Rivista Anarchica Online
Volontà, rivoluzione, libertà
di Nico Berti
A prima vista sembra che Malatesta non abbia dato un contributo originale al pensiero
anarchico. L'impressione iniziale che si ha leggendo i suoi scritti, è quella di una "sintesi"
e di una sistemazione concettuale del precedente patrimonio di pensiero. Insomma,
grande "sistematore", grande "sintetizzatore", grande "divulgatore", ma non grande
pensatore, non grande teorico. L'impressione - a mio avviso - è totalmente errata. Secondo me, Malatesta in
questa
sintesi, in questa sistemazione e in questa divulgazione, ha dato all'anarchismo forse il
contributo più grande di tutta la storia del pensiero anarchico: ancora oggi superare la
"soglia Malatesta" mi sembra francamente un'impresa disperata. Voglio dire che, sul
piano della proposizione, della positività dell'anarchismo risulta quasi impossibile
aggiungere qualcosa di nuovo a quanto lui aveva già detto o anche solo accennato.
Ripeto, e sia ben chiaro, sto parlando del piano della proposizione, cioè del piano
dell'esplicazione teorico-pratica che tramuta, per così dire la dottrina da verbo ad azione.
Il che significa che gli scopi dell'anarchismo e quella che potremmo chiamare la
"deontologia professionale" dell'anarchico che attualizza questi scopi nella e con la sua
azione, nella complessiva delineazione concettuale malatestiana, sono ancora oggi
difficilmente superabili. Per arrivare a questo traguardo Malatesta ha diviso i fini dell'anarchismo dalla sua scienza
analitica. In altri termini ha dovuto dimostrare come la validità universale dell'anarchismo
non dipende dalla comprensione e dalla considerazione storica del presente, per cui, una
volta individuate le forze e i significati di queste forze in questo presente, il futuro si dia
come complessiva deduzione del passato, ma dipenda, invece, dal valore universale
dell'anarchismo stesso. Vediamo di spiegarci. I teorici anarchici precedenti (Goodwin,
Proudhon, Bakunin) o a lui contemporanei (Kropotkin, Merlino) avevano tutti cercato di
dare, chi più chi meno un fondamento teorico all'anarchismo. Volendo dare cioè una
spiegazione e una giustificazione della validità oggettiva dello stesso. Chi cercando i
fondamenti nella ragione (Goodwin), chi nelle leggi della società (Proudhon), chi
addirittura nel determinismo naturalistico (Kropotkin). Teorie volte a spiegare la validità
dell'anarchismo sulla base di un'analisi del presente e di una deduzione per il futuro. Ad
esempio: se tutti gli uomini hanno quale elemento comune più importante la ragione
(Goodwin), fondiamo su essa, sulla sua esplicazione universale, la validità della proposta
di una società di liberi ed uguali. Oppure, se tutti i beni economici e materiali della civiltà
sono dovuti alla combinazione dell'insieme congiunto degli individui in società, per cui
niente si dà se non come prodotto di una forza collettiva e di un essere collettivo
(Proudhon), fondiamo sul riconoscimento e sull'esplicitazione di questa "verità" il valore
del socialismo. Infine (ma l'elenco potrebbe continuare a lungo) poiché tutta l'evoluzione
umana (che è indefinitivamente progressiva) ha potuto darsi grazie alla pratica generale e
costante delle leggi naturali del mutuo appoggio (Kropotkin), troviamo quella scienza
capace di renderci coscienti di queste stesse leggi per basare su esse l'organizzazione della
società armonica nella libertà di tutti. giudizi di fatto e giudizi di
valore
Ora questo insieme, ma si potrebbe aggiungere quella bakuniniana
dell'equivalenza fra
l'analisi delle classi dovute alla divisione del lavoro e la ricomposizione di queste
attraverso la rivoluzione, non è fuso e sintetizzato da Malatesta in un unico quadro
concettuale che, scartando le parti caduche di ognuna, presenti la "summa" del pensiero
anarchico. Niente di tutto questo da parte sua. Si può dire invece che per Malatesta il
problema è, in un certo senso, tutto l'opposto: come dare un fondamento all'anarchismo -
che in questo caso dovrà essere veramente universale - senza chiuderlo dentro le maglie
di un sistema. Per lui la via è una sola: svincolare ed autonomizzare i fini di questo, da qualunque
deduzione che voglia essere necessitante, univoca, oggettiva e definitiva con il presente.
