Dimmi come va a finire
Proprio così, bianchi terrorizzati: gli zombie dalla pelle bruna sono a 1000 miglia dal confine sud. Vengono per curarvi il giardino, lavarvi le automobili, coltivare i campi, imballare la carne, crescere i vostri figli, lavarvi i pavimenti, pulirvi gli uffici, pagare le tasse.
(Post sul tema della “carovana dei migranti”, 23 ottobre 2018)
I primi sintomi d'estate avevano appena cominciato a raddolcire
le giornate che sono apparsi i bambini dalla pelle bruna a riportare
l'inverno nei cuori. Li abbiamo visti tutti, come in un incubo:
piccoli, imprigionati in gabbie metalliche erette dentro un
grande deposito senza finestre, terrorizzati da adulti in divisa
di cui non capivano la lingua.
Quando ci siamo risvegliati, sudati, smarriti, i bambini non
c'erano più, scomparsi dagli schermi e dai pensieri.
La vita poteva andare avanti, le vacanze erano alle porte. Ma,
almeno per qualche giorno, un'ondata di indignazione aveva attraversato
il paese. Questa non è la nostra America, avevano tuonato
semplici cittadini e celebrità, non siamo noi, non è
il paese che conosciamo, la crudeltà non è il
nostro mestiere. Invece era proprio l'America di sempre, ma
coi riflettori accesi e il mondo a guardare: lo ha ricordato
in un post, senza mezzi termini, il regista Michael Moore, invitando
i suoi concittadini a scendere in strada per combattere l'ennesima
ingiustizia.1
La novità dell'attuale presidenza, però, non sono
le gabbie per migranti, che venivano utilizzate già ai
tempi di Obama e forse ancor prima. Nuova è la Tolleranza
zero voluta da Trump, la sospensione di fatto del diritto
umanitario, l'introduzione della pratica crudele di separare
i figli dai genitori. In autunno le immagini dei bambini prigionieri
erano già un ricordo sbiadito, ma qualche giornalista
in gamba le ha rispolverate quando un folle nazista ha fatto
strage di innocenti in una sinagoga di Pittsburg2.
Di fronte a quell'assurda carneficina, in un ottobre drammatico,
segnato da altre sanguinose sparatorie, ci si è chiesti
chi fosse il vero nemico degli americani. Questo paese è
sempre a caccia di un nemico, sembra non possa esistere senza
una minaccia incombente da combattere: nemici sono i latinos
che attraversano illegalmente la frontiera sud eludendo muri
e pattuglie. Il nemico si nasconde sotto un velo, veste una
tunica, indossa un turbante. Il nemico è un incubo ricorrente
che distrae dalle nefandezze della politica, dai lutti delle
guerre, dalle lobby delle armi che dissanguano il bilancio federale
e dai lupi di Wall Street, che costruiscono formidabili ricchezze
sulla pelle della povera gente. Il nemico è sempre altro
e diverso, ma le stragi nelle scuole, nelle chiese e nei centri
commerciali sono quasi sempre opera di cittadini americani dalla
pelle bianca, armati fino ai denti, spesso fascisti, qualche
volta ex militari con la testa ancora piena degli incubi del
fronte3.
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New York, Spanish Harlem - Una rappresentazione di Afro Samurai, in realtà un personaggio dei Manga giapponesi che ha raggiunto una vasta popolarità |
15.000 soldati pronti a far fuoco
In autunno, durante la campagna per le elezioni di “midterm”,
è apparsa all'orizzonte della frontiera meridionale la
carovana dei migranti: migliaia di centroamericani in fuga da
violenza e povertà, in cammino verso la Terra Promessa.
Una manna dal cielo per i manager della comunicazione elettorale.
La folla di straccioni in viaggio verso nord è finita
al centro dell'agone politico, diventando il nuovo incubo dell'americano
medio. Dai palchi i candidati paladini della protezione dei
sacri confini elencavano i fantasiosi nemici che, a loro dire,
si erano infiltrati nella carovana: membri delle gang criminali
che infestano l'America Centrale, terroristi mediorientali,
persino persone contagiate dalla rabbia che venivano per infettarci.
È stata costruita così l'immagine di migranti-zombie
da film horror. Per accogliere uomini, donne e bambini sfiniti
da una lunga marcia il presidente non ha promesso medici, mediatori
culturali ed esperti sul diritto d'asilo ma quindicimila soldati4
pronti a far fuoco al primo lancio di pietre.
Mentre le prime truppe raggiungevano il confine, coi tartari
ancora lontani e invisibili nel deserto, il nemico, quello vero,
colpiva qui ogni giorno: negli USA qualcuno resta vittima di
un'arma da fuoco ogni quindici minuti, ma per distrarci da questo
terrore, che potrebbe colpirci ad ogni angolo di strada, si
diffonde la paura per la povera gente in fuga da Honduras, Guatemala
ed El Salvador: il maledetto triangolo nord centroamericano.
