Rivista Anarchica Online
Errico Malatesta - Sessant'anni di lotte
a cura della Redazione
A Malatesta abbiamo voluto dedicare, nel cinquantenario della morte, un servizio a più
voci, unite dalla volontà di non fare una sterile commemorazione ma di contribuire
all'estensione e all'approfondimento degli studi su questa gigantesca figura di statura
internazionale. Allo storico Vincenzo Mantovani (che, nel suo "Mazurka Blu" ha ritrovato e ben
inquadrato la figura di Malatesta, al culmine del suo impegno rivoluzionario durante il
biennio rosso) abbiamo chiesto di ricostruire un momento specifico della vita di
Malatesta. E Mantovani, rivisitando la sua fuga da Lampedusa nel 1899, ci offre uno
spaccato di quell'epoca, un episodio tra i mille della sua vita avventurosa. Nel suo saggio, Nico Berti
esamina l'insieme dell'esperienza e della produzione teorica
malatestiana, cogliendone le ragioni di fondo della perdurante - e per certi aspetti
insuperabile - attualità. Maurizio Antonioli, uno storico che si è occupato negli ultimi
anni soprattutto delle
vicende del sindacalismo (rivoluzionario, in particolare) fino agli anni '20, analizza
l'atteggiamento di Malatesta nei confronti della "questione operaia" ed in particolare delle
modalità organizzative e del ruolo dell'organizzazione operaia. Temi, questi, tutt'altro che
"superati", sui quali il pensiero di Malatesta offre, pur nelle profondamente mutate
condizioni storiche, notevoli spunti di riflessione. A Gino Cerrito, che di Malatesta ha curato - tra l'altro
- una valide edizione di Scritti
scelti uscita nel '70 e più volte ristampata, abbiamo posto due domande sul ruolo del
rivoluzionario campano, ai suoi tempi e successivamente. Nella sua risposta Cerrito
affronta criticamente "l'eredità" del patrimonio teorico malatestiano, indicandone - a suo
avviso - alcuni limiti ma soprattutto segnalando quei filoni che oggi meriterebbero di
essere ripresi e portati a nuovi sviluppi. Ad Enzo Santarelli, uno storico marxista (del P.C.I.) che ha
scritto in termini anche molto
duri dell' (e contro l') anarchismo, abbiamo chiesto un contributo a questo servizio
sull'attualità di Malatesta. E Santarelli ci ha inviato un contributo che per tanti aspetti non
condividiamo ma che pubblichiamo ben volentieri: spesso, infatti, ci pare che ci si sia
chiusi a riccio sul nostro patrimonio, rinunciando a quei confronti con gli "avversari" che,
se condotti sul piano della correttezza e di un approccio non-dogmatico, possono risultare
utili, soprattutto per chi ritenga l'anarchismo un patrimonio non tanto da "difendere",
quanto da sviluppare ed arricchire. Un contributo decisamente originale viene infine dal lontano Giappone: la
compagna
Misato Toda che alcuni ricorderanno per aver fatto una comunicazione alla "Conferenza
internazionale di studi bakuniniani" a Venezia nel '76 racconta come, da un suo primo
occasionale incontro con un opuscolo (in giapponese) di Malatesta undici anni fa, sia nato
il profondo interesse suo (e di altri) per un uomo che pure mai ha messo piede sulla sua
terra, che mai è venuto a contatto con il suo mondo, ma di cui pure l'ha colpita, al di là
della stessa affinità di pensiero, la statura etica ed umana. È uno scritto che va inquadrato
nella cultura da cui proviene, così diversa dalla nostra occidentale. Concludono il servizio due articoli scritti
da Errico Malatesta nel 1900 ("L'attentato di
Monza") e nel 1913 ("I banditi rossi"): il primo si riferisce al regicidio compiuto da
Gaetano Bresci a Monza il 29 luglio 1900, il secondo alle vicende della "banda Bonnot".