La deduzione, egli afferma, è già implicita nelle cose e sempre ci sarà il modo più
adeguato per esplicitarla finché tali cose non si risolveranno nell'ordine anarchico. Ora,
poiché la deduzione muta con le cose stesse, è inutile e dannoso far dipendere gli scopi
dell'anarchismo da questo mutamento. Gli scopi non possano essere dedotti da un
presente in continua mutazione, né possono essere ricavati da una sua pura negazione. Per dare un fondamento
veramente universale dell'anarchismo bisogna invece riflettere su
quello che motiva lo stesso anarchismo. Si scoprirà così che la motivazione, o l'insieme
delle motivazioni, non è più dovuta ad una deduzione, ma ad una aspirazione. In altri
termini, si scoprirà che gli scopi dell'anarchismo sono tutti costituiti da valori. Ne viene
del tutto logicamente che l'anarchismo non è fondato su un essere, ma su un voler
essere. Questo è il punto centrale di tutta la riflessione malatestiana. Qui sta la sua straordinaria
modernità, nell'avere cioè capito che i giudizi di fatto non possono assolutamente
coincidere con i giudizi di valore. Tutto ciò è profonda concordanza con le acquisizioni di
tutto il pensiero epistemologico contemporaneo, che stabilisce una netta demarcazione tra
le cosiddette scienze normative e le cosiddette scienze descrittive. Le prime appartengono
alla sfera dei valori, cioè del dover o voler essere, le seconde invece appartengono alla
sfera della realtà fattuale, cioè dell'essere. In altri termini le prime sono soggettive, le
seconde oggettive. Tra loro vi è in un certo senso un salto logico, perché non si può
ottenere una inferibilità di direttive e valori dalle descrizioni e previsioni. Mi spiego: la
previsione che si attui la società di uomini liberi ed uguali non comporta il valore di essa
e la direttiva di cercare di raggiungerla. Così la libertà, l'uguaglianza, la solidarietà - vale
a dire i valori costitutivi dell'anarchismo - non sono proposizioni subordinate una volta
per tutte a spiegazioni scientifiche ma a giustificazioni etiche dell'agire umano volto verso
il futuro. il "decantamento storico" dell'anarchismo
L'importanza assegnata al voler essere invece che
all'essere, cioè all'aspirazione invece
che alla deduzione o alla negazione, è l'indice più evidente del decantamento storico
dell'anarchismo come puro anarchismo. Malatesta esprime nel modo più compiuto questo
decantamento. È lui, più di qualsiasi altro, che fa dell'anarchismo o, per meglio dire, che
porta l'anarchismo a differenziarsi da qualsiasi altra dottrina socialista o comunista o
rivoluzionaria e a costituirsi come specifica e distinta dottrina anarchica. È lui che fa
dell'idea anarchica una dottrina a sé, espungendone tutti gli elementi spuri e
contraddittori. È lui che dà una completezza insuperabile al modo di vedere, al modo di
essere, al modo di sentire dell'anarchismo, dando a questo insieme una logica del tutto
propria. Infatti questo insieme di operazioni che si snodano con l'evoluzione storica del
movimento anarchico si può dire che coincidano in gran parte con il sessantennio
malatestiano:1872-1932. Ora, la costituzione dell'anarchismo come puro anarchismo, se da una parte evidenzia la
necessità di questa specifica creazione quale mezzo primario per far avanzare
l'emancipazione umana, dall'altra comporta la reale separazione pratica tra questo mezzo
e la tendenza generale, ma anche del tutto generica dell'emancipazione popolare. Si apre
così un problema difficilmente risolvibile. L'anarchismo deve mantenersi come specifico
movimento ideologico, ma non può assolutamente perdere il contatto con l'azione
