Teatro degli Zingari/
Bresci chi?
Un'accogliente radura nel bosco, abbarbicata sulle alture di
Sussisa, una frazione di Sori, comune di Genova, fa da perfetto
e suggestivo scenario allo spettacolo teatrale dedicato alla
storia di Gaetano Bresci, nota di certo in ambito anarchico
ma forse sconosciuta ai più. All'imbrunire di una bella
domenica d'estate, l'associazione che porta il nome della brigata
partigiana del luogo e che ha preso in gestione una casetta
nel bosco con natura annessa, la Sap470, organizza la messa
in scena della bella pièce della compagnia del Teatro
degli Zingari, all'aperto e con un pubblico attento e variegato,
in totale ascolto dei poliedrici attori che si alternano su
un palco di prato, alberi e un'intelligente scenografia leggera
ma funzionale allo svolgersi di una storia non semplice da raccontare.
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Il momento del processo a Bresci
Foto di Gaia Raimondi |
A Milano, nel maggio del 1898, l'esercito guidato dal generale
Bava Beccaris spara sulla folla, da giorni in protesta contro
l'aumento dei prezzi, per la mancanza di lavoro che spingeva
ad emigrare e per l'assenza di diritti civili e politici. I
morti furono più di cento. La notizia arrivò a
Patterson, negli Stati Uniti, dove si erano trasferiti molti
emigranti italiani per lavorare nelle fabbriche tessili. Due
anni dopo, un operaio toscano varcò l'oceano per tornare
in Italia con una pistola e un'idea: quella di vendicare i morti
di Milano e della repressione sabauda.
Quell'uomo si chiamava Gaetano Bresci. Gaetano era anarchico
perché aveva in odio le leggi che rendevano l'uomo schiavo
all'uomo, che mantenevano sfruttamento, povertà ed ignoranza;
era anarchico perché amava la libertà, la giustizia
e l'umanità. È per amore, oltre che per odio,
che mise in gioco la sua vita, è per amore e per odio
che premette il grilletto della sua pistola per uccidere non
“un re, ma un principio”. Bresci, personaggio principale,
non ha un attore che lo interpreti, bensì viene raccontato
da più voci, dagli sguardi di coloro che l'hanno incontrato,
anche per puro caso, sul tragitto esistenziale delle proprie
vite, chi sulla nave di rientro in Italia, chi durante la sua
permanenza nel carcere di massima sicurezza di Ventotene, dove
morirà in circostanze sospette dopo il regicidio.
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Tutti gli attori in scena (Foto di Gaia Raimondi) |
Lo spettacolo non è solo un'indagine su un fatto di
cronaca, nonostante ci siano più momenti di sinergica
rappresentazione dei luoghi e fatti, racconti in forma collettiva,
polifonica, dal basso, quanto piuttosto un viaggio in una storia
italiana poco conosciuta, che prima di essere storia politica
è storia umana. In questo viaggio ci si sofferma a riflettere
sul confine tra vendetta e giustizia, sui meccanismi del potere
di allora e di oggi, sorprendendo lo spettatore a constatare
le numerose analogie con i tempi attuali. Il gruppo di attori
e attrici si alternano sulla scena, interpretando tutta la cornice
storico-politica che fa da sfondo alla sete di giustizia del
personaggio principale della storia, filo rosso sottile e al
contempo grande assente proprio per permettere all'immaginario
dei fruitori di leggere analogie con vicende più contemporanee
e oltremodo attuali.
Il Teatro degli Zingari è nato dall'incontro di persone
che hanno attraversato, vissuto e si sono impegnate all'interno
della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova fondata
da don Andrea Gallo e che hanno scelto il teatro come strumento
di espressione e di inclusione sociale. Dal 2000 ad oggi il
collettivo teatrale ha portato sulla scena letture della resistenza
e delle pagine di Eduardo Galeano, ha affrontato attraverso
spettacoli teatrali i temi delle migrazioni e dei beni comuni,
ha realizzato concerti e serate culturali, ha dato vita ad un
laboratorio permanente condotto da amici registi e attrezzato
la vecchia falegnameria di San Benedetto a sala polifunzionale.
