Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 128
maggio 1985


Rivista Anarchica Online

L'utopia alle spalle
di Stephen Schecter

Stephen Schecter, anarchico canadese, insegna sociologia all'Università du Québec di Montreal. È membro dell'Anarchos Institute. Ha pubblicato numerosi saggi, nonché il volume The Politics of urban liberation (edito da Black Rose Books). Alcuni suoi saggi sono stati tradotti in italiano e pubblicati sulla nostra rivista e su Volontà.
Schecter ha partecipato alla sessione sull'imperialismo culturale, nell'ambito del Convegno internazionale di studi su tendenze autoritarie e tensioni libertarie nelle società contemporanee (Venezia, 26/29 settembre 1984). Pubblichiamo in queste pagine, nella traduzione di Michele Buzzi, la sua relazione originariamente intitolata The Real Rocky Horror Picture Show: State and Politics in Contemporary Society ("Il vero Rocky horror picture show: lo stato e la politica nella società contemporanea").

Lo Stato è morto, viva lo Stato! Questa esclamazione, contraddittoria all'estremo, mostra ironicamente al mondo il riflesso deformato delle sue stesse ambiguità. In pochi posti, relativamente circoscritti, la gente è ben nutrita, alloggia in qualcosa di meglio delle baraccopoli e dispone di stimoli in misura largamente superiore alle reali possibilità di fruirne. Queste sono le aree in cui lo Stato è più sicuro e in cui, di conseguenza, i cittadini non sono soltanto in qualche modo isolati dall'esistenza sordida, miserabile e breve della società civile libera, ma sono anche protetti dai rudi capricci del principe moderno. Tuttavia.. tuttavia c'è ancora del marcio in Danimarca, mentre oltre i suoi confini la storia stessa sembra andare all'indietro.
Avremmo potuto credere che Auschwitz segnasse un punto estremo, invalicabile; invece oggi, in molte parti del mondo, le pratiche sviluppate dai regimi totalitari dell'Europa centrale sono diventati standard politici comuni. Per i dissidenti che l'Unione Sovietica non è riuscita a internare negli ospedali psichiatrici e nei campi di lavoro, il Partito comunista ha riesumato un trattamento più tradizionale: l'esilio. Forse in Occidente l'esilio è considerato una sorta di libertà. Ma non bisogna dimenticare che è anche una forma di esclusione politica, e nella società moderna l'esclusione politica rappresenta spesso un primo passo verso lo sterminio. Prima di essere dichiarati non-persone dai nazisti, gli ebrei furono dichiarati senza-stato.
Oggi gli esuli e i profughi sono in procinto di acquisire uno status politico istituzionalizzato. Le guerre nazionali di liberazione nell'Africa orientale hanno creato come sottoprodotto milioni di profughi. Le loro dimore fisse sono i campi situati nel Sudan e in Somalia, e i loro benefattori politici permanenti sono gli Alti commissariati delle Nazioni Unite (1). Ma il caso di questi profughi non è un esempio isolato.
Attraverso un lungo processo di annullamento reciproco, che fa perno sul nesso tra il popolo e lo Stato, gli israeliani e i palestinesi sono riusciti a creare un conflitto politico pressoché insolubile (2). L'autodeterminazione giustifica ii terrorismo, l'occupazione e la negazione dell'altrui diritto all'umanità, la cui dimensione politica è la cittadinanza. Ma questa non è l'unica ideologia. In paesi radicalmente differenti, come l'Iran e la Cambogia, le élite al potere si sono poste l'obiettivo di ristrutturare con la mobilitazione un'intera società il che naturalmente significa ristrutturare al tempo stesso milioni di individui (3). Le conseguenze sono note: migrazioni di massa forzate all'interno, tortura e repressione. E la tortura dilaga, di anno in anno, di paese in paese, superando di gran lunga gli esempi del passato e le più pessimistiche previsioni. Il Brasile, il Cile, l'Argentina, il Guatemala, El Salvador e l'Uruguay sono soltanto alcuni dei Paesi in cui la tortura, l'assassinio, l'arruolamento forzato, la colpevolizzazione e l'intimidazione di massa e persino il genocidio a livello locale sono praticati dallo Stato in forma istituzionalizzata (4).
