Rivista Anarchica Online
L'antimilitarismo anarchico
L'antimilitarismo anarchico ha per unico fine la distruzione dell'esercito,
in quanto esso rappresenta il
braccio armato del potere statale, cioè l'istituzione specifica di cui lo stato si serve per tenere
in
condizioni di soggezione gli sfruttati e poter così svolgere con sicurezza la sua funzione di
codificatore
e garante dello sfruttamento economico, oltre che per incrementare se stesso come centro di potere
burocratico. Se la fine dello sfruttamento passa necessariamente attraverso la distruzione
dell'organizzazione
economica capitalistica e dello stato, altrettanto si può dire per l'esercito. Anche oggi
perciò ogni azione
di lotta contro l'esercito deve essere vista nell'ambito di un crescendo di lotte che sfocino nella
distruzione di questa istituzione. Ad ogni epoca storica e ad ogni situazione specifica gli sfruttati
devono elaborare pragmaticamente
metodi di lotta adeguati e l'importanza delle varie forme di lotta coordinate e finalizzate alla distruzione
dell'esercito viene misurata dal grado di coscienza rispetto all'esercito (e alla società di
sfruttamento in
generale) che esse vengono a creare e dal grado di organizzazione autonoma che gli sfruttati riescono
a costruire. La lotta all'esercito oggi in Italia è matura per un intervento all'interno delle caserme,
intervento che, partendo dalle contraddizioni macroscopiche che i soldati vivono giornalmente, riesca,
tramite la creazione di nuclei autonomi, a smascherare la vera funzione dell'esercito. I nuclei di lotta
interni dovrebbero essere appoggiati da organizzazioni esterne che fungano da tramite tra questa
situazione specifica di lotta e quelle presenti nella fabbrica, nel quartiere e nella scuola. Le
organizzazioni esterne, oltre a propagandare e ad appoggiare tecnicamente le specifiche lotte,
dovrebbero impegnarsi in una costante propaganda di demistificazione, contribuendo a far uscire
l'esercito dall'atmosfera di segreto in cui il potere lo vuole relegare, inoltre avrebbero la funzione di
fornire un punto di riferimento permanente di fronte al continuo ricambio dei militari di leva. I
militanti anarchici sotto le armi dovrebbero operare in modo da creare collettivi autonomi di lotta, per
intervenire in tutti quei moti spontanei di rivolta che sorgono dal disagio fisico causato dalla mancata
soddisfazione dei bisogni elementari di vita e di dignità umana (lotte per il rancio, per l'assistenza
igienica
e sanitaria, per la libera uscita e le licenze, ecc.). Al di là di quello che può essere l'esito
di queste
rivendicazioni parziali ed immediate l'obiettivo principale del nostro intervento deve essere la creazione
di una coscienza rivoluzionaria nei militari, che risalga dalla situazione particolare di sfruttamento che
essi vivono a quelle che di questo sfruttamento sono le cause prime, cioè l'organizzazione
capitalistica
del lavoro e lo stato. La presa di coscienza di classe è lo strumento fondamentale che ci
permette di fare un salto qualitativo
da quelle lotte essenzialmente riformiste, e facilmente recuperabili dal sistema e utilizzabili per una
razionalizzazione dell'esercito, a lotte che intacchino le contraddizioni più profonde (gerarchia,
obbedienza, autoritarismo e lavaggio del cervello). È chiaro che queste ultime lotte non sono
assolutamente recuperabili dalla istituzione, perché attaccano quelli che sono i suoi pilastri
fondamentali,
e sono le sole che possono portare ad un deperimento e alla distruzione dell'esercito. Bisogna quindi
creare precise discriminanti fra quelle organizzazioni politiche (ad esempio PCI) che si
propongono di democratizzare l'esercito tramite obiettivi riformisti (riforma dei codici militari,
diminuzione del numero dei generali, ecc.) e coloro che portano avanti lotte con contenuti rivoluzionari,
smascherando in ogni occasione di discussione e di mobilitazione di massa tutti quei burocrati che fanno
di legittime rivendicazioni uno strumento per consolidare il proprio potere. Infatti democrazia ed
esercito
sono termini necessariamente incompatibili, e democratizzare l'esercito può solo significare
rimodernare
uno strumento di oppressione per renderlo più efficiente ed adeguato ai tempi. In questa
ottica dissentiamo dalla finalizzazione della obiezione di coscienza ad una legge "buona", in
quanto è pura utopia pensare che lo Stato promulghi leggi che effettivamente lo minano, e
pensiamo che
la mitizzazione di una legge sia assolutamente deleteria, in quanto l'emancipazione degli sfruttati si
misura in termini di coscienza di classe e dalla loro organizzazione autonoma. In secondo luogo il
servizio civile probabilmente introdurrebbe una razionalizzazione dell'esercito, in quanto escluderebbe
da esso potenziali forze rivoluzionarie, invece di introdurre un altro momento di contraddizione. A
questo riguardo è significativo che una legge sulla o.d.c. venga ora ufficialmente appoggiata dal
PCI,
e a livello personale da parlamentari della DC, e che inoltre molti Stati l'abbiano già
riconosciuta,
relegandola nell'ambito di motivazioni morali, religiose e tutt'al più filosofiche, ma senz'altro non
politiche. L'obiezione di coscienza spogliata della sua finalizzazione ad una legge e ad un servizio
civile alternativo,
resta un momento di rifiuto radicale ed esemplare dell'esercito, che senz'altro appoggiamo e usiamo
come spunto per la propaganda, anche se sappiamo bene che per ora è riservata ad un numero
limitato
di persone, e che potrebbe diventare di massa, e quindi avere un'efficacia dirompente, solo in determinati
periodi storici (ad es. nella imminenza di guerre o in periodi prerivoluzionari).
Collettivo Antimilitarista Anarchico - Milano
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