imprese diverse
Autogestita, collettiva, ambientalista, decrescente...
intervista di Enrico Bonadei a Rémy Cholan
In Francia, nella regione del Massiccio Centrale, una segheria autogestita porta avanti da trent'anni una pratica alternativa di produzione e organizzazione del lavoro.
All'origine di tutto stanno cinque
scout di quattordici anni, infiammati da un'idea di libertà
fatta di vacanze in branco e “progetti un po' folli, di
quelli che fanno sbavare d'invidia i compagni di scuola”1.
Arriva il momento in cui i ragazzi diventano maggiorenni, devono
lasciare i campi scout, entrare nel mondo degli adulti. Siamo
negli anni a cavallo tra Settanta e Ottanta, il ricordo delle
barricate parigine appare lontano e sbiadito, i sociologi sono
un tutt'uno nel ritrarre la nuova generazione come un'orda di
individualisti senza principi e senza scrupoli.
Olivier, Marc, Claire, Nadine e Michel non ci stanno. Per loro
è arrivato il momento di sognare in grande: “Vivere
in collettivo era il modo per continuare l'avventura, per non
viverla più negli interstizi di una società bene
ordinata, ma per realizzarla su più vasta scala, nelle
dimensioni di una vita intera”.
La decisione è presa: i cinque affittano un appartamento
nella regione parigina. Studiano, lavorano, sperimentano la
vita in comune nel mondo dei grandi. Ben presto si accorgono
che, per sopravvivere, il collettivo ha bisogno di un progetto
comune. E se facessimo una segheria? si chiedono un giorno.
O una vetreria o una tipografia o una falegnameria? Neanche
loro sanno bene perché, ma alla fine l'idea che rimane
è quella della segheria.
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L'insegna di Ambiance Bois, specialisti del larice |
Lavoro, discussioni e ricerca
Siamo nel 1981. Ci vorranno otto anni prima che Ambiance Bois
cominci a segare la legna del Plateau de Millevaches,
un altopiano boscoso sulle propaggini settentrionali del Massiccio
Centrale. Anni di lavoro e discussioni, ricerche e apprendistati,
incontri con associazioni e autorità locali, nuove amicizie,
esplorazioni e scoperte.
Da allora sono passati trent'anni. Ambiance Bois si è
evoluta a modo suo, in barba alle leggi della crescita forzata.
La segheria non si limita più a trasformare tronchi in
assi, ma costruisce case e mobili, vendendo direttamente al
pubblico, senza intermediari.
Per i primi vent'anni, il collettivo e l'azienda sono cresciuti
di pari passo, fino a raggiungere una popolazione di venti lavoratori
e lavoratrici, più una dozzina di bambini. Abitavano
tutti in un caseggiato comune chiamato Familistère,
come il Familisterio delle Industrie Godin2,
che a sua volta si ispirava al modello del Falansterio fourierista.
Poi, una decina d'anni fa, le due realtà hanno cominciato
a scindersi. Ambiance Bois da allora va avanti per conto suo,
mentre nel Familisterio è rimasto lo zoccolo duro degli
scout fondatori, i quali, pensionati o quasi, possono veramente
dire che l'avventura è durata “una vita [lavorativa]
intera”. E non è finita...
L'esperienza di Ambiance Bois, infatti, impresa autogestita,
collettiva, ambientalista, decrescente e florida, rappresenta
l'illustrazione e l'esempio di una terza possibile via per l'organizzazione
del lavoro, rispetto all'alternativa forzata tra Taylorismo
e Marxismo.
Per saperne di più sono andato a trovare Rémy
Cholan, che lavora ad Ambiance Bois da quasi vent'anni. Ecco
la nostra chiacchierata.
Enrico – Puoi descrivermi il vostro organico?
Rémy – Siamo in 27. Guadagniamo tutti lo
stesso stipendio, senza distinzioni di mansione, di sesso o
di anzianità. Fin dall'inizio ci siamo dati come obiettivo
la polivalenza, per cui facciamo quasi tutti quasi tutto.