Il confine col Messico corre lungo tremila chilometri dalla
California al Texas e, nel corso della storia, è stato
sempre piuttosto aperto, varcato ogni giorno da frontalieri
e migranti più o meno regolari ma, con la firma, nel
1993, degli accordi di libero scambio, che hanno distrutto le
economie centroamericane, gli arrivi da sud si sono intensificati.
L'allora presidente Clinton lo aveva previsto: il famigerato
muro di Trump lo aveva già cominciato a far costruire
lui, in previsione di tale impatto.
Pochi ricordano oggi l'estate 2014, quando migliaia di minori
non accompagnati si accalcarono improvvisamente alla frontiera.
Nessuno lo aveva previsto e fu subito emergenza umanitaria.
Molti americani si mobilitarono allora per la solidarietà,
ma molti di più risposero con allarmate manifestazioni
di protesta, chiedendo mano dura contro i piccoli migranti.
I notiziari lanciarono titoli apocalittici, paragonando la crisi
ad una piaga biblica, un'invasione di locuste messicane, contribuendo
al panico generale che parve attraversare il paese. Nel libro
Dimmi come va a finire, in cui racconta la sua storia
di interprete volontaria presso il Tribunale Federale dell'Immigrazione
di New York durante quella crisi, la scrittrice messicana Valeria
Luiselli5 ricorda come, all'epoca,
solo pochi provarono a calarsi nei panni di quei bambini, chiedendosi
cosa li avesse spinti ad abbandonare case e famiglie per affrontare
un viaggio pieno di pericoli verso un paese sconosciuto. È
come se la frontiera fra le due nazioni rappresentasse un confine
non solo fisico ma anche psicologico: quei bambini non ci appartengono,
si disse la maggioranza, la loro disperazione non è un
problema nostro, ricacciamoli da dove sono venuti.
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Un murale su una casa abbandonata. Si vedono una donna con il terzo occhio in mezzo alla fronte, simbolo di saggezza e conoscenza e un pezzo della bandiera portoricana, largamente presente nel quartiere in varie forme |
Le gravi responsabilità degli Stati Uniti
Penso che analizzare il linguaggio delle istituzioni sia utile
per capire la psicologia di massa di una nazione e non credo
sia un caso che la burocrazia americana usi il termine “alieno”
per indicare lo straniero che si trovi, legalmente o meno, sul
territorio nazionale; o che chiami “deportazioni”
le espulsioni e “ritorno volontario” il respingimento
in frontiera che un qualsiasi agente di polizia può eseguire,
se si forma la convinzione6 che
il migrante non sia a rischio di persecuzioni nel paese di provenienza.
È difficile capire cosa passi per la testa della gente
quando migliaia di ragazzini poveri e soli arrivano, dopo aver
subito abusi e violenze di ogni genere e, per tutta risposta,
i miliardari texani, anziché offrire i loro ranch sterminati
per accoglierli, mettono a disposizione i loro jet privati per
riportarli indietro. Servirebbe un onesto studio della cultura
della frontiera americana, per capire cosa spinga gruppi di
normali cittadini ad organizzarsi in posse7
per andare nei deserti del New Mexico a caccia di migranti da
abbattere senza pietà, per lasciare poi i cadaveri alla
mercé dei predatori sotto il sole implacabile.8
Quando scoppiò la crisi dei bambini, nel 2014, l'allora
presidente Obama si affrettò a stipulare accordi con
il presidente messicano, finanziando il programma Frontera
Sud, destinato ad arginare il flusso dal centroamerica a
partire dal confine meridionale messicano. Il Messico è
diventato così il gendarme degli Stati Uniti nella lotta
all'emigrazione clandestina: una situazione che ricorda molto
da vicino gli accordi dell'Italia con la Libia.
Ma nel triangolo nord imperversano i cartelli della droga,
le donne sono vittime di continue violenze, i bambini vengono
arruolati a forza dalle gang criminali che si contendono il
territorio, la polizia è complice e la gente, disperata,
continua a scappare verso nord. Visto dal balcone nordamericano,
il problema sembra essere esclusivamente di quei paesi. È
diffusa la convinzione che a sud del Rio Grande finisca la civiltà
e cominci la barbarie. Ben pochi sembrano essere consapevoli
di quanto gravi siano le responsabilità degli Stati Uniti
in questa crisi umanitaria. In tutti quei paesi gli USA hanno
impedito qualsiasi tentativo di riforma, imponendo decenni di
feroci dittature favorevoli ai loro interessi; ne hanno impoverito
le economie con le monoculture, le multinazionali e gli accordi
di libero scambio; hanno rovinato gli agricoltori locali inondando
i mercati di prodotti statunitensi sovvenzionati. L'industria
bellica made in USA ottiene lucrosi profitti da un traffico
di armi diretto a sud, mentre gli Stati Uniti sono il terminale
della droga che viaggia verso nord. Quei profughi sono, in sostanza,
il prodotto delle politiche del gigante nordamericano.
