Rivista Anarchica Online
Fidel, adios!
di L. L.
Se ne vogliono andare. Alcuni sono già partiti, altri attendono il loro turno. Ammassati
nell'improvvisato ghetto dell'ambasciata peruviana, gli scontenti del socialismo castrista attendono
al sospirato aereo. Un brutto colpo per Castro e i suoi barbudos. Un brutto colpo per il socialismo
di stato. Uno dopo
l'altro i miti cadono lasciando con la bocca amara i seguaci di Marx. Prima l'URSS, poi la Cina,
infine il "glorioso" Vietnam in guerra con la Cambogia. L'uno con i suoi profughi sul mare, l'altro
con le deportazioni in massa e il genocidio. Restava Cuba, e adesso anche questo mito sta
miseramente crollando. Delinquenti, lazzaroni, omosessuali (?), così Castro definisce questi
proletari che non vogliono più sopportare il suo odioso regime. Per il momento i comunisti
nostrani hanno incassato il colpo, ma tra poco, ci potete scommettere,
usciranno ponderose analisi per spiegare che il modo per costruire il socialismo non è quello di
Castro. Certo si tratta di un'esperienza significativa, ma la via italiana al comunismo è un'altra
cosa. Ma queste cose non le diceva anche Mao, non le diceva anche Ho-Ci-min, non le diceva anche
Pol Pot? Che strano, è sempre un'altra cosa, migliore della precedente, ma produce sempre gli
stessi effetti: dittatura, mancanza di libertà, livelli di vita bassissimi per i lavoratori ed elevati per
i dirigenti, carceri e gulag per i dissidenti. Distorsioni, imperfezioni, si dirà, ma il modello
resta valido. Basta saperlo applicare correttamente.
Sarà così, ma se tutte le volte che si cerca di applicare quel modello il risultato è sempre lo
stesso
non è forse possibile che sia sbagliato il modello? Se in diverse condizioni storico-sociali e in paesi
tra loro diversi si riproduce la stessa situazione - sempre e immancabilmente - non siamo forse in
presenza di una costante che deve essere letta come una "legge sociologica"? Il socialismo di stato
porta solo e soltanto a una nuova forma di sfruttamento e di oppressione e non perché il modello
è stato male applicato, ma perché è proprio il modello che contiene in sé le premesse
del gulag. A Madrid, in occasione del 5° Congresso della C.N.T., avevamo intervistato un
compagno cubano
esiliato a Miami, Francisco Fernandez. Alcune sue risposte, sulla situazione a Cuba, sembrano
quasi preannunciare la clamorosa protesta di questi giorni.
Da quanti anni sei fuggito da Cuba? Da diciannove anni. Qual è la
situazione dei profughi libertari cubani a Miami? Complessivamente a Miami gli esiliati sono circa
mezzo milione di cubani, di cui però solo l'uno
per cento è costituito da progressisti, socialisti e libertari, che quindi costituiscono una minoranza
all'interno di un esilio fascista. In questa situazione ci troviamo su tre fronti: contro gli americani,
contro Fidel Castro e contro i nostri compaesani dell'esilio. Puoi accennarmi all'attività svolta
dagli esuli libertari? L'unica attività di cui posso parlarti è quella culturale, di propaganda
rivolta ai cubani in esilio,
anche tramite un periodico e una rivista. Evidentemente non posso dirti nulla della nostra attività a
Cuba. Qual è la situazione attuale a Cuba? Il regime di Castro è ormai completamente
consolidato? Nessun regime dittatoriale è mai completamente consolidato, anche quando sembra
che lo sia. Basta
pensare ai regimi di Mussolini, Hitler, Mao ecc.. Spiegare la situazione attuale a Cuba sarebbe lungo
e complesso. Noi per essere minimamente informati dobbiamo fare un grosso lavoro di esame di
quotidiani dell'Avana e delle notizie che riusciamo ad avere tramite viaggiatori che vanno avanti e
indietro dall'isola. Un lavoro che dobbiamo fare ogni giorno. Quello che però posso dirti è che il
più
grande nemico di Fidel Castro oggi è costituito proprio dagli operai e dai contadini cubani. Sai se esiste a Cuba qualche forma di opposizione al regime? O se esistono le
premesse per lo
sviluppo dell'opposizione? No. O meglio, esiste
ovviamente malcontento, che però si esprime verbalmente nelle fabbriche, nei
campi, nelle strade. Ma, a mio avviso, non esistono le premesse per un sollevamento rivoluzionario
a breve termine. Cosa rimane a Cuba del mito di Che
Guevara? Proprio niente. Il governo si è
preoccupato di cancellare il suo ricordo, visto che non ha mai avuto
molta simpatia per lui e continua a non averla. Ufficialmente la effigie del Che appare nelle strade
dell'Avana, e specialmente nella Piazza della Rivoluzione, in occasione di alcune cerimonie a fianco
delle immagini di Marx ed Engels. Secondo te,
perché fu fatta e come si svolse l'operazione di Che Guevara in Bolivia? Tutto ebbe inizio con il viaggio che il Che fece in Cina all'inizio della rivoluzione.
Al suo ritorno
dalla Cina si fermò in Algeria dove rilasciò al periodico "El Mujadid" una dichiarazione famosa in
cui criticava l'Unione Sovietica. Io ricordo che in quel periodo a Cuba era inconcepibile criticare i
socialisti o i comunisti, mentre si potevano criticare gli americani, e quindi criticare l'Unione
Sovietica significava criticare anche i regime di Fidel Castro. Al suo ritorno a Cuba ci fu una lite
violenta tra lui e Fidel Castro e da quel momento la sua condanna fu segnata. Trattandosi di un personaggio molto importante, il governo dovette cercare un modo sottile e
intelligente per eliminarlo. Prima di tutto fu mandato in Congo a organizzare la guerriglia. Siamo
nel 1965 e questa missione del Che segna l'inizio della politica di intervento cubana nel continente
africano. La missione fallisce, la guerriglia viene stroncata e il Che ritorna all'Avana per poi ripartire
per il Brasile, punto di partenza per la sua missione in Bolivia. Ricordo che in quell'epoca tutti si
chiedevano dove fosse il Che: la CIA aveva detto che era morto a Santo Domingo, che aveva tentato
di ammazzare Fidel e che Fidel lo aveva ammazzato. Ma tutto questo faceva parte della cortina di
fumo innalzata per fare in modo che il Che potesse arrivare in Brasile e dal Brasile arrivare alla
Bolivia. In Bolivia era stata comprata una fattoria a nome di boliviani che doveva servire come base
logistica e in cui c'erano molti compagni peruviani, boliviani, brasiliani. Quando il Che arriva sotto
falso nome completamente trasformato (senza barba, pelato, con gli occhiali) comincia a organizzare
e si mette in contatto con il Partito Comunista Boliviano che in teoria doveva aiutarli. Ma il Partito
Comunista vuole dirigere l'operazione sia politicamente che militarmente mentre il Che vuole avere
il comando militare, di qui la frattura insanabile. Il Che si ritrova completamente solo. Comunque, io che l'ho conosciuto, posso dirti che il Che non era molto popolare. Poca
gente lo
conosceva e quasi nessuno lo comprendeva. Diviene molto popolare solo dopo la sua morte quando
diventa un eroe.
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