rivista anarchica
anno 48 n. 428
ottobre 2018





Un mondo a colori

C'è un romanzo che trovo di grande intelligenza, seppure con qualche flessione nel ritmo narrativo, pubblicato nel 2009 per la firma di China Miéville. Autore colto di fantascienza distopica, raffinato conoscitore della tradizione del scientific romance, e anche autore impegnato con un preciso schieramento di sinistra, Mièville, in The City and the City, sceglie un setting particolare, basato sulla teoria fisica che possano esistere, nello stesso spazio, due universi diversi, in dimensioni parallele.
Così la sua storia è ambientata in due città (Bszel e UlQoma) “sovrapposte” e solo confusamente visibili una all'altra. Agli abitanti di ciascuna di esse è severamente vietato vedere gli abitanti dell'altra, e ogni trasgressione viene punita dalla legge. La pratica di “non vedere” quello che normativamente deve essere ignorato è dunque un esercizio quotidiano, ed essa – come le migliori intuizioni della letteratura distopica – ha la capacità di rispecchiare, estremizzandola, un'abitudine che sta diventando, qui e ora, una consuetudine diffusa.
All'indomani della vittoria della Francia ai Mondiali di calcio, io – che di questo sport capisco poco o nulla, ma amo gli scritti di Soriano e mi innamoro della sfavillante creatività di un tifo pacifico – vado a guardarmi la composizione della nazionale francese. Su Google, a cominciare dal fondo, trovo congolesi, maliani, filippini, guadalupesi, togolesi, algerini, marocchini, angolani, guineani. Quasi tutti di seconda generazione, a parte Umtiti, che è camerunese naturalizzato francese. La star di oggi, il diciannovenne Mbepé è, come quasi tutti, una seconda generazione di origini camerunesi e algerine. Qualche francese c'è – nel senso che a questo attributo conferiscono i “puristi” di certe destre – ma si tratta senza dubbio di una minoranza.

Ma il Mediterraneo è diventato chiuso

Ho guardato la partita fino in fondo, incerta su per chi tifare, se per una Croazia piccola e litigiosa, ma per certo “simpatica” nel suo essere una new entry nel gotha del grande sport, o per la Francia del giovane Macron, che nelle parole di Salvini a Marina di Massa, nel giugno del 2018, è un “signorino educato che aveva ecceduto in champagne” quando rifiutava di assecondare la chiusura dei porti italiani con una maggiore disponibilità francese all'accoglienza.
Per certo, tra i calorosi abbracci ai discendenti delle ex-colonie francesi che hanno portato alla vittoria la squadra e la politica di controllo sugli stranieri sostenuta dal premier francese vi è una contraddizione che sollecita alcuni punti di domanda. Allo stesso tempo, però, essa è congruente, appunto, con l'atto di “unsee” (non vedere) che rappresenta il cardine del romanzo di Mièville: si tratta, appunto di esercitarsi a “non vedere” l'altro nel quotidiano, a meno che questo altro non si faccia promotore dello spirito nazionale.
Allora la mia domanda è: di chi è questa vittoria? Oppure, ancora meglio, come siamo riusciti a sviluppare questa vista selettiva che ci consente di considerare legittimo lasciar affogare i richiedenti asilo in un mare che è ridiventato “chiuso” per legge? Non so rispondere. Quello che noto, con crescente disagio, è che ci stiamo adattando, senza neanche saperlo. Tifiamo per i goal di Pogba e Mbepé, ma rimuoviamo un colore della pelle che non ci piace e che si carica, nella quotidianità e sempre più spesso, di attributi stereotipici, predefiniti, sbagliati.
Qualche giorno fa, sono uscita al mattino molto presto col mio cane. Nei giardinetti vicino casa, su una panchina, c'era una famiglia di stranieri, forse appena arrivata: padre, madre velata, un ragazzino e una ragazzina. Il mio cane li ha visti e ha cercato di avvicinarsi.
In imbarazzo, confesso, a mia vergogna, che ho cercato di allontanarmi facendo finta di nulla. Cercavo di “non vedere”. Poi la donna ha sollevato una mano in segno di saluto. Solo allora ho risposto, non sapendo bene come comportarmi.
La città, che è la mia città, si è sdoppiata in due posti diversi, uno bianco e uno colorato. Quello che penso è che ci stanno chiedendo di vedere solo il bianco e di cancellare i colori.
Il guaio è che i colori a me sono sempre piaciuti di più.

Nicoletta Vallorani