bullismo
La mannaia del nonno
di Maurizio Giannangeli
Considerazioni originali di un insegnante sul fenomeno del bullismo, per lo più affrontato in termini giustizialisti e securitari. Mentre la pedagogia libertaria, nel suo tentativo di costruire ambiti autoregolati, indica una possibile via alternativa di relazioni e di regole.
L'etimo della parola bullo pare
rimandi, «secondo la spiegazione tradizionale»,
alla figura di un amico intimo. Così riporta il Dizionario
etimologico della lingua italiana di Manlio Cortellazzo
e Paolo Zolli: “bùllo, [...] Secondo la
spiegazione tradizionale, che risale al Muratori, dall'alto
tedesco medio bule, amico intimo.”
Questo
significato originario oggi ci risulta affatto estraneo. Strana
inversione semantica. Dall'intima amicizia di un tempo all'attuale
avversione molesta.
Eppure ho conosciuto, nell'infanzia e prima adolescenza, questa
incredibile trasfigurazione dall'intima amicizia all'odio/conflitto
e ritorno. Bambino fragile per corporatura e aspetto, sono stato
spesso e ripetutamente bersaglio di gesti e azioni che facevano
di me, in amicizia tra pari, l'oggetto dell'altrui muscolare
esposizione di potere e potenza. D'altro canto, irrequieto,
refrattario all'obbedienza e all'ordine imposto, sono stato
altresì bersaglio del dominio adulto. In questi casi
però non in amicizia, quanto piuttosto in regime di gerarchia,
entro un'istituzione atta ad educare o in strada, comunque
e sempre in virtù di un'autorità imposta.
Dall'odio al gioco, un attimo
Certo, non era piacevole restare sommerso sott'acqua sino a che i polmoni reggevano, dibattersi senza sapere quanto quell'odioso scherzo avrebbe avuto corso, nel dubbio atroce che non si trattasse di uno scherzo. In ogni caso, appena liberato dalla morsa ci si azzuffava ancora, si scazzottava per dare sfogo alla forte emozione provata. Poi tutto passava; una soglia dura, impegnativa e difficile da superare, vissuta per fortuna come soglia e in quanto tale oltrepassata nel rinnovato desiderio di amicizia anche se talvolta vissuta come scontro.
Nei confronti di molti adulti invece non era così. L'unica risposta al sopruso era il silenzio. Con gli adulti non ci si azzuffa. Appena possibile l'unica alternativa è la fuga, reale o immaginaria che sia.
Invece, con l'amico bullo, passato quel momento di ira e di rivalsa, era facile cercarsi nuovamente, ritrovarsi insieme agli altri per giocare nello spazio ricavato di un giardino, davanti alle caserme, negli angoli di strada e di cortile. Saltare il parapetto delle rovine per scappare sotto la piazza lungo la ferrovia, rincorsi dai carabinieri, e sbucare sulle banchine della stazione per uscire in strada liberi e indenni.
Il tempo necessario per passare dall'odio al gioco era un nulla. Il tempo era uno, era tutto l'insieme di attrazione e repulsione, di intimità e di distanze, di aggressioni e di fraterni abbracci che ci accomunava. Teneva insieme anche gli opposti, dove alcuni talvolta esprimevano del proprio corpo la potenza e la forza nei modi offensivi sopraddetti, altri talvolta divenivano non meno dominanti con le astuzie del linguaggio e dell'argomentazione o con inaspettati ricatti affettivi e materiali. Ciò che si avverava era la circolarità del potere, nel senso del poter essere e del poter fare, che mai si fissava definitivamente sull'uno o sull'altro componente del gruppo. Ancora oggi mi sento di affermare che le relazioni con gli amici intimi, durante tutta l'infanzia e parte dell'adolescenza, prive della presenza e della mediazione degli adulti, siano state un'importante e significativa occasione di crescita personale e collettiva.
“L'emergenza bullismo”
Ma cosa ha a che fare tutto ciò con i bulli e il bullismo
di cui tanto si legge nelle cronache contemporanee? Probabilmente
niente. Forse però, proprio dal senso di inattualità
di quanto raccontato si può arrivare a comprendere la
trasformazione di un'esperienza. Si può provare a cogliere
e indagare il passaggio dal «bullo amico intimo»,
portatore di un potere che circola e non si fa dominio, a forme
di bullismo che, all'opposto, trasformano il potere
in dominio e ri-disegnano le relazioni nell'esigenza
e affermazione di un potere asimmetricamente permanente che
nega e annulla ogni possibile circolarità, ogni poter
essere e poter fare reciproco e condiviso.
Ne
scrivo perché le scelte mi hanno portato a impegnarmi
nella relazione educativa in contesti di apprendimento e l'osservazione
e la partecipazione ai comportamenti che ragazzi e ragazze scambiano
tra loro e con me, mi ha sempre più convinto di quanto
la dominazione adulta abbia eroso tempi e spazi della
relazione libera non condizionata dal mondo adulto. Questa erosione
ha contribuito alla perdita di capacità di autodeterminazione
e di autoregolazione utili a sostenere quel difficile esercizio
di mediazione che inevitabilmente si rende necessario in ogni
convivenza che si voglia tale.
Per altro l'imitazione del mondo adulto è parte del gioco
di bambin* e ragazz* e il tempo adulto presente è così
carico di una cultura della relazione strumentale, piegata a
interessi biecamente individualistici, da segnare spesso le
esperienze di un utilitarismo così ottuso che sarebbe
persino nobile definire egoistico, laddove invece è solamente
cieco alle conseguenze del proprio agire dispotico nel mondo
e sul mondo.
