Rivista Anarchica Online
Il sesso al collo
di Gabriele R.
Come posso ascoltare tutte le voci i segnali i messaggi che il mio corpo mi manda? Ogni giorno
ho troppe lucciole da inseguire, ho troppe parole per riempirmi la bocca e le orecchie ho troppe
mani con il dito puntato che mi opprimono. Cerco anch'io un'"gesto naturale", un segno
dell'esistenza del mio corpo. Ma è come se guardassi la mia immagine in specchi deformanti,
fino a dimenticare la reale forma del mio corpo. O forse sono io che lo opprimo reprimo zittisco
perché "non si può", perché non è il luogo adatto il momento adatto il modo adatto.
E assisto al
suo incartapecorirsi, al suo accartocciarsi come insetto bruciato respinto schiacciato mutilato. Quante volte ho
dovuto sentire il "non si può" il "non sta bene" perché adesso possa considerarlo
un corpo libero. Non riesco più a capire se i desideri e le pulsioni sono la sua voce reale o solo un
grugnito distorto. Ma non sono solo io. Guardate la gente sui tram, come si contorce, come si dimena si ritrae
attratta e respinta dal
desiderio-paura di sentire il contatto di un altro corpo, sentire il suo calore, la sua elasticità
sentire la concretezza degli altri. Forse spinti dal desiderio di scoprire che esistono, desiderio
dell'anima attraverso il corpo, per convincersi forse che gli altri non sono solo immagini senza
riscontro voci senza eco, gli altri non sono solo l'idea che noi ci facciamo di loro. Fino ad arrivare
a possedere l'immagine di un amico, della propria compagna, della gente. Fino alla convinzione
di possedere gli altri attraverso il possesso dell'immagine che ci creiamo di loro. Da bambino
sentivo i brividi per la schiena se qualcuno magari involontariamente mi sfiorava la testa, magari
senza l'intenzione di accarezzarmi, anzi era meglio. Quanta forza sessuale c'era e c'è nello
sfiorarsi involontario, soprattutto con corpi che non si conoscono, o con corpi che si desiderano e
non si hanno per paura, per repressione nostra e degli altri. O viceversa perché ci hanno detto che
informazione è emancipazione, ci hanno spiegato quali sono i punti da toccare perché si possa
provare piacere, ci hanno detto il modo il momento il luogo per provare piacere, ci hanno
spiegato che il pene in erezione entra nella vagina lubrificata e dilatata, che l'orgasmo è un
culmine, ma non il fine, che esiste un prima e un dopo, e che questa posizione è meglio di
quell'altra. Esperti occhialuti dal sesso incartapecorito, ci hanno spiegato che la sessualità è
importante è anzi basilare, la sessualità è tutto, è liberazione, serenità; forza
fisica e morale,
potere. Ci hanno spiegato convinti che spiegazione sia uguale a liberazione. Ci hanno messo il
sesso al collo il peso dei nostri genitali macroscopici ci trascina sempre più verso un'unica
direzione: sessualità uguale sesso. "Badate bene" ci hanno detto "è una cosa
ben disgiunta dal
nostro corpo, lui riceve e percepisce attraverso i cinque sensi, essi sono funzionali al sesso solo
in funzione dell'Atto con la A maiuscola. L'Atto è tutto e qualcun'altro ci ha insegnato che il
gioco del donarsi-possedere è un po' il gioco della vita dove si è di volta in volta servi e padroni,
in un circolo chiuso e non in una piramide come qualcun'altro ancora dice, dove chi è padrone
oggi, domani sarà servo, dove il culmine della libertà è l'esatto bilanciarsi in ognuno di noi
del
doppio ruolo di servo-padrone. Hanno dato il Nobel a Lorenz per questo. E me lo vedo quel vecchio canuto che
nuota con una fila di ochette dietro che lo chiamano
mamma consapevole del ruolo di padrone-protettore di quelle oche, così come i governanti
democratici sono "consapevoli" del loro ruolo di governanti al servizio del popolo, così come il
maschio cazzo-duro è consapevole del suo ruolo di cercatore di piacere e di datore di piacere,
magari involontario. Nei nostri sogni frustrati torna a intervalli regolari quello del soddisfatore
perpetuo, che trova la sua sublimazione e realizzazione nella sua capacità di dare piacere,
invertendo lo stereotipo di qualche tempo fa di colui che conquistava e otteneva il piacere come
pegno come ringraziamento. Una volta si misurava la virilità in quantità adesso in qualità.