popolare. Deve rimanere rivoluzionario senza diventare settario, continuare ad essere
insurrezionalista senza rinchiudersi in un attendismo paralizzante, mantenere l'integrità
della dottrina senza ridursi alla ripetitività stereotipata della propaganda fine a se stessa. Come risolvere questi
problemi? Come fare che l'anarchismo sia nella storia, ma
contemporaneamente contro la storia? Come mediarsi con il processo evolutivo del
movimento operaio e socialista senza rincorrerlo e assecondarlo nelle sue tendenze più
rinunciatarie? la distinzione fra anarchismo e anarchia
La risposta che Malatesta dà è ricavata proprio dalla distinzione
fra giudizi di fatto e
giudizi di valore che abbiamo visto sopra: se gli scopi dell'anarchismo trascendono ogni
deduzione univocamente necessitante ed oggettiva con il presente, bisogna per forza
operare una distinzione pratica e teorica fra anarchismo e anarchia. Il primo si media con
la storia, acquisendo tutti i giudizi di fatto che questa storia produce nel suo continuo
mutamento, la seconda si mantiene contro la storia perché il processo storico non può mai
coincidere con i giudizi di valore che l'anarchia esprime. Malatesta apre così una sostanziale distinzione
epistemologica tra anarchia ed
anarchismo. La prima costituisce l'ideale, la meta mai completamente raggiungibile della
libertà e dell'uguaglianza, e perciò l'insieme dei motivi che stanno alla base dell'agire
anarchico; il secondo invece costituisce l'insieme teorico-pratico della traduzione di
questi valori e di questi motivi nel processo storico e come tale fa da tramite dinamico fra
la deduzione mutevole e relativa del presente e gli obiettivi universali del futuro.
L'anarchismo può quindi utilizzare e far proprio qualunque strumento di comprensione
dell'esistente (se ciò serve per il futuro verso cui si tende), mentre l'anarchia non ha
bisogno, per sussistere, di essere "giustificata" da tale spiegazione. Con questa operazione Malatesta sottrae
l'anarchismo da ogni caducità storica, non
perché lo pone solo su un piano puramente etico e morale, ma perché proietta i suoi scopi,
cioè i suoi valori, oltre la contingenza e il mutamento. Insomma, la deduzione è
necessaria per contestualizzare l'anarchismo dentro il processo storico, perché ne
individui le forze e le tendenze in atto, ma non per dare spiegazione e giustificazione
dell'anarchia, cioè dei motivi ultimi che fanno sussistere l'anarchismo. La distinzione fra
anarchismo e anarchia spiega l'intero disegno strategico e tattico malatestiano. Pensiamo,
ad esempio, alla sua più importante implicazione: il rapporto con il movimento operaio. Il
movimento anarchico deve rimanere un movimento specifico perché la sua specificità è
necessaria al mantenimento degli scopi dell'anarchismo (i valori costituiti dall'insieme
che va sotto il nome di anarchia), ma gli anarchici possono (anzi devono) mediarsi con le
organizzazioni del movimento operaio e popolare. Essi costituiscono la presenza vivente
dell'emancipazione umana nell'azione storica dell'emancipazione popolare. La
mutevolezza, gli avanzamenti e gli arretramenti che questa esplica non "compromettono"
l'azione rivoluzionaria dell'anarchismo perché se esso si coniuga a tutte le vicissitudini
storiche popolari, mantiene e ribadisce nondimeno ad ogni piè sospinto il valore
dell'emancipazione integrale. Il movimento anarchico non si costituisce in avanguardia
rivoluzionaria dell'azione storica dell'emancipazione popolare, ma in irriducibile presenza
rivoluzionaria dell'emancipazione umana dentro tale azione. Così il perseguimento
specifico dei fini anarchici non fa mai violenza al livello storico raggiunto dalle masse
