grandi opere
Il gelo sulle Olimpiadi invernali
di Alberto “Abo” Di Monte
Nel settembre 2019, a Losanna, il Comitato Olimpico Internazionale dovrà assegnare i “giochi” del 2026: un grande evento lungo quanto l'arco alpino, che ne soffrirà la realizzazione. E se il buongiorno si vede dal mattino...
Un dato, più di ogni altro, può essere utile per capire le Olimpiadi 2026 di cui è saturo il palleggio mediatico in queste settimane. Non riguarda un atleta chiacchierato né un record imbattuto, non racconta di sport ma, una volta tanto, nemmeno di “location” mondane. La cosa più curiosa riguarda entrambe le edizioni più prossime all'edizione per cui il CONI ha candidato il ticket Milano-Cortina. Tanto per il 2024, quanto per il 2028, le città di Parigi e Los Angeles hanno ottenuto “a tavolino” i giochi olimpici, semplicemente perché non c'era una sola città disponibile a partecipare alla sfida per l'assegnazione. Per la sola edizione 2024 la nota defezione capitolina è in buona compagnia tra Budapest, Boston, Amburgo e Madrid: le Olimpiadi sono diventate un grande-evento indesiderabile.
I più attenti, per il gusto del carteggio, potrebbero
ribattere che non si possono mettere assieme le grandi olimpiadi
estive con le “piccole” invernali (giusto 6 sport
e 15 discipline a preventivo). Giusto: diversi i costi, il numero
di sport e di paesi partecipanti, la durata stessa dei giochi
ne chiariscono il diverso peso. Eppure ci dev'essere un motivo
per cui tutte le città che avevano inizialmente manifestato
il proprio interesse per la kermesse sportiva (tra le altre
Salt Lake City, Barcellona, Oslo, Tokyo) hanno via via abbandonato
il progetto. Non è un caso se nel solo 2018 prima Sion
(giugno) quindi Graz (luglio) e infine Sapporo (settembre) abbiano
abbandonato passo dopo passo la competizione.
Il tam tam della candidatura tricolore per i giochi invernali
del 2026 comincia in sordina a fine 2017, quando per la prima
volta Beppe Sala (sindaco di Milano e uomo forte di Expo 2015)
manifesta un primo interessamento della città per il
tema. Il ricordo del dietro-front capitolino era troppo fresco
per affrontare con serenità il tema. Per mesi cala un
sostanziale silenzio stampa. Il ritorno di fiamma arriva in
primavera con la manifestazione d'interesse di Torino, ancora
Milano e la new entry Cortina. Nelle stesse settimane
una sofferta riforma dello sport prende forma nei palazzi romani,
dove il presidente del CONI Malagò e il governo giallo-verde
si misurano non senza diffidenza. L'esito provvisorio della
stagione balneare alle nostre spalle è la bislacca candidatura
Milano-Torino-Cortina, destinata a sfumare nel mese di settembre
per eccesso di campanilismo e assenza di fiducia reciproca tra
gli attori coinvolti nella partita.
Questa progressione per strappi
Uno sguardo al futuro: l'aggiudicazione ufficiale dell'edizione
2026 era calendarizzata giusto a Milano.
Da regolamento CIO si profilva quindi un conflitto d'interesse
non da poco, visto che la città ospitante sarebbe stata
tra le (poche) candidate sopravvissute alle consultazioni pubbliche
e alle tanto acclamate analisi di costi e benefici.
Se la disponibilità del CIO a derogare alla consuetudine
era conclamata nella fase della candidatura a tre teste, questa
volta il CIO ha scelto la via della mediazione e del profilo
basso, spostando a Losanna l'appuntamento del settembre 2019.
Chi sono le altre fortunate? Anzitutto la città turca
di Erzurum, squalificata agli occhi degli osservatori dalle
tensioni sociali, orchestrate dalla longa manus del sultano
Erdogan. La medaglia d'argento va di diritto alla canadese Calgary,
dove pure è in programma una consultazione pubblica e
dove è attiva la campagna http://nocalgaryolympics.org/.
In vetta al podio delle concorrenti c'è poi la svedese
Stoccolma, recentemente funestata da una tornata elettorale
al cardiopalma (almeno per gli affezionati al genere horror)
e decisamente tentata dall'exit-strategy che ha già
visto anche la capitale norvegese fare un passo indietro.
“Le Olimpiadi, come l'Expo, si fanno per valorizzare il
brand e oggi la gente di tutto il mondo non si ricorda dell'Expo
di Milano sostenibile, pur essendolo stata, ma dell'Expo associata
al brand di Milano”. Con queste parole, mentre tramontava
la cordata e la sintonia con Chiara Appendino, il sindaco di
Milano ha chiarito con essenzialità e onestà gli
obiettivi della candidatura meneghina ad ospitare l'evento.