Di tanto in tanto si parla della democratizzazione di questi regimi, come si parla della liberalizzazione del sistema sovietico o della trasformazione dell'apartheid in Sudafrica; ma anche se queste non fossero soltanto chiacchiere, trappole ideologiche, varrebbe ancora l'osservazione pertinente di Keynes: alla lunga, saremo tutti morti.
In tempi bui come questi, è già une conquista il fatto di citare questi spettacoli d'orrore e di protestare. Ma che significato ha questa crescita abnorme dello Stato, e come la si può interpretare? A un certo livello si è tentati di definirla come un fenomeno reazionario, come l'ultimo grido di vittoria di quella parte del mondo che vive ancora intrappolata nell'incubo hobbesiano del sottosviluppo, dove i regimi autoritari, proprio a causa del loro massiccio ricorso alla violenza, sono i segni caratteristici dell'instabilità politica.

A scuola di tortura
Secondo questa concezione della storia moderna, lo sviluppo dello Stato democratico e del governo costituzionale è parte del complesso istituzionale della cittadinanza, che ha le sue radici nel sedicesimo secolo, periodo cruciale per lo sviluppo del capitalismo. Fu un processo lungo e sanguinoso. Il movimento "dei campi chiusi" (exclosure) sradicò i contadini dalle campagne, spingendoli al vagabondaggio e favorendo la creazione di officine. Per circa un secolo, l'industrializzazione capitalistica impoverì la classe lavoratrice. L'abolizione dell'Ancien Regime fu un evento violento e sanguinario non soltanto per le élite tradizionali, ma anche per le masse recentemente affrancate. Inoltre, qualcuno sostiene che, laddove la modernizzazione giunse più tardi, anche il fascismo tardò a manifestarsi.
Nel momento in cui questo processo di sviluppo ebbe esaurito le sue forze, circa cinquecento anni più tardi, si era già riusciti a limitare il potere arbitrario del sovrano. Più o meno, i cittadini del Canada, degli Stati Uniti, dell'Europa occidentale e del Giappone oggi sono sottoposti all'autorità della legge e vivono in uno stato assistenziale: l'aspettativa di vita alla nascita è aumentata, la gente non vive sui tetti, si possono spedire pacchi attraverso le poste con ragionevole fiducia nel fatto che i funzionari doganali non ne rubino il contenuto.
Ma non è stato sempre così. Non lo è stato per la maggior parte della storia umana, e probabilmente non lo è tuttora per la maggior parte dei paesi sottoposti a regimi dichiaratamente repressivi. Secondo questa prospettiva, la preminenza dello Stato nei paesi in via di modernizzazione, ma ancora sottosviluppati, può essere interpretata come un fenomeno transitorio di lunga portata, caratterizzata da forme tradizionali di controllo sociale, che prima o poi si riveleranno incompatibili con il corso del processo di modernizzazione e del progresso, nei quali la storia si è imbarcata. Di fatto, secondo la concezione funzionalista della storia moderna, il particolare complesso istituzionale della democrazia statalista è un prerequisito di quel processo innovativo sociale e tecnologico, nell'ambito del quale la libertà e il progresso, per quanto ambigui, sono sinonimi e di conseguenza rappresentano la tendenza futura (5).
Questa interpretazione della storia può essere plausibile, tuttavia i segni sono contraddittori e inquietanti. Anche tralasciando l'ammonimento di Keynes, i meccanismi repressivi degli stati contemporanei presentano scarse analogie con l'apparato statale degli antichi regimi tradizionali: sofisticati e metodologici, sono strettamente legati agli sviluppi della tecnologia e dell'ideologia moderna. Sono estremamente raffinati non soltanto i mezzi di tortura, ma anche le procedure psicologiche sulle quali si fonda la pratica della tortura. Oggi esistono scuole di tortura, per la formazione degli aguzzini (6).
