse davvero emblematico per gli Stati dell'Europa occidentale ma anche senza cedimenti rispetto a fatti di cronaca nera molto efferati, che avevano pur fatto trapelare vaghe tentazioni pan-penalistiche nelle varie forze politiche. Ed è sorprendentemente avvenuto in Croazia, Serbia e Bosnia, anche per evitare che i sanguinosi strascichi delle guerre civili nella ex Jugoslavia dessero adito a rappresaglie inter-statali nei confronti di cittadini detenuti in repubbliche diverse da quella di propria provenienza – ipotesi, si intuisce, tutt'altro che eventuale. Pure lo Stato Città del Vaticano ha abolito l'ergastolo, per ragioni che probabilmente possono essere co-ricercate nella elevata percezione massmediologica dell'attuale pontificato. L'ergastolo, cioè, può essere abolito per discontinuità parlamentare-repubblicana, per visioni progressive della politica criminale, come istanza di pacificazione nazionale e anche come simbolo di fasi ordinamentali nuove.
Quale che sia la ragione per cui in Italia potrà sperabilmente tornare vittoriosamente in auge questa istanza, sarà da accogliere con prontezza e soddisfazione.

Domenico Bilotti
(fonte: “Salvis Juribus”)




Voci da dentro: la parola agli ergastolani

Sono trascorsi trent'anni e sono ancora qui, quello che non riesco a capire come fanno a non comprendere che sono una intera vita, almeno che iniziassero a incominciare a farmi rientrare in società. Niente, stiamo ancora a quelle norme che somigliano a una ragnatela, in qualunque modo ti muovi rimani invischiato. In molti sono fiduciosi che il 2018 sia l'anno buono per noi ergastolani. Sarebbe la mia resurrezione e potrei iniziare una nuova esistenza. Non credo ai miracoli, ma sono pronto a cambiare opinione, se dovesse accaderne uno.

Andrea
Carcere Parma


Ho fatto istanza di trasferimento per il carcere di Padova, con la seguente motivazione, ossia che mio fratello ogni 3-4 mesi viene chiamato dall'ospedale di Padova insieme alla figlia, per accertamenti, essendo che mio fratello deve donare il rene alla figlia.
Siccome non faccio colloquio sistematico da 25 anni, come potrà verificare dalla mia cartella biografica, posso avere la possibilità di fare 3-4 colloquio all'anno con mio fratello e mia nipote.
In tutti questi anni non mi è stato concesso mai niente.
Non ho chiesto di andare in Campania vicino casa, ma a oltre mille Km lontano.
Ho trascorso la mia vita tra quattro mura, lontano dal conforto familiare, neanche mi è stato concesso di fare qualche colloquio con mia madre, era malata e il tempo che le rimaneva era poco.
L'ho rivista pochi mesi dopo in sala rianimazione, dove non si è mai ripresa, morendo dopo una settimana.
Ho una relazione extramuraria (allego), parere positivo per la declassificazione.
Sono vent'anni che mi trovo in questo regime, dalla emanazione della circolare ministeriale del 1998, senza saperne il motivo.
Le chiedo dopo, aver verificato tutto ciò che ho scritto, di intervenire affinché possa avere il trasferimento nel carcere di Padova. La saluto cordialmente.

Pasquale De Feo
Carcere Massama (Oristano)


Grazie del tuo sorriso che mi hai mandato per lettera perché la sezione non gode proprio di serenità e allegria, ovviamente siamo in prigione, poche attività, palestra momentaneamente chiusa, catechesi ferma da un po', un personale diciamo abbastanza punitivo e basta poco per accendersi scintille e fuochi. L'istruzione è molto bassa, l'ignoranza vige, saluto tutti ma do la confidenza a pochi.

Daniele
Carcere Spoleto


Ieri sera è deceduto un altro ergastolano ostativo detenuto AS1. Un infarto e non c'è stato nulla da fare. Lo sai cosa ho pensato io e qualche amico: lo Stato vendicativo ha risolto il problema dell'ergastolo ostativo: nell'arco di dieci anni, la maggior parte di noi andrà a miglior vita.

Alessandro
Carcere Opera Milano


Qui non c'è più resistenza, le cose sono peggiorate, la vivibilità è ridotta a livello vegetativo. Abbiamo fatto una battitura ai cancelli ma hanno partecipato in pochi e quei pochi sono stati tutti puniti con dieci/quindici giorni d'isolamento.

Pasquale
Carcere Livorno