Proprio perché questa storia parla di un vissuto collettivo,
la compagnia aveva attivato una raccolta fondi tramite di crowdfunding
“raccogli tutto” (ovvero raccogliere i fondi e portare
a termine il progetto anche se il budget previsto non fosse
totalmente coperto), affinché tutti potessero contribuire
alla sua realizzazione.
I fondi raccolti in questa campagna sono stati necessari per
coprire spese già sostenute, per retribuire in parte
il lavoro di professionisti (regista, tecnici) che stanno aiutando
gratuitamente e per la realizzazione delle scene e dei pochi
costumi. Lo spettacolo è attualmente in tourneé
in diverse città italiane e cerca diffusione e sostegno,
assolutamente meritati per l'originalità e la pregnanza
nella narrazione di una triste vicenda quantomai contemporanea.
Gaia Raimondi
USA (e Argentina)/
Le cooperative di lavoro “recuperate” dagli operai
Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la prima normativa
nazionale riguardo alle cooperative di lavoro. “Si tratta
di un'opportunità straordinariamente importante per i
lavoratori e le imprese che hanno bisogno di un efficace piano
di successione. Questa normativa è una tappa importante
per il nostro lavoro, teso a far progredire le imprese cooperative
di proprietà dei lavoratori e gestite da lavoratori.
Riteniamo che una più ampia consapevolezza della proprietà
dei dipendenti cambierà le cose all'interno delle piccole
imprese americane”, ha dichiarato Esteban Kelly, direttore
esecutivo della Federazione statunitense delle cooperative di
lavoro.
Il Main Street Employee Ownership Act è la prima legge
bipartisan a livello federale che punta sulle cooperative di
lavoro, che sosterrà le piccole imprese, salverà
posti di lavoro e promuoverà salari equi. Questa normativa
migliora l'accesso al capitale e l'assistenza tecnica per le
imprese di proprietà dei lavoratori, aiutando notevolmente
le cooperative di lavoro. La federazione americana delle cooperative
di lavoro (USFWC) è l'organizzazione nazionale di base
per le cooperative di questo tipo. Vi aderiscono centri di lavoro
democratici, sviluppatori, organizzazioni e individui che supportano
le cooperative di lavoro. L'USFWC promuove i luoghi di lavoro
di proprietà dei lavoratori, gestiti e governati attraverso
la formazione cooperativa, le azioni di sensibilizzazione e
lo sviluppo delle attività imprenditoriali.
Le cooperative che fanno parte della Federazione, che vanno
da 2 a 2.000 soci, sono presenti in tutto il paese e riguardano
decine di attività industriali, con diverse strutture
di gestione e di governance. Con circa 200 (delle quasi 400)
cooperative di proprietà dei lavoratori e membri dell'organizzazione
che rappresentano quasi 4.000 lavoratori (8.000 in tutto) in
tutto il paese, l'USFWC sta creando un movimento dinamico per
la proprietà democratica dei lavoratori.
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Il dossier curato da Enrico Massetti |
Da azienda tradizionale a proprietà
cooperativa: Select Machine, Inc.
Fondata nel 1994 da Doug Beavers e Bill Sagaser, Select Machine
vende e distribuisce prodotti lavorati e attrezzature per l'installazione
di macchinari per la costruzione e la demolizione. Quando i
soci fondatori iniziarono a cercare di cedere l'attività,
emersero diversi potenziali acquirenti interessati, ma tutti
volevano acquistare l'attività per il suo portafoglio
clienti e i macchinari, in modo da consolidare la produzione
in strutture sottoutilizzate altrove. Chiudere gli impianti
e lasciare i dipendenti senza lavoro non era un risultato accettabile
per i soci fondatori, che hanno quindi cominciato a esplorare
alternative a una vendita tradizionale. Dopo la ricerca, hanno
deciso che una cooperativa di lavoratori era l'opzione migliore
per la loro azienda e nel 2011 sono passati alla nuova forma
societaria.