Quante donne hanno creduto di identificare la propria liberazione con la rivendicazione del
piacere negato dal maschio egoista, senza accorgersi di cadere in un tranello. Ora che l'orgasmo è
comune, il maschio non è più padrone? Nel mitico '68, periodo praticamente inventato
dall'Espresso, qualcuno ha gridato: "Amore, amore fammi venire con la rivoluzione" nel '77 si è
corretto in: "Amore, amore veniamo insieme con la rivoluzione" quante donne hanno visto il
proprio compagno cambiare, al di là di uno sforzo goffo per ritardare l'eiaculazione? Se domani ci
svegliassimo tutti senza genitali diremmo che la sessualità non esiste più? O forse
sono io che sbaglio identificando la sessualità con la corporalità? Ma non sono stato io a voler
vedere il sesso dietro ogni nostro gesto, non ricordo nemmeno come è stato il mio periodo anale
o il mio periodo orale, ma la pelle del mio viso è la stessa che ricopre anche il mio sedere o il
mio pene. Perché non c'è stato nella mia infanzia il periodo ascellare o il periodo addominale? I
terminali nervosi della mia mano non finiscono nei miei coglioni, eppure è un piacere sessuale
enorme lo sfiorare, il palpare, l'avvertire il calore, la forma, la morbidezza e la ruvidezza degli
oggetti, dei corpi degli altri, del mio corpo. Il mio nervo ottico non finisce sulla punta del cazzo,
eppure è un piacere sessuale enorme il gioco degli sguardi, il cercarsi e lo schivarsi, il vedere le
forme, i colori, i volumi degli oggetti, dei corpi del mio corpo. Il confine tra sesso e corporalità è
labile e incerto, il piacere fatto di sottili piaceri, di piccole e impercettibili messaggi che da ogni
parte del mio corpo mi giungono, spesso richiede il piacere più robusto e violento dell'orgasmo,
spesso lo richiede come un olocausto, con la sua dirompente irruenza, la sua violenta sferzata, la
sua invadente presenza. Eppure fate caso a come sia altrettanto enorme il piacere della totale
rilassatezza, che viene subito dopo, quasi che l'orgasmo fosse una porta attraverso cui passare per
ritornare ad una realtà più umana. Una specie di forca caudina attraverso la quale cadono tutte le
storture, le frustrazioni le distorsioni che si è potuto sfogare durante il coito. Quindi anche il coito
è importante, ha una sua funzione, un suo scopo liberatorio, un liberare la
bilancia dai troppi pesi deformi che la facevano oscillare paurosamente, un rimettere in pari o
forse un più animalesco sgravarsi sfogarsi, quasi tutte le nostre paure tutte le nostre ansie, tutte
le
nostre frustrazioni, i nostri problemi irrisolti, andassero a finire nelle sacche seminali assieme
agli spermatozoi, o tendere i muscoli uterini, fino a paralizzarli. Forse è questo il modo di vedere
il sesso o meglio l'atto sessuale come uno sgravarsi di "cose" dolorose. E il fatto che queste cose
dolorose aumentino sempre di più ne ha accentuata l'importanza fino alla sua sopravvalutazione.