Un altro obiettivo era la riduzione dell'orario di lavoro. Al
momento solo uno di noi lavora a tempo pieno [35 ore settimanali],
ma le cose variano di mese in mese. Quando qualcuno vuole cambiare
orario, basta che lo chieda. Questo è l'unico punto che
ci ha procurato qualche noia con l'ispettorato del lavoro, secondo
il quale un lavoratore che ha un contratto da, diciamo, 25 ore,
non può essere obbligato a lavorare di più o di
meno. Abbiamo dovuto spiegargli che qui non c'è un padrone
che obbliga i dipendenti a fare questo e quello. Ma non è
stato facile.
Parliamo di questo: come prendete le decisioni? Come
si organizza la vostra autogestione?
Ambiance Bois ferma i lavori il venerdì mattina: si sospendono
i cantieri in giro per la regione, i macchinari in sede sono
spenti, se telefoni ti risponde la segreteria. È il momento
della riunione settimanale. Tutti e 27 ci sediamo intorno a
un tavolo e discutiamo l'ordine del giorno.
Come in una cooperativa. Ma voi non siete una cooperativa...
No, siamo una SAPO, Société Anonyme de Pouvoir
Ouvrier3, uno statuto quasi sconosciuto,
che i nostri fondatori sono andati a scovare in fondo a qualche
biblioteca universitaria. Esiste dal 1917 ed è una specie
di contentino concesso dal governo alle forze operaie, sull'onda
della Rivoluzione Russa. Ma non ha mai veramente attecchito.
Pensa che in tutta la Francia sono esistite al massimo 17 SAPO,
e oggi ne rimangono solo 10.
Quali sono le differenze con una SCOP, una cooperativa
di produzione?
In una SCOP i lavoratori possono diventare soci oppure no, acquistando
le parti sociali della cooperativa, la cui metà almeno
deve appartenere ai lavoratori. A Ambiance Bois i lavoratori
acquisiscono il diritto di voto dopo un anno dall'assunzione,
ed è stabilito nel nostro statuto che la metà
dei voti deve spettare sempre all'insieme dei lavoratori, l'altra
metà ai soci esterni.
Avete un Amministratore Delegato?
Sì, ce l'abbiamo, per obbligo di statuto. Per i primi
quindici anni è stata sempre la stessa persona, che nell'opinione
generale rivestiva qualcosa come un ruolo di finzione. Il nostro
AD non aveva alcuna priorità decisionale, nessun vantaggio
salariale. Era qualcosa come un compromesso con il mondo esterno,
con lo sguardo della società sul nostro modello di autogestione.
Ad un certo punto ci siamo detti che la questione meritava una
presa di posizione più netta. Dovevamo minare la figura
e il prestigio dell'AD [“dynamiter le statut et la statue
du PDG”. Perbacco!]. Da allora il nostro AD è estratto
a sorte, nella cerchia di coloro che sono disposti a farlo e
non l'hanno già fatto in precedenza. Per qualche anno
funzionerà così. Quando ci saremo passati tutti,
dovremo inventarci qualcos'altro...
Ti racconto un aneddoto. Durante la sua presidenza, Hollande
è passato in visita nella regione e ha invitato i sei
AD di sei aziende modello, tra cui Ambiance Bois, per un incontro
ufficiale. Dei sei invitati, uno solo ha dato buca. Ti lascio
indovinare chi è... [Ride.] Ai tempi c'era sembrato naturale.
Non crediamo al sistema per cui rifiutiamo i suoi cerimoniali.
Ovvio. A ripensarci, però, mi dico che se ricapitasse
l'occasione e fossi io l'AD del momento, quasi quasi all'incontro
ci andrei. Se non altro per dirgliene quattro, al Presidente!
[Ride di nuovo. E rido pure io, perbacco!].
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I falegnami in una foto di qualche anno fa |
Cosa vuol dire “decrescente”?
A questo punto ho in serbo una domanda un po' vaga,
un po' banale: “In cosa Ambiance Bois può definirsi
un'azienda decrescente?”, che nelle mie previsioni dovrebbe
servire ad approfondire certi aspetti notevoli dell'azienda,
il fatto ad esempio che appena guadagnano due soldi di più,
ecco che subito ti assumono un nuovo socio-lavoratore, e questo
accade al ritmo di una volta all'anno da sette anni a questa
parte. Oppure del fatto che l'azienda si rifiuta di lavorare
a più di sessanta chilometri dalla sede nonostante le
continue proposte, e questo nella speranza che altre Ambiance
Bois si sviluppino un po' dappertutto, per fare fronte alla
domanda crescente di costruzioni in legno. Cose così.