Nemmeno le tre biografie finora pubblicate, nonostante siano state scritte da militanti
anarchici che pure lo conobbero di persona e gli furono per diverso periodo
contemporanei (Max Nettlau, Luigi Fabbri e Armando Borghi), nemmeno queste
biografie - dicevamo - possono essere giudicate sufficienti nel ricostruire, anche
"quantitativamente", la vita davvero avventurosa e a tratti leggendaria di Errico
Malatesta. Una vita, la sua, che ha coinciso con il primo sessantennio di lotte del
movimento operaio e socialista internazionale: nella sua epoca Malatesta è stato
protagonista come nessun altro di tante vicende, di tante lotte, di tante rivoluzioni. Non
solo in Italia, dal momento che dalla Romania all'Argentina, dagli Stati Uniti all'Egitto, da
Cuba alla Spagna, Malatesta è stato un po' dappertutto: e ovunque ha lasciato, piccolo o
grande che sia, il segno della sua presenza costruttiva, così come ovunque ha subito, in
varia misura, le delizie repressive del potere (arresti, provocazioni, espulsioni, carcere,
ecc.). Ancora oggi, in campo storiografico, si lamenta l'assenza di una vera biografia che,
cercando di ricostruirne fedelmente la vita, ce ne restituisca appieno la dimensione umana
e militante. Figuriamoci, dunque, quale forzato schematismo non possa che caratterizzare
queste brevi note biografiche, che pure ci pare utile premettere all'intero servizio. Nato il 14 febbraio 1853 a Santa
Maria Capua Vetere (Caserta) da una ricca famiglia,
Errico Malatesta partecipa, ancora giovanissimo, all'attività dei gruppi mazziniani.
All'indomani della comune di Parigi (marzo '71) aderisce alla Prima Internazionale, della
cui sezione italiana è uno dei fondatori (settembre '71) e dei protagonisti. Con Costa e
Cafiero è tra i promotori dei falliti moti bakuninisti del '74 a Bologna e altrove. Arrestato,
viene scarcerato nel '76. In un periodo di dura repressione, tesse le fila dellIinternazionale.
Nel '77 è tra i protagonisti della sfortunata, ma significativa esperienza della Banda del
Matese: dopo un periodo trascorso in carcere, al processo Malatesta chiarisce i termini
della sua volontà di lotta, respingendo qualsiasi accusa di violenza gratuita. Gli imputati
vengono assolti e poi acclamati dalla folla che li aspetta fuori del tribunale. Costretto
comunque ad emigrare, svolge la sua attività in numerosi paesi europei: è di questi anni la
dura polemica chiarificatrice con Andrea Costa che, primo della serie, abbandona
l'anarchismo rivoluzionario per la via legalitaria del socialismo democratico. Nell'83 è di
nuovo in Italia, ma l'anno successivo una condanna per cospirazione ne tronca l'opera di
riorganizzazione e lo costringe nuovamente in esilio. Questa volta va in Argentina, con
altri compagni, per cercare l'oro nella Terra del Fuoco, per venir così incontro alle
necessità materiali della propaganda e dell'azione rivoluzionaria. Anche in Argentina,
dove resta ben 5 anni, svolge una notevole attività tra i lavoratori, contribuendo - tra
l'altro - a porre le premesse su cui sorgerà la FORA, una grossa organizzazione operaia di
ispirazione anarcosindacalista. Nel 1889 è di nuovo in Europa, nel '91 partecipa al
congresso di Capolago in cui si decide di dare nuovo impulso unitario alla preparazione
rivoluzionaria in Italia, e negli anni successivi lo si ritrova in Spagna, Francia, Belgio,
ecc., ovunque partecipe a movimenti insurrezionali, ovunque braccato dalle polizie. Di
fronte ad alcuni episodi di violenza individuale attuati da anarchici (o, a volte, sedicenti
tali), Malatesta precisa in questi anni il suo pensiero: in netto contrasto con le tendenze