Ci si può ben immaginare quale grado di sofisticazione psicologica richieda la formazione di un torturatore, in un mondo che ufficialmente condanna queste pratiche. Se i nazisti indottrinavano le SS puntando soprattutto sull'ideologia e sull'isolamento totalitario, i loro omologhi contemporanei devono considerare rozzi e obsoleti simili metodi, soprattutto perché non sono efficienti. In questo senso, la tortura è diventata parte della modernità. E l'ideologia non è da meno.
Il bispensiero e la "neolingua" descritti da Orwell sono diventati parte del linguaggio ufficiale un po' in tutto il mondo, e la sensazione di averli già uditi non è soltanto un'impressione. Dopo il fallimento della rivolta operaia in Germania, nel 1953, Brecht osservò argutamente che si poteva trarre da quegli avvenimenti una chiara lezione: era tempo di sciogliere il popolo e di eleggerne un altro (7). Nel 1980 il presidente dell'Uruguay definì più o meno negli stessi termini - come una sconfitta del popolo - il fallimento del tentativo di ratificare attraverso un referendum popolare l'istituzionalizzazione di una dittatura militare (8). La distanza politica che separa i due eventi è ben dimostrata dal fatto che la battuta più recente è stata pronunciata non più da un poeta, ma da un presidente, e nel passaggio dall'uno all'altro ha perduto anche il sapore dell'ironia.
Questo tipo di manipolazione ideologica trasforma politicamente la tortura in una forma di repressione terapeutica. I regimi più stabili, benché apertamente coercitivi, come l'Unione Sovietica o la Repubblica Sudafricana, possono dunque usare la legge e la psichiatria per celare il fatto che l'intera società si fonda su una struttura di terrore (9). È una struttura congenita, se così si può dire, e la rilevanza politica di questo armadio pieno di scheletri risiede nella capacità dei regimi di legittimare simili pratiche in nome di istituzioni sociali tradizionalmente legate ai concetti di assistenza sociale e di protezione.

Khomeini docet
Stiamo assistendo a quella che forse è la più radicale sovversione, in senso negativo, dei processi storicamente paralleli dell'assistenzialismo e del controllo sociale, che hanno accompagnato e giustificato lo sviluppo dello Stato moderno (10). Se è così, il fenomeno solleva gravi interrogativi circa la natura stessa del progresso e dell'illuminismo (del quale, si dice, il progresso è figlio), e circa le tendenze di quello Stato moderno in cui finora gli elementi di controllo sociale sono stati limitati. Forse, interpretando in senso amaro e ironico la concezione marxista della società comunista, l'URSS rappresenta la soluzione dell'enigma della storia, e mostra alle democrazie capitaliste il futuro delle loro stesse contraddizioni.
È un futuro che passa attraverso i confini tradizionali tra "destra" e "sinistra". Come le società del socialismo reale hanno usurpato la posizione progressista borghese e l'hanno interpretata nel loro processo di legittimazione, così le società emergenti e totalitarie del Terzo Mondo hanno convertito l'ideologia socialista in una loro Gleichschaltung tutta particolare.
Il modello integralista dell'Iran moderno è un esempio emblematico. I suoi portavoce e i suoi apologeti presentano questa forma nascente e indigena di controllo statale, che lega la tradizione religiosa ai metodi moderni di repressione, come un modello legittimato di modernizzazione o di critica alla società occidentale atea, materialista e - verrebbe quasi voglia di aggiungere - borghese. Di nuovo, la musica suona familiare, ma c'è qualche nota diversa nel ritornello: la critica è implicitamente progressista, punta sulla scarsa trascendenza della società occidentale e cerca di offrire un modello alternativo di modernità. "Le grandi potenze temono l'Islam, perché esso costruisce l'uomo totale" (Imam Khomeini). Il progetto rivoluzionario non è quello di modernizzare l'Islam, ma quello di islamizzare la modernità: una sfida sia al materialismo, sia al razionalismo che caratterizza l'Occidente (11). Ciò nonostante, il ritornello è infarcito di slogan che in altri contesti sono stati definiti nazionalsocialisti: lotta al decadentismo, antimperialismo, espansionismo, richiamo alla mobilitazione totale.
