rivista anarchica
anno 48 n. 429
novembre 2018




Dibattito su Stirner/ La questione del canone (anarchico)

La questione principale che Marco Cossutta pone nel suo commento al mio articolo “Max Stirner (forse) non era anarchico” (rispettivamente nello scorso numero e in “A” 427, estate 2018) è se sia legittimo o meno accreditare all'anarchismo un canone da usare come criterio per valutare se un filosofo – nel nostro caso parliamo di Max Stirner – sia da arruolare o meno fra i teorici dell'anarchia.
Marco Cossutta risponde che un canone anarchico non esiste e che pertanto l'indagine sull'appartenenza o meno a tale canone non sembrerebbe avere molto senso. Anch' io sono dello stesso avviso, per una serie di motivi che si potrebbero così riassumere: il pensiero anarchico non si lega ad una specifica scuola o a un pensatore particolare; molti interpreti concordano sul fatto che teorie e prassi libertarie sono presenti nel corso della storia, a partire dall'antichità e nei contesti geografici più diversi; non è esistita e non esiste una concordanza ideologica generalizzata tra i simpatizzanti ed i militanti anarchici, anche su questioni importanti, ad esempio quando e con quali limiti sia legittimo l'uso della violenza in contesti sociali e privati.

Profilo di Max Stirner disegnato
a memoria, alcuni decenni dopo
la sua morte, da Friedrich Engels

Se non esiste un canone dell'anarchia, una teoria universalmente condivisa da cui l'anarchismo ha preso avvio, sicuramente esiste una data d'origine del movimento anarchico organizzato, che coincide con quella dell'Internazionale dei lavoratori, o “Prima Internazionale” (1864). Gli anarchici si caratterizzano come la componente rivoluzionaria e libertaria dell'Internazionale, attorno ad un leader riconosciuto, il russo Michele Bakunin, ed in opposizione alle tendenze riformiste ed autoritarie. Soprattutto nel contrasto ideologico e programmatico con Marx e la corrente che faceva a lui riferimento, gli anarchici e Bakunin in particolare, definirono alcuni aspetti importanti dell'anarchismo sul piano programmatico, organizzativo e dottrinario. Bakunin è considerato il personaggio di spicco dell'anarchismo ottocentesco e scritti come Dio e lo Stato e Stato e anarchia due sintesi insuperate della dottrina dell'anarchismo.
Cossutta sostiene che dal punto di vista teorico l'anarchismo è rappresentabile non attraverso un canone ma come un ideal tipo che può costituire un punto di riferimento e un discrimine; occorrerebbe però precisare che con modello ideale non si deve e non si può intendere un modello astratto o del tutto arbitrario, che prescinde dalla realtà storica e dal dibattito teorico che da alcuni secoli caratterizzano l'anarchismo.
Sul piano dottrinario, ad esempio, ci sono una serie di costanti, di punti fermi ideologici, che troviamo in tutti, o quasi, i cosiddetti teorici dell'anarchismo. Alcuni di questi assunti sono notissimi: la critica del potere imposto dall'alto, attraverso una gerarchia; l'esaltazione della libertà fondata sull'idea che ogni individuo sia capace di farne un uso socialmente apprezzabile; l'idea che tutti gli individui anche se sostanzialmente originali sono uguali sotto molte prospettive, ad esempio nei loro diritti fondamentali. Se la dottrina anarchica può identificarsi piuttosto con un tipo ideale di dottrina che con quella di questo o quel “padre” dell'anarchismo, è pur vero che questo tipo ideale deve avere dei contenuti specifici, altrimenti non avrebbe senso parlare di anarchia.
Nel mio intervento sulla rivista, “Max Stirner (forse) non era anarchico”, sostenevo che su alcune questioni fondamentali, come quella della libertà e dell'uguaglianza, le posizioni di Stirner non erano in linea con quelle ricorrenti in quasi tutti i pensatori anarchici, quindi parte di quel modello tipico o ideale di anarchismo costruito o costruibile a partire dalla storia politica e teorica del movimento anarchico.