La metropoli, per sopravvivere sull'agone globale, deve competere
a colpi di visibilità internazionale, appetibilità
turistica e periodiche iniezioni di capitale, media e visitatori.
Questa progressione per strappi genera fisiologicamente un forte
stress alla città pubblica (oltre che alle maglie del
diritto, in ossequio alla logica commissariale) e agli abitanti
della città; in questa postura coesistono dunque i punti
di forza e di crisi del territorio. Indebitamento pubblico,
lavoro sotto o non retribuito, infrastrutture sovradimensionate,
sono gli indicatori tipici di questa frizione democratica.
Sostenibile? Che cosa vuol dire?
Quanto costano i giochi olimpici invernali? Le risposte possibili
sono (almeno) tre. La prima: 400 milioni di euro circa, almeno
così dicono i protagonisti istituzionali della vicenda
cui fa eco la stampa credulona. La seconda 1,5 miliardi di euro,
è la cifra che proviene dalla somma della prima versione
alla quota (1 miliardo ca.) che metterebbe il CIO e che proviene
sostanzialmente dai diritti televisivi (che poi nel nostro caso
provengono nuovamente dalle casse pubbliche attraverso la RAI,
penseranno i più maliziosi) con una quota minore di sponsorizzazioni.
La terza ipotesi di lavoro procede invece a partire dalla curva
storica che precede questo appassionante happening: negli ultimi
50 anni il costo preventivato è lievitato, in media,
del 176% (Oxford, giugno 2012). Non è sufficiente? Basti
ricordare che l'ultima edizione in cui la spesa non ha superato
i due miliardi di dollari fu quella di Lillehammer, correva
l'anno 1994.
Tornando ai giorni nostri sono però altri due gli aspetti
che non hanno, sin qui, raccolto la necessaria attenzione: la
dimensione diffusa dell'evento e l'eredità di Torino
2006. Il lemma sostenibile, definitivamente e drammaticamente
svuotato di senso, è un attributo buono per ogni stagione
al tempo della crisi ecologica irreversibile. Eppure usarlo
per illustrare un evento che porta il nome di una città
di pianura e i cui campi da gioco sono sparsi lungo 500 chilometri
di arco alpino ha del temerario.
Alcuni esempi? Sci di fondo in Valtellina, freestyle a Livigno,
snowboard a Bormio con villaggio olimpico e media center, ancora
un media center a Trento mentre sul biathlon si discute. Non
è tutto: se in Val di Fiemme sono previste combinata
nordica, salto dal trampolino e villaggio olimpico, ci portiamo
a Cortina per quel che concerne skeleton, sci alpino, bob, slittino
con l'inevitabile corredo di hotel, villaggio olimpico e nuovamente
un media center. A Milano, 40 chilometri dalle Prealpi, già
si pensa ad ospitare curling, pattinaggio artistico, hockey,
short track e pattinaggio di velocità. Inutile aggiungere
che qui sono previsti anche gli ampliamenti degli impianti esistenti
(PalaLido, PalaSharp...) e una pioggia di investimenti per un
totale di 30 mila posti per gli spettatori e almeno 30 milioni
di euro di impianti sportivi. A questi si devono poi sommare
gli interventi in Fiera, Scalo Romana, Meazza e nelle fan zone
diffuse nelle piazze blasonate della città. I costi?
Presto per dirlo. Il dossier? Ancora non pervenuto.
Ma la contronarrazione non sarà sufficiente
Sin qui abbiamo suggerito costi e luoghi. Resta da definire
il “chi”. Il governo ha più volte ribadito
che fornirà legittimità alla candidatura ma non
la copertura economica, una mossa che ha avuto il duplice effetto
di affossare il piano B della città di Torino e dare
spinta alle regioni Veneto e Lombardia in quota Lega per divenire
i veri garanti dell'investimento, almeno in termini di promessa.
Superfluo sottolineare che il sindaco Beppe Sala si è
volentieri prestato al gioco. Ultimo in ordine d'ingresso e
entrato in partita l'Istituto del credito sportivo (partecipato
fondamentalmente da MEF e CONI) a copertura dei prestiti necessari.
C'è anche da dire che nessuno dei protagonisti del dibattito
ricoprirà l'attuale carica di qui ai prossimi 8 anni,
ma è presto per dare alle parole della fase preliminare
il peso che meriterebbero.
È in questo quadro che dobbiamo immaginare una fase breve
di un anno, utile a confezionare una candidatura credibile,
dopo gli inciampi del 2018, ed eventualmente, quando i giochi
fossero effettivamente assegnati allo stivale, un osservatorio
per comprendere e svelare cosa i giochi olimpici ci possono
raccontare del paese che verrà, delle sue montagne, del
tasso di mercificazione che sta asfissiando la pratica sportiva.
Alberto “Abo” Di Monte
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