Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 128
maggio 1985


Rivista Anarchica Online

Né pubblico né privato
di Monica Giorgi

Sia ben chiaro: l'unico carcere plausibile è, per noi, quello che non esiste. Affermazione perentoria, ma che ha la sua ragion d'essere nella decisa opposizione alla spavalda sicurezza con cui i tecno-politici della repressione trattano i temi riguardanti il carcerario.
Nel primo numero della rivista "Antigone", periodico che fa riferimento all'area del "Manifesto", è apparso un articolo intitolato: "Il pubblico della galera". Si tratta di un dialogo a distanza fra un fautore dell'intervento privato per la gestione del carcere ed un altro favorevole alla gestione statale.
Tutto sommato, nonostante alcune ben calibrate frecciate reciproche, ii tono sostanziale del loro confronto viaggia sulla stessa lunghezza d'onda. Entrambi sostengono l'accettazione pragmatica del carcere come istituzione necessaria ed insuperabile, la cui considerazione ha cancellato volutamente le connessioni politico-sociali da cui nasce. È una polemica da "esperti osservatori" (dalla parte cioè di chi sta fuori e scruta gli altri che sono dentro) che non può non far dubitare della buona fede e non far riflettere sull'incidenza di simili approcci. Si sa: la loro prassi non si cura dei motivi degeneranti che stanno a monte e preferisce gestire il potere, moltiplicando gli effetti delle cause primarie. Ma vediamo quali sono i motivi a sostegno dell'una e dell'altra posizione.
Gaetano Scardocchia, nei suoi articoli su "La Repubblica", si rifà alle recenti esperienze statunitensi che hanno visto proliferare alcune iniziative di privatizzazione delle carceri. La "Hidden Valley Ranch" di La Honda in California ed altre prigioni dell'Arizona, a Houston e a Memphis, sono le prime iniziative avviate sperimentalmente in territorio d'oltre oceano. L'efficienza, la genialità dell'iniziativa privata, il dispendio ridotto, la funzionalità padroneggiata dall'orgoglio dell'impresa sono i supporti che puntellano la proposta del neo-liberismo reaganiano di cui Scardocchia si fa interprete.
Dall'altro versante Guido Neppi Modona, autore dell'articolo su "Antigone", intraprende la più raffinata costruzione di una tesi dove la gestione statale viene identificata, a priori, con la partecipazione della collettività. Trasparenza organizzativa, controllo democratico, senso dello Stato sono gli elementi a cui si riferisce la difesa della delega statale.
È fin troppo facile contestare, dati alla mano, il gesuitismo delle due posizioni. Chi sa e vuol leggere attraverso quello zoo di vetro che è il carcere scopre e non dimentica, innanzitutto, che gli animali prigionieri sono uomini e donne in carne ed ossa, le cui ali spirituali restano impigliate nelle mille sbarre destinate a non si sa quale ricupero. Il ricupero su cui discettano, pattuiscono, mercanteggiano ed imbrogliano i titolari degli scanni partitici, i confessori dell'ultimo perdono, le imprese d'assalto dei vecchi e nuovi padroni, sempre contrari alle aspirazioni dei vecchi e dei nuovi poveri...
Come si può non riconoscere nelle proposte di trasparenza organizzativa e di controllo democratico gli stessi capisaldi di una ex riforma carceraria, che proponeva l'individualizzazione della pena attuando la detenzione speciale? E a che cosa altro rimanda la discrezionalità esecutiva per le singole direzioni carcerarie nella giurisdizione penitenziaria se non all'agitata preoccupazione che anima la richiesta di efficientismo e specializzazione? L'organico militare-civile, costituito dagli agenti di custodia e dalle vigilatrici, non risponde ancora all'idea degli adeguati corpi speciali.