Una nuova cooperativa nata dalla lotta
di classe: New Era Windows
Nel 2008 il titolare decise di chiudere una fabbrica di finestre
su Goose Island e licenziare tutti. Nel 2012 i lavoratori decisero
di acquistare la fabbrica e licenziare il capo. Ora possiedono
insieme l'impianto e lo gestiscono democraticamente. Questa
è la loro storia.
Nel 2008, dopo molti decenni di attività, Republic Windows
and Doors era fallita e venne chiusa. Quando arrivò l'annuncio
di chiudere lo stabilimento, fu comunicato ai dipendenti che
il lavoro sarebbe stato interrotto immediatamente e che non
avrebbero ricevuto il pagamento o la liquidazione stabilita
contrattualmente. I dipendenti decisero di occupare la fabbrica
in segno di protesta e la collettività manifestò
con numerose iniziative per sostenerli.
Tutti dissero di averne abbastanza. Se volevano mantenere una
produzione di qualità all'interno della comunità,
avrebbero dovuto affidarsi a coloro che erano più interessati
a conservare quei posti di lavoro. Cominciò così
il progetto per l'avvio di una nuova cooperativa di proprietà
dei lavoratori. I lavoratori chiesero aiuto alla United Electrical
Workers Union, che era stata al loro fianco fin dall'inizio,
a The Working World, che aveva lavorato con decine di fabbriche
controllate dai lavoratori in America Latina e al Center for
Workplace Democracy, una nuova organizzazione di Chicago impegnata
a sostenere il controllo dei lavoratori.
Con un enorme appoggio da parte della collettività, The
Working World ha raccolto gli investimenti necessari perché
i lavoratori acquistassero la fabbrica, e ora la cooperativa
garantisce utili.
Investire nelle cooperative - The Working
World
Nel 2003, un decennio di riforme economiche e il conseguente
crollo finanziario avevano reso il settore industriale argentino
un guscio vuoto e portato quasi metà della popolazione
al di sotto della soglia di povertà. Con le spalle al
muro, molti lavoratori cominciarono a prendere in mano il proprio
destino, occupando aziende precedentemente fallite e abbandonate
e riaprendole come cooperative di lavoratori gestite e amministrate
democraticamente. Queste aziende sono ora note come le empresas
recuperadas - le imprese recuperate. Di fronte a tremende difficoltà,
questi lavoratori hanno cominciato a ricostruire l'economia
argentina dal basso.
Dopo aver appreso delle attività recuperate, il fondatore
di The Working World, Brendan Martin, decise di lasciare Wall
Street per trovare un modo per sostenere il nascente movimento
cooperativo. Nel 2004, dopo aver contattato Avi Lewis in occasione
di una proiezione di The Take, un documentario sul movimento
operaio, ha individuato la soluzione. Come tutte le altre imprese,
quelle recuperate avevano bisogno di finanziamenti per sostenere
la loro crescita. In realtà, ciò di cui avevano
bisogno – ciò di cui il mondo aveva bisogno –
era di reinventare la finanza, per mettere i bisogni delle persone
davanti ai profitti. Poco dopo l'incontro, Brendan e Avi fondarono
The Working World, per fornire i capitali di investimento indispensabili
alle cooperative dell'Argentina.
The Working World è un fondo di investimento che costruisce
imprese cooperative per comunità a basso reddito, utilizzando
un modello rivoluzionario che combina finanza non estrattiva
con un sostegno su misura all'impresa. Le finanze sono affidate
ai lavoratori senza far loro depositare garanzie o assumere
l'onere del debito che potrebbe mettere a rischio le loro condizioni
di vita. Lo fa promuovendo una forma più inclusiva di
proprietà – le imprese che sono gestite collettivamente,
di proprietà di chi ci lavora e della comunità
– e vincolando i rendimenti dei prestiti al successo del
progetto, per minimizzare il rischio, sia per i fondi sia per
le imprese da questi aiutate a prosperare.
