Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 128
maggio 1985


Rivista Anarchica Online

Contro il militarismo
di AA. VV.

"Partiti civili, arrivati totali" era il titolo del servizio pubblicato sul numero di febbraio: rispondendo alle nostre domande, Giancarlo Tecchio (anarchico) e Sandro Ottoni (radicale), allora detenuti nel carcere militare di Peschiera del Garda (in seguito al ripetuto mancato accoglimento delle loro domande di ammissione al servizio civile) chiarivano il loro pensiero in merito al servizio civile, all'obiezione totale, alle forme più efficaci e al contempo praticabili per opporsi concretamente al militarismo. I loro interventi provocavano, sul numero di marzo di "A", le risposte di due compagni che hanno praticato l'obiezione totale, rifiutando non solo la naja ma anche il servizio civile. Intervengono ora di nuovo Ottoni e Tecchio, che nel frattempo sono stati scarcerati. E intervengono anche altri due compagni, in dissenso con le posizioni espresse dai "totali" Pasello e Zanoni. Il dibattito è tutt'altro che chiuso e già altri interventi si preannunciano per il prossimo numero. Le questioni sul tappeto sono molte e molto sentite, dal momento che riguardano anche le scelte concrete che si trovano a dover operare ogni anno centinaia di migliaia di giovani - o almeno quanti tra loro si pongono in posizione critica dinnanzi al servizio militare, con tutto ciò che rappresenta. Tra tanto parlare di pace e di pacifismo, ci pare che questo dibattito su cosa fare in prima persona contro la macchina militare e l'ideologia che la sottende, sia molto positivo. Da parte nostra c'è la massima disponibilità a ospitare nuovi interventi nel dibattito.

Obiezione totale, una scelta isolata

Cari compagni,
vi scrivo, non più dal carcere militare questa volta, ma finalmente in libertà anche se "provvisoria".
Il 28 marzo sono stato processato dalla Corte Militare d'Appello di Verona. Questa, con una sentenza "illuminata" ma pure attenta alla mobilitazione antimilitarista creatasi in questi mesi intorno ai casi degli obiettori in carcere, ha decretato la riduzione della condanna ad 8 mesi (invece di un anno), riconoscendo "l'alto valore morale e sociale" della mia azione e concedendo la libertà provvisoria in attesa della risposta ministeriale alla mia quarta domanda di servizio civile.
Questo - tardivo - riconoscimento manifesta un'evidente contraddizione tra autorità amministrativa e autorità giudiziaria, poiché la prima fino ad oggi ha sempre rigettato le mie domande di servizio civile con la motivazione che il mio comportamento era "manifestamente in contrasto con i principi morali stabiliti dal legislatore".
Tale vistosa contraddizione si origina nelle aberrazioni della legge 772 sull'obiezione di coscienza con i suoi assurdi criteri di "valutazione della personalità dell'obbiettore" e il suo Tribunale delle coscienze. Ma la questione è nota ai lettori di "A" ed è inutile riparlarne.
Invece volevo rispondere con questa agli interventi di Zanoni e Pasello sul penultimo numero, sperando che altre voci si uniscano al dibattito sulla questione obiezione totale/servizio civile. Zanoni, con puntuali argomenti, sostiene la validità etica e politica dell'obiezione totale. In linea di massima approvo quanto dice, però giudico la sua analisi politica parziale ed inadeguata ai tempi che corrono.
Credo che l'obiezione totale resti una scelta isolata, nei fatti improponibile all'interno dello stesso movimento anarchico. Ribadisco: una scelta eroica, poiché "eroe" non è colui che va a farsi ammazzare in guerra, bensì semplicemente chi dimostra una coerenza etica e ideale al punto da mettere in gioco il proprio corpo. Forse a Mauro e Franco sembra ovvia e naturale la coerenza con le proprie idee spinta fino a quell'estremo limite (e l'hanno dimostrato), ma non credo affatto che per i più la cosa sia così ovvia e convincente. Basta guardarsi attorno per vedere quale crisi di eticità e di politica viviamo e per vedere anche quanti giovani anarchici vanno più o meno tranquillamente a fare il servizio civile.
È che la galera, come ben sapete, è brutta e fa paura e a niente servono i sofismi che "chi obietta non sceglie la galera", poiché salvo eccezioni rarissime (vedi il caso recente di Pippo Scarso), essa è inevitabile conseguenza per chi si dichiara obiettore totale.
Io, più realisticamente, preferisco confrontarmi con le migliaia di giovani che decidono per il servizio civile, proprio per evitare che questa scelta potenzialmente antimilitarista si riduca ad uno spazio di comodo imboscamento o peggio a quella "istituzionalizzazione" in cui Zanoni vede già chiuso e concluso il movimento degli obiettori. Mi pare un giudizio affrettato e polemico che tende ad irrigidire un'opposizione tra obiezione totale e servizio civile, secondo me né necessaria né utile. Credo invece che le due scelte siano modalità differenti di affrontare la stessa cosa, entrambi possibilità di lotta antimilitarista.
Se nella coscienza del singolo la risposta all'esercito matura fino al punto di accettare la conseguenza di un anno di carcere piuttosto che prestarsi ad una qualsiasi collaborazione, se ancor più si vuol assumere la politicità di questa obiezione, io non potrò che sostenere ed appoggiare questa posizione (condivido pienamente le critiche di Mauro al silenzio stampa pacifista sugli obiettori totali). Ciò che non comprendo è perché si debba proclamare questa scelta come l'unica autentica, anarchica risposta al militarismo...
Alcune precisazioni. Franco dice che i Testimoni di Geova sono in carcere militare a causa delle loro idee. Penso che "idea" sia qualcosa di più che la pedissequa citazione a memoria della Bibbia. Penso che la comprensione e la tolleranza siano molto difficili verso persone che si trovano in galera, sì, ma sottomesse con convinzione e motivazioni religiose alla più stretta disciplina (che considerano "esercizio spirituale") e che collaborano in tutto all'istituzione. In realtà la congrega dei Testimoni di Geova ha ottenuto 6 mesi pagati di seminario teologico a spese dello stato. Che poi i più giovani ed i meno indottrinati di loro vivano con sofferenza quell'assurda costrizione, non può influire sul giudizio negativo che si deve dare di questa setta nel complesso. Il loro antimilitarismo è del tutto casuale, si rifà nient'altro che ad alcuni versetti della Bibbia e si traduce in pratica in una comoda scuola iniziatica.
A Mauro invece vorrei dire che quando sia io che Giancarlo ci autoconsegnammo si trattava della seconda volta e che quindi eravamo certi della condanna ad un anno di carcere militare. I "quindici giorni" di prassi li avevamo già scontati l'anno precedente: Giancarlo a Peschiera, io a Forte Boccea (nel novembre '83, quando anche Mauro era dentro). Quindi nessuna "impreparazione psicologica": da parte mia vi fu una scelta politica ed etica per difendere il valore dell'obiezione di coscienza, il diritto a prestare un servizio civile che per me si configura come servizio antimilitarista (niente di più "civile" che l'antimilitarismo!).
Augurandomi la continuità del dibattito, un caro saluto.

Sandro Ottoni (Firenze)

Signornò

Mi chiamo Gatteschi Carlo, ho 29 anni, sono di Genova. Dopo 6 mesi di servizio militare mi sono autodenunciato, rifiutando di continuare a svolgere il servizio e dichiarandomi obiettore totale. Sono stato condannato a sei mesi di reclusione per disobbedienza aggravata, con la prospettiva di dover tornare a concludere il servizio una volta scontata la pena.
I motivi che mi hanno portato a questa decisione sono di duplice natura:
1) Una repulsione istintiva verso il mondo militare e il suo sistema di valori. La macchina militare, con i suoi meccanismi spersonalizzanti, e la sua "cultura della violenza", è il vero nemico da combattere, più dello stesso sistema politico, che teoricamente dovrebbe svolgere funzioni di controllo, ma che in realtà è esso stesso controllato e strumentalizzato.
2) Considerazioni di natura più ampia sull'opportunità di promuovere un vero e proprio movimento di disobbedienza civile nei confronti delle strutture militari, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con esse. Per questo motivo non condivido la scelta del servizio militare alternativo, vera e propria valvola di scarico della protesta antimilitarista e nonviolenta, concessa soltanto per motivi di opportunità politica.
Io sono fermamente convinto che la possibilità di incidere sull'opinione pubblica, e sulle future scelte politiche e militari del nostro paese, saranno molto maggiori se i futuri obiettori di coscienza opteranno in massa per l'obiezione totale, divenendo in questo modo un movimento terribilmente imbarazzante, e difficile da gestire.
In questo modo, infatti, anche la propaganda a favore del disarmo unilaterale, dell'abolizione del servizio di leva obbligatorio, della riduzione delle spese militari e a favore della creazione di una "cultura della non-violenza", acquisterebbe un peso e un'importanza ben superiori a quelle attuali.
La mia scelta di sperimentare il carcere militare è quindi, oltre che un'esigenza di coerenza con le mie posizioni e il modo di pensare, anche e soprattutto atto dimostrativo e provocatorio, un invito cioè rivolto a tutti i singoli e i movimenti interessati, dagli anarchici ai cattolici, a considerare e a discutere la eventualità da me proposta.
Anche il carcere può e deve diventare un vero e proprio laboratorio di "cultura non-violenta". Soprattutto oggi si avverte la necessità di nuove forme di impegno civile e sociale, di una nuova creatività nel modo di vivere e di fare politica. La mia vuole essere una proposta in questa direzione.

Carlo Gatteschi

Ma in carcere non è vita

Personalmente non volevo tornare pubblicamente sull'argomento su queste colonne perché speravo altri obiettori si sarebbero impegnati a proseguire il dibattito, ma visto il perentorio invito non mi sottraggo sperando comunque che altri partecipino per non far cadere la discussione nella semplice polemica.
A Franco Pasello ho scritto molte lettere e con lui ho avuto un notevole scambio di opinioni sul significato del mio gesto anche se nessuno dei due ha cambiato la propria opinione.
Io sono convinto che il potere va combattuto anche nella sua vocazione repressiva e la scelta di un tipo di lotta piuttosto di un'altra va fatto in base alla nostra forza, perché lo stare in galera non serve a nessuno.
Quando sono uscito da Peschiera il mio primo pensiero è stato quello di lottare affinché anche Sandro e gli altri obiettori potessero lasciare il lager. Non credo e non penso che nessuno potrà mai convincermi che subire quella violenza bestiale possa essere una forma di antimilitarismo. Siamo d'accordo che la galera non si sceglie, ma quando sono entrato sapevo a cosa andavo incontro come lo sapevano Franco, Mauro e Sergio e tutti gli altri che hanno dovuto subire quell'aberrante esperienza. È abbastanza sofistico parlare di scelta o di imposizione vista la matematica conclusione dell'atto di obiezione.
Io ho sempre distinto il fatto di obiettare al servizio militare dal servizio civile, perché credo che se il primo è un atto politico, il secondo è un'alternativa al carcere oggi, nella situazione in cui il movimento si trova, è maggiormente praticabile dell'obiezione totale.
Il mio servizio civile consisterà nel proseguire il lavoro di controinformazione antinucleare che da anni ho intrapreso e che ritengo in ogni caso estremamente importante. Tra l'altro mi diverte l'idea di essere pagato dallo stato per fare informazione contro le scelte di questa struttura statunitidipendente. È sicuramente una contraddizione, però une delle tante contraddizioni, anzi forse più accettabile di tante altre alle quali ogni giorno ci sottoponiamo.
Abbiamo l'automobile, ne paghiamo il bollo, la benzina, paghiamo le tasse per "servizi" che non vogliamo, sottostiamo a tutte le gabelle che ci vengono imposte da un sistema nel quale, nostro malgrado, siamo inseriti e col quale ogni giorno facciamo mille compromessi solo perché non abbiamo la forza di realizzare quella società autogestita, ma non per questo rinunciamo alla nostra speranza e alle nostre lotte. Non sono un puro, e non ne ho ancora conosciuti e non credo ne esistano. Anche per organizzare il convegno di Venezia i compromessi con il potere sono stati tanti e se si fosse agito in "purezza" il convegno non ci sarebbe stato, ma io sono convinto che ne è valsa la pena e quelli che hanno vissuto quella esperienza sono sicuro sono d'accordo.
Questa divagazione non vuole essere una giustificazione perché, e questo l'ho già detto nell'intervista, non me ne importa, è solo una constatazione. L'essere anarchico oggi, per me, vuol dire essere soprattutto vivi e vivere intensamente l'esigenza di una società libertaria e proporsi in questa ottica nel rapporto con gli altri: ma vivere, e a Peschiera non si vive, nel carcere non si vive.
La lotta non si può fare nelle caserme, nel carcere, nel parlamento, ci vuole spazio, bisogna sfruttare quello che ci resta.
Volevo rispondere a Franco sull'equivoca interpretazione dello sciopero della fame che io e Sandro avevamo intrapreso a dicembre, in quanto lottare per il diritto all'obiezione non vuol dire lottare per una legge, ma semplicemente cercare disperatamente di affermare il diritto a rifiutare una struttura demenziale, ma estremamente logica per il potere, quale è l'esercito. Una cosa vorrei chiarire a quanti possono aver interpretato in questo senso il mio gesto: io non ho mai lottato per cambiare le leggi e non credo che finché esisteranno strutture che possano decidere per la gente esisterà mai una prospettiva di libertà. Lo sciopero della fame era l'unica arma, seppur inflazionata, che ci restava per cercare di propagandare il nostro convincimento.
A Mauro, con il quale ho condiviso il carcere, voglio dire che sono d'accordo pienamente col finale del suo intervento anche se l'acidità del "chierichetto" (sì, effettivamente ho fatto anche quello quando avevo 8 anni) è un po' troppa. Ma superiamo la polemica e diamoci realmente da fare perché il rifiuto alla struttura militare diventi una scelta generalizzata, perché tutti i giovani che devono subire questa esperienza si ribellino, rifiutino l'assurdità.
Parlando con i miei carcerieri (tutti di leva,) il rifiuto era mitigato dalla paura, ma in ognuno di loro c'era questa istintiva ripulsa per quella struttura che li imprigionava (quasi come noi). È su questo terreno che bisogna impegnarsi perché il nostro antimilitarismo vada al di là del momento testimonianza. Al di là della sterile (e questo mi è molto dispiaciuto) difesa di un gesto, del cercare di vestirsi della tunica immacolata della purezza che non esiste.
Nella prospettiva di una società anarchica ognuno dà secondo le proprie possibilità; evitiamo le polemiche e rimbocchiamoci le maniche.
Oggi a Peschiera è ancora incarcerato Carlo Gatteschi che ha scelto di fare l'obiettore totale dopo sei mesi di servizio militare. La sua situazione (è stato condannato per disobbedienza) è estremamente complessa e rischia di restare in carcere fino al quarantacinquesimo anno di età. Lottiamo per farlo uscire, perché le carceri, tutte le carceri vengano distrutte.
Anche i carabinieri, quando sono dietro le sbarre, meritano il nostro appoggio e la nostra solidarietà; e dico questo con profonda convinzione: nelle galere c'è un mondo che subisce violenza, una violenza insopportabile per chi lotta per un mondo di eguali.
Abbracci anarchici.

Giancarlo Tecchio (Vicenza)

Il bisogno del dubbio

Ci siamo: come al solito dalla C.P. 17120, e da altre parti beninteso, spunta fuori qualcuno con le certezze ben salde! Beato lui. Ed io sono qui a scrivere, non tanto per contestare questa o quella posizione, quanto piuttosto per sottolineare un certo modo di porsi di fronte ai problemi.
Mi riferisco alle lettere, apparse su "A" 126, di Franco Pasello e Mauro Zanoni, sull'obiezione. Meriterebbero due risposte distinte, ma la molla che li ha spinti a scrivere è la stessa e le due lettere hanno alcuni aspetti comuni, per cui cercherò di tirare fuori ciò che ho da dire ad entrambi.
Ciò che mi ha lasciato male è la categoricità di certe affermazioni; la sicurezza che l'aver fatto una cosa giusta, coerente, li porta a condannare, a tracciare la solita linea di demarcazione fra gli ANARCHICI e gli (...anarchici...).
Questa sicurezza, questa solidità, anziché trasmettere anche a me sicurezza, mi fa paura. Anche la mia attività, il mio sentirmi anarchica, è iniziato molti anni fa. Anche per me scoprirmi anarchica ha significato immediatamente cercare di "trasferire questo modo di essere ideale alla vita concreta". A darmi forza è stata la continua presenza di questa tensione.
Ritengo che questo sia già molto, ma durante il cammino mi sono scontrata con tanti ostacoli, ho dovuto "mediare" le mie scelte, facendo i conti con la realtà di tutti i giorni, con la società che mi circonda. Ho avuto anche il mio periodo di "militanza intransigente" dove tutto e tutti erano o di qua o di là. Ma gli anni, l'esperienza e soprattutto lo scambio continuo con gli altri compagni servono a maturare, a cercare di "fare sempre meglio". Ed una delle cose che ho imparato è che forse serve di più, ed è anche più difficile, poter dire "ho sbaglialo", "non ho ancora fatto abbastanza", anziché andare avanti convinti di avere fatto la scelta giusta e che quella qualifica. Per entrare nello specifico, Franco Pasello dopotutto sostiene che "ognuno è libero di scegliere il servizio civile", per poi aggiungere che sono "obiettori" "opportunisti" e che questo non ha niente a che fare con l'antimilitarismo. E va avanti facendo intendere che chi come Giancarlo Tecchio e Sandro Ottoni sceglie il servizio civile, in fondo, ritiene giusto lottare per migliorare le leggi!
Mauro scrive una lucidissima lettera a cui non ho niente da obiettare: parte dalla sua esperienza personale arrivando in modo appassionato e sentito ad una giustissima analisi generale della questione. Conosco Mauro, lo ammiro per la sua forza e la sua coerenza; so che le sue non sono parole vuote, ma fatti concreti. Devo solo dirgli questo: non può trasporre questo a tutti gli altri. È giusto pretendere molto da se stessi e dagli altri, ma questo non può e non deve significare ergersi a giudici impietosi e censori.
Se qualcosa si sta muovendo nel movimento anarchico è proprio una nuova consapevolezza, un nuovo modo di porsi rispetto agli altri ed ai propri ideali: l'aver colto e fatto propria "l'umiltà intellettuale necessaria ad essere continuamente aperti al dubbio, al dialogo, alla verifica, alla curiosità per tutto ciò che è dentro e fuori di noi. Perché quell'umiltà può permettersela, contrariamente alle apparenze, solo chi ha la certezza della propria identità" (Amedeo Bertolo, Volontà n. 3/84, pag.8).
Cerchiamo di abbandonare vecchi decaloghi, non perché i contenuti siano sbagliati, ma perché questi contenuti non possono essere racchiusi, pena la loro sterilità. E questo significa accorgersi delle contraddizioni in cui tutti noi viviamo, con la volontà di superarle, ma con la consapevolezza che sempre se ne presenteranno. Avere sempre questa tensione e da questa fare in modo che, immersi come siamo in tante situazioni non scelte, possiamo in ogni caso, in ogni situazione, "lasciare un segno", allargando le "possibilità" ed accorciando la distanza fra il nostro "essere" ed il nostro "voler essere".
Tutto questo cosa significa rispetto alla questione su cui stiamo dibattendo? Non significa certo sminuire le scelte degli obiettori totali. E qui capisco il risentimento di Franco e Mauro che si sono sentiti in un certo modo criticati per la loro scelta. Non è certo la mia intenzione, non li considero "inutili eroi" e mi piacerebbe che non fossero pochi casi isolati.
Ma questa scelta, visto che di galera si tratta, può partire solo dall'individuo, non la può dettare nessun codice di comportamento. Se volessimo epurare il movimento anarchico di quelli che non sono riusciti a fare questa scelta, sarebbe une strage. Perché ora tanti scelgono il servizio civile, ma i compagni delle generazioni precedenti (parlo degli anarchici oggi 30-40enni), diciamocelo, in maggioranza facevano il servizio militare.
Il movimento anarchico è sempre stato antimilitarista, ma spesso il lavoro antimilitarista si è esaurito con affermazioni dogmatiche. I principi ben saldi c'erano, ma non si facevano molti passi verso la realtà, per far capire e rendere praticabili questi principi. E questo ha provocato, da una parte, l'isolamento degli obiettori totali: sono sempre stati "casi individuali" e come dice giustamente Mauro la loro lotta non è raccolta e sostenuta a sufficienza. Ma dall'altra parte, e per gli stessi motivi, questo dogmatismo ha anche fatto sì che tutte le altre scelte rimanessero parcellizzate, frazionate, silenziose: un compromesso da tacere.
Ci è mancata la capacità di raccogliere ogni grande e piccolo rifiuto individuale in un progetto più ampio che rendesse l'antimilitarismo una realtà sempre più dirompente e tangibile. Io non credo all'utilità sociale del servizio civile, ma se questo dimostra anche solo "la repulsione al servizio militare", perché tacerlo? Anche questa semplice repulsione può essere un "contatto" con l'antimilitarismo e perché proprio noi non vogliamo raccoglierlo?

Rosanna Ambrogetti (Forlì)

Allora ho sbagliato tutto?

Caro Zanoni,
non sono d'accordo con te! Aprendo "A" 126, a pag. 40, mi sono sentito addosso tutti i miei 24 anni di vita. Ho pensato, ad un certo punto, di aver sbagliato tutto.
Io mi sono scoperto anarchico molto presto, ma a sentire te che parli di rottura con lo Stato attraverso il rifiuto della scuola, del militare, del lavoro salariato, ho pensato per un attimo di essere sempre stato un socialdemocratico. Sono stato 5 anni in una scuola media superiore e per 5 anni ho sempre lottato e dato tutto me stesso nella lotta; ho fatto il servizio militare (se vuoi per vigliaccheria: non ho avuto il coraggio di stracciarla quella maledetta cartolina) ma anche lì ero uno di quelli che "la guerra non la faranno mai"; sono stato spesso lavoratore dipendente, ma i soldi purtroppo mi servivano e mi servono; sono stato emarginato ed esorcizzato in tante occasioni (specie nel "movimento" (?)" P.aC.I(fista). E vorrei inoltre dirti (bada, chi sta scrivendo è proletario per estrazione sociale, non per meriti acquisiti) che io non sto accettando lo Stato, né questi mi paiono compromessi con esso: il rifiuto dello stato può anche essere espletato, a mio avviso, in altri modi, con altri metodi più o meno diretti. Per arrivare all'antimilitarismo e parlare di ciò di cui tu hai parlato (anche delle tue contestazioni al servizio "Partiti civili, arrivati totali" pubblicato su "A" 125) io penso che l'obiezione al militarismo (sia civile, sia totale) sia, di fatto, un porsi in antagonismo con lo Stato, un rifiuto di esso anche nel primo caso. E a dire il vero, io penso che un anarchico in galera sia sì la dimostrazione della repressione, della intollerabilità, dell'oppressione, del terrorismo dello Stato e dei suoi servi, ma anche che un anarchico fuori dalla galera possa agire e lottare in maniera più utile e diretta (in fondo, ho qui davanti a me il volantone della riunione di Carrara del 17.3.84 dei lavoratori anarchici sulla scala mobile...). Non voglio con ciò dire che le tue scelte non siano giuste (anzi, tutt'altro), ma che possono esistere altri modi e forme di essere anarchico e di essere convinti che lo Stato non è invulnerabile.
Ciao e anarchia.

Angelo Toccaceli (Marsciano)