popolari. Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda la composizione delle forze all'interno
del movimento anarchico specifico. Si sa che Malatesta era per l'organizzazione
comunista della società e per la tendenza "organizzativa" dell'anarchismo. Ma ciò non gli
ha mai impedito di ribadire la relatività e la contingenza di queste stesse concezioni,
perché come tutte le teorie e le ipotesi esse potevano avere valore solo qualora fossero
state sottoposte all'esperienza concreta. Il pluralismo, la radicale convinzione della
relatività di ogni tendenza, la consapevolezza del rapporto tutto libertario ed egualitario
fra proposte e la loro conferma pratica, delineano la concezione malatestiana come
concezione equilibrata, complessa e multiforme, come concezione, vorrebbe dire,
autenticamente anarchica. Dunque, anche qui abbiamo lo stesso "schema": l'anarchismo può mediarsi in
più
tendenze, può moltiplicarsi e crescere su più esperienze purché queste non neghino per
definizione le altre. Esse, rispetto agli scopi che perseguono ed esprimono (i valori
dell'anarchia) sono in un certo senso dei giudizi di fatto che possono cambiare a seconda
delle smentite e delle conferme, smentite e conferme che possono darsi solo alla luce del
confronto con i giudizi di valore che esse stesse dicono di perseguire. L'esempio del rapporto fra movimento anarchico
e movimento operaio e l'esempio del
rapporto fra le varie forze agenti all'interno dell'anarchismo ci suggeriscono altre
analogie. Con la distinzione fra anarchismo ed anarchia si può infatti superare anche
l'annosa questione del rapporto rivoluzionario. Se la storia con il suo mutamento produce
altre forze sociali emergenti, sigillando il declino della presunta centralità della classe
operaia, l'anarchismo potrà benissimo riconoscere questi nuovi fatti e farsene un giudizio
(appunto, giudizio di fatto) senza intaccare minimamente i suoi giudizi di valore. Diverse
situazioni sociali, economiche e politiche contestualizzeranno l'agire anarchico ma non i
suoi scopi, che sono quelli di portare, dentro questa contestualizzazione, dei valori
universali. anarchismo e "senso comune"
Si badi: in tutto questo non c'è assolutamente nulla di idealistico, se
non nel significato
del tutto generico di perseguimento dell'ideale. Vi è invece qualcosa d'altro. Vi è il
gigantesco tentativo di trasformare l'anarchismo sulla base reale dell'aspirazione umana
verso la libertà, l'uguaglianza, il benessere, la solidarietà, ecc. ecc. da specifica ideologia
politica a universale sentire e pensare umano, di saldare, in altri termini, la logica e il
modo d'essere di un movimento particolare alla logica e al modo d'essere generale, e
perciò di saldare l'ideologia anarchica che persegue gli ideali della libertà e
dell'uguaglianza al "senso comune" che la generalità degli uomini ha della stessa libertà e
della stessa uguaglianza. Ecco il grande tentativo: saldare l'ideologia anarchica al "senso
comune". Ma in che modo? Secondo Malatesta i grandi ideali dell'emancipazione umana non sono soltanto il
patrimonio teorico di una piccola minoranza. In una certa misura sono stati recepiti anche
dalla grande maggioranza della popolazione. Per i rivoluzionari il problema non è quello
di plasmare pedagogicamente la popolazione (operazione squisitamente autoritaria) ma di
piegare, di adattare, di curvare l'ideologia specifica dentro il modo di sentire e il modo
di
vedere di questa popolazione. Si tratta di trovare i punti in comune tra la logica popolare
al fine di esplicitare la valenza libertaria che questa stessa logica popolare sottende.
