politica
La crisi della democrazia
di Andrea Papi
Gli ideali della rivoluzione francese sono in gran parte rimasti sulla carta, a causa delle ingiustizie sociali che ne hanno impedito la realizzazione. È il trionfo dell'ipocrisia.
La democrazia rappresentativa
risulta sempre meno credibile. L'occidentalismo, autopropostosi
per circa due secoli come faro dell'umanità, sta progressivamente
precipitando in un baratro senza fondo. La sinistra dà
l'idea di aver preso una pericolosa china verso l'estinzione
senza possibilità di soluzione. La politica, pur costretta,
fa una gran fatica ad espletare i compiti che le sono stati
assegnati. Al loro posto, un aumento consistente di autoritarismo
proposto in varie salse, tutte in un modo o nell'altro infarcite
di cupi “arabeschi” derivati da rituali, simboli
e stereotipi presi in prestito da un “tremendismo”
dal bieco sapore nazi-fascista.
Ridotto in soldoni questo è il quadro che si prospetta.
L'occidente ne esce completamente a pezzi. Non che “non
esista più”, come qualcuno sta cominciando ad affermare,
mentre si è volatilizzata la rappresentazione che gli
occidentalisti sostenitori ne hanno sempre dato. Per ciò
che dovrebbe rappresentare e ha rappresentato, l'occidente esiste
ancora, seppur avvoltolato in una crisi talmente profonda che
ne sta cambiando profondamente i connotati.
Il fatto è che da decenni viene decantato e super valorizzato,
senza preoccuparsi che in realtà non sia mai riuscito
ad esprimere veramente, fino in fondo e in modo chiaro, il senso
e i contenuti che i suoi elogiatori continuano a declamare.
Per come la vedo io, al di là delle declamazioni, l'occidente
quale entità intellettuale simbolica è sempre
stato solo un abbozzo. Nei fatti non è mai riuscito ad
ergersi a realtà riconoscibilmente compiuta, almeno rispetto
alle aspettative ideali da cui è nato e che aveva suscitato.
Se è vero che prende avvio dall'illuminismo, dalla guerra
d'indipendenza americana e dalla rivoluzione francese, i suoi
fondamenti teorici sono le libertà democratiche come
espressione politica del motto rivoluzionario “Liberté
Égalité Fraternité”. Una metafora
che esprime una linea di tendenza, luce che dovrebbe illuminare
e ispirare il cammino. Nelle intenzioni avrebbe dovuto esprimere
la voglia di libertà dei popoli, desiderosi di emanciparsi
dalle tirannie che li avevano oppressi per interi millenni.
Libertà, uguaglianza e invece...
Nei fatti non è mai stato così. In nome di quei
presupposti rivoluzionari che propugnavano libertà ed
eguaglianza, hanno avuto prevalenza di potere e enorme possibilità
di sperimentarsi gli assetti liberaldemocratici attraverso le
democrazie rappresentative. L'unico vero grande risultato apprezzabile
sono state le dichiarazioni solenni dei diritti universali,
che sul piano dei principi hanno gettato basi solide che riescono
ad apparire ancora imperiture. Purtroppo, nelle applicazioni
si è visto ben poco di questi “eterni” principi
dichiarati.
Dovevamo essere tutti uguali per importanza e dignità
riconosciute, al di là delle differenze di cultura, religione,
razza e censo, e non lo siamo affatto. Negli ultimi tempi addirittura
privilegi e disuguaglianze si sono dilatate a dismisura, determinando
condizioni talmente diseguali e ingiuste che la vita di moltissimi
esseri umani rischia di essere del tutto insopportabile. Dovevamo
aver affossato ogni forma di schiavismo, di sfruttamento brutale
e di palesi ingiustizie, invece stiamo assistendo ad un incancrenirsi
di aberranti vessazioni da parte dei più forti sui più
deboli, di sfacciate imposizioni lavorative assimilabili alle
torture, alle persecuzioni e alle angherie che venivano perpetrate
all'epoca delle tratte degli schiavi. Dovevamo vivere immersi
in atmosfere di libertà riconosciute e vissute, mentre
siamo continuamente ai limiti dei confini che separano la licenza
dal ricatto sociale. Ciò a cui stiamo assistendo quotidianamente
è molto peggio delle famose “mancate promesse della
democrazia” denunciate a suo tempo da Norberto Bobbio.