Agire come partner permette di concentrarsi su ciò che
è veramente importante: la stabilità e la crescita
delle imprese che hanno sede in quartieri a basso reddito e
sono costruite per essere al loro servizio.
Significa anche che i fondi non attingono mai dalle persone
con cui lavorano, ma solo dagli utili che hanno contribuito
a generare. Nessuna comunità quindi verrà mai
resa più povera lavorando con questi fondi.
Dal 2004, The Working World ha sostenuto più di 800 progetti
con oltre 200 imprese, erogando prestiti per più di quattro
milioni di dollari e creando centinaia di posti di lavoro.
Enrico Massetti
traduzione di Guido Lagomarsino
Comune Urupia/
Dove fortunatamente ci sono i campi, ma non c'è campo
Domenica sera il Festival delle Terre è in chiusura,
anche se molta gente è già andata via ci sono
ancora parecchie persone e dalla veranda dove sto discutendo
di sud e di estremo nord con uno sconfortato emigrante ne possiamo
vedere una cinquantina che chiacchierano, bevono, fumano sparse
nella penombra.
A un certo punto, mentre parliamo di nuove tecnologie, gli indico
i vari gruppetti con età variabili tra zero e settant'anni
e mi rendo conto che siamo proiettati in una scena d'altri tempi,
antichissima: nessuno, neanche gli adolescenti, è contrassegnato
dalla luce di un telefonino nel buio. Niente uozap, feisbuc,
svistagram – una specie di miracolo. Appena possibile
chiedo consulenza alla mia esperta in problematiche giovanili
che mi disillude solo in parte: a Urupia non c'è molto
campo e in effetti con alcuni operatori non si riesce a fare
un granché, però è anche vero – precisa
– che quando sei qui “non ti viene tanto”
di stare incollata per ore intere a uno schermetto.
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Oscar Agostoni monologa, il pubblico ascolta rapito
Foto di Giuseppe Aiello |
È il sesto anno che la Comune ospita la versione estiva
e campagnola del Festival delle Terre, nato quasi venti anni
fa a Roma ad opera della “associazione di solidarietà
e cooperazione internazionale” Crocevia, ma che qui ha
assunto caratteristiche proprie legate all'identità del
luogo e del territorio, ospitando, oltre alle proiezioni dei
film presso il lussuoso cinema all'aperto nel cortile interno,
ben ventilato e privo di zanzare (si vocifera che le panche
di legno degli ultimi posti siano state importate da Sparta
ai tempi di Leonida, ma nessuno si è lamentato), testimonianze
dirette e variegate su progetti di diversa natura, ma sempre
legati alla relazione tra umani e pianeta, rapporto che anno
dopo anno non sembra semplificarsi affatto.
Una finestra che Urupia si concede durante l'affollata estate,
apparentemente il peggior periodo per atterrare nella comune
salentina, quando l'invasione di vecchi amici e parenti induce
a disincentivare gli arrivi di visitatori estemporanei e fulminei
passanti. Al contrario, durante quei tre giorni sta diventando
piccola tradizione che, previo gentile preavviso e opportunamente
muniti di tenda, ci si stringa un po' e si faccia spazio per
tutti, viandanti, curiosi ma soprattutto quelli che aspettavano
un pretesto per andare a vedere com'è la “comune
anarchica” (ricordo che la denominazione continua a non
essere ufficialmente accettata, anche se negli anni l'attribuzione
sta spontaneamente diventando più diffusa). Come assaggio
va più che bene, basta che non si pretenda di aver capito
cos'è Urupia dopo un atipico fine settimana come questo.