I corpi speciali, accettati dalle linee programmatiche di tutti i partiti e normalizzati dai decreti-legge e dalle disposizioni ministeriali, sono un sistematico frutto del malinteso decentramento democratico. Rapidi flash su di un passato non troppo lontano che si trascina in un presente palpabile: miriadi di eccezionalità giuridiche, politiche, economico-fiscali, sociali e civili costellano l'oscuro firmamento di questi anni pesanti come il piombo e opachi come la nebbia.
Per l'etica del profitto ogni occasione è buona a trasformarsi in affare. Se "appaltare la repressione della criminalità" paga, ben vengano i clienti da rinchiudere, sorvegliare e punire. La Behavioral Systems Southwest è una dignitosissima ditta che ha già esperimentato con successo la gestione carceraria. All'inizio si lavora in passivo, ma nell'arco di 4/5 anni si recuperano gli investimenti e nell'83 l'utile è stato già di 5 milioni di dollari.
Si parla tanto di superare l'emergenza, ma perfino la rivista che si autodefinisce "bimestrale di critica dell'emergenza" rivendica poi la paternità redazionale di simili interventi. Forse la confusione è molta, forse l'urgenza confonde...
Labile memoria è quella che ha dimenticato le carceri modello, la tortura bianca della privazione sensoriale, le manipolazioni chimiche e chirurgiche della criminologia, le conoscenze della psicologia usate per la destabilizzazione psicofisica, le alimentazioni forzate per chi attua lo sciopero della fame, i blocchi "H" delle prigioni irlandesi, i suicidati, le pene di morte, gli ergastoli, il silenzio degli anni senza vita. Questo e altro ancora sono i parti ben riusciti della trasparenza statale, degli apparati coercitivi dei democratici governi tedeschi, italiani, inglesi... E dentro questi apparati prosperano l'industria chimica, bellica, la scienza "neutrale", la medicina che guarisce, il progresso dell'uomo!
Non occorre essere esperti pedagogisti o incalliti umanitari per capire che un rinforzo del senso dello stato, da parte della collettività, significa fomentare la complice partecipazione all'orrore della sragione. Certo il potere ha bisogno del consenso e allora la comunità espropriata la si considera stato per indurla a votare, per farla diventare custode senza chiavi delle proprie catene.
In un ambito, però, le due tendenze del pubblico e del privato si trovano già all'opera e in accordo: nella gestione delle comuni terapeutiche per tossicodipendenti. Alla parola "comune" si associano ricordi e speranze di libertà. Oggi sono diventate il luogo di sperimentazioni e controlli selvaggi. Sperimentazioni e controlli di una raffinata sottigliezza da far paura. Si riuscirà, di certo, a disintossicare clinicamente chi voglia sottoporsi ad un trattamento adeguato. Per questo perfino un carcere è sufficiente. Ma alla dipendenza gerarchica, all'etica del lavoro sfruttato, allo svuotamento e spossessamento della personalità, alla punizione e fustigazione di se stesso, alla dinamica di spia-spiato nell'isolamento soggettivamente voluto e accettato, occorrono tutti gli apporti che pubblico e privato siano in grado di offrire per cementarle in una tossicità senza ritorno.
Forse potrà sembrare poco o niente l'analisi critica che cerca di capire e denunciare cosa sta dietro ai dibattiti degli "specialisti". Ma affinché questi sforzi non restino profezie al vento è necessario trovare i modi della concretezza e della disponibilità. Un buon inizio è già un risultato. Un inizio che la coscienza degli errori sottoporrà al suo esame. Adesso siamo ancora in una fase di oscurantismo.
Quando di un disagio, di una sofferenza, di un comportamento si parla troppo è il momento in cui il fenomeno veste l'abito del protagonista. È la messa in scena del potere. Chi resta nudo è l'individuo: quel nome proprio che non corrisponde nemmeno alle generalità anagrafiche. Quel nome appartiene ad una storia, ad una sensibilità, ad un corpo e ad una mente che non vorremmo mai reclusi, né pensarli tali. Va restituito alla trasgressiva pretesa del diritto alla libertà.