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Il teschio in varie forme è un elemento molto presente nelle rappresentazioni murali, specie a Portorico |
Corrente di crescente crudeltà
Passate le elezioni di midterm le carovane dei migranti sono
scomparse dal discorso politico, come quei miraggi che si dissolvono
quando il sole cambia inclinazione. Ma quando le prime avanguardie
della marcia degli zombie sono arrivate in frontiera, alla fine
dell'autunno, Trump ha tuonato che quei criminali non
sarebbero entrati e l'esercito ha lanciato i primi lacrimogeni
contro donne e bambini che, secondo gli esperti, hanno quasi
certamente diritto di asilo.
Dei bambini in gabbia nessuno ha più parlato, ma la questione
resta una ferita sanguinante: all'inizio dell'inverno i minori
stranieri detenuti erano ormai più di 14.000, alcuni
dei quali sistemati in tendopoli di fortuna. Fra questi vi sono
almeno 2500 bambini sottratti alle famiglie in estate. A distanza
di mesi dal loro arresto le autorità hanno ammesso di
non avere tenuto traccia di spostamenti ed espulsioni e di non
essere più in grado di rintracciare i genitori. Le separazioni
in frontiera si sono così trasformate in veri e propri
rapimenti, ma nessuna legge metterà sotto processo i
sequestratori. Lisa Fortuna, direttrice del servizio di psichiatria
infantile a Boston, ha denunciato la situazione nei centri di
detenzione minorile definendoli “una minera d'oro per
predatori sessuali e molestatori di bambini”.
Su tutta questa vicenda regna il caos e, comunque la si legga,
appare indecifrabile e irrisolvibile ma, nella confusione, qualcuno
ci guadagna: la criminalizzazione dei migranti va a tutto vantaggio
di un sistema detentivo completamente privatizzato che costa
allo Stato fino a 300 dollari al giorno per ogni straniero trattenuto
nei centri, in condizioni spesso disumane. L'industria del settore
ha aumentato a dismisura i profitti, raggiungendo il miliardo
di dollari.
Le richieste di asilo o protezione vengono trattate in fretta
da funzionari privi di formazione giuridica, nel corso di procedimenti
sommari di orwelliana memoria. Lo ha raccontato alla rivista
femminista MS9 l'avvocata newyorchese
Lenni Benson, dopo un'estate trascorsa in Texas con l'associazione
CARA10 a rappresentare pro
bono le detenute. L'aula era un trailer posteggiato nel
piazzale antistante il centro di detenzione; il “giudice”,
un impiegato del Ministero della Giustizia, parlava dalla capitale
e appariva agli imputati su un grande schermo. In genere non
aveva avuto tempo o voglia di studiarsi i casi ed emetteva il
verdetto in pochi minuti, decretando, senza diritto di appello,
l'espulsione di donne che avevano fondati motivi di temere per
la propria incolumità se fossero state rimandate nel
loro paese. Sui figli pesava la minaccia della sottrazione.
“Non ho mai visto tanto orrore, tanta disperazione e tanta
insensibilità da parte della macchina burocratica: un
vero e proprio assalto ai diritti di donne e bambini”,
ha concluso la Benson.
“È un momento decisivo per il paese”, è
la chiosa di Roxana Bacon, esperta di diritto dell'immigrazione,
sulla stessa rivista: “o resisteremo a questa corrente
di crescente crudeltà o finiremo per ritrovarci nella
lista dei paesi che, nel corso dei secoli, hanno disumanizzato,
isolato e distrutto interi gruppi umani il cui unico scopo era
la sopravvivenza”.
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Barbiere Cristo Rey. Nel quartiere i barbieri sono punto di ritrovo per gli uomini e sono affollati a tutte le ore. Frequenti le vetrine con riferimenti religiosi, come in questo caso |
Una brutta storia
Un focolare di resistenza c'è, formato da decine di piccole associazioni che forniscono assistenza legale, organizzano presidi, denunciano abusi e raccolgono fondi. Quando, in estate, sono arrivate nelle case le immagini dei bambini in gabbia, una non-profit texana, il Refugee and Immigrant Center for Education and Legal Services, ha ricevuto in pochi giorni 30 milioni di dollari in donazioni da privati cittadini, in gran parte destinati a cercare di rintracciare i genitori dei bambini rapiti e pagare i viaggi per restituirli alle famiglie.