Già arrivando un paio di giorni prima o restando dopo
si ha il tempo di fare una vendemmia che è breve, rilassante
e ricreativa ma richiede sveglia presto, in quanto, mi spiegarono
qualche anno fa, tra le precauzioni necessarie per fare il vino
buono c'è anche quella di non portare uva calda in cantina;
e ad agosto dopo le nove il sole in Salento picchia forte.
A proposito – chiedo a Carlotta – non è una
scelta un po' ardita quella di mettere il festival, e quindi
aprire la comune, proprio tra una vendemmia e l'altra?
Carlotta – Ma non è che avevamo previsto che
le date coincidessero con la vendemmia, ci aspettavamo una pausa
tra quella dello Chardonnay e il Primitivo, però vista
la pioggia che è arrivata si è incasinato tutto
e quindi ci troviamo a raccogliere l'uva quasi in contemporanea.
Poi non è che per questa iniziativa ci siano molte date
disponibili; proiettare i film all'aperto è una cosa
che puoi fare solo d'estate, già a settembre di sera
fa troppo freddo. Poi, per aprire la comune a tutte, noi da
sole non ce la faremmo, abbiamo bisogno delle amiche che vengono
ad agosto, che vengono da anni o da decenni e che sanno come
muoversi qui e che ci aiutino. Questo si può fare solo
ad agosto.
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Gioventù impegnata in una discussione su argomenti misteriosi
Foto di Giuseppe Aiello |
“Ci piace moltissimo aprire
la Comune”
La meteorologia con noi è stata gentilissima, potenti
scrosci pomeridiani fino a giovedì e poi dal lunedì,
ma nel fine settimana clima perfetto. In questo modo il capannone,
che porta questo nome in memoria del suo umile passato, ma oggi
è una nobile sala che introduce alla scuola, poteva essere
usato di pomeriggio per le presentazioni e la sera lasciato
agli infanti con proiezioni più adatte a loro, che se
li fai crescere a filmati sulle devastazioni operate dalle compagnie
minerarie rischi che vengano su davvero con una visione del
mondo eccessivamente fosca.
A proposito di cinema: come cronista faccio veramente pietà;
per intero non ho visto quasi niente a parte il film di Danilo
Licciardello sulle New Breeding Techniques (i nuovi Ogm), ma
solo perché è un amico e non voglio fare poi brutta
figura quando qualcuno mi chiede com'è il suo nuovo documentario.
Vista l'eclatante parzialità non ne faccio elogi e mi
limito a dire che ha un andamento lieve di gusto pop ed è
pieno di informazioni che mi erano totalmente sconosciute, quindi
di per sé visione utilissima.
Poi ho seguito El secreto de la belleza - Pueblos en defensa
de la tierra di Néstor Jiménez che narra dei
tentativi di resistenza delle popolazioni del Chiapas all'assalto
del sistema Stato-multinazionali alle sue risorse creando potere
e soldi per pochi e povertà e desertificazione per chi
su quelle terre ci ha sempre vissuto. Molto ben realizzato,
anche dal punto di vista dell'immagine: se riuscissimo a far
vedere alla gioventù cose del genere al posto del mefitico
calcio benzodiazepina di cui si nutrono i popoli lobotomizzati,
magari faremmo anche qualche passo avanti invece della retromarcia
spedita alla quale assistiamo con un filo d'ansia.
Ciò vale anche per gli altri documentari – tra
i quali Mal d'Agri (1 & 2) sulle estrazioni petrolifere
in Basilicata; Entroterra, che parla dello spopolamento
delle aree appenniniche e forse più di tutti per il lungometraggio
argentino Chaco a proposito dei nativi sudamericani –
dei quali ho visto poco; me li sono fatti raccontare ed erano
tutti realizzati benissimo, anzi fin troppo bene, e la verità
è che riesco a tollerare la documentazione sull'umana
scelleratezza quando ce l'ho su carta, ma a vederla proiettata
su schermo mi avvilisco.
