Rivista Anarchica Online
Ancora sulla droga
Cari compagni,
vorrei esporvi alcune mie osservazioni sull'articolo "una siringa per il potere" pubblicato sul n. 43
di "A".
A scanso di equivoci vi dirò subito che mi trovo, in linea di massima più d'accordo con l'autore
dell'articolo e con quanto da voi risposto alla lettera di quel compagno che vi imputava una "presa
di posizione moralistica e sostanzialmente falsa", che con quest'ultimo.
Se non credo, infatti, che si possa "a priori" escludere che nel suo caso specifico e personale possa
essersi verificata la circostanza di una presa di coscienza rivoluzionaria sotto l'influsso
dell'alterazione prodotta da una qualche droga che abbia potuto favorirlo nel senso di aiutarlo a
rompere certi condizionamenti che prima lo inducevano ad accettare e subire passivamente (per
averne interiorizzato i falsi valori), l'oppressione sociale e l'integrazione psicologico-culturale nel
sistema (anche se sarei più propenso a credere che più che agli effetti della droga in sé, che pure può
talvolta agire da catalizzatore e rivelarci cose che sono già dentro di noi, possa aver influito
positivamente in lui il fatto puro e semplice della trasgressione volontaria di una interdizione, il
superamento di una paura e la rottura di un tabù; azioni sempre di tipo libertario); parlare però di
"liberazione" procurata dalla droga è però, a mio modesto avviso, addirittura assurdo in quanto dal
ricorso a qualsiasi droga non può venire che una finta liberazione (in quanto non opera nostra ma di
origine artificiale ed esterna a noi), o, peggio, nel caso di droghe che inducano un qualsiasi tipo di
"dipendenza" fisica o psichica (se vogliamo anche il tabacco quindi), una momentanea ed
ingannevole liberazione che presto si trasforma (attraverso il meccanismo dell'assuefazione), in una
ulteriore schiavitù, la quale, così come la conquista di una libertà parziale ci incoraggia e sprona alla
lotta per le altre, non può che rendere chi ne è vittima ancora più disponibile alla sottomissione.
A questo punto ritengo doverosa una precisazione, le mie particolari convinzioni mi portano a
sostenere sempre che ogni individuo è tenuto a rispondere delle sue scelte solo di fronte a se stesso,
ma il fatto di non ritenere lecito giudicare o condannare le scelte individuali di un altro non esclude,
secondo me, il mio diritto a discuterle.
Se per quanto riguarda l'uso di "hascisc" e "marijuana" ho una discreta esperienza per averne usato
per un tempo abbastanza lungo, per quanto riguarda le droghe cosiddette "pesanti" e precisamente
l'eroina, si tratta di un'esperienza protrattasi per un periodo molto breve, ma che peraltro mi è stato
sufficiente (unito all'esperienza indiretta per averne constatato gli effetti su altri) a rendermi conto
della reale pericolosità di questa sostanza la quale, diviene prestissimo una vera e propria necessità
per chi ne fa uso, non può che limitare la libertà individuale e finire col far perdere di vista qualsiasi
obiettivo che non sia la pura e semplice possibilità di procurarsela. Ora se per quanto riguarda l'uso
di "hascisc" e in generale dei derivati della "canapa indiana", credo che obiettivamente vi sia anche
un lato positivo da prendere in considerazione e cioè che (anche per l'uso di "gruppo" che
preferenzialmente se ne fa), una caratteristica di questa sostanza è quella di favorire i rapporti
interindividuali e di facilitare un dialogo senza inibizioni, contribuendo in tal modo a rompere le
barriere di quell'isolamento passivo che circoscrivono l'individuo e caratterizzano il tipo di società
alienante che ci delizia; questo aspetto non c'è nell'uso dell'eroina. Peggio ancora, sembra in un
primo momento esserci ma è una sensazione illusoria e mistificante che si risolve in una frustrazione.
Ricordo infatti, che la prima volta che ho voluto "bucare" sono stato spinto un po' dal desiderio di
fare qualcosa di "proibito", un po' dalla curiosità, un poco perché ne avevo un poco di paura e mi
sentivo un vigliacco per questo, ma anche, forse soprattutto, per un desiderio di essere in un certo
modo solidale con quel mio amico che me lo proponeva, volevo in fondo dimostrare a lui e a me stesso
che non ero un conformista, che non lo consideravo "diverso" che ero disposto a provare anch'io, a
essere come lui. Quando poi questo mio amico mi fece l'iniezione (non ero capace a farlo da solo) e
ho provato per la prima volta il cosiddetto "flash", credetti di avere un collasso e pensavo che ci avrei
lasciato la pelle, però era bello, e non me ne importava, quella prima volta mi venne anche da
vomitare, ma con tutto questo sentivo una grande gratitudine per quell'amico e un grande affetto. Il
senso di benessere, la tranquillità e la comprensione che sentivo per tutti erano tali che arrivai a
desiderare che tutti si bucassero e a ritenere che in quel modo tutti si vorrebbero bene, tutti
capirebbero tutto e ci sarebbe l'anarchia.
Dopo pochi giorni di "buchi" però ho cominciato a rendermi conto che l'eroina diventava uno scopo,
una necessità davanti alla quale tutto scompariva. Un solo desiderio: procurasi la "roba", unico
mezzo per "star bene" e dopo un po' questo "star bene" si riduce a star male.
Ne sono uscito prestissimo, prima ancora di essere veramente "preso". Non certo per la paura delle
conseguenze e dei rischi ma per amore della mia libertà, per essere sempre "me stesso" anche se
esserlo può far soffrire. Questa breve esperienza (non più di due mesi) mi è però bastata a riconoscere
che quella droga è senz'altro oggettivamente controrivoluzionaria e castrante, in quanto ci limita e
condiziona.
