Scalabilità
Nella programmazione e più in generale nelle telecomunicazioni, la parola scalability, scalabilità, indica la capacità di un programma o di una infrastruttura di adattarsi a un cambiamento di ordine di grandezza, in funzione della domanda, in grado di conservare il più possibile prestazioni e funzionalità.
Un diktat per i programmatori?
È ormai lontana l'epoca in cui l'informatica veniva
presentata come la faccenda di un pugno di topi da laboratorio
malrasati e di adolescenti mingherlini che trascorrono le giornate
a trafficare con apparecchiature nei loro garage.
La stampa si dilunga in sterili dibattiti a proposito dell'apprendimento
del “codice” fin nella scuola dell'obbligo proprio
perché le tecnologie digitali hanno acquisito una tale
pervasiva influenza sulle nostre vite che è il caso di
cercar di formare, il prima possibile, i proletari di domani.
Quelli capaci di occuparsi delle macchine. In un contesto di
società della prestazione che impongono di essere all'altezza
di performance sempre crescenti, alimentando la fregola di privatizzazione
e profitto del libertarianesimo, è evidente la necessità
di manodopera in grado di produrre applicazioni idealmente adatte
a tutti, sempre e ovunque. Questo diktat risuona da tempo nelle
orecchie dei programmatori: scalabilità. Persino il progetto
più modesto, anche se ancora lontanissimo da una realizzazione
concreta, dev'essere in grado di crescere senza battere ciglio,
in maniera tendenzialmente illimitata, adattandosi alla domanda
crescente. Un'infrastruttura, un'applicazione, un sito web e
così via deve supportare e sopportare la moltiplicazione
degli utenti, pena la perdita degli utenti stessi, innervositi
per l'attesa, la mancanza di fluidità, di interconnessione.
Per chi fornisce il servizi, non rispettare l'ingiunzione dalla
scalabilità equivale a perdere introiti. “Always
on!”, attivo e raggiungibile 24/7/365, a ogni ora del
giorno, ogni giorno della settimana, ogni settimana dell'anno,
è il mantra delle nostre società, insieme al suo
corollario: “It works!” (in inglese, “funziona”,
ma letteralmente: “lavora”...).
L'aspetto
tecnico del problema, “come fare perché il servizio
sia sempre disponibile?” è però solo uno
strato superficiale, dipendente dalle attitudini del fornitore
di servizio e dell'utente. Entrambi gli attori sono intrinsecamente
legati, e legati per la vita e per la morte, in quel sistema
di puro mercato che le tecnologie del dominio continuano ad
espandere: tutti i consumatori sono produttori, e viceversa,
tutti i produttori sono consumatori. Sono tutti accomunati anche
dal fatto di essere prodotti, merce da vendere, materie prime,
dati grezzi o aggregati.
Per procedere nell'esposizione può essere però
utile separarli per un momento. Nella figura dell'utente si
manifesta la nostra dipendenza, abitudine e assuefazione a un
modo di relazione che si fa sentire sempre di più. Nella
figura del fornitore di servizio, si rende invece evidente una
sottomissione all'economia di mercato e al suo imperativo di
crescita illimitata. Sono ugualmente schiave volontarie della
mancanza di limiti, limiti di consumo o di crescita che siano.
Si sottomettono a loro stesse, alla loro insaziabilità
strutturale.
Non è un caso che il termine scalabilità sia stato
ripreso nella terminologia imprenditoriale e venga abbondantemente
utilizzato dalle start-up avide di assorbire dolcemente lo shock
della crescita estrema.
Logiche di scala e controproduttività
L'idea di scalabilità è tanto più interessante per il fatto che si riferisce a specifiche logiche di scala, di cui denunciamo la perversa influenza fin dai nostri primi lavori, ormai imposte a livello globale. Perché il problema tecnico configurato da queste logiche non va mai nel senso di una riduzione, se non quando si tratta di ridurre la taglia di alcuni oggetti fisici per renderli sempre più piccoli, ma sempre più potenti. Soprattutto, l'apparente banalità della logica sottostante è alla base di tutti quei problemi pratici che Ivan Illich denunciava già in tutt'altro contesto tecnico nella sua disamina della contro produttività industriale. Ciò dimostra ancora una volta che l'informatica del dominio è una fattispecie della più ampia categoria delle tecnologie del dominio. Al di sopra di una certa soglia, una tecnologia diventa inutile e, rapidamente, al crescere della scala, diventa nociva.
La controproduttivà è una questione di scala: siccome le questioni umane sono originate da bisogni e desideri individuali, e la diversità è una ricchezza, la nocività di una tecnologia si esprime soprattutto nelle sue esternalità negative, cioè nelle ricadute negative che la sua adozione implica, che raramente vengono prese in considerazione perché risultano, appunto, nascoste dalla semplicità che la tecnologia rappresenta, dalla sua disponibilità e diffusione, dal suo porsi come monopolio radicale. La tecnologia riconfigura i rapporti di potere perché la sua ergonomia articola nuove regole del lavoro (ergon-nomos), nuove relazioni fra umani e non umani.
L'esempio classico di Illich è quello della mobilità urbana. Se tutti vanno in auto è difficile e, anzi, pericoloso andare a piedi per spostarsi, anche se in auto si va a passo d'uomo per via del traffico. Così l'automobile, tecnologia nata per favorire una più rapida mobilità personale, non funziona più: muoversi in auto in città significa andare più lenti che in bici, a costi maggiori e inquinando.
Ormai argomenti simili, un tempo considerati ecologisti, sono ampiamente accettati, almeno a parole, da ampie fasce della popolazione. Non si può dire che avvenga lo stesso nell'ambito digitale. È degno di nota il fatto che, non appena si formula un'obiezione alla diffusione massiva di una soluzione tecnologica digitale, si viene tacciati di oscurantismo, di essere reazionari contrari al progresso, luddisti o primitivisti. Attacchi furibondi di questo genere sono probabilmente dovuti al carattere messianico, di buona novella, con cui le tecnologie digitali si presentano spesso in maniera esplicita: mettere in discussione la digitalizzazione autoritaria del mondo equivale allora a un'eresia.
Piccolo è bello, locale e autogestito è meglio
Ci ritroviamo fra amici, colleghi, conoscenti. Una festa, un'occasione conviviale o professionale. Vogliamo condividere una foto, un pensiero: ci servono i mille servizi social?
Perché persino per scambiarci qui e ora un piccolo file ci affidiamo all'Internet globale commerciale? Per pigrizia e abitudine alla delega, per incompetenza pratica, abbiamo rinunciato a costruire piccole alternative locali e autogestite, da pari a pari, capaci di federarsi su scala internazionale senza mediatori occulti né tiranni illuminati.
Eppure la tecnologia adatta è qui. Sta a noi usarla per soddisfare i nostri bisogni e desideri.
Ippolita
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