Se il fascismo può tornare alla ribalta, e questa volta più esplicitamente nell'ideologia della modernizzazione, come dobbiamo interpretare l'esperienza del nazismo (12)? La storia non deve più essere considerata irreversibile, e la Germania hitleriana non deve più essere considerata soltanto uno degli incidenti del capitalismo, un sottoprodotto del ritardo nello sviluppo e della specificità nazionale. Il fascismo diventa una svolta errata, che viene imboccata troppo spesso; una ricaduta nella barbarie, che rischia di condizionare il nostro futuro e che - per fagocitamento o di rimbalzo - minaccia di esacerbare quelle tendenze che avevano prestato il loro ambiguo carattere alle forme di progresso ipotizzate dai precedenti e più importanti progetti di modernizzazione.

Teoria e pratica della "terra bruciata"
Tendenze analoghe erano già presenti, seppur in forma embrionale, già nella Rivoluzione francese (centro focale del progetto borghese), tanto che il problema della Rivoluzione francese è ancora oggi il problema dello stato moderno. La rivoluzione della libertà, dell'uguaglianza, della fraternità produsse paradossalmente uno Stato centralizzato, fondamento di una élite amministrativa moderna, di un'ideologia universalista, dell'imperialismo moderno e del Terrore. Il liberalismo, benché minacciato esternamente dalla questione sociale, fu travagliato fin dall'inizio dalle sue stesse contraddizioni interne. I rivoluzionari volevano rovesciare l'Ancien Regime, ma volevano anche mantenere immutato il profilo politico del rapporto tra governanti e governati. I cittadini presero il posto dei sudditi, ma il potere politico rimase nelle mani dello Stato, e il progetto di libertà e democrazia si fondò sul rifiuto da parte dei rivoluzionari di istituire nuovi rapporti politici al di fuori delle forme statali.
Con questo perfido stratagemma, il vecchio ordine perseguitò incessantemente il regime rivoluzionario, portandolo a conseguenze indesiderate e infine sabotando i successivi tentativi di arrestare il processo di disgregazione e di fondare un nuovo ordine. Val la pena di ricordare che inizialmente Robespierre si oppose all'idea di impegnarsi in una guerra rivoluzionaria, e giustificò questa sua presa di posizione con un'osservazione intuitivamente profetica, anche se poi egli stesso ne ignorò le implicazioni più democratiche. "Secondo lui, il centro di tutti i mali era Parigi, prima che Coblenza" (13). Eppure i mali di Parigi non erano soltanto i controrivoluzionari e la povertà delle masse, ma anche la possibilità di una democrazia comunitaria e federativa, che fece la sua prima comparsa sulla scena nazionale.
Tuttavia, due anni prima il regime rivoluzionario aveva già reso esplicita la propria posizione dando vita a una delle prime elaborazioni ideologiche destinate a sostituire le manifestazioni politiche "dal basso": la Festa della Federazione del 14 luglio 1790. Concepita allo scopo di assorbire le rivoluzioni municipali e federaliste che stavano emergendo parallelamente al movimento a Parigi e a Versailles, la Festa della Federazione rivelò simbolicamente la trasformazione definitiva del momento rivoluzionario del 1789 nel suo sbocco politico e ideologico: l'unione della libertà e del popolo tramite lo Stato nazionale (14). Una volta congelata quest'unione, divenne sempre più difficile risolvere le successive tensioni rivoluzionarie senza compiere un ulteriore balzo in avanti, verso la modernità e verso il terrore.