Del resto come poteva essere diversamente? La democrazia rappresentativa, che è la forma storicamente determinatasi del potere politico della liberaldemocrazia, nelle sue applicazioni è stata ed è talmente contraddittoria che ha reso evanescente, fino al punto da farla scomparire, ogni rappresentanza reale e autentica. Sotto le sue ali incoerenti e ambigue il senso della democrazia, la cui caratteristica fondante dovrebbe essere la partecipazione dal basso, è stato talmente ridotto all'osso che, oltre all'occasione del voto nelle urne, non esiste in realtà nessun altro momento concreto e autentico in cui le istanze popolari possano effettivamente essere partecipi dei riti e delle pregnanze decisionali dell'ordinarietà politica.
Il distacco tra le cittadine e i cittadini e le istituzioni
è diventato talmente vasto da apparire come un vero e
proprio baratro incolmabile. In sostanza, non c'è più
il re che comanda, ma al suo posto non si trova affatto il “popolo
sovrano”, com'era stato gabellato dalle diverse élite
intellettuali di fede democratica, bensì oligarchie facilmente
corruttibili e frequentemente incompetenti che c'impongono il
loro volere in nome nostro, senza consultarci e dovendo rendere
conto a cerchie non proprio trasparenti di potenti di turno.
Le disuguaglianze, economiche e sociali, sono diventate il vero
grande irrisolvibile problema di questa epoca. Invece di assottigliarsi
e ridursi, com'era implicita promessa agli albori dell'avvento
progressista dell'occidente democratico, si sono dilatate e
ampliate fino ad essere diventate incolmabili. A meno che non
subentri una nuova rivoluzione, del tutto improbabile in realtà,
capace di scompaginare da capo a fondo gli assetti su cui si
sorreggono gli attuali sistemi di dominio, queste disuguaglianze
sembrano destinate a dilatarsi all'inverosimile, rendendo sempre
più precaria e inaccettabile la vita di miliardi di persone,
sbattute fuori dal mondo che conta. La sopravvivenza ai limiti
della sopportazione rischia di diventare, in un futuro molto
prossimo, la caratteristica determinante lo stile di vita della
massima parte degli individui che popolano questo pianeta.
Quando fu abbattuto il potere per diritto di censo delle aristocrazie
e trionfò l'aspirazione all'uguaglianza e alla libertà
come diritto naturale, s'era diffusa la convinzione che la colpa
dei mali del mondo fosse tutta dell'aristocrazia, la quale per
secoli s'era imposta con la prevaricazione e la violenza. Il
liberalismo avrebbe dovuto dare avvio a un'era di nuova luce
dove avrebbero dovuto trionfare, appunto, “Liberté
Égalité Fraternité”. Dolce illusione!
Ben presto lo sfruttamento economico del capitalismo industriale
e nuove spietate tirannie occuparono lo spazio vitale dei popoli.
Al di là del dispotismo feudale ormai soppiantato, s'era
aperto un baratro che aveva mostrato la poliedricità
del dominio, che si mostrava e s'imponeva attraverso un'insospettata
varietà di forme, capace di prevalere in ogni tipologia
del potere politico, da quelle più democratiche a quelle
più dittatoriali.
Clima illiberale
Per quanti sforzi avesse intenzione di fare, non poteva esserne
esente la liberaldemocrazia. Anch'essa ha sempre sofferto ab
origine dello stesso male endemico. Non si è mai accettato
che il potere si dovrebbe dileguare in un'orizzontalità
politica dove nessuno in realtà possa comandare, mentre
tutti dovrebbero avere il diritto di partecipare alle decisioni,
proprio perché siano veramente collettive. Il dominio,
con la sue qualità proteiformi, ha invece sempre trovato
il modo di emergere e imporsi ricreando e ridefinendo disuguaglianze,
privilegi, ingiustizie.
Ed oggi, dopo più di due secoli di questa ipocrisia delle
parole, dove a dichiarazioni roboanti non sono riusciti a corrispondere
situazioni e sentimenti vivi e concreti, ci troviamo immersi
in un clima illiberale, potenzialmente devastante. Coloro che
hanno vissuto l'esperienza occidentalista la stanno istintivamente
rifiutando, stanchi di tutte le doppiezze menzognere, di tutti
i conformismi e di tutti i perbenismi convenzionalisti di cui
è stata ed è intrisa. Purtroppo, rintanati nelle
insicurezze e nelle paure che il viverla ha generato, invece
di sgretolare il dominio che ne è sorto per scoprire
autentiche forme di libertà e uguaglianza, i popoli si
stanno rifugiando in richieste di chiusure che, ahinoi, ripropongono
in forme aggiornate dispotismi e strette autoritarie, nell'illusione
di essere protetti e riconosciuti nel bisogno di sentirsi sicuri.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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