autogestione
Una proposta sovversiva
di Guido Candela
Proprio su questo argomento, Guido
Candela ha recentemente scritto con Toni Senta un libro per
la casa editrice Elèuthera (La pratica dell'autogestione).
Prendendo spunto dalle affermazioni
di Errico Malatesta del 1924-25: «credo che non vi sia
“una soluzione” ai problemi sociali, ma mille soluzioni
diverse e variabili» (Pensiero e Volontà,
n. 9, 1924), quindi «poiché non si può convertire
la gente tutta in una sola volta e non ci si può isolare
... realizzare quanto più di anarchia è possibile
in mezzo a gente che non è anarchica o lo è in
gradi diversi» (Pensiero e Volontà, n. 12,
1925), Francesco Codello (in
apertura di A Rivista Anarchica, n. 425, maggio 2018)
propone una rivisitazione delle strategie dell'anarchismo che
vuol dire un'anarchia che sostiene i suoi ideali in un dialogo
con altre correnti, «mai – come afferma Codello
– cercando d'imporli». Ciò comporta la fondamentale
questione, individuata da Codello stesso, della scelta degli
interlocutori, cui però si devono aggiungere altre due
questioni non meno fondamentali: la determinazione dello spazio
pratico di collaborazione e l'individuazione delle idee
oggetto di condivisione.
Dopo una riflessione sui tentativi e successi della variegata
storia moderna di autogestione anarchica, e con l'esito nell'evidenza
sperimentale di un forte altruismo condizionale all'adesione
a principi libertari (Candela e Senta, 2017), l'anarchia del
noi – che esprime l'utopia di una società fondata
su ordine spontaneo, solidarietà, mutuo appoggio, tolleranza,
eguaglianza e libertà senza dominio dell'uomo sull'uomo
e senza Stato – può cercare condivisioni in alcune
teorie economico-sociali con le quali riscontra tre punti e
un'intenzione comuni.
I tre punti sono: 1) la difesa di un'autogestione che è
razionalità del noi; 2) l'affermazione del federalismo;
3) il rifiuto del sistema capitalistico e del principio di dominio.
Cui si deve aggiungere l'intenzione di mutare davvero l'esistente.
Allora, lo spazio pratico di collaborazione è l'autogestione
(quindi il federalismo), le idee da condividere sono le opposizioni
alla logica dell'Io, alla competizione per il profitto individuale
e il rifiuto del dominio.
Con più dettaglio, questa indicazione conferma la seguente
conclusione di Codello: «Da queste premesse deriva l'inevitabilità
di fare una scelta molto più ampia e articolata nel definire
e scegliere i nostri interlocutori. Ciò che resta inevitabilmente
ancora valido è l'esclusione di tutti quei soggetti che
consapevolmente e deliberatamente esercitano ruoli e praticano
volutamente relazioni di dominio» (Codello, cit., p. 8).
Lo sgretolamento progressivo del ruolo
dominante dello Stato
Seguendo la traccia sviluppata in Candela e Senta, La pratica
dell'autogestione, con queste premesse possiamo cercare
di indicare alcuni degli interlocutori con cui si può
sostenere questa autogestione, la cui diffusione ha il valore
di un “fare da sé”, che ha come contropartita
lo sgretolamento progressivo del ruolo dominante dello Stato.
1) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia dei beni
comuni. I beni comuni (commons) sono le foreste,
i pascoli, i sistemi di irrigazione, i bacini d'acqua. Ma anche
le grandi questioni che dominano le società del XXI secolo:
il dramma ambientale, il riscaldamento climatico, il reperimento
dell'energia, la preservazione delle biodiversità, dell'acqua,
del clima, dell'etere, del genoma umano, del ruolo della conoscenza
e della cultura.
