Rivista Anarchica Online
Anarchismo e operaismo a confronto
di Mirko Roberti
Gli anni che vanno dal 1880 al 1900 sono tuttora oggetto di studio per
gli storici del socialismo italiano.
L'importanza di questi anni per la formazione del Partito Socialista da una parte, e per il delinearsi della
frattura all'interno del Movimento Anarchico tra "comunisti" e "individualisti" dall'altra, hanno prodotto
nell'ambito della storiografia, una serie complessa di interpretazioni. Sebbene la maggior parte di queste,
quasi tutte marxiste, sia tendenzialmente convergente, tuttavia la complessità degli avvenimenti
e la
difficoltà oggettiva di interpretarli correttamente, hanno lasciato
aperta ancora una problematica
interpretativa. Gli storici marxisti, con il solito settarismo ottuso che li distingue, hanno dato una
interpretazione di questi anni tormentosi del movimento operaio, a nostro avviso assai banale e
oltretutto
falsa. Essi sostengono, ricalcando il pensiero turatiano (1), che lo sviluppo del movimento operaio e
socialista segue un rigoroso evoluzionismo gerarchico. Esso partirebbe
dall'indistinto e dall'inconscio
(anarchismo), giungendo al distinto e al conscio
(operaismo), per arrivare alla pienezza
dell'autocoscienza (il socialismo scientifico marxista)!!! In questo modo
è possibile per i marxisti
mistificare e sottovalutare tutto il lavoro di organizzazione delle leghe di resistenza portato avanti dagli
anarchici e dagli operaisti. Sforzo teso a superare il terribile momento di riflusso dopo la repressione
feroce degli anni 1877-80. Sforzo che cercava oltretutto di colmare la spaccatura all'interno del
movimento socialista e operaio tra "legalitari" e "rivoluzionari", prodotta dalla "svolta" di A. Costa. Ora
a portare in luce l'autentica figura del Partito Operaio Italiano e l'opera anonima dei comunisti anarchici,
opera gigantesca di propaganda oltre che di organizzazione, hanno contribuito dei lavori assai pregevoli
usciti ultimamente. Essi sono due lavori del professor Breguglio e uno della professoressa Perli
(2). A differenza dell'interpretazione "evolutiva-gerarchica" che abbiamo accennato sopra, questi
lavori
hanno messo in risalto la problematica dell'operaismo come componente
costante del socialismo.
Problematica mai superata perché il suo superamento comporta la perdita, a parere degli autori,
dell'"anima" stessa del socialismo, intesa questa "anima operaista" come spinta intransigente della base
rispetto alle deviazioni burocratiche e "politiche" dei vertici. Su questo punto concordiamo in parte con
gli autori perché consideriamo l'operaismo come una delle
componenti del socialismo, e non già come
la più importante. La tematica di fondo che legò anarchici e operaisti era dovuta al
tentativo di superare
e ricongiungere insieme il divario che si faceva sempre più profondo tra lotta politica e lotta
economica.