La risposta di Rémy non ha nulla di scontato, e mi
prende un po' alla sprovvista.
A furia di pensarci, sono arrivato alla conclusione che dovremmo superare il concetto di de-crescita, per parlare piuttosto di a-crescita. Voglio dire che col termine decrescita si finisce ancora per misurare la riuscita di un progetto sulla base di un più o di un meno in sede di bilancio, mentre per me dovremmo proiettarci più radicalmente fuori da questa logica, “uscire dall'economia”. [È il titolo di un capitoletto del loro libro].
Ad esempio, riguardo alla crescita del nostro organico, la mia opinione è che ben presto saremo costretti a fermarci. La riunione del venerdì mattina dura tre ore e mezzo. Sembra molto, ma se dividi il tutto per 27 lavoratori, rimangono poco più di sette minuti ciascuno. Non va bene. Finisce che qualcuno non ha il tempo di dire la sua. Per questo io ed altri saremmo più disposti a proliferare che a crescere: smettiamo di ingrandirci noi nell'auspicio che nascano altre attività impostate e gestite come la nostra. L'argomento è in fase di discussione.
I lavoratori e l'ambiente
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Vorremmo che il nostro prodotto diventasse ancora più etico, migliorando quello che succede a monte del nostro lavoro. Gestiamo per intero la filiera che va dal tronco fino al prodotto finito e venduto, e in questo possiamo assicurare il massimo rispetto dei lavoratori e dell'ambiente. [Tanto per dirne una: le seghe e le motoseghe di Ambiance Bois sono lubrificate con un olio speciale, vegetale, locale e biodegradabile.] I tronchi li compriamo localmente, rifiutando le offerte di legnami più economici provienienti dalla Russia o dal Sudamerica. Ma i nostri fornitori locali non operano per forza in un'ottica di sostenibilità, e sono aziende private, strutturate sul modello comune dello sfruttamento liberista. Per questo vorremmo ridare vita al mestiere del taglialegna. Dovremo entrare in contatto con i proprietari dei boschi, tagliare solo gli alberi indispensabili alla produzione, utilizzare macchinari più leggeri, che siano meno dannosi per il suolo. Sarebbe il modo migliore per eludere lo sfruttamento intensivo delle aree boschive, che è la norma del settore al giorno d'oggi.
Mentre me ne torno a casa mi rendo conto che non
ho chiesto a Rémy la sua opinione sul pensiero anarchico,
se lui si definisce così, o se definirebbe così
il progetto di Ambiance Bois. Sto quasi per fare retromarcia
e tornare ad importunarlo, ma so che è già tornato
alla piallatrice.
E poi il loro libro è pieno zeppo di citazioni che
rispondono alla mia domanda. Eccone una, riguardante la fase
di gestazione del progetto: “Il nostro modello erano più
i Camisardi delle Cévennes che i Bolscevichi di papà
Lenin. Il Nicaragua ci stava più simpatico della Cina
e di Cuba. Le comunità di base del Sudamerica ci sembravano
più pertinenti dei gruppuscoli dell'estrema sinistra
politica. Tra di noi si parlava più di cooperazione che
di rivoluzione. Godin e Fourier ci convincevano più di
Bakunin o di Luxembourg”.
Perbacco perbacco...
Enrico Bonadei
enricobonadei.altervista.org
- Michel Lulek, Scions... travaillait autrement? Les éditions
REPAS, Valence 2009. Il libro, scritto da uno dei cinque scout
in questione, è corredato di un'ottima introduzione
di Serge Latouche. Tutte le citazioni dell'articolo vengono
da qui.
- Fondate da Jean-Baptiste André Godin (1817-1888) le Industrie Godin
producevano stufe in ghisa il cui marchio esiste ancora oggi.
Il Familistère era il villaggio operaio attenente,
che arrivò ad ospitare 1500 persone e rimase fino al
1968 proprietà della Association Coopérative
du Capital et du Travail, cui appartenevano anche gli
stabilimenti e l'attività. Le Industrie Godin con il
loro Familistère rappresentano ancora oggi un
modello di cooperativa globale, mentre il loro fondatore è
considerato uno dei padri dell'economia sociale.
- Società Anonima di Potere Operaio. Lo so che lo avevate capito, ma
mi andava di scriverlo lo stesso.
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