O è vero che tale atto fa parte di tre atti indispensabili e per qualcuno unici per la nostra
sopravvivenza, cioè mangiare, scopare, dormire? In effetti a ben guardare la mancata
soddisfazione di uno di questi tre atti porta alla sopravvalutazione di uno o di tutti e due gli altri,
per cui se uno non può mangiare perché non ha un lavoro, e quindi non ha il denaro per
comprarsi il cibo ecc. sfoga questo suo desiderio represso accentuando la soddisfazione degli
altri due, cioè dormendo e scopando. Mi sembra terribilmente semplicistico eppure ho il terrore
che per molti sia così. Per molti chi? Per gli ormai mitici proletari (già in nome mi darebbe
ragione), oppure per quello strano animale
non ben identificato che va sotto il nome di uomo medio. Eternamente insoddisfatto, perché la
società in cui vive continua a sfornargli nuovi bisogni da soddisfare, bisogni indotti, spacciati per
indispensabili alla sopravvivenza, affinché essa non sia mera, cioè simile a quella degli animali.
Ed è la società che gli dice come deve comportarsi perché questa sopravvivenza si possa
chiamare esistenza, cosa deve fare, cosa deve sembrare, quali sono i valori e i parametri secondo
cui giudicare e regolarsi e tra questi c'è il sesso. Il sesso spurgato, il sesso umanizzato perché non
assomigli troppo al sesso delle scimmie degli elefanti o delle triglie. Il sesso castrato nel suo
immaginario da immagini già pronte, precotte. Il sesso igenizzato con la sua mai troppo repressa
immagine di qualcosa di sporco. Il sesso demonizzato o angelizzato. Il sesso come strumento di
potere, il sesso come distinzione sociale, il sesso come status-symbol, il sesso come garanzia
dell'ordine sociale, il sesso come cemento della prima cellula dell'oppressione: la famiglia, il
sesso come fonte di conoscenza, il sesso come forma di violenza, il sesso come linguaggio, il
sesso come merce. L'uomo giusto è quello con due coglioni così, la donna giusta è una gran
figa.
Che atroce tragedia se veramente domani gli uomini si alzassero senza genitali. E noi che questa società
vogliamo distruggerla riportandola o portandola, perché forse non vi è
mai stata, a dimensioni umane, noi in questa società ci viviamo. Viviamo la nostra doppia esistenza di
sovversivi costretti a vivere nella società che odiamo,
secondo un sistema che reputiamo fatto per sfruttarci, secondo dei rapporti con la gente che
consideriamo disumanizzanti. Anche noi fin dalla nascita abbiamo dentro tutto ciò, perché ci
viene ficcato nel cervello quando ancora siamo nel ventre di nostra madre. E così, spesso non ci
accorgiamo di come i nostri sogni di utopia, le nostre società liberate, i nostri ambienti alternativi
siano ancora pregni di tutte queste scorie. Di come i messaggi del nostro corpo, in questo caso, ci
giungano come eco lontane, distorti filtrati. Eppure il nostro comportamento è lì da vedere. Il
nostro dividere il mondo e le persone in "in" o "out", il nostro crederci liberati, il nostro
manicheismo spicciolo, il nostro confondere la corporalità con la sessualità, dove il corpo è
funzionale al sesso. Il nostro celebrare i riti quotidiani della paura di comunicare, ci ha portati
spesso a gridare e rivendicare cose di cui non sapevamo neanche noi bene l'esatta consistenza. Abbiamo spesso
creduto che la consapevolezza, la presa di coscienza della nostra situazione di
sfruttati e condizionati, volesse dire automaticamente la liberazione da questa situazione. Come
se il ferito che urla riuscisse con la sua voce a far cessare il dolore. Così ci siamo tenuti dentro
l'idea di sessualità che ci avevano insegnato senza neanche accorgerci di come il nostro
comportarsi sessualmente si scontrasse con quanto noi predicavamo per la nostra e altrui
liberazione. Di quanto ridicolo manicheismo sia fatta la sessualità di molti compagni, di molti
giovani compagni, lo si può vedere nei luoghi di incontro, nelle assemblee, nei locali-recinto