Enrico Ferri
Roma



L'immaginazione al potere?/ La risposta di Claudio Lolli

Nel marzo scorso, in occasione del cinquantennale del maggio '68 e in previsione del fiume di parole, anche retoriche, che avrebbero invaso i media per la ricorrenza, avevo voluto realizzare per la Rete Due della Radio Svizzera di lingua italiana, una trasmissione che, pur ricordando quella data, non ripercorresse la tradizionale ricostruzione storica con testimoni e protagonisti più o meno autorevoli.
Ho preso spunto dal famoso slogan “L'immaginazione al potere” e ho “giocato” proprio con l'immaginazione tanto da fantasticare di un ipotetico “Sessantotto vincente”. Ho così “costretto” i miei interlocutori a montare su un'ipotetica, quanto improbabile, macchina del tempo per essere trasportati al primo giugno del 1968 e, una volta giunti a quella data, raccontarmi quello che vedevano attorno a loro. Com'era cambiato il mondo dopo che l'immaginazione aveva effettivamente “preso il potere”. Si è trattato, ovviamente, di quello che i francesi chiamano divertissement senz'altra pretesa se non quella di evidenziare le distanze, spesso abissali, tra i sogni e i desideri di quell'epoca e la realtà presente.
Al gioco parteciparono il giornalista Piero Scaramucci, il filosofo Franco Berardi (Bifo), il regista cinematografico Bruno Bigoni, il musicista e compositore jazz Gaetano Liguori, il regista teatrale Sandro Tore, il regista documentarista Luca Vasco e poi ancora: Stefania, imprenditrice; Tonino, uno dei fondatori della Comune Urupia; Giovanna, insegnante e il cantautore, scomparso lo scorso 17 agosto, Claudio Lolli. Benché già pesantemente minato nel fisico dalla malattia, in nome di un rapporto quasi ventennale di reciproca stima, Lolli aveva acconsentito di ricevermi nel suo appartamento bolognese e rispondere alla mia inverosimile domanda. Com'era sempre stato nel suo stile, Claudio però non indugiò in “voli pindarici” o in fantasie più o meno consolatorie e, invertita l'immaginaria macchina del tempo, senza dichiararlo, ritornò a quel giovedì 29 marzo in cui ci stavamo incontrando, ossia venticinque giorni dopo il 4 marzo, data delle elezioni italiane. Questa che segue fu la sua risposta, una risposta che merita attenzione e riflessione.
Claudio Lolli - “L'immaginazione ha due facce: una molto bella, infantile e un'altra che tende all'horror, io sono un grande amante dei film horror... Allora, io questo primo giugno 1968, lo vedrei così, con degli omini piccolini, che avanzano, si mettono insieme, battono le mani e inneggiano a qualche cosa che io non capisco, che non conosco... dicono una parola che non mi ricorda nulla, non riesco neanche a sentirla bene, forse onestà, non lo so. Ah, ma non è finita lì: perché, dalla parte opposta (siamo a Roma), nel grande corso, arriva un'altra serie di omini piccolini, solo un pochino diversi e anche loro sono molto contenti, inneggiano a qualcosa... anche qui parole che non capisco... forse, la parola che dicono questi è onagrocrazia? Potrebbe essere. I due gruppi si uniscono, s'incrociano, si abbracciano, si sbeffeggiano, si picchiano? Non si capisce bene... questo è il senso dell'horror naturalmente. Poi alla fine si scopre che l'immaginazione è al potere, perché oggi l'immaginazione è davvero al potere in Italia. Cioè, tutto questo non è possibile, non è reale, io mi auguro che sia immaginario e che questo film finisca il più presto possibile... I due gruppi sono guidati da l'onorevole Di Maio e dall'onorevole Salvini, ecco qua: l'immaginazione è arrivata al potere nel senso che quello che non era immaginabile fino a qualche mese fa è successo. Allora attenzione: l'immaginazione al potere era un bel sogno, ma è diventato un brutto incubo.”

Romano Giuffrida
Reggio Emilia



Botta.../ Ma gli anarchici non possono stare con i comunisti

Cara redazione di “A”,
sono stata negli anni 80 una seguace del vostro giornale insieme a Il Male, Frigidaire etc. Compravo libri dalle Edizioni Anarchismo di Bonanno e vengo da una famiglia anarchica, il mio prozio uccise un prete negli anni 20 e fuggì in Uruguay dove è morto nel 1960 (Angelo Bartolomei).
Devo dire però che ho smesso di seguirvi perché credo che chi è anarchico non può essere comunista. Non condivido l'abbaiare per il Vietnam e lo scodinzolare verso l'occupazione del Tibet da parte dei comunisti cinesi. Sono stata in Cecoslovacchia nei primi anni 80 e devo dire che reputo il comunismo la peggiore sciagura dell'umanità. Aggiungo che comunque sia si vive meglio sotto il fascismo che sotto il comunismo e questo lo dimostra cosa sta succedendo in Venezuela.
Insomma gli anarchici non possono stare assieme ai fascisti ma nemmeno ai comunisti e per questo non vi seguo più.
Cordiali saluti.