A mano a mano che si sviluppava la dinamica rivoluzionaria, lo spettro politico si restringeva e le guerre tra le fazioni si intensificavano. Il popolo e il suo benessere erano costantemente invocati sia come ricompensa, sia come legittimazione. Di conseguenza, nessuna delle fazioni poteva permettersi di essere pacifica, perché il pacifismo era diventato sinonimo di controrivoluzione e di tradimento. Il popolo, opportunamente e funzionalmente escluso dal processo politico, si vendicò indirettamente delle élite costringendole ad avventure politiche che si conclusero disastrosamente per entrambe le parti. Quella che era iniziata come una guerra difensiva contro la reazione europea si trasformò in un'avventura militare annessionista, nel tentativo di imporre una repubblica universale a tutti i popoli europei (15).

La difficile analisi dello Stato moderno
La libertà, inattuabile in patria, fu esportata all'estero. Il risultato fu il saccheggio dell'Italia da parte di Napoleone, all'epoca del Direttorio (16): l'ideologia e l'imperialismo si unirono, anticipando le gesta dei regimi totalitari del XX secolo, delle squadracce fasciste che rubavano le opere d'arte all'estero e delle armate staliniste che imponevano alle sfortunate popolazioni dell'Europa orientale una liberazione forzata. Come in epoche posteriori, anche agli albori della politica moderna l'incapacità di risolvere le tensioni democratiche non si risolve esportandole all'estero (17). Le galline cacciate dal pollaio tornarono a razzolarvi, scatenando le insurrezioni popolari dei sanculotti parigini e dei contadini della Vandea: insurrezioni che provocarono da parte delle élite rivoluzionarie una reazione paragonabile, retrospettivamente, alla barbarie contemporanea. Ad esempio, il 25 maggio 1793, quando la Comune di Parigi si rivolse alla Convenzione per chiedere la liberazione di alcuni suoi leader, il girondino Ismard dichiarò che ogni ulteriore sommossa avrebbe provocato la distruzione di Parigi, tanto che neppure una pietra della città sarebbe rimasta in piedi sulle rive della Senna, e tutto ciò in nome degli interessi nazionali (18). Due mesi dopo una convenzione giacobina decretò la distruzione sistematica della Vandea: boschi, raccolti e bestiame furono distrutti; donne, bambini e vecchi furono deportati verso l'interno (19).
Oltre un secolo più tardi, gli stessi sistemi riapparvero nella politica hitleriana della terra bruciata e nello sterminio stalinista delle masse contadine in Russia. L'unica differenza era che gli stessi metodi erano commisurati alle farneticazioni ideologiche delle élite: alle chimere di libertà, progresso e repubblica si erano sostituiti il razzismo e la teoria storica del bidone di immondizia.
Tuttavia, le dinamiche sottese appaiono troppo simili, e non si possono ignorare le tendenze fasciste e comuniste già insite nel progetto libertario originario, fondato anch'esso sulla necessità che il monopolio statale definisse i limiti della partecipazione politica popolare. In un certo senso, il problema della democrazia di massa era già un problema fondamentale della Rivoluzione francese (20). Le sue basi stataliste potevano portare soltanto alla trasformazione del re in una nazione, dell'individuo nelle masse, della politica in ideologia e amministrazione. Nella Rivoluzione francese, questa rivoluzione portò al grande Terrore nel momento meno opportuno e allo spettacolo grottesco di un parlamento anticlericale che vota il riconoscimento, da parte del popolo francese, dell'Ente Supremo e dell'immortalità dell'anima (21). In termini di riforme istituzionali concrete, la Convenzione e il Direttorio crearono una serie di istituti per l'istruzione superiore, ponendo le basi per la formazione di quella classe tecnocratica che da allora è sempre stata indispensabile per l'amministrazione dello Stato moderno. Anche sotto questo aspetto, la Rivoluzione francese fu soltanto un inizio, e l'integrazione dell