Ho partecipato invece a quasi tutto il resto, a cominciare dal
pre-festival di Oscar Agostoni che giovedì sera ha presentato
il suo monologo Controcanto in un tempo ostile, che si
interroga a venti anni di distanza (a noi sembra ieri, ma indispensabile
per chi a quei tempi andava all'asilo) sulle mai chiarite vicende
che circondarono e provocarono la morte di Maria Soledad Rosas
ed Edoardo Massari. Non c'è bisogno di motivare perché
Oscar abbia voluto essere presente qui, mentre si può
spiegare meglio le ragioni per le quali le comunarde si imbarcano
nell'impresa. Quali sono le ragioni principali per cui decidete
di interrompere tutte le attività e vi dedicate a questa
iniziativa?
Daniele – Perché ci piace moltissimo aprire
la Comune per discutere e confrontarci con gente che viene da
posti diversi su tematiche di interesse per tutti. Sono magari
persone che colgono questa occasione per conoscerci e venire
qui per la prima volta.
Gianfranco – In realtà se ricordo bene la prima
volta che lo abbiamo fatto sono state proprio delle persone
di Crocevia a proporci di fare una rassegna che portasse i loro
film anche qui, in zone e ambiti nei quali sono poco conosciute.
La cosa andò bene e abbiamo continuato. Per Urupia è
molto stimolante che ci vengano delle proposte dall'esterno,
ci fa sempre piacere. Poi ovviamente non siamo poi in grado
di accoglierle tutte, anzi, la maggior parte non ce la facciamo
a farle e dobbiamo dire di no, però è comunque
importante.
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Presentazione di Enoize, prima dell'attesa degustazione
Foto di Giuseppe Aiello |
Una visione troppo economicista
Ora, visto che sul manifestino c'è il logo di Crocevia
che è una Ong che sul suo sito riporta: “Le nostre
fonti di finanziamento sono e sono state quelle messe a disposizione
dal Ministero agli Affari Esteri, dall'Unione Europea, dalle
Agenzie ONU, dagli Enti locali, dalle Fondazioni e dai privati
cittadini”, viene spontanea la domanda: a voi chi vi finanzia?
Comune? Provincia? Regione?
Mi guarda stortissimo; alla sua torva occhiata rispondo –
“Dai fammi fare l'intervistatore scemo...”
– Nessuno.
Daniele, appena meno laconico, precisa: – Ci finanziano
le compagne e i compagni che vengono qui e lasciano un contributo
per l'iniziativa, quello è il “finanziamento”.
Oltre a quello di Crocevia sul manifestino c'è il logo
di Genuino Clandestino, come mai?
Gianfranco – Perché siamo tra gli organizzatori
e ospiti del prossimo incontro di GC, a ottobre, e sarà
uno degli argomenti centrali anche in questi giorni. Si tratta
di mettere in connessione il nostro agire qui, in questo posto,
con il tutto, con quello che ci circonda e che sta fuori di
qui. Noi non siamo “ambientalisti” – cioè
quelli che si occupano della tutela dell'ambiente – casomai
siamo “ecologisti”, è l'intero ambiente di
cui facciamo parte che ci riguarda.
E della ormai non così breve storia di GC, che finalmente
va a tornare a sud dopo parecchi anni, e delle sue prospettive
si è parlato a lungo di domenica con Movimento Terre,
al quale fanno riferimento lavoratrici e lavoratori della terra
della Puglia e della Lucania. Su un piano parallelo si muovono
le Cucine in Movimento di Roma, che cercano di mettere in relazione
città e campagna affrontando tra l'altro le spinose questioni
che riguardano la qualità del cibo e la sostenibilità
economica dei prodotti non avvelenati per i detentori di portafoglio
leggero.