Federica Biagioni
Follonica (Gr)



...e risposta/ Nessuna graduatoria tra totalitarismi

Cara Federica,
partiamo dalla tua famiglia. Abbiamo chiesto al nostro storico (nel doppio senso del termine: è uno storico e collabora con “A” da tempo immemorabile) Massimo Ortalli, uno dei responsabili dell'Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana (Fai), di raccontarci un po' chi era il tuo prozio e perché aveva ucciso un prete (vedi box qui di seguito).
Passiamo alle tue affermazioni. Chi è anarchico non può essere comunista, sostieni. Ti sbagli, perché certo non può essere leninista o stalinista o... ma il comunismo (come parola e come concetto) non è patrimonio esclusivo dei comunisti autoritari e dei marxisti. Errico Malatesta, per citare il più rappresentativo degli anarchici, usava tranquillamente il concetto di comunismo anarchico come sostanziale sinonimo della propria concezione di anarchia. E tuttora ci sono, non solo in Italia, molti anarchici che si definiscono comunisti anarchici. È un loro “diritto” e non per questo vanno accomunati neppure tangenzialmente ai comunisti... nel senso comune del termine. Né la loro estraneità e opposizione al comunismo di Stato, o autoritario che dir si voglia, è meno chiara della nostra.
A nostro avviso, l'abuso che è stato fatto del concetto di “comunismo” dalle persone, dai partiti e dagli stati sedicenti comunisti ha talmente stravolto il significato originario della parola che, per essere chiari ed evitare qualsiasi equivoco, non ci definiamo “comunisti anarchici”.
Se dovessimo usare altre espressioni che non sia quella semplice di anarchici, ci piacerebbe pensarci come i libertari del socialismo (parola sicuramente meno compromessa di comunismo).
Nessun nostro esserci appiattiti sull'anti-americanismo né sul filo-comunismo ai tempi della guerra del Vietnam (iniziata ben prima della nascita di “A”): una sporca pace per una sporca guerra, si intitolava nel '73 un nostro editoriale che metteva in luce le responsabilità del blocco comunista accanto a quelle a stelle e strisce. Sulla Cina, come rivista e casa editrice L'Antistato (con “Gli abiti nuovi del Presidente Mao” di Simon Leys), non abbiamo fatto nemmeno uno sconto alla dittatura comunista di Mao e successori. Né per il Tibet (pur non simpatizzando per il risibile piccolo Buddha) né per altro. Sulla Cecoslovacchia '68, come sull'Ungheria '56, ma potremmo risalire alla gestione bolscevica della Rivoluzione russa, già nel '17, abbiamo avuto – e ci riferiamo alla quasi totalità del movimento anarchico – una linea di coerenza pagata nei gulag staliniani e ovunque i filo-bolscevichi comandavano.
Si stava meglio sotto il fascismo? Non ci interessano le sottili distinzioni. Fascismo, nazismo, stalinismo, una parte degli attuali regimi religiosi, tutte le forme di totalitarismo hanno caratteristiche di fondo che rendono impossibile qualsiasi forma di libera espressione, diritto umano e civile, opposizione allo sfruttamento sul posto di lavoro, ecc. Non ci interessa valutarli uno per uno, per improbabili graduatorie.
Noi siamo critici con il modello statale, ma sappiamo riconoscere quando esistano, seppure solo in parte e/o minacciate, quote di libertà. Sappiamo e vogliamo distinguere tra totalitarismi e democrazie, nel solco delle riflessioni di Luce Fabbri e di altre e altri anarchiche e anarchici. Sempre e ovunque non ci accontentiamo mai delle libertà esistenti. Perché la nostra è, per citare un'espressione felice (che è anche il titolo di un libro di Gianpietro “Nico” Berti), un'idea esagerata di libertà.
Libertà, sia ben chiaro, sempre associata alla parola responsabilità, individuale e sociale. Senza questo abbinamento, la libertà è un concetto per noi svuotato di ogni senso.