Così anche bambin* e ragazz* considerano spesso la relazione
sotto l'unico segno del disporre, destinando ciò che
da sé differisce all'unica definizione classificatoria
che sembra loro concepibile: disponibile o non-disponibile,
con me e per me o contro di me. In questo modo antiche
coppie di termini, quali amico e nemico, amore e odio,
sincerità e menzogna, realtà e finzione, guerra
e pace, risultano solo caselle giustapposte e distinte di un
pensiero privo di qualsiasi sfumatura. Termini oramai del tutto
privi di quei margini sfrangiati che possedevano quando erano
ancora parole adeguate a esprimere forme reali di convivenza,
anche nei dissensi, anche nei conflitti.
Per rendere ancora più impervie le relazioni, gli adulti
hanno affascinato i più giovani con l'eloquio vuoto della
chiacchiera e della distrazione, banalizzando il mondo sino
all'inverosimile coincidenza di opinione e giudizio. Così
nessuno sforzo si rende più necessario per la comprensione
tanto del proprio agire nel mondo quanto della natura e delle
forme che il mondo, da noi costantemente trasformato, ha assunto
e assumerà nel breve periodo1,
rimanendo la propria opinione bastante a se stessa.
Non è quindi un caso che l'“emergenza bullismo”
venga troppo spesso trattata con enfasi retorica sull'onda
di pulsioni giustizialiste e securitarie che si fermano sulla
soglia della sicurezza, del rispetto della legalità e
della certezza della sanzione senza spingere lo sguardo verso
la qualità delle relazioni. In questo modo si finisce
per attivare solo dispositivi punitivi e il problema bullismo
resta confinato alle responsabilità soggettive nei comportamenti
individuali e a questione di ordine pubblico. Si perdono di
vista modi e forme del vivere associato e il discorso simbolico
che li attraversa ne viene espunto. Laddove invece proprio la
dimensione sociale e simbolico-immaginaria, nel loro intrecciarsi,
necessitano di una profonda e radicale revisione.
Le
forme più attente di contrasto al bullismo si sforzano
invece di costruire forme di relazione sociale che consentano
a un gruppo di dirsi ed essere comunità. In campo educativo
le esperienze di educazione libertaria raccolgono la «sfida
dell'educazione di un individuo comunitario che riconosce la
centralità delle relazioni nella costruzione dell'identità,
ma anche di un individuo che sappia autogestirsi senza delegare
ad altri i poteri decisionali» (Trasatti).
La fiducia di mia madre
In senso ampio si può dire che tutte quelle esperienze
che si rifanno a tradizioni culturali e politiche capaci di
immaginare e costruire sistemi sociali in cui la funzione regolatrice
viene esercitata dalla comunità su se stessa, senza che
il potere divenga appannaggio di una sola parte e con ciò
si trasformi in dominio2, sono
di fatto esperienze di contrasto a forme di bullismo, visto
che nel loro costituirsi sovvertono alla radice l'ordine simbolico
che consente di immaginare e pensare il dominio quale obiettivo
da perseguire nelle relazioni.
Eppure anche in questi casi la fatica è grande. Urge
sottoporre a revoca definitiva alcuni principi che attraversano
l'agire sociale e che il mondo adulto ancora intende come fondamentali
se non unici. Capitalismo, profitto, individualismo, utilitarismo
e strumentalità sono tra i più radicati sui quali
dare battaglia.
Nell'infanzia e prima adolescenza giocavamo anche a far battaglie
tra bande. Un po' Guerra dei bottoni, un po' Ragazzi
della via Pal, un po' bande di quartiere, un po' Bande
à part. Le rovine erano una superficie a cielo
aperto il cui accesso era stato interdetto dalle forze dell'ordine.
Un tempo aveva visto i fasti di un vecchio locale dove gli adulti
ballavano all'aperto. Chiusa per prostituzione e smercio di
droga tutta l'area era stata abbandonata a se stessa e recintata
con un'alta staccionata. All'interno la vegetazione aveva riguadagnato
e coperto spazi e strutture. Un mondo fantastico per noi bambini,
per le nostre guerre e per i nostri momenti di pace.
Quasi ogni giorno, nel pomeriggio, uscivo di casa dicendo a
mia madre: «Prendo la mannaia del nonno e vado a giocare
alle rovine.» Mia madre rispondeva guardandomi:
«Va bene. Però fai molta attenzione.»
Il punto in questione riguardava una responsabilità che
travalicava di molto il senso di per sé evidente di un
uso più o meno accorto della mannaia del nonno. A ripensarci
ora mi rendo conto, con gioia e felicità per la fiducia
accordatami da mia madre, che uscivo di casa con in mano un
oggetto che, date le relazioni che intercorrevano tra me e gli
amici e nemici intimi che frequentavo, non poteva che
essere pensato per l'uso che ne feci: sfrondare cespugli e tagliare
i rami di un enorme salice piangente in modo da costruirvi sopra
la piattaforma-casa necessaria ad avvistare i nemici, organizzare
in tempo la difesa e respingere l'attacco.
Maurizio Giannangeli
- Jorgen Randers, 2052 Scenari globali per i prossimi quarant'anni, Edizioni
Ambiente, 2013.
- Su questo si legga “Potere, autorità, dominio: una proposta di
definizione” in: Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi
di esserlo, Elèuthera 2017.
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