Ciò che mette in connessione il tutto è stato
sottolineato da Agostino quando, prima di una illuminante lezione
di Vitale Nuzzo sulla coltivazione della vite che ha messo in
discussione molte certezze date per acquisite, ha affermato
(cito approssimativamente) che l'intera iniziativa è
rivolta a documentare e denunciare l'aggressione che il capitalismo
opera quotidianamente ai danni delle terre e dell'ambiente in
generale e ad affrontarla non solo in forma oppositiva ma anche
con intenti propositivi. Il giorno dopo gli ho chiesto se ritenga
che questo termine – “Capitalismo” –
sia adeguato per descrivere le forze, il sistema al quale cerchiamo
di opporci. Agostino mi ha risposto che il capitalismo è
l'organizzazione basata sul riconoscimento della proprietà
e quindi sull'accumulo del capitale e che tutto ciò che
ci troviamo davanti – sfruttamento, guerre, distruzione
del territorio e così via – è fondato sul
principio per il quale si può possedere, qualcosa può
essere proprietà di qualcuno.
La mia obiezione è che una visione di questo tipo è
fortemente economicista, non descrive le molteplici, fluide
e articolate dinamiche del dominio e mostra tutti i limiti di
una lettura marxista della società. La replica è
stata che non si tratta di una visione marxista perché
questa delinea l'economia come struttura e il resto come sovrastruttura,
mentre i diversi aspetti sono connessi in modo indissolubile.
Come si può immaginare potrei continuare ad argomentare
lungamente per motivare il mio profondo dissenso verso un'analisi
di questo tipo, ma già intravedo lettori dotarsi di lamette
a uso taglio vene e quindi magnanimamente soprassiedo. Per scelta
e per fortuna ci sono stati interventi dedicati al puro piacere
consapevole del vino con raffinati interventi storico-antropologici
(Flavio Castaldo), edonistico-ricreativi (Michele Marangio)
e, ideale punto d'arrivo (ma solo per ripartire) del nostro
microviaggio, la presentazione di Enoize.
La psicologa-sommelier Gabriella Rubino e il bevitore-hacker
Dario Biagetti hanno condotto una degustazione “naturalmente
contro il fascismo” con una definizione che poteva sembrare
retorica, e che invece parte da una storia brutta e pesante
e cerca di muoversi in territori nei quali, ci hanno spiegato,
negli ultimi anni si sta sviluppando una grottesca ideologia
nazionalista e identitaria. Iniziando anche simbolicamente da
Lucca, dove i nipotini di Benito alle elezioni hanno preso otto
punti percentuali.
In definitiva – come sempre qui – molta legna sul
fuoco, di storie vissute e dette, in pubblico e in privato;
tra queste alcune che riporterei volentieri ma, siccome fanno
parte delle narrazioni personali, mi autocensuro. Un buon posto
per parlare e per ascoltare. Meno male che a Urupia ci sono
i campi ma non c'è campo, o almeno non tanto, non abbastanza.
Giuseppe Aiello
Sulle orme di Amedeo ed Eduardo
foto di: Roberto Gimmi
Marghera
(Ve), Ateneo degli Imperfetti, 15 settembre - Un'ottantina
di persone
hanno partecipato al seminario organizzato dal Laboratorio
Libertario/Ateneo degli Imperfetti
di Marghera e dal Centro studi libertari/Archivio Giuseppe
Pinelli di Milano a partire
dalle riflessioni e dalle biografie di due militanti anarchici
scomparsi di recente,
Amedeo Bertolo ed Eduardo Colombo. Numerosi gli interventi
e le relazioni, vivace il dibattito. |
Massenzatico (Re)/
Tra cappelletti e cultura libertaria
Massenzatico
(Reggio Emilia), 5-7 ottobre 2018 - Tre giornate di grandi
mangiate, musica, cultura, libri, dibattiti, vaccinazione
antiautoritaria, critica dell'Onu, gastronomia nigeriana
e sinta, poesie, torneo di calcetto senza il balilla,
macchina infernale e tante altre diavolerie. Un migliaio
le persone passate al convegno “Cucine senza confini”
e alle iniziative collaterali, presso il circolo Arci
“Cucine del Popolo”.
Per saperne di più e contattarli:
www.cucinedelpopolo.org
cuocarossonera@gmail.com.
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