Paolo Finzi



Antifascismo/ Il «caso Bartolommei» e l'uccisione di un prete

Pourquoi Bartolommei a-t'il tue? («Perché Bartolomei ha ucciso?»): con questo titolo il Comitato Anarchico Pro vittime Politiche prende l'iniziativa di stampare un piccolo opuscolo di sole otto pagine a Liegi nel 1929 in collaborazione con il Comité International de Défense Anarchiste di Bruxelles e il Groupe Anarchiste di Liegi, con il chiaro obiettivo di spiegare le ragioni per le quali il Bartolommei ha commesso l'omicidio che lo costringerà, per evitare la condanna a morte inflittagli in contumacia, ad espatriare dapprima in Germania e quindi in Uruguay. Ricapitoliamo i fatti descritti cercando anche di contestualizzare sommariamente l'ambiente nel quale questi fatti si svolgono.
Nei primi anni Venti del secolo corso, quando in Italia imperversava la violenza omicida dello squadrismo fascista, violenza favorita e protetta da carabinieri e corpi militari, e poi pienamente istituzionalizzata dal regime, furono molti i sovversivi – anarchici, socialisti, comunisti – che dovettero espatriare sia per sottrarsi alle inevitabili persecuzioni – aggressioni, perdita del lavoro, ricatti, carcere, confino e via andare – sia per affermare l'avversione a una realtà assolutamente incompatibile con i loro principi e valori.
Angiolino Bartolommei è uno di questi. Nato a Scarlino in provincia di Grosseto nel 1894, di professione manovale, aderisce giovanissimo al movimento anarchico, distinguendosi per l'impegno e la generosità. Proprio per questa sua adesione ai principi dell'anarchismo, subisce continue provocazioni e percosse sia dagli organi dello Stato sia dai fascisti. Nel 1923 lascia clandestinamente l'Italia per recarsi dapprima in Tunisia, dove l'accoglie la folta comunità di anarchici italiani lì residenti, poi in Francia, svolgendo vari mestieri tra i quali il metalmeccanico e il minatore. Qui viene ripetutamente avvicinato dall'abate Cesare Cavaradossi, agente consolare legato al fascismo e cappellano dell'opera Bonomelli (associazione cattolica di assistenza agli emigrati italiani) che cerca di convincerlo, con il ricatto della minaccia di espulsione, di denunciare i compagni di lavoro e di ideali diventando informatore del consolato italiano.
Bartolommei, esasperato dalle subdole e infami insistenze del prete che vorrebbe trasformarlo in un arnese di questura, si reca a casa sua e lo uccide con un colpo di pistola. Costretto a lasciare la Francia, si rifugia in Belgio, dove trova l'aiuto non solo dei compagni anarchici, ma anche di tutto quel vasto arcipelago antifascista che ha dovuto prendere la strada dell'esilio. Non mancheranno di manifestargli appoggio e sostegno anche numerosi intellettuali e uomini politici democratici di varie nazionalità. Condannato a morte da un tribunale francese, viene però rimesso in libertà dal governo belga che ne rifiuta l'estradizione, evidentemente non insensibile alla diffusa solidarietà e comprensione che circondano il suo gesto. Espulso dal Belgio, dopo un lungo peregrinare per paesi e continenti, sbarca in Uruguay, accolto fraternamente dai numerosi anarchici italiani che vivono nella cosiddetta Svizzera sudamericana. Tra questi saranno in particolare Luce Fabbri e la redazione di Studi Sociali a frequentarlo lungamente, fino alla morte che lo coglie nel 1960 all'età di 66 anni.
La vicenda di Bartolommei, pur nella unicità estrema del suo gesto, è comunque simile a quella di tantissimi antifascisti italiani costretti all'esilio, all'emarginazione, alla repressione anche nei paesi “liberi” nei quali sono costretti a rifugiarsi.

