rivista anarchica
anno 48 n. 429
novembre 2018





La parola mancante

Il ragazzo camminava sulla spiaggia quando notò la ragazza che mangiava un gelato in riva al mare. Era accucciata su un asciugamano, come infreddolita. Fu colpito dall'abbinamento cromatico del cono che teneva in mano: il colore rosso sanguigno faceva da contrappunto al giallo intenso che aveva sfumature arancioni.
<Scusami, ma che razza di gusti sono?> le chiese un po' sfacciatamente.
<Mango e lampone> rispose lei senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte.
<Mah...saranno anche esotici e buoni.... Per conto mio preferisco i gusti cremosi. Che so? Pistacchio e cioccolato... quelli sì che danno soddisfazione>
<Io evito il latte e i suoi derivati. È una scelta di alimentazione>
<Tipo un'allergia?>
<Tipo...> annuì lei con un sorriso.
Lui ci pensò sopra, poi le chiese a bruciapelo: <Almeno il caffè puoi berlo?>
<Certo, mi piace molto>
<Allora te ne offro uno>
Il ragazzo indicò il piccolo bar sulla spiaggia. Era semideserto nonostante fosse ormai tardo pomeriggio. La giornata, del resto, non era delle migliori. Il sole di giugno faticava a fare breccia tra le nuvole, e l'umidità appassiva il vigore dei suoi raggi.
Si sedettero a un tavolo esterno del bar e ordinarono due caffè.
<Mi porti anche un bacio di dama> disse il ragazzo al cameriere.
Poi, rivolgendosi alla ragazza, aggiunse: <Tanto tu non puoi mangiarlo, vero?>
<Esistono anche le eccezioni> rispose lei un po' piccata. <Ma non preoccuparti. Ordino un cioccolatino fondente. Lo abbino sempre al caffè>
<...come vuoi>
Alle parole adesso era subentrata una strana forma di reticenza. Più che imbarazzo o timidezza, era la paura di esporsi, di scoprire troppo presto le carte. Il ragazzo non sapeva chi avesse di fronte, e lo stesso valeva per la ragazza. Era carina, certo, ed era bello il contrasto tra il verde dei suoi occhi e il viola del vestito. Ma temeva i rischi che sempre si accompagnano a un incontro.
<Più conosciamo una persona, più arriviamo a scoprire cose che non avevamo previsto nella nostra idealizzazione, e che spesso non ci piacciono> disse rompendo il silenzio.
<È una possibilità> disse la ragazza. <Ma perché mi dici questo?>
<Ha a che vedere con il mistero... quando cala, ci riconsegna alla realtà> disse enigmatico.
<Continuo a non capire... Senti, forse è meglio che me ne vada>
<No, aspetta>
Il sole era ormai scomparso dal cielo senza neppure regalare l'illusione di un tramonto. Le tazzine vuote sembravano il segno di una resa. I due ragazzi, adesso, non parlavano più. Si limitavano a rimuginare a testa bassa i propri pensieri. Poi il ragazzo riprese voce.
<Ho letto un libro strano, recentemente. S'intitola La parola mancante. Parla di un uomo che accetta per scommessa di scrivere un racconto che contenga una lista di parole scelte dallo sfidante. Trenta in tutto per una lunghezza massima di quattro pagine in trenta minuti. L'uomo è uno scrittore, ed è talmente sicuro di sé da riderci sopra. È una scommessa già vinta pensa. Man mano che procede con la stesura, però, capisce di aver sottovalutato la prova. Nelle prime tre pagine ha usato solo venti parole. Deve farcene stare altre dieci nell'ultima parte della storia. A fatica, piegando la trama e allungando il finale, riesce a sfoltire la lista. Sette, sei, cinque... finché arriva a un'unica parola mancante. Ha solo una riga a disposizione, quella che chiuderà il racconto...>
La ragazza lo guardava stranita. Non le era facile seguire il filo di quel discorso, eppure voleva ascoltarne il seguito.
<L'uomo> proseguì il ragazzo <comincia ad agitarsi, scalpita, si dispera. Mancano solo due minuti e non trova la collocazione giusta per quell'ultima, dannata parola. Un minuto e mezzo. Un minuto. È un conto alla rovescia che moltiplica l'ansia. Perché non gli hanno messo nella lista parole degne di un gran finale? Amore, libertà, coraggio... perfino principe azzurro. Tutto sarebbe meglio. Che se ne fa di quell'unica parola mancante, difficile da piazzare come una banconota strappata? Così il tempo scade, e lui finisce per perdere la scommessa...>
<Che storia assurda...> commentò lei.
<Te l'avevo detto che è un libro strano>
<Mi resta la curiosità di sapere qual è la parola mancante>
<Ah già... Raviolo>
<Raviolo?> ripeté la ragazza cominciando a ridere.
<Capisci che è un gran casino finire un racconto con un raviolo, a meno di considerarlo come un indigeribile soprannome tra innamorati. A questa stregua preferisco un racconto incompiuto> disse lui.
<Certo che sei un tipo eccentrico...> disse la ragazza. <Perché mi hai raccontato tutta questa storia?>
<Non so. Forse solo perché mi è venuta fame. Qui vicino c'è un ristorante cinese. Ti va se ci andiamo a cena?>

Paolo Pasi