Rivista Anarchica Online
La guerra latente
di Franco Melandri
Falkland, Libano, Iraq, questi i tre punti del mondo su cui si punta l'attenzione internazionale:
al di là delle distanze che separano queste diverse realtà, tutte rientrano in quell'aumento della
tensione mondiale che pare essere il retroterra ormai ineliminabile di questi primi anni '80. La questione delle Falkland-Malvine potrebbe ormai dirsi risolta. Gli argentini sono tornati a
rivendicare le Malvine solo con strumenti diplomatici, la giunta Galtieri è caduta e pare che in
Argentina sia vicino il ritorno della democrazia, anche se sempre sotto la tutela dei militari. Gli inglesi dal canto loro hanno riaffermato i loro «diritti» di potenza. Mrs. Thatcher ha
dimostrato nei fatti di godere dell'appoggio praticamente incondizionato dei sudditi di Elisabetta
nonostante - o forse grazie - l'inflazione, la disoccupazione, la recessione e le enormi spese
sostenute per la spedizione nelle Malvine. Nonostante le batoste subite dalla Royal Navy, ha
dimostrato di poter ancora mantenere, se lo volesse, i brandelli dell'impero ed ha dimostrato
soprattutto di non essere succube degli Stati Uniti, ai quali ha imposto una scelta di campo che
andava - con l'abbandono dell'Argentina alle sirene sovietiche e cubane - a tutto svantaggio della
politica USA nel cono sud dell'America. L'importanza del conflitto delle Falkland non è data tanto dalle possibili ma improbabili
ripercussioni nell'assetto politico-militare dell'America del Sud, quanto dal fatto che, come ha
affermato un alto funzionario inglese, «la guerra delle Malvine è la prima guerra moderna che
si combatte dalla fine della seconda guerra mondiale». Inglesi ed argentini hanno infatti
dimostrato che è possibile combattere una guerra in scenari limitati, con mezzi modernissimi
(basti pensare ai missili Exocet, di fabbricazione francese, usati dagli argentini e alle
modernissime portaerei, coi micidiali Sea Harrier a decollo verticale, inglesi) senza toccare le
armi atomiche. E non è questa una dimostrazione da poco, se si pensa che fino a poco tempo fa
una guerra moderna - al di fuori cioè dei conflitti fra i paesi del terzo mondo - veniva ritenuta
estremamente improbabile proprio per l'esistenza del «deterrente atomico». Quasi a spezzare il sospiro di sollievo seguito alla resa argentina nelle Malvine, sono giunte
le notizie dell'invasione israeliana del Libano e della recrudescenza della «guerra dimenticata»
fra Iran e Iraq. Ed anche da questi due settori sono emerse modificazioni allo scenario mondiale
dominato dal confronto USA-URSS. Israele ha dimostrato - oltre all'assoluta supremazia
militare su tutti i paesi del Medio Oriente - di poter costringere gli americani ad avallare, per
lo meno sino ad un certo punto, la sua politica espansionistica. Gli israeliani stanno cercando
di ribaltare il rapporto tradizionale esistente fra superpotenze e paesi alleati e non è detto non
ci riescano, visto anche il recente succitato esempio dell'Inghilterra. Infatti l'avanzata israeliana ed i bombardamenti su Beirut - non previsti dal placet americano
all'invasione del Libano Sud - e le atrocità commesse dall'esercito con la stella di Davide contro
palestinesi e civili libanesi, rispondono non solo ad un'aberrante logica militare e militarista, ma
anche al disegno di Begin, Sharon e Shamir tendente a dimostrare che anche il più bisognoso
dei paesi satelliti può determinare la politica della superpotenza sua alleata. Contemporaneamente, l'invasione del Libano ha dimostrato che i perdenti non hanno mai amici,
soprattutto nel momento del bisogno. I palestinesi, i perdenti della situazione, tradizionali amici dell'U.R.S.S., non hanno per ora avuto dalla loro protettrice altro che promesse, e l'invio
della flotta russa nel Mediterraneo non ha neppure avuto la funzione di impressionare gli
israeliani. La guerra Iran-Iraq infine è tornata alla ribalta internazionale non tanto per il suo valore di
carattere militare (iraniani ed iracheni hanno ampiamente dimostrato, soprattutto i secondi, di
non saper fare buon uso dei modernissimi mezzi che le superpotenze hanno messo a loro
disposizione) quanto perché ha dimostrato una volta di più - ed i duri moniti americani all'Iran
ne sono una lampante dimostrazione - che basta un nonnulla, in questo caso un fanatico al pari
di Khomeini, per mettere in pericolo i rifornimenti energetici dei paesi sviluppati, fatto questo
che metterebbe in breve tempo in difficoltà gli attuali padroni del mondo, nonostante il loro
strapotere militare. Tutto questo mostra ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che a lato della
contrapposizione fra USA-URSS per il dominio del mondo assume sempre più importanza il
conflitto fra il nord ed il sud del pianeta. Un conflitto che, oltre a condizionare pesantemente