dove abbiamo deciso di vivere in attesa di un domani migliore. Quello che si nota soprattutto è il
modo in cui le persone si pongono in una situazione di disponibilità falsata, di come si giochi a
fornire l'immagine che l'ambiente o la persona desiderata richiede. Ci si rende disponibili
attraverso mille silenziosi messaggi, mille ponti lanciati verso la persona o le persone. E il gioco
sarebbe anche divertente se non fosse frustrante, perché su quei ponti corre la paura, su quei
messaggi non c'è scritto niente. La paura di essere messi a nudo per quello che si è, la paura di
non essere all'altezza. La paura di non rassomigliare allo stereotipo del compagno perfetto che
ognuno di noi si è creato in testa. In fin dei conti qual è la reale importanza della
sessualità, ammesso che si sia riusciti a capire
cosa si intende per sessualità, nella nostra vita? A ben vedere non è né più né
meno importante di
tanti altri problemi che ci assillano, che gravano su di noi costringendoci a dover togliere le
macerie, prima di poter costruire qualcosa. Il fatto è che la sessualità è un cane che abbaia
e che
morde nello stesso tempo, è un bisogno senza orari, che non ha bisogno di stimoli marcati per
afferrarci lo stomaco. È un bisogno, più che impellente, evidente, per di più continuamente
ributtato addosso distorto e ingigantito dall'ambiente in cui siamo costretti a vivere. Forse noi
non siamo come l'uomo medio che usa la sessualità, o crede di usarla come uno strumento di
potere, in gara con se stesso e gli altri, all'insegna dell'antagonismo pseudo-liberatorio. Forse noi
non siamo condizionati dall'ambiente che ci vorrebbe appendere il sesso al collo. Certo è che per
vari motivi, tra cui forse il più importante è il caro retaggio della nostra "educazione", non ci
ricordiamo o non sappiamo per niente cosa sia in realtà la sessualità, quale sia il modo più
umano
di viverla, ammesso che ne esista uno solo, quale sia il modo più umano di manifestarla,
liberarla, esplicitarla, fate un po' voi. E così chiediamo il pane e le rose, senza avere ben chiaro in
testa cosa siano queste rose, cosa siano tutti quei segnali, quei messaggi, quegli urli lancinanti
che il nostro corpo ci manda è che noi spesso non sentiamo. La società ci vorrebbe dei coglioni,
senza metafora, noi rifiutiamo di esserlo o fingiamo di rifiutarlo, ma non sappiamo bene cosa
vorremmo essere, non sappiamo bene che forma, che "peso" che collocazione debbano avere
questi coglioni. Farebbe ridere, se non si pensasse alla nostra meschinità spacciata per
liberazione, o più che meschinità, paura che ci spinge ad essere meschini. Paura che ci spinge
persino ad affermare di aver superato il problema, di non esserselo mai posto, perché ci sono
problemi più importanti. Ci sono sempre problemi più importanti. Provate ad ascoltare cosa vi
dice il vostro corpo, cosa desidera cosa sente. È incredibile il potere
di comunicazione che è racchiuso nel toccarsi e nel toccare. È incredibile l'infinità di
sfumature
che esiste nel linguaggio del corpo e dei suoi sensi. Che poi abbiano o no un valore sessuale
credo che abbia un'importanza molto minore. È molto più importante scoprire di come sia
più
facile comunicare attraverso piccoli messaggi, che attraverso l'urlo sconclusionato di un orgasmo
con tutti i suoi problemi di possessori e posseduti di danti o riceventi. Ci si accorgerà, credo
come prima cosa, di come la paura che noi abbiamo del nostro corpo e del corpo degli altri, sia la
stessa paura di cambiare realmente noi stessi e le cose che ci circondano, senza gesti eclatanti
senza voler "épater les bourgeois ou les camarades" senza "rivoluzione domani" nuda e cruda
come una purga, ma attraverso una rivoluzione permanente molto più dura, molto più radicale ed
intransigente, molto più distruttiva. Rivoluzione permanente che ha l'atroce difetto di richiedere
la nostra reale presenza quotidiana.
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