Vi sarebbe, al limite, una sola cosa da dire in difesa e cioè che ogni individua ha il diritto di fare di
se stesso quello che vuole, ma suona un po' come un facile luogo comune, e come tutti i luoghi comuni
è solo in parte vero, infatti se l'unico dovere che un individuo ha è quello di realizzare se stesso, che
dire quando, sia pure in nome della sua libera scelta, questo individuo accetta di limitare la sua
"libertà" e rinuncia alla "proprietà" di se stesso? Quello che invece vorrei dire sulle questione è
un'altra cosa che credo più importante.
Credo cioè che spesso si scambino gli effetti per le cause e che questo sia in parte avvenuto anche nel
vostro articolo. D'accordo che "la droga serve al sistema"; d'accordo che "contribuisce a renderci
più tranquilli, più pazienti, più rassegnati, ma ciò avviene perché questo sistema riesce a utilizzare
tutto, riesce addirittura a "nutrirsi delle sue stesse contraddizioni". Il sistema riesce a rendere
funzionali a se stesso il tifo sportivo e le canzonette, il totocalcio e i sindacati, i partiti e gli
extraparlamentari, l'antifascismo e le velleità dei minorati mentali orfani dell'Adolfo e del Benito, le
rapine e le carceri, la mafia e l'anti-mafia, ecc. ecc.
Non è poi, secondo me, che (come l'autore dell'articolo sembra pensare) determinate persone
divengano perdute per la rivoluzione perché si drogano, ma è proprio per la mancanza attuale di una
reale prospettiva rivoluzionaria che molti cercano la fuga e un rifugio nell'illusione. Per molti
individui il ricorso alla droga è una rivolta introversa e contemporaneamente un rinchiudersi in se
stessi per sopravvivere in un mondo che ci è ostile, che si vorrebbe cambiare ma ci appare come
troppo forte per poterlo fare.
R. Brosio scrive: "Non vogliamo che la nostra ira diminuisca, che la nostra impazienza si freni, che
la nostra speranza si spenga...". Sono parole giuste, sacrosante..., ma... per cosa farcene dell'ira,
dell'impazienza, ecc. così conservate?
Per impazzirne? Oppure per scaricarle periodicamente negli stadi o urlando slogans nei cortei? O per
metterle al servizio di una qualche organizzazione sedicente rivoluzionaria che la gestisca a profitto
suo e dell'ascesa dei nuovi padroni?
(...) Se un individuo rifiuta l'attuale stato di cose ed ugualmente rifiuta, perché ha capito il bidone,
di mettersi al servizio della causa dei tecnoburocrati che vogliono perpetuare l'oppressione e lo
sfruttamento di sempre e non è pertanto disposto ad aggregarsi alla falange dei pseudorivoluzionari
delle varie chiese, degli adoratori più o meno ortodossi del verbo di S. Carletto da Treviri, che cosa
può fare quando non vi sono reali prospettive di lotta al sistema? Dovrebbe forse, scoppiare e
ribellarsi da solo? Dar corpo alla sua rabbia e reagire al senso di impotenza ricorrendo al gesto
individuale, alla rivolta solitaria? Forse, ma a quale prezzo e soprattutto a che pro?
(...) E allora perché meravigliarsi e affannarsi a condannare coloro che preferiscono rinunciare alla
lotta e preferiscono sopravvivere trovando scampo nella droga? Condannereste forse voi uno che
decide di suicidarsi quando ne ha le scatole piene?
Cari compagni, non è per polemizzare che vi ho scritto ma solo perché vorrei incoraggiarvi e
spronarvi a fare sempre meglio e di più.
I.P. Malrieu nella prefazione del suo libro: "In nome della necessità" ha scritto: "da cento anni la
corrente anarchica ha riaffermato contro venti e maree, di fronte al marxismo, una ideologia
antiautoritaria fondamentalmente giusta. Ma questo discorso, ingombro molto spesso di versetti
moralistici, folgorato qua e là di intuizioni geniali e profetiche non ha potuto combattere il fascismo
rassicurante che il marxismo avvolto nel suo status di scienza esercitava sul movimento
rivoluzionario"; qualcosa di vero c'è, ma, quando poi egli afferma: "Non restava altro agli anarchici
che assumersi fino alla fine la loro accettazione del tragico "Viva la muerte" sotto le bandiere nere";
e qui non posso, non possiamo essere d'accordo perché sappiamo che "anarchia" vuol dire vita,
libertà, amore e completezza per tutti non la morte ma neppure l'acquiescenza a chi vuole perpetuare
l'oppressione di sempre. Solo con l'anarchia l'umanità si salverà. Ma ora, oggi troppo scarsa è
l'influenza e la diffusione dell'idea libertaria. E voi potete fare molto diffondendo le analisi
autenticamente rivoluzionarie che portate avanti da anni. Ma bisognerà anche che da queste analisi
riusciate a dedurre e distillare delle indicazioni coerenti per una lotta valida ed efficace per realizzare
anche "contro la storia" un nuovo tipo di società. Si tratta di impedire al sistema di recuperare e
annullare sia attraverso la droga, sia attraverso le ideologie mistificanti dell'autoritarismo marxista,
lo scontento e il rifiuto di tanti potenziali rivoluzionari e di offrire a coloro che si autodistruggono
accettando l'emarginazione e la rinuncia, una via di uscita e una prospettiva di salvezza. Se si riuscirà
a far questo potranno forse realizzarsi le parole di speranza con cui Luigi Galleani chiudeva il suo
scritto in risposta al traditore Saverio Merlino "L'Anarchia sarà!".
A tutti voi un saluto libertario da
Un detenuto
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