Rivista Anarchica Online
Un revival dissacratorio?
di Fausta Bizzozzero
Le vie del marxismo sono infinite. E quelle dei suoi ultimi epigoni anche. Credevamo di aver
acquisito, col tempo e l'esperienza, una sufficiente dose di scetticismo e di impermeabilità nei
confronti di quel piccolo mondo pazzo e obliquo che è la sinistra in Italia. Ma ci eravamo
sbagliate. Ci sono ancora cose in grado di stupirci e di farci fare grasse risate ... amare. Come
il recente repèchage, ad opera dell'ARCI di Bologna, dell'erotismo anni '50 e della sua massima
vestale Dodò d'Hambourg, regina del Crazy Horse, simbolo per eccellenza del peccato con la
P maiuscola. E appena lei ha ripreso a spogliarsi ha fatto impazzire Bologna. E i giornali. E la
RAI. E gli intellettuali dall'aria snob che si pigiavano in prima fila con la scusa di partecipare
ad un revival dissacratorio, tesi e attenti a cogliere l'ombra di un capezzolo o di un pelo. Soprattutto è impazzita la gente: uomini e donne, docenti universitari e commesse, tutti a far la
fila per ore per conquistarsi un biglietto o una sedia. Quelli del GranPavese, il circolo Arci-democratico (sic!) convertitosi all'«erotismo ironico», organizzatori della serata, si sono fregati
le mani dalla soddisfazione. I bolognesi sono arrivati in massa a pigiarsi all'ingresso, a prendersi
a pugni in risse furibonde. Sono stati respinti a centinaia. Loro, i pochi privilegiati che hanno assistito allo show e al corso di spogliarello prontamente
organizzato dal GranPavese - una settimana di strip, tavole rotonde, canzoni oscene degli anni
'20, esibizioni di Dodò e del pubblico - sono rimasti entusiasti. Al punto che Dodò s'è decisa a tirar fuori dalla naftalina le
sue sfavillanti «toilettes originali» e a dar spettacolo con un grande revival in un piccolo teatro
off dell'amministrazione provinciale, solitamente consacrato ai misteriosi riti dell'avanguardia.
Un successo senza precedenti. Un successo che fa pensare, che deve far pensare. Certo un'iniziativa di questo tipo sarebbe
stata addirittura impensabile dieci anni fa, certo allora nessun sinistrese avrebbe avuto il
coraggio di parteciparvi, certo alte grida di sdegno si sarebbero levate soprattutto da parte dei
vetero-marxisti notoriamente superbacchettoni, reazionari e tradizionalisti in campo sessuale,
e da parte delle femministe. Ma ora donne e uomini di sinistra, con identico entusiasmo, si sono
buttati alla scoperta di questo erotismo archeologico e hanno scoperto che è eccitante,
stimolante. Diverse sono le possibili letture del fenomeno. Forse gli uomini si sono stancati della
sessualità libera, senza veli, che era sembrata una conquista dopo il fatidico '68; forse si sono
accorti che la facilità del fare all'amore ne riduceva i contenuti a puro esercizio fisico, forse si
sono resi conto di non poter accettare un tipo di donna nuovo, che stava nascendo, e che
finalmente voleva essere soggetto e non oggetto anche nell'amore. Forse le donne si sono stancate di cercare la strada di una reale emancipazione, forse si sono
accorte di non essere capaci di accettare le scelte difficili e faticose che questa comporta: la
coerenza, la rinuncia a qualsiasi tipo di «protezione» psicologica, anche l'accettazione della solitudine. la fatica di diventare «persona»
senza perdere l'essenza della femminilità. Forse hanno scoperto che «prima» tutto era più facile
e piacevole e hanno deciso di reimparare vecchi gesti e vecchi trucchi per piacere agli uomini. Forse uomini e donne hanno deciso di abdicare, di lasciar perdere quei sogni che si sono
dimostrati tanto difficili da realizzare, e di ritornare alla sicurezza di un passato nemmeno poi
tanto lontano. Quel che è certo è che nel campo della sessualità come in tutti gli altri, la sinistra
ha dimostrato in questi dieci anni una profonda incapacità propositiva e progettuale, non ha
saputo inventare e costruire nuovi modi d'amare, di essere, di vivere. O forse i vecchi schemi,
i ruoli tradizionali, le vecchie fantasie erotiche frutto di una storica e invitta repressione
sessuale, non sono mai state rifiutate completamente, hanno continuato a covare, come il fuoco
sotto la cenere, sotto le critiche e i tentativi di un cambiamento tutto sommato superficiale, non
interiorizzato. E allora, finita la ventata innovatrice, ecco il ritorno al sesso-peccato, allo spogliarello, alle
antiche arti della seduzione. Ecco Dodò d'Hambourg. Secondo quanto ha dichiarato in
un'intervista lei, la vedova nera, non ha bisogno di alibi culturali e non capisce tutto questo
affannarsi, discutere, sviscerare l'erotismo. Si spoglia perché le piace e basta. Quando parlano
di lei come simbolo del peccato (quello con la P maiuscola, che ha turbato i sonni maschili di
una intera generazione) si scompiscia addirittura dalle risate: «E' incredibile, bellissimo ... Io
sono una donna perfettamente normale. E che la gente mi creda peccatrice, sensuale, ammaliatrice ... mi diverte da morire». E prosegue: «Mi divertivo come una matta a sconvolgere
il pubblico. Alla fine della guerra la gente era affamata di tutto, anche di sesso. Bastava
pochissimo per scandalizzare: facevi vedere una coscia ed era già la fine del mondo». Dopo la
coscia, qualcos'altro, in un gioco di darsi-negarsi. Non ha mai voluto spogliarsi del tutto: «E' il
segreto del mio successo, lasciare spazio all'immaginazione, al sogno (...) Spogliarsi in pubblico
è un'esperienza molto sensuale. Lo sguardo della gente è come una cosa calda, sensuale, che ti avvolge e ti sostiene». Una vittima? Certamente, anche se si è autoconvinta, ha dovuto autoconvincersi di non esserlo
per poter continuare a fare il suo lavoro. Anche lei si è servita di un alibi, ma con se stessa. Ha
dovuto credere di usare il pubblico anziché di esserne usata, di vendicarsi di un pubblico
guardone e represso giocando con le sue fantasie e repressioni. In realtà è sempre stata schiava
del suo pubblico, ma schiava intelligente, che del suo padrone conosce ogni intimo pensiero e
desiderio, ogni sfumatura, ogni fantasia e facendole proprie riesce ad assecondarle, a
soddisfarle, a stimolarle, a prevenirle nel migliore dei modi. Forse Dodò d'Hambourg non esiste
neppure. O meglio esiste solo in quanto proiezione di un immaginario sessuale tipicamente ed esclusivamente maschile. Lei dice di credere nelle donne e nel femminismo: «Le donne sono cento volte meglio degli
uomini. Ti aiutano, ti stanno vicino. ti difendono. Ma non ti chiedono niente in cambio.
Femminista io? Certo. Tutto quello che ho me lo sono conquistato da sola, anche se i miei sbagli
li ho pagati cari. Ho sempre cercato di essere libera, di essere me stessa nonostante tutto. Be',
non lo sono?». No, cara Dodò, non lo sei proprio. E come potresti, racchiusa come sei dentro
uno spazio simbolico che non è tuo e non è, né potrà mai essere, di nessuna donna?
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