Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 2 nr. 16
novembre 1972 - dicembre 1972


Rivista Anarchica Online

L'antimilitarismo anarchico

L'antimilitarismo anarchico ha per unico fine la distruzione dell'esercito, in quanto esso rappresenta il braccio armato del potere statale, cioè l'istituzione specifica di cui lo stato si serve per tenere in condizioni di soggezione gli sfruttati e poter così svolgere con sicurezza la sua funzione di codificatore e garante dello sfruttamento economico, oltre che per incrementare se stesso come centro di potere burocratico.
Se la fine dello sfruttamento passa necessariamente attraverso la distruzione dell'organizzazione economica capitalistica e dello stato, altrettanto si può dire per l'esercito. Anche oggi perciò ogni azione di lotta contro l'esercito deve essere vista nell'ambito di un crescendo di lotte che sfocino nella distruzione di questa istituzione.
Ad ogni epoca storica e ad ogni situazione specifica gli sfruttati devono elaborare pragmaticamente metodi di lotta adeguati e l'importanza delle varie forme di lotta coordinate e finalizzate alla distruzione dell'esercito viene misurata dal grado di coscienza rispetto all'esercito (e alla società di sfruttamento in generale) che esse vengono a creare e dal grado di organizzazione autonoma che gli sfruttati riescono a costruire. La lotta all'esercito oggi in Italia è matura per un intervento all'interno delle caserme, intervento che, partendo dalle contraddizioni macroscopiche che i soldati vivono giornalmente, riesca, tramite la creazione di nuclei autonomi, a smascherare la vera funzione dell'esercito. I nuclei di lotta interni dovrebbero essere appoggiati da organizzazioni esterne che fungano da tramite tra questa situazione specifica di lotta e quelle presenti nella fabbrica, nel quartiere e nella scuola.
Le organizzazioni esterne, oltre a propagandare e ad appoggiare tecnicamente le specifiche lotte, dovrebbero impegnarsi in una costante propaganda di demistificazione, contribuendo a far uscire l'esercito dall'atmosfera di segreto in cui il potere lo vuole relegare, inoltre avrebbero la funzione di fornire un punto di riferimento permanente di fronte al continuo ricambio dei militari di leva.
I militanti anarchici sotto le armi dovrebbero operare in modo da creare collettivi autonomi di lotta, per intervenire in tutti quei moti spontanei di rivolta che sorgono dal disagio fisico causato dalla mancata soddisfazione dei bisogni elementari di vita e di dignità umana (lotte per il rancio, per l'assistenza igienica e sanitaria, per la libera uscita e le licenze, ecc.). Al di là di quello che può essere l'esito di queste rivendicazioni parziali ed immediate l'obiettivo principale del nostro intervento deve essere la creazione di una coscienza rivoluzionaria nei militari, che risalga dalla situazione particolare di sfruttamento che essi vivono a quelle che di questo sfruttamento sono le cause prime, cioè l'organizzazione capitalistica del lavoro e lo stato.
La presa di coscienza di classe è lo strumento fondamentale che ci permette di fare un salto qualitativo da quelle lotte essenzialmente riformiste, e facilmente recuperabili dal sistema e utilizzabili per una razionalizzazione dell'esercito, a lotte che intacchino le contraddizioni più profonde (gerarchia, obbedienza, autoritarismo e lavaggio del cervello). È chiaro che queste ultime lotte non sono assolutamente recuperabili dalla istituzione, perché attaccano quelli che sono i suoi pilastri fondamentali, e sono le sole che possono portare ad un deperimento e alla distruzione dell'esercito.
Bisogna quindi creare precise discriminanti fra quelle organizzazioni politiche (ad esempio PCI) che si propongono di democratizzare l'esercito tramite obiettivi riformisti (riforma dei codici militari, diminuzione del numero dei generali, ecc.) e coloro che portano avanti lotte con contenuti rivoluzionari, smascherando in ogni occasione di discussione e di mobilitazione di massa tutti quei burocrati che fanno di legittime rivendicazioni uno strumento per consolidare il proprio potere. Infatti democrazia ed esercito sono termini necessariamente incompatibili, e democratizzare l'esercito può solo significare rimodernare uno strumento di oppressione per renderlo più efficiente ed adeguato ai tempi.
In questa ottica dissentiamo dalla finalizzazione della obiezione di coscienza ad una legge "buona", in quanto è pura utopia pensare che lo Stato promulghi leggi che effettivamente lo minano, e pensiamo che la mitizzazione di una legge sia assolutamente deleteria, in quanto l'emancipazione degli sfruttati si misura in termini di coscienza di classe e dalla loro organizzazione autonoma. In secondo luogo il servizio civile probabilmente introdurrebbe una razionalizzazione dell'esercito, in quanto escluderebbe da esso potenziali forze rivoluzionarie, invece di introdurre un altro momento di contraddizione. A questo riguardo è significativo che una legge sulla o.d.c. venga ora ufficialmente appoggiata dal PCI, e a livello personale da parlamentari della DC, e che inoltre molti Stati l'abbiano già riconosciuta, relegandola nell'ambito di motivazioni morali, religiose e tutt'al più filosofiche, ma senz'altro non politiche.
L'obiezione di coscienza spogliata della sua finalizzazione ad una legge e ad un servizio civile alternativo, resta un momento di rifiuto radicale ed esemplare dell'esercito, che senz'altro appoggiamo e usiamo come spunto per la propaganda, anche se sappiamo bene che per ora è riservata ad un numero limitato di persone, e che potrebbe diventare di massa, e quindi avere un'efficacia dirompente, solo in determinati periodi storici (ad es. nella imminenza di guerre o in periodi prerivoluzionari).

Collettivo Antimilitarista Anarchico - Milano