Partendo dall'affermazione che né lo Stato né
la proprietà privata (e quindi il mercato) hanno successo
nel garantire l'efficienza e la sostenibilità dei beni
comuni, si afferma che l'autogoverno degli utenti, espressione
della razionalità del noi, è l'alternativa migliore
per i beni comuni: il premio nobel Ostrom (1990) ne indica i
facilitatori. Fra cui è importante la dimensione
del gruppo utilizzatore che non deve essere eccessivamente elevata
(ne è prova la recente analisi in Casari e Tagliapietra);
il suggerimento della Ostrom è di ricorrere a un processo
di «auto-trasformazione incrementale», un federalismo
che parte da piccole comunità per estendersi nell'autogestione,
coordinata e volontaria, di comunità sempre più
ampie (che risolvono in autonomia i conflitti più complessi),
fino a raggiungere la dimensione dei global commons.
Infine vogliamo osservare che nei sostenitori dell'Economia
dei beni comuni c'è «gente che non è anarchica
o lo è in gradi diversi». Infatti annotiamo che
molti dei facilitatori della Ostrom coincidono con i requisiti
dell'ordine spontaneo anarchico (Candela, 2014) e che queste
cooperative di utenti di diverso livello assomigliano molto
alle federazioni di federazioni dell'anarchia di Proudhon, di
Wolff e di Bookchin.
2) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia civile.
L'Economia civile, generalizzando ciò che è proprio
del terzo settore – beni di gratuità, beni relazionali
e beni comuni – estende il modello a tutti i beni prodotti
e consumati da una comunità. Andando oltre l'individualismo
del capitalismo per una visione di cooperazione fra le persone
in vista di un risultato mutualmente vantaggioso, il modello
propone una diversa percezione del problema: una visione comune
che punti sul sentimento del noi (Bruni e Zamagni, 2015).
La produzione avviene nell'ambito di imprese civili che
lavorano non per la massimizzazione del profitto dei proprietari,
ma per la massimizzazione del benessere dei portatori d'interesse,
per “progetti” sostenibili dal punto di vista sia
civile sia economico sia ambientale, che uniformandosi alla
«logica del Noi» incontrano la responsabilità
sociale (eliminano le in-civiltà del mercato) e risolvono
le esternalità (Becchetti e Borzaga, 2010).
Anche in questo caso, si possono riscontrare idee di «gente
che non è anarchica o lo è in gradi diversi»,
infatti l'impresa come un progetto di cooperazione e di reciprocità,
fondato sul mutuo appoggio e sulla solidarietà, che dà
valore alla “forza del lavoro comune”, è
il presupposto economico di Proudhon, contrapposto alla teoria
del plusvalore di Marx. Inoltre, il centro sociale dell'Economia
civile non è né l'individuo né lo Stato,
ma un processo che parte dal basso (bottom-up) per arrivare
all'intrapresa: sono i cittadini a fare voice, proprio come
nel federalismo anarchico.
3) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia della
condivisione. Gli esseri umani non agiscono solo per interessi
individuali (la logica del capitalismo e del mercato) o spinti
da obblighi morali (la logica del dono reciproco), ma esiste
un'altra via: la condivisione (sharing economy) per cui
il bene durevole (bene capitale o bene di consumo) diviene bene
condiviso. La condivisione è piena adesione alla
logica del noi, nella produzione, nel consumo e nella distribuzione
dei beni; è propria delle piccole comunità in
cui prevalgono empatia, conoscenza e familiarità (sharing
in), mentre la grande dimensione si profila come una catena
progressiva di comunità in condivisione (sharing out).
Inoltre, come risparmio di risorse, la condivisione pensa alla
società ecologica del futuro.
La storica divisione tra socialismo e anarchia
Chi sostiene l'Economia della condivisione probabilmente non
conosce l'anarchia, né la richiama esplicitamente, ma
continuiamo a notare che: i) la condivisione, già presente
nelle società ecologiche primitive, è evocata
dall'anarchia per le società non gerarchiche del futuro,
dove non si limita allo sharing dei beni di consumo, ma lo si
estende fino alla condivisione del capitale, cioè dei
mezzi di produzione (è l'usufrutto sostenuto da Bookchin);
ii) non si pensa alla (anzi si rinnega la) società organizzata
su una moltiplicazione indefinita di beni, servizi e diritti,
ma si auspica un'altra via dove né l'ideologia politica
del capitalismo finanziario né l'autorità dello
Stato siano dominanti.
4) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia della
decrescita. La decrescita sostiene di abbandonare l'obiettivo
della “crescita per la crescita”, che implica la
ricerca sfrenata del profitto, dell'accumulazione, della ricchezza
individuale, motivazioni di un capitalismo che è divenuto
una trappola ecologica. Mentre proclama l'edificazione di una
società alternativa che non è decrescita globale
ma decrescita selettiva o – che è lo stesso –
crescita selettiva (Latouche, 2008). Una trasformazione che
implica autoproduzione e reciprocità per delineare i
contorni di una società differente, che si liberi dall'imperialismo
dell'homo oeconomicus, ma assuma le caratteristiche di
una società fondata prima di tutto sull'autogestione
e sull'homo reciprocans, che persegue la razionalità
del noi anche nei confronti della natura.
L'economia della decrescita ha le caratteristiche di una società
fondata prima di tutto sull'autogestione in senso anarchico,
tanto che Latouche (2016) esplicitamente annovera fra i pionieri
della decrescita sia socialisti utopisti sia anarchici: Fourier,
Thoreau, Orwell, Kropotkin, Ellul, Bookchin, Castoriadis, Illich,
Tolstoj e Gandhi.
5) L'autogestione (e il federalismo) nel socialismo rivisitato.
Riconsiderando il socialismo, Alex Honneth (2015) rileva la
contraddizione tra libertà, uguaglianza, fraternità
se coniugate come sentimento dell'Io. Il socialismo post moderno
che voglia uscire da questa contraddizione deve affermare la
libertà sociale, non coercitiva, fondata sull'associazione
e cooperazione in una comunità solidale. La proposta
pratica è quella di un procedimento sperimentale,
costruito su esperimenti reiterati di libertà sociale,
che acquista una fattualità fondata sul denominatore
comune di esperienze autogestite, volontarie, solidali e associative
di lavoratori e cittadini. Questo comportamento volontario –
che richiede gli stessi facilitatori della Ostrom e dell'anarchia
– è la premessa di una vita comunitaria rivoluzionata,
una vera riorganizzazione sociale comunitarista, e non
la richiesta di un sistema distributivo più equo, che
è il fondamento di un socialismo «banalizzato»:
una riorganizzazione rivoluzionata dei rapporti produttivi e
sociali, un processo sperimentale che potrebbe iniziare con
immediatezza.
Pur ricordando la storica divisione tra socialismo e anarchia,
coniugata in termini di avversione al parlamentarismo, si noti
invece che la rivisitazione di Honneth, aderente alla seconda
Scuola di Francoforte, ha caratteristiche che si avvicinano
all'idea dell'anarchismo di Ward. L'immediatezza, il qui
e ora di Honneth, fa eco al qui e subito dell'anarchismo
post-classico (Candela e Senta, 2017), ed egli riconosce esplicitamente
che questo socialismo rivisitato ha le sue radici nel socialismo
utopistico e nell'anarchia classica.
“Non possiamo sempre stare tra di
noi”
Questa lista, che dà concretezza alle «forme»
che Patrick Mignard (2014) genericamente richiama come alternativa
al capitalismo mercantile per «smettere di delegare anche
i sogni di trasformazione ma portarli avanti nella nostra quotidianità»
(p. 46), non è esaustiva perché queste forme,
nate nel XIX secolo e poi sopite, riesplodono con il XXI secolo.
Sono forme che continuamente si aggiornano, creando un sistema
di economia del noi che va affermandosi in pratica (Carlini,
2011) e che in Candela e Senta (2017) trova conferma sperimentale
nel pensiero libertario.
«Emergono sempre di più nella società
comportamenti che sostituiscono in «noi» all'«io»,
la condivisione alla divisione, la cooperazione alla frammentazione
... nella quali gruppi di persone entrano in relazione e cercano
soluzioni comunitarie a problemi economici, ispirate a principi
di reciprocità, solidarietà, socialità,
valori ideali, etici o religiosi ... fuori dalla scena politica
istituzionale, ma con l'ambizione di portare una propria visione
politica nel fare quotidiano. Fuori dall'universo chiuso della
proprietà privata, nello spazio aperto dei beni comuni»
(Carlini, 2011, pp. VII-VIII).
Nell'ambito dell'economia del noi, l'anarchia del noi, marginalizzata
la visione politica della “presa del Palazzo” e
abbandonata l'idea escatologica di una Rivoluzione di là
da venire, rifiuta il capitalismo sia di mercato sia di Stato,
e dal punto di vista politico e pratico propone di superarli
entrambi richiamandosi all'autogestione “eletta”
a sistema, un'idea che fra gli anarchici compie ormai quasi
otto lustri:
«Gramigna sovversiva, l'autogestione può intrufolarsi
in ogni fessura, in ogni screpolatura, radicarvisi e sgretolare
il calcestruzzo del sistema, e diffondersi» (Bertolo,
1979, p. 36, ripubblicato in 2017, cap. 17)
«L'anarchia, condizione politica senza capi e senza
strutture centralizzate, rientra perfettamente tra le possibilità
di come governare la polis, attraverso tecnologie gestionali
che oggi definiamo di autogoverno» (Papi, 2016, p. 86)
Rispetto agli interlocutori, il contributo aggiunto dell'anarchia
sta nel porre in esplicita discussione il ruolo dello Stato;
l'anarchia percepisce questo problema con più immediatezza
e chiarezza rispetto alle altre visioni economiche e politiche,
in cui il tema rientra solo marginalmente. È degli anarchici
la convinzione che la vera autogestione sia contrastata da chi
esercita il dominio, fra cui c'è anche lo Stato, allorché
rifiuta il proprio dissolvimento di ruolo.
A differenza degli anni Settanta, l'autogestione degli anni
Novanta e quella che si sviluppa ulteriormente a cavallo del
millennio, in specie dopo la crisi mondiale iniziata nel 2008
dal fallimento della società di servizi finanziari Lehman
Brothers, non riguarda esclusivamente la produzione di merci,
ma investe la cultura, i beni essenziali e il poliedrico spazio
del consumo critico. Non si tratta solo di recuperare fabbriche
fallite e di rivitalizzarle per mezzo dell'autogestione dei
lavoratori, ma a esempio di far vivere spacci popolari autogestiti,
che entrano in una rete cittadina diversificata e policentrica
e assumono la forma di mense, gruppi di acquisto e distribuzione,
mercati biologici e a km 0, laboratori di autoproduzione, empori
solidali. La prassi di associare produttori, consumatori, servizi
e relazioni sociali in dimensioni libere dallo sfruttamento
e dal dominio è una declinazione dell'anarchismo.
L'autogestione anarchica fa infatti della critica pratica
alle perversioni del mercato un importante aspetto di sovversione
contro il sistema. Così pensando, l'anarchia contemporanea
si concentra su una prassi che inizia qui e subito e
che qui e subito è in grado di opporsi teoricamente e
praticamente al dominio statale e allo sfruttamento capitalista,
creando un altro mondo possibile. Allo stesso tempo è
un'azione pratica che consente all'anarchismo di rivolgersi
all'esterno: «Non possiamo sempre stare fra noi, pochi
ma buoni, ma nutrirci delle preoccupazioni degli altri e tentare
di porre il nostro sguardo obliquo al potere, con pazienza e
soprattutto senza quella saccenza e presunzione che deriva da
un mal inteso senso di superiorità» (Codello, cit.,
pp. 8-9).
Guido Candela |