lo scontro fra le due superpotenze, dovrà forzatamente essere affrontato dal grande che risulterà
vincintore dello scontro in atto. In questo intricato scenario si è infine inserita la polemica USA-Europa a proposito del gasdotto che dalla Siberia dovrebbe portare gas sovietico a tutta l'Europa
occidentale, collegando così - da qui la contrarietà degli USA - Russia ed Europa con un
cordone ombelicale difficilmente recidibile. Una polemica ancora a livello di «lite in famiglia»,
come l'hanno definita tanto Reagan che Schmidt, ma che tuttavia potrebbe assumere sviluppi
ora impensabili soprattutto in una situazione mondiale sempre più tesa. La polemica sul gasdotto risulta importante, coi suoi rischi di disfacimento di fatto della
NATO, perché rischia di cambiare le carte sul tavolo principale scelto da russi e statunitensi per
il loro confronto. Infatti, nonostante quanto detto prima riguardo alle modificazioni militari
mostrate dal conflitto delle Falkland, per la vecchia Europa - proprio a causa delle sue
caratteristiche geografiche, economiche e politiche - il rischio di fare da campo di battaglia al
conflitto nucleare limitato fra USA e URSS (possibilità proprio ventilata un anno fa da Reagan)
rimane notevole ed alla luce di questo si spiegano anche meglio le diatribe fra americani ed
europei prima accennate. D'altro canto non sono certo le trattative russo-americane di Ginevra o il ventilato incontro tra
Breznev e Reagan che possono rendere tale conflitto più improbabile. L'unico vero deterrente
era finora costituito dalla mobilitazione pacifista che dall'autunno dell'anno scorso ha percorso
l'Europa e gli USA, ma che sembra essersi squagliata come un gelato coi primi caldi, come
l'unica isolata eccezione della manifestazione di New York in occasione della buffonesca
sessione dell'ONU sul disarmo. Al momento attuale, ma sono sempre possibili sviluppi impensati, credo che - proprio per le
nuove possibilità militari mostrate dalla guerra delle Falkland e per l'importanza economicostrategica della zona sia nel confronto Nord-Sud che in quello USA -URSS - lo sviluppo più probabile della situazione mondiale veda al centro la definitiva
internazionalizzazione già iniziata, fra l'altro con l'invio dei «corpi di pace» americani ed europei
nel Sinai e che potrebbe evolvere col probabile coinvolgimento militare convenzionale tanto di
USA e di URSS quanto di parte della NATO, in particolare quel fianco sud che vede paesi come
l'Italia e la Turchia particolarmente obbedienti agli ordini USA. Se tale sviluppo potrebbe risolvere, ma ne dubito, i problemi di dominio del mondo che
contrappongono americani e russi, un eventuale conflitto atomico in Europa potrebbe forse
essere evitato. Se invece, come è più probabile e come la storia insegna, anche
l'internazionalizzazione dei conflitti medio-orientali ad altro non servisse che ad aggravare
ulteriormente lo scontro in atto, l'ipotesi di una guerra - come detto prima, inevitabilmente
atomica - acquisterebbe maggiori possibilità di realizzarsi. L'europa rimane quindi, nonostante
tutto, se non l'unico certamente il terreno privilegiato di scontro fra USA e URSS e poco dicono,
almeno per ora, anche le ipotesi «terzaforziste» che pure esistono in certi paesi europei come
RFT, Francia, o come il PCI in Italia - ipotesi che vedono, non senza qualche valido motivo
almeno nel medio periodo, in uno sviluppo dell'Europa autonomo dalle due superpotenze, un possibile
«polo di pace», in quanto questo sconvolgerebbe l'equilibrio del terrore che dal '45 ad oggi ha
retto le sorti del mondo. Resta da vedere se statunitensi e sovietici saranno disposti - soprattutto i primi data la
«realpolitik» seguita dagli europei nei confronti del «grande fratello» sovietico - a lasciare che
questo terzo polo si sviluppi. Va comunque considerato che, almeno da un punto di vista
libertario, anche la creazione di questa terza forza non risolverebbe certo il problema di nuove
guerre mondiali, lo rimanderebbe solo fino al momento in cui anche la «nuova Europa» sarebbe
sufficientemente forte da voler far sentire la sua voce nell'arena mondiale divenendo così
anch'essa matrice di nuovi possibilissimi scontri. E' ben chiaro, in conclusione, che per noi anarchici, nemici di ogni potenza grande o piccola,
presente o futura, il panorama è tinto sempre più di nero; a noi non resta che continuare la nostra
opera per realizzare l'internazionale dell'umanità, ma è una prospettiva oggi ancor più utopistica
che in altri tempi. Non è detto tuttavia, che la lotta per un utopia non porti a nulla, almeno finché
sapremo mantenere vivo, nonostante il sempre più forte pessimismo della ragione, il sempre più
difficile ottimismo della volontà.
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