rivista anarchica
anno 48 n. 429
novembre 2018





Vuoti a perdere

Una mia giovane amica, che vive in Francia da qualche anno e che non è per niente contenta delle politiche attuali, continua a dirmi però che a Parigi tutti salutano l'autista salendo dall'autobus, e per strada un “bonjour” non si nega a nessuno.
Non so darle torto: a Milano, se sorridi a uno sconosciuto per strada, in 9 casi su 10 lo vedi trasecolare o precipitare nel sospetto che ci sia qualcosa sotto. Talvolta ti senti dire persino «Guardi, non compro niente».
È una questione di forma, e la cortesia è gratis. Ma forse, proprio perché gratuita, oggi in Italia non funziona. Non è produttiva, non si può misurare, e alla fine è una perdita di tempo. Così, una forma di interazione capace di rendere più piacevole il vivere viene derubricata a vuota forma, cestinabile come tale.
Un politico molto popolare oggi – la seconda carica dello stato, per la precisione – ha costruito la sua fortuna politica su un sistema di forme esemplare nella sua semplicità. Utilizzando formule espressive lineari e di grande aggressività, esprime concetti che una conoscenza anche sommaria della nostra storia (e della sua storia personale) risulterebbero contraddittori. Ma la forma funziona, è perfetta, purché ci si fermi alla superficie delle cose e non si badi troppo alla sostanza.
Un mio studente, di recente, mi ha consegnato una tesi finita e perfetta dal punto di vista formale. Peccato che fosse ripiena di sciocchezze, affermazioni insensate, contenuti irrilevanti. Quando gli ho fatto notare il vuoto di sostanza, lui, soddisfatto, ha replicato: «Ha un ottimo aspetto, però». Non mi ha mai perdonato di essere stato costretto a rimandare la discussione alla sessione successiva, al puro scopo di emendare qualche contenuto. Il che, tangenzialmente, dimostra che a qualche mio collega la forma sarebbe bastata.
Una mia conoscente, costretta a prendere uno stabilizzatore dell'umore per tenere a bada gli sbalzi di umore provocati dalla menopausa, lamentava tempo fa di non sentirsi se stessa e di non essere più la stessa di una volta. Con l'intento di confortarla, le ho detto che mi pareva invece che la sua interazione col mondo fosse migliorata. E lei mi ha risposto, ringhiando: «Tu non mi conosci affatto». Il che, tra parentesi, è vero, ma diciamo che la stessa cosa poteva essere detta in modo più cortese, e senza ferire il mio ingenuo tentativo di sostenerla. Tangenzialmente, la risposta dimostra che la cura non stava facendo effetto.
Sono sempre stata persona difficile da accettare ma facile da comprendere: non dico mai cose diverse da quelle che penso, e il contesto gerarchico in cui mi trovo non ha su di me alcun effetto disciplinante. Da giovane, ero più tagliente e diretta. Poi ho imparato l'ironia, e la vita si è fatta più facile. Io non sono cambiata, nella sostanza, ma la forma si è rimodellata un poco, gli angoli si sono arrotondati, senza che questo implicasse una censura del mio pensiero.
Mi sono trovata a discutere se questo sviluppo fosse da considerarsi come una forma di invecchiamento. Ci ho pensato a lungo, e poi mi è sembrato di capire che quel che è accaduto in me è il processo inverso rispetto a quello che sta succedendo nella vita culturale e politica italiana. Io ho guadagnato qualche dubbio e la capacità del rispetto. La comunità ha perso progressivamente entrambe queste caratteristiche, una sostanziale (il dubbio che si possa essere in errore, magari perché si difetta di qualche informazione) e una formale (l'esplicitazione di una forma di relazione che consente davvero all'interlocutore di esprimersi, manifestando un parere che potrebbe avere le sue ragioni).
Non sopporto i talk show e ogni forma di aggressività verbale, il che mi taglia fuori dalla vita politica e, direi, anche culturale di questo disgraziato paese, che ha preso a svilupparsi solo in forma lineare, senza profondità alcuna. E senza profondità – il beneficio del dubbio e la capacità del rispetto – la conversazione è una forma vuota.

Nicoletta Vallorani