Massimo Ortalli





Proposta da Firenze/ Mercoledì cena e chiacchierata

Quest'anno tutti i mercoledì all'Ateneo Libertario Fiorentino abbiamo deciso di far seguire alle tradizionali cene delle 20.30 una chiacchierata in compagnia e libertà sui temi di attualità che più toccano questi nostri tempi, aperta a chi abbia voglia di trovarsi a parlare faccia a faccia con dei suoi simili, azione che si va sempre più perdendo a favore di solitarie serate passate chiusi in un cubo crepuscolare, cimiterialmente illuminato dalla lucina lattiginosa di un qualche schermo ultrapiatto composto di milioni di puntini oltretutto fastidiosi e nocivi all'occhio che li sta fissando.
La necessità è data dal bisogno di confrontarsi dal vivo su ciò che accade in questa nostra realtà più tristemente recente, evitando il più possibile ciò che da tempo va insinuandosi nelle abitudini anche di compagni fra i più navigati al lavoro politico: stiamo parlando dell'uso costante, spesso compulsivo dei social network e dei relativi commenti politici e sociali che molti di noi ci pubblicano sopra. Questo, pensiamo, sta facendo disabituare le persone a confronti più personali e immediati e molto spesso una frase o un'immagine anche bellissime e d'impatto su un social ci fa credere di aver contribuito alla lotta contro questo sistema, facendoci in realtà solo aver compiuto poco più di una comparsata in un mondo virtuale e molto labile dove crediamo di aver esercitato la massima libertà d'opinione. Nulla di più sbagliato in quanto, rimasto virtuale il momento della discussione, il nostro pensiero cade infruttuoso in un'inazione tipica dell'utente massmediatico che crede di fare nel momento in cui in realtà è lui che è ipnoticamente fatto, cotto e mangiato.
Quanti di noi passano anche qualche ora sui social e si ritirano poi soddisfatti delle proprie affermazioni, ragionamenti e appelli o foto del compianto compagno recentemente mancato con relativo emoji con lacrimuccia di risposta, quanti like o occhini strizzati o cuoricini ci fanno sentire a posto con la nostra coscienza di persone impegnate nella politica non accorgendoci che l'azione di passare del tempo seduti al computer non può minimamente confrontarsi col dibattito, la discussione e in seguito l'organizzazione di qualche azione di critica e contrasto dal vivo?
Nel momento in cui manifestazioni, picchetti, volantinaggi, cortei mostrano la corda grazie alla sempre maggiore indifferenza cui sono abituate le persone alle quali con questi strumenti ci rivolgiamo e che di fronte a questi dovrebbero incuriosirsi e coinvolgersi, proviamo almeno a non spezzare i sempre più labili fili che una comunicazione “fredda” contribuisce a logorare ulteriormente.
Inoltre, e ciò non guasta, come si fa a dire no all'invito per una semplice ma ghiotta cena e un buon bicchier di vino in compagnia? Riprendiamoci il tempo delle bisbocce, delle discussioni appassionate fino all'alba, dei pugni battuti sui tavoli... la vita è adesso!
Siamo aperti tutti i mercoledì (via Borgo Pinti, 50/R).

Per info:
ateneolibertariofirenze@inventati.org
mastodon.bida.im/@Ateneo_Libertario_Firenze
www.autistici.org/ateneolibertariofiorentino/

Ateneo Libertario Fiorentino
Firenze




I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. A/m Massimo Varengo, dalla Brigata Lollo (Pregassona – Svizzera) ricordando Paolo Soldati, 75,00; Marco Tognetti (Colle Val d'Elsa – Si) 100,00; Enrico Calandri (Roma) 100,00; Francesco Grandone (località non precisata) per copia in Pdf, 4,00; Guido Salamone (Roma) 10,00; Massimo Torsello (Milano) 20,00; Antonio Gei (Piovene Rocchette – Vi) 10,00; Linda Carloni e Adriano Paolella (Roma) 325,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa – Fi) 10,00; Roberto Palladini (Nettuno – Roma) 10,00; Alessandro Fico (Godega di Sant'Urbano – Tv) 10,00; Orazio Gobbi (Piacenza) 10,00; Salvatore Caggese (Bari) 10,00 per Pdf; Diego Guerrini (Roma) 4,00 per Pdf; Paolo Migone (Parma) 10,00. Totale € 1.503,00.

Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento. Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo di cento euro). Linda Carloni e Adriano Paolella (Roma); Patrizio Quadernucci (Bobbio - Pc); Giordano Sangiovanni (Milano); Carmelo Goglio (Olmo al Brembo – Bg); Claudio Paderni (Bornato – Bs); Giovanni D'Ippolito (Casole Bruzio – Cs). Totale € 700,00.