Rivista Anarchica Online
Emigrante o Spallone
di Gianluigi Cereda
Il sottosviluppo della Valtellina
"I miei più grandi nemici sono il freddo e lo Stato. E se il freddo
passa, lo Stato non passa mai, e lo
abbiamo sempre alle calcagne, con le sue guardie di finanza ed i suoi maledetti cani". Chi parla
così è uno spallone, cioè un contrabbandiere della Valtellina, uno dei tanti
valligiani che sono
costretti dalla mancanza di lavoro a trasformarsi in bestia da soma, trasportando per pochi soldi pesanti
sacchi pieni di caffè, di sigarette, o di altra merce illegalmente importata. "Per noi spalloni,
anche nel contrabbando, ci sono solo fatiche, rischi, ricatti, intimidazioni,... Pensa che
per un sacco di caffè vige questa spartizione: un quinto allo spallone, un ventesimo alla finanza,
il resto
al boss, allo sfruttatore. E per meritarsi questo quinto bisogna percorrere chilometri e chilometri sulla
neve
e sul ghiaccio, in alta montagna, guadare torrenti semi-ghiacciati, sempre con il rischio di lasciarci la pelle
precipitando in qualche burrone senza alcuna possibilità di chiedere aiuto; e tutto ciò con
temperature
quasi polari, con il vento gelido che ti trafigge le ossa. Si ti ammali, poi, non c'è naturalmente
né mutua
né altra assistenza, e ti ritrovi solo come un cane, e forse anche peggio. Infatti, dopo essere stato
costretto
a fare lo spallone da una società che non ha mai fatto niente per te se non farti inseguire qualche
volta
dai suoi cani-poliziotto, ti ritrovi isolato, e così ti spediscono in carcere o al riformatorio", (molti
spalloni,
infatti, sono giovanissimi).
L'emigrazione
Lo spallone, dunque, è messo ai margini della "vita civile" dalle autorità, dalla classe
media, da tutti i
"benpensanti"; eppure la sua situazione non è che la diretta conseguenza del sottosviluppo
dell'intera
provincia di Sondrio, che comprende, appunto, la Valtellina. Nascere qui da una famiglia povera
significa, nella maggioranza dei casi, dover scegliere fin da giovani fra la vita degli spalloni e quella degli
emigranti. L'emigrante è, in Valtellina, una figura ben definita; spesso fa il pendolare, parte
cioè il lunedì
e torna a casa la domenica, oppure fa lo stagionale, costretto così ad assentarsi per lunghi periodi
dal suo
ambiente. Molte volte lo stagionale è poi addetto a lavori molto duri in alta montagna, dove
è costretto
a vivere in misere baracche ed a costruire le strade turistiche. In altri casi si riduce a vivere nei ghetti delle
città, sempre circondato da una barriera di incomprensione e di razzismo, in condizioni di poco
migliori
di quelle dalle quali ha cercato di sfuggire: e non si tratta certo di un fenomeno saltuario od isolato. Su
150.000 abitanti della Valtellina, infatti, si contano circa 8.000 emigranti, cosicché la provincia
di Sondrio
occupa il quarto posto nella graduatoria relativa al flusso migratorio, dopo quelle di Lecce, Belluno ed
Avellino; in paese rimangono così solamente donne, vecchi e bambini. Nel paese di Grosio, per
esempio,
si possono contare ben 800 emigranti su una popolazione di 5.000 abitanti; a Vervio, nel decennio
1951-61, la popolazione è scesa da 841 a 456 abitanti, mentre nel paesino di Menarola il calo
nello stesso
periodo è stato da 271 a 154. Ma quello che colpisce ancora di più è la situazione
igienico-sanitaria: in
molti, troppi centri della provincia di Sondrio l'acqua corrente, la stessa schifosa latrina sono un lusso,
un privilegio per pochi eletti. Tutto ciò è diretta conseguenza delle scelte politiche delle
autorità, dei
notabili democristiani al servizio dei padroni, che hanno tutto l'interesse a che nella valle non vi sia altro
che carne da esportazione per il mercato del lavoro della Svizzera o di Milano e che, nel contempo, si
continui a lavorare minimi appezzamenti di terra, appiccicati alla montagna, che offrono solamente il
minimo di sussistenza.
La strada non basta
Nell'agricoltura, infatti, esiste uno spezzettamento della proprietà, cosicché su una
popolazione di circa
150.000 abitanti, vi sono 22.774 aziende agricole, con una dimensione media di 3 ettari. Significativo
è
il fatto che l'incidenza della manodopera femminile nel lavoro agricolo sia superiore al 65%; questo
avviene perché la maggior parte degli uomini, per trovare lavoro, è costretta ad emigrare.
La necessità
di lavorare, di trovare un qualsiasi lavoro pur di sopravvivere, è tale che le donne, continuamente
idealizzate nelle chiese come "gli angeli del focolare", costituiscono circa un terzo degli spalloni, costrette
anch'esse a lunghi ed estenuanti percorsi con il pesante sacco in spalla. Migliori prospettive non si aprono
nemmeno dinnanzi a chi lavora nelle piccole aziende artigianali della stessa Valtellina; se non si vuole
emigrare o fare i contrabbandieri, bisogna accettare sovente di lavorare per 10-12 ore al giorno, per
ricevere un salario di 40-50.000 lire o poco più. Il contrabbando, comunque, resta spesso una
scelta
obbligata, favorita dal fatto che un chilogrammo di caffè costa meno di ottocento lire in Svizzera,
e oltre
duemila in Italia; questo spiega quanto guadagnino i veri responsabili del contrabbando, cioè i
vari notabili
in doppiopetto che, mascherandosi dietro una facciata "onorata e rispettabile", tirano le fila di questa
losca
attività, certi di restare impuniti. In particolare bisogna considerare che ogni anno escono
clandestinamente dalla Svizzera circa cinque milioni di chilogrammi di caffè di cui solo 250.000
sono
sequestrati ufficialmente dalla Guardia di Finanza. Un altro esempio lampante dello sfruttamento
della Valtellina da parte delle autorità è la situazione delle
risorse idroelettriche; infatti, nonostante la Valtellina produca il 60% dell'energia idro-elettrica lombarda,
solo le briciole vengono rese alla Valtellina stessa: o meglio, vengono rese al B.I.M. (Bonifica Idrica
Montana), completamente controllato dalle autorità democristiane, che usano tutti questi capitali
per
aumentare i propri guadagni, fedeli a quella politica di nepotismo tipica del potere politico e di quello
ecclesiastico uniti. Le responsabilità di questa situazione di supersfruttamento e di corruzione non
derivano certo come vuole far credere certa stampa, dalla mancanza di adeguate vie di collegamento fra
Sondrio e il resto della Lombardia. La strada non può bastare a cambiare una situazione
drammatica, che
ha sempre potuto essere contenuta per la mancanza di una tradizione storica di lotte sociali nella valle.
Ma non è detto che questa situazione duri in eterno.
La strada giusta
Anzi, seppure molto lentamente, parte dei valligiani si va rendendo conto ogni giorno di più
su chi
ricadano le responsabilità di questo stato di cose; ed il continuo, ripetuto rifiuto di molti giovani
valligiani
di fare il servizio militare (alta percentuale di renitenti e di disertori) è almeno un segno che lo
Stato,
sempre sentito come un corpo estraneo alla vita della valle, viene finalmente sentito come il nemico
principale da abbattere per eliminare lo sfruttamento. È solo un primo segno, ma siamo sulla via
giusta.
Gianluigi Cereda
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