Di vario che, come sappiamo tutti, portò alla formazione storica del partito politico e del
sindacato. Da
una parte i "legalitari" o "politici" guidati da Costa, dall'altra gli "operaisti" o "economicisti" che dettero
vita al Partito Operaio Italiano. Gli operaisti però non rifiutavano a priori, come gli anarchici,
la lotta
parlamentare, in armonia con gli insegnamenti eclettici di Osvaldo Gnocchi Viani. Tra queste due
posizioni estreme, stavano gli anarchici con il loro corretto punto di vista. Infatti essi
esprimevano, per così dire, la sintesi con la loro posizione di lotta contemporaneamente politica
ed
economica (cioè lotta contro lo Stato e il Capitalismo), ricalcando il magistrale insegnamento
della Prima
Internazionale. Certo gli anarchici si trovarono in quegli anni, specialmente sul terreno della lotta
quotidiana, assai vicini agli operaisti. Si intende che parliamo degli anarco-comunisti e non degli
individualisti che proprio allora stavano iniziando una lotta assai diversa. Dicevamo vicini agli operaisti,
perché quest'ultimi avevano un'avversione spiccata per la "politica", da loro vista come
"fenomeno"
inequivocabilmente borghese. Tanto è vero che al loro interno non volevano militanti
provenienti da ceti
borghesi, perché, a loro giudizio, portatori di quello "spirito politicante" tipicamente
borghese. Questa linea intransigentemente operaista comportò l'abbandono progressivo di
ogni atteggiamento
ideologico, perché, a loro dire, così era possibile superare le divisioni all'interno della
classe operaia,
ricomponendola come la classe che sta di fronte tutta unita al capitalismo. Però se da una parte
questo
atteggiamento, cioè il rifiuto della politica borghese, li accomunava agli anarchici, dall'altra
però li
allontanava. Infatti con il loro rifiuto di tenere aperta una problematica ideologica all'interno del
movimento operaio, problematica da essi considerata "accademica", essi non riuscivano a centrare il
vero
problema della strategia rivoluzionaria. Problema che consisteva nel fondere insieme questi due
aspetti,
per gli anarchici di uguale natura, in un unico fronte. Questo sbaglio strategico di fondo
permetteva
ai "legalitari" o "politici" di gestire tutta la lotta non economica grazie allo spazio riservato a loro dagli
operaisti. Con le dovute differenze storiche, Malatesta, trenta anni dopo, doveva rimproverare agli
anarco-sindacalisti, rispondendo alle tesi di Monatte al Congresso anarchico mondiale di Amsterdam
(3),
il medesimo errore. Gli operaisti rispondevano, come avrebbero risposto in seguito gli
anarco-sindacalisti, che ogni lotta economica è sempre lotta
politica. Questo, se sotto un certo aspetto era vero, non poteva essere sufficiente per
i libertari, che avevano una
visione molto più ampia dei problemi rivoluzionari. Essi rilevavano nell'atteggiamento degli
operaisti una
posizione che obbiettivamente li avrebbe portati a sviluppare una forma di corporativismo di classe. Era
questa una accusa che anche i "politici" costiani facevano, sebbene da un altro punto di vista. In parte
era ingiusta se consideriamo che proprio in quegli anni furono proprio gli operaisti ad organizzare le
lotte
nelle campagne, sviluppando una forte solidarietà con il bracciantato agricolo. Ma se era vero
che ogni
lotta economica era sempre lotta politica, non era sufficiente per gli anarchici solo questa lotta per
sviluppare la coscienza delle masse sfruttate. Cioè la lotta economica sviluppava solo l'aspetto
"negativo", come lotta contro lo sfruttamento, e non già l'aspetto
"positivo", come lotta per il
comunismo anarchico. A parere degli anarchici scindere questi due momenti significava non aver capito
fino in fondo il nesso logico e pratico che legava, e lega, il fine con i mezzi. Gli operaisti ricadevano
pertanto in una posizione che verrà fatta propria dal leninismo quarant'anni dopo (già
presente
ampiamente però nel pensiero marxista): la costruzione del socialismo in due momenti distinti.
A
distanza di ottant'anni l'operaismo rivive ora in una parte della sinistra extra-parlamentare. E, ancora con
le dovute differenze storiche, le critiche anarchiche di allora sono ancora valide oggi.
Mirko Roberti
1) Introduzione di Filippo Turati al libro di Osvaldo Gnocchi Viani, Il socialismo e le sue
scuole, Milano
1892, pag.11. 2) Essi sono: Letterio Breguglio, Il Partito Operaio Italiano e gli
anarchici, Ed. di Storia e Letteratura,
Roma 1969. Letterio Breguglio, Congressi socialisti e Tradizione operaista, Ed.
Tipografia Antoniana,
Padova 1970. Diana Perli, I congressi del Partito Operaio Italiano, Ed. Tipografia
Antoniana, Padova,
1972. 3) Vedi L. Fabbri, Il congresso internazionale anarchico di Amsterdam,
Paterson N. J. 1907, Ed.
Libreria sociologica.
|