L'anarchismo diventa così universale sentire umano senza perdere nessun carattere
rivoluzionario specifico. Esso infatti non viene stemperato in una sorte di generica
dottrina umanitaria. La sua pregnanza emancipatrice rimane per intero in quanto essa è
conformata alla mentalità e alle aspirazioni delle masse oppresse solo per quel tanto di
valenza libertaria che questa mentalità e queste aspirazioni presentano. Da qui la preminenza assegnata al
fattore propaganda e alla forma che questa propaganda
deve assumere. È in tal modo che nasce lo straordinario linguaggio malatestiano, il quale
costituisce forse l'espressione più chiara di questo tentativo di dare all'anarchismo il
significato universale di comunicazione e di riconoscimento della concezione umana. Si
tratta forse dello sforzo più grande compiuto da qualsiasi pensatore rivoluzionario
nell'ultimo secolo. Però bisogna fare attenzione perché il tentativo non è quello di leggere
tutta la realtà con gli occhi dell'ideologia politica, di fare del pan-politicismo per vedere
nel "senso comune" la conferma dell'ipotesi ideologica ma di fare esattamente il
contrario, cioè di far scoprire all'ideologia stessa la valenza (non l'identificazione)
libertaria stratificata dentro le pieghe sia pur contraddittorie della coscienza popolare.
Malatesta supera così tutta la cultura populista del rivoluzionarismo e nello stesso tempo
tutto l'elitismo "aristocratico" che questo stesso rivoluzionarismo per altri versi
manteneva. volontà, rivoluzione, libertà
La più grande forza della storia umana è la volontà
umana: è questa la concezione più
profonda, più radicata e più ragionata di tutto il pensiero malatestiano. La rivoluzione non
è altro che l'espressione demiurgicamente più compiuta di questa volontà, la sua più
convincente conferma. Però il binomio volontà/rivoluzione, che si può tradurre pure
come volontà rivoluzionaria (anche se perde parte della sua forte pregnanza
"prometeica"), non deve assolutamente essere inteso come volontà di imposizione o come
volontà di purificazione palingenetica. È vero che Malatesta intitola il suo quotidiano
Umanità Nova, ma non c'è in lui nessuna volontà di fare l'"uomo nuovo", nessuna
volontà
di imporre il suo modello antropologico. Malatesta non ha modelli antropologici da
proporre: analogamente a tutti gli anarchici Malatesta intende la rivoluzione come
liberazione. Il valore assegnato da Malatesta alla volontà rivoluzionaria dipende invece dal fatto che
vi è in lui la piena comprensione della valenza tutta culturale del progetto anarchico. La
"società futura" si realizzerà nella misura in cui una nuova cultura fondata sul principio
costitutivo della libertà si opporrà e vincerà la vecchia cultura fondata sul principio
costitutivo dell'autorità. Molteplici, per non dire infiniti, possono essere i modelli sociali
fondati sul principio della libertà. L'importante è la volontà di realizzare costruttivamente
questo principio. Il resto è del tutto secondario, mutevole e contingente. Perché avvenga
però il passaggio dall'uno all'altro principio, perché si passi insomma dall'autorità alla
libertà, è necessaria una "rottura rivoluzionaria". In questo senso la rivoluzione non è più
soltanto mera insurrezione violenta che tende a realizzare un tutto e subito, ma prima di
tutto fatto psicologico traumatico, volontà, appunto, di rompere con il presente e con i
suoi principi informatori. L'idea regolativa della rivoluzione può così coniugarsi con l'idea costitutiva
della
rivoluzione medesima: la rivoluzione è necessaria, però la sua attuazione può essere
fondata su un progetto gradulista. Questo realizza la rivoluzione nella misura in cui l'idea
di libertà, di uguaglianza e di solidarietà si fa generale, si fa "senso comune". Come
sfondo rimane comunque la volontà rivoluzionaria. Dunque volontà, rivoluzione, libertà,
dove è chiaro che per arrivare all'ultimo termine bisogna partire dal primo dovendo
passare per il secondo. Senza volontà di fare la rivoluzione non vi è rottura
rivoluzionaria, senza rottura rivoluzionaria non vi è libertà. Malatesta è stato l'esempio
vivente di questo trinomio. Malatesta fu un grandissimo.
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