Fra cowboy a caccia di migranti nel deserto e cittadini indignati pronti a metter mano al portafogli si interpone però la massa degli indifferenti e il mio smarrimento si fa più grande. Prova a illuminarmi Michelle, bibliotecaria colta e argutissima, discendente degli schiavi africani portati dagli inglesi nelle Isole Vergini: “La gente preferisce non pensarci, altrimenti dovrebbe fare i conti con i sensi di colpa. I latinos sono comodi, perché fanno i lavori più umili e malpagati, ma devono restare ombre. Se si organizzano in carovane, se diventano visibili, nasce il problema politico e non possiamo più far finta di non sapere che le banane che compriamo sono quelle delle multinazionali che hanno espropriato le loro terre, gettandoli nella disperazione, che li hanno spinti nelle grinfie dei cartelli della droga e poi costretti a lasciare le loro case per salvarsi la vita”.
Quando alla sera tornava a casa dopo una giornata trascorsa in tribunale, Valeria Luiselli raccontava alcune di quelle storie terribili ai figli che, invariabilmente, le chiedevano come sarebbe andata a finire per quei bambini.
Con l'inverno le carovane stanno arrivando e al confine sale la tensione. È una brutta storia e nessuno può dire come andrà a finire.
Santo Barezini
- Vedi il post di Moore nel box qui sotto.
- Il 27 ottobre 2018, durante le celebrazioni del sabato, Robert Bowers, esponente di estrema destra, ha fatto irruzione in una sinagoga di Pittsburg, in Pennsylvania, uccidendo undici fedeli e ferendone sette. Sembra che nel mirino di Bowers ci fossero, in particolare, gli attivisti dell'HIAS Hebrew Immigration Aid Society, associazione nata alla fine dell'ottocento per assistere gli ebrei in fuga dai pogrom in Russia, oggi fra i gruppi maggiormente impegnati nell'accoglienza di migranti e rifugiati.
- Nello stesso ottobre 2018 un ex marine ha aperto il fuoco con una colt 45 in un bar in California uccidendo dodici persone, prima di togliersi la vita con la stessa arma.
- Più di quanti siano di stanza oggi in Afghanistan.
- Tell me How it Ends, 2017. Pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera. La Luiselli vive a New York.
- Sulla base di quali elementi, se spesso l'agente non parla nemmeno la lingua del migrante?
- Posse: gruppo di privati cittadini armati che si riunisce in genere con l'intento di dar la caccia a qualcuno resosi resonsabile di reati.
- Per questa e altre notizie qui riportate v. Valeria Luiselli, op. cit.
- Roxana Bacon: “Una politica migratoria fatta di crudeltà, misoginia e abuso di minori”, MS, Autunno 2018.
- Il “CARA - Family Detention Pro Bono Project” è stato fondato nel 2015 dalla convergenza di quattro gruppi: Catholic Legal Immigration Network, American Immigration Lawyers Assciation, Refugee and Immigrant Center for Education and Legal Services e American Immigration Council. L'acronimo CARA deriva dalla prima lettera del nome di ciascuna associata ma significa anche “volto” in spagnolo.
Andate,
circondate gli edifici
Il
post di Michael Moore, 24 giugno 2018
Ah,
America!
Siamo passati dal separare i bambini indigeni dai loro
genitori (per poi sterminarli), al rubare i bambini agli
schiavi (per poterli poi rivendere a loro volta come schiavi),
al costruire un paese grazie al lavoro minorile (coi bambini
di 8 anni che lavoravano in fabbrica), al rinchiudere
i giovanissimi figli dei giapponesi-americani nei campi
di internamento, al consentire ai preti di abusare dei
bambini per decenni, al costringere i nostri figli ad
ingurgitare quantità indescrivibili di sciroppo
di mais, così ricco di fruttosio che oltre la metà
sono divenuti affetti da una pericolosa epidemia di obesità
infantile, fino a trasformare le scuole in campi di sterminio,
perché amiamo le armi più dei figli.
E adesso chi vogliamo prendere in giro? Smettetela di
mostrarvi scioccati e sorpresi che Trump rapisca i bambini
ispanici separandoli dai genitori, come se questo non
fosse “ciò che davvero siamo”. Siamo
sempre stati questo! Non dite: “Trump sta violando
i valori americani”. La storia dei valori americani
è intrisa dell'abuso dei bambini. Sii orgogliosa
America: Trump è tutti noi!
Se vogliamo fermare questa follia dobbiamo anzitutto smetterla
di raccontarci le favole sul passato e affrontare il presente
mettendo i nostri stessi corpi in prima linea per questi
bambini. Ciascuno di noi deve individuare i luoghi dove
sono stati rinchiusi i bambini che le autorità
di frontiera hanno rapito (...). Andate, circondate gli
edifici e rifiutatevi di andar via fino a quando i bambini
saranno stati riuniti con le rispettive famiglie. Perché
questo è esattamente ciò che fareste se
si trattasse dei vostri figli.
Michael Moore |
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