esasperatamente individualistiche, Malatesta afferma la necessità di partecipare alle lotte
del movimento operaio e di avere, in quanto anarchici, una visione organizzata del
movimento. Sono queste le direttrici della sua azione, clandestinamente svolta in Italia
nel '97, fino al suo arresto nel gennaio '98 ad Ancona. Processato per "associazione a
delinquere", difende il diritto dei sovversivi ad organizzarsi. Subisce una lieve condanna,
riprende la lotta, ma pochi mesi dopo - scoppiati i moti popolari - viene mandato al
domicilio coatto a Ustica, poi a Lampedusa. Da qui evade nel maggio '99, passa in
Tunisia, in Inghilterra e sbarca negli Stati Uniti, dove svolge un'intensa attività soprattutto
tra la foltissima colonia di emigrati anarchici italiani. Si reca a Cuba, rientra a Londra e vi
rimane per ben 13 anni, con qualche puntata all'estero (nel 1907, tra l'altro, è tra i
protagonisti del Congresso internazionale anarchico di Amsterdam). Nel '13 è di nuovo in
Italia, a svolgere un'intensa agitazione rivoluzionaria (comizi, giornali, conferenze, ecc.)
che sfocia poi, nel giugno '14, nella Settimana Rossa. Per sfuggire ad un mandato di
cattura, ripara all'estero e resta a Londra fino al '19. Di fronte alla guerra mondiale
Malatesta polemizza con gli anarchici interventisti. Partecipa da Londra all'entusiasmo
per la Rivoluzione Russa, ma è tra i primi a denunciare il ruolo dittatoriale dei
bolscevichi. Impossibilitato a rientrare legalmente in Italia, a causa del mandato di cattura
del '14 (in realtà estinto da una generale amnistia), Malatesta vi sbarca clandestinamente
nel dicembre '19 e fino all'autunno dell'anno dopo è certamente il protagonista (con tutto
il movimento anarchico e sovversivo in genere) della fase montante del biennio rosso. È
il periodo di Umanità Nova quotidiano anarchico (è lui a dirigerlo), di centinaia di comizi
e conferenze, delle polemiche con socialisti e repubblicani, del Congresso di Bologna
dell'Unione Anarchica Italiana (luglio '20). Il tutto culmina con il moto dell'occupazione
delle fabbriche, presto rientrato anche per l'opera di pompieraggio svolta dai riformisti. Il
vento comincia a cambiare verso, e Malatesta, con altri compagni, è arrestato un mese
dopo il fallimento di quel moto: associazione sovversiva, ecc.. Nel marzo '21 attua lo
sciopero della fame in carcere, per ottenere la fissazione del processo: il tragico attentato
del Diana, che avrebbe voluto sostenere la sua protesta, lo induce invece a smettere. Al
processo, a luglio, viene assolto. Si trasferisce a Roma, dove nel frattempo è stata portata
da Milano la redazione del quotidiano. Malatesta è per la lotta violenta contro la violenza
dei fascisti (appoggiati dalle istituzioni), ma la posizione degli anarchici è minoritaria
nella sinistra. Anche dopo la marcia su Roma, Malatesta - che, settantenne, vive del suo
lavoro di elettricista - non demorde e sfrutta tutte le possibilità per far sentire la voce del
movimento: dal '24 al '26 esce, tra difficoltà e sequestri, Pensiero e Volontà. Il fascismo
non lo fa arrestare, per poter sostenere che in Italia c'è libertà, se perfino l'anarchico
Malatesta è "libero". In realtà intorno a lui viene steso un cordone repressivo: chiunque lo
va a trovare viene schedato e spesso arrestato, lui stesso non può quasi spostarsi. Quando
l'attività pubblica è del tutto impedita, continua quella clandestina, a dispetto della
repressione. Ormai vecchio e ammalato si spegne il 22 luglio 1932.
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