rivista anarchica
anno 48 n. 429
novembre 2018


autogestione

Una proposta sovversiva

di Guido Candela

Proprio su questo argomento, Guido Candela ha recentemente scritto con Toni Senta un libro per la casa editrice Elèuthera (La pratica dell'autogestione).


Prendendo spunto dalle affermazioni di Errico Malatesta del 1924-25: «credo che non vi sia “una soluzione” ai problemi sociali, ma mille soluzioni diverse e variabili» (Pensiero e Volontà, n. 9, 1924), quindi «poiché non si può convertire la gente tutta in una sola volta e non ci si può isolare ... realizzare quanto più di anarchia è possibile in mezzo a gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi» (Pensiero e Volontà, n. 12, 1925), Francesco Codello (in apertura di A Rivista Anarchica, n. 425, maggio 2018) propone una rivisitazione delle strategie dell'anarchismo che vuol dire un'anarchia che sostiene i suoi ideali in un dialogo con altre correnti, «mai – come afferma Codello – cercando d'imporli». Ciò comporta la fondamentale questione, individuata da Codello stesso, della scelta degli interlocutori, cui però si devono aggiungere altre due questioni non meno fondamentali: la determinazione dello spazio pratico di collaborazione e l'individuazione delle idee oggetto di condivisione.
Dopo una riflessione sui tentativi e successi della variegata storia moderna di autogestione anarchica, e con l'esito nell'evidenza sperimentale di un forte altruismo condizionale all'adesione a principi libertari (Candela e Senta, 2017), l'anarchia del noi – che esprime l'utopia di una società fondata su ordine spontaneo, solidarietà, mutuo appoggio, tolleranza, eguaglianza e libertà senza dominio dell'uomo sull'uomo e senza Stato – può cercare condivisioni in alcune teorie economico-sociali con le quali riscontra tre punti e un'intenzione comuni.
I tre punti sono: 1) la difesa di un'autogestione che è razionalità del noi; 2) l'affermazione del federalismo; 3) il rifiuto del sistema capitalistico e del principio di dominio. Cui si deve aggiungere l'intenzione di mutare davvero l'esistente. Allora, lo spazio pratico di collaborazione è l'autogestione (quindi il federalismo), le idee da condividere sono le opposizioni alla logica dell'Io, alla competizione per il profitto individuale e il rifiuto del dominio.
Con più dettaglio, questa indicazione conferma la seguente conclusione di Codello: «Da queste premesse deriva l'inevitabilità di fare una scelta molto più ampia e articolata nel definire e scegliere i nostri interlocutori. Ciò che resta inevitabilmente ancora valido è l'esclusione di tutti quei soggetti che consapevolmente e deliberatamente esercitano ruoli e praticano volutamente relazioni di dominio» (Codello, cit., p. 8).

Lo sgretolamento progressivo del ruolo dominante dello Stato

Seguendo la traccia sviluppata in Candela e Senta, La pratica dell'autogestione, con queste premesse possiamo cercare di indicare alcuni degli interlocutori con cui si può sostenere questa autogestione, la cui diffusione ha il valore di un “fare da sé”, che ha come contropartita lo sgretolamento progressivo del ruolo dominante dello Stato.

1) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia dei beni comuni. I beni comuni (commons) sono le foreste, i pascoli, i sistemi di irrigazione, i bacini d'acqua. Ma anche le grandi questioni che dominano le società del XXI secolo: il dramma ambientale, il riscaldamento climatico, il reperimento dell'energia, la preservazione delle biodiversità, dell'acqua, del clima, dell'etere, del genoma umano, del ruolo della conoscenza e della cultura.
Partendo dall'affermazione che né lo Stato né la proprietà privata (e quindi il mercato) hanno successo nel garantire l'efficienza e la sostenibilità dei beni comuni, si afferma che l'autogoverno degli utenti, espressione della razionalità del noi, è l'alternativa migliore per i beni comuni: il premio nobel Ostrom (1990) ne indica i facilitatori. Fra cui è importante la dimensione del gruppo utilizzatore che non deve essere eccessivamente elevata (ne è prova la recente analisi in Casari e Tagliapietra); il suggerimento della Ostrom è di ricorrere a un processo di «auto-trasformazione incrementale», un federalismo che parte da piccole comunità per estendersi nell'autogestione, coordinata e volontaria, di comunità sempre più ampie (che risolvono in autonomia i conflitti più complessi), fino a raggiungere la dimensione dei global commons.
Infine vogliamo osservare che nei sostenitori dell'Economia dei beni comuni c'è «gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi». Infatti annotiamo che molti dei facilitatori della Ostrom coincidono con i requisiti dell'ordine spontaneo anarchico (Candela, 2014) e che queste cooperative di utenti di diverso livello assomigliano molto alle federazioni di federazioni dell'anarchia di Proudhon, di Wolff e di Bookchin.

2) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia civile. L'Economia civile, generalizzando ciò che è proprio del terzo settore – beni di gratuità, beni relazionali e beni comuni – estende il modello a tutti i beni prodotti e consumati da una comunità. Andando oltre l'individualismo del capitalismo per una visione di cooperazione fra le persone in vista di un risultato mutualmente vantaggioso, il modello propone una diversa percezione del problema: una visione comune che punti sul sentimento del noi (Bruni e Zamagni, 2015).
La produzione avviene nell'ambito di imprese civili che lavorano non per la massimizzazione del profitto dei proprietari, ma per la massimizzazione del benessere dei portatori d'interesse, per “progetti” sostenibili dal punto di vista sia civile sia economico sia ambientale, che uniformandosi alla «logica del Noi» incontrano la responsabilità sociale (eliminano le in-civiltà del mercato) e risolvono le esternalità (Becchetti e Borzaga, 2010).
Anche in questo caso, si possono riscontrare idee di «gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi», infatti l'impresa come un progetto di cooperazione e di reciprocità, fondato sul mutuo appoggio e sulla solidarietà, che dà valore alla “forza del lavoro comune”, è il presupposto economico di Proudhon, contrapposto alla teoria del plusvalore di Marx. Inoltre, il centro sociale dell'Economia civile non è né l'individuo né lo Stato, ma un processo che parte dal basso (bottom-up) per arrivare all'intrapresa: sono i cittadini a fare voice, proprio come nel federalismo anarchico.
3) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia della condivisione. Gli esseri umani non agiscono solo per interessi individuali (la logica del capitalismo e del mercato) o spinti da obblighi morali (la logica del dono reciproco), ma esiste un'altra via: la condivisione (sharing economy) per cui il bene durevole (bene capitale o bene di consumo) diviene bene condiviso. La condivisione è piena adesione alla logica del noi, nella produzione, nel consumo e nella distribuzione dei beni; è propria delle piccole comunità in cui prevalgono empatia, conoscenza e familiarità (sharing in), mentre la grande dimensione si profila come una catena progressiva di comunità in condivisione (sharing out). Inoltre, come risparmio di risorse, la condivisione pensa alla società ecologica del futuro.

La storica divisione tra socialismo e anarchia

Chi sostiene l'Economia della condivisione probabilmente non conosce l'anarchia, né la richiama esplicitamente, ma continuiamo a notare che: i) la condivisione, già presente nelle società ecologiche primitive, è evocata dall'anarchia per le società non gerarchiche del futuro, dove non si limita allo sharing dei beni di consumo, ma lo si estende fino alla condivisione del capitale, cioè dei mezzi di produzione (è l'usufrutto sostenuto da Bookchin); ii) non si pensa alla (anzi si rinnega la) società organizzata su una moltiplicazione indefinita di beni, servizi e diritti, ma si auspica un'altra via dove né l'ideologia politica del capitalismo finanziario né l'autorità dello Stato siano dominanti.

4) L'autogestione (e il federalismo) nell'Economia della decrescita. La decrescita sostiene di abbandonare l'obiettivo della “crescita per la crescita”, che implica la ricerca sfrenata del profitto, dell'accumulazione, della ricchezza individuale, motivazioni di un capitalismo che è divenuto una trappola ecologica. Mentre proclama l'edificazione di una società alternativa che non è decrescita globale ma decrescita selettiva o – che è lo stesso – crescita selettiva (Latouche, 2008). Una trasformazione che implica autoproduzione e reciprocità per delineare i contorni di una società differente, che si liberi dall'imperialismo dell'homo oeconomicus, ma assuma le caratteristiche di una società fondata prima di tutto sull'autogestione e sull'homo reciprocans, che persegue la razionalità del noi anche nei confronti della natura.
L'economia della decrescita ha le caratteristiche di una società fondata prima di tutto sull'autogestione in senso anarchico, tanto che Latouche (2016) esplicitamente annovera fra i pionieri della decrescita sia socialisti utopisti sia anarchici: Fourier, Thoreau, Orwell, Kropotkin, Ellul, Bookchin, Castoriadis, Illich, Tolstoj e Gandhi.

5) L'autogestione (e il federalismo) nel socialismo rivisitato. Riconsiderando il socialismo, Alex Honneth (2015) rileva la contraddizione tra libertà, uguaglianza, fraternità se coniugate come sentimento dell'Io. Il socialismo post moderno che voglia uscire da questa contraddizione deve affermare la libertà sociale, non coercitiva, fondata sull'associazione e cooperazione in una comunità solidale. La proposta pratica è quella di un procedimento sperimentale, costruito su esperimenti reiterati di libertà sociale, che acquista una fattualità fondata sul denominatore comune di esperienze autogestite, volontarie, solidali e associative di lavoratori e cittadini. Questo comportamento volontario – che richiede gli stessi facilitatori della Ostrom e dell'anarchia – è la premessa di una vita comunitaria rivoluzionata, una vera riorganizzazione sociale comunitarista, e non la richiesta di un sistema distributivo più equo, che è il fondamento di un socialismo «banalizzato»: una riorganizzazione rivoluzionata dei rapporti produttivi e sociali, un processo sperimentale che potrebbe iniziare con immediatezza.
Pur ricordando la storica divisione tra socialismo e anarchia, coniugata in termini di avversione al parlamentarismo, si noti invece che la rivisitazione di Honneth, aderente alla seconda Scuola di Francoforte, ha caratteristiche che si avvicinano all'idea dell'anarchismo di Ward. L'immediatezza, il qui e ora di Honneth, fa eco al qui e subito dell'anarchismo post-classico (Candela e Senta, 2017), ed egli riconosce esplicitamente che questo socialismo rivisitato ha le sue radici nel socialismo utopistico e nell'anarchia classica.

“Non possiamo sempre stare tra di noi”

Questa lista, che dà concretezza alle «forme» che Patrick Mignard (2014) genericamente richiama come alternativa al capitalismo mercantile per «smettere di delegare anche i sogni di trasformazione ma portarli avanti nella nostra quotidianità» (p. 46), non è esaustiva perché queste forme, nate nel XIX secolo e poi sopite, riesplodono con il XXI secolo. Sono forme che continuamente si aggiornano, creando un sistema di economia del noi che va affermandosi in pratica (Carlini, 2011) e che in Candela e Senta (2017) trova conferma sperimentale nel pensiero libertario.

«Emergono sempre di più nella società comportamenti che sostituiscono in «noi» all'«io», la condivisione alla divisione, la cooperazione alla frammentazione ... nella quali gruppi di persone entrano in relazione e cercano soluzioni comunitarie a problemi economici, ispirate a principi di reciprocità, solidarietà, socialità, valori ideali, etici o religiosi ... fuori dalla scena politica istituzionale, ma con l'ambizione di portare una propria visione politica nel fare quotidiano. Fuori dall'universo chiuso della proprietà privata, nello spazio aperto dei beni comuni» (Carlini, 2011, pp. VII-VIII).

Nell'ambito dell'economia del noi, l'anarchia del noi, marginalizzata la visione politica della “presa del Palazzo” e abbandonata l'idea escatologica di una Rivoluzione di là da venire, rifiuta il capitalismo sia di mercato sia di Stato, e dal punto di vista politico e pratico propone di superarli entrambi richiamandosi all'autogestione “eletta” a sistema, un'idea che fra gli anarchici compie ormai quasi otto lustri:

«Gramigna sovversiva, l'autogestione può intrufolarsi in ogni fessura, in ogni screpolatura, radicarvisi e sgretolare il calcestruzzo del sistema, e diffondersi» (Bertolo, 1979, p. 36, ripubblicato in 2017, cap. 17)

«L'anarchia, condizione politica senza capi e senza strutture centralizzate, rientra perfettamente tra le possibilità di come governare la polis, attraverso tecnologie gestionali che oggi definiamo di autogoverno» (Papi, 2016, p. 86)

Rispetto agli interlocutori, il contributo aggiunto dell'anarchia sta nel porre in esplicita discussione il ruolo dello Stato; l'anarchia percepisce questo problema con più immediatezza e chiarezza rispetto alle altre visioni economiche e politiche, in cui il tema rientra solo marginalmente. È degli anarchici la convinzione che la vera autogestione sia contrastata da chi esercita il dominio, fra cui c'è anche lo Stato, allorché rifiuta il proprio dissolvimento di ruolo.
A differenza degli anni Settanta, l'autogestione degli anni Novanta e quella che si sviluppa ulteriormente a cavallo del millennio, in specie dopo la crisi mondiale iniziata nel 2008 dal fallimento della società di servizi finanziari Lehman Brothers, non riguarda esclusivamente la produzione di merci, ma investe la cultura, i beni essenziali e il poliedrico spazio del consumo critico. Non si tratta solo di recuperare fabbriche fallite e di rivitalizzarle per mezzo dell'autogestione dei lavoratori, ma a esempio di far vivere spacci popolari autogestiti, che entrano in una rete cittadina diversificata e policentrica e assumono la forma di mense, gruppi di acquisto e distribuzione, mercati biologici e a km 0, laboratori di autoproduzione, empori solidali. La prassi di associare produttori, consumatori, servizi e relazioni sociali in dimensioni libere dallo sfruttamento e dal dominio è una declinazione dell'anarchismo.
L'autogestione anarchica fa infatti della critica pratica alle perversioni del mercato un importante aspetto di sovversione contro il sistema. Così pensando, l'anarchia contemporanea si concentra su una prassi che inizia qui e subito e che qui e subito è in grado di opporsi teoricamente e praticamente al dominio statale e allo sfruttamento capitalista, creando un altro mondo possibile. Allo stesso tempo è un'azione pratica che consente all'anarchismo di rivolgersi all'esterno: «Non possiamo sempre stare fra noi, pochi ma buoni, ma nutrirci delle preoccupazioni degli altri e tentare di porre il nostro sguardo obliquo al potere, con pazienza e soprattutto senza quella saccenza e presunzione che deriva da un mal inteso senso di superiorità» (Codello, cit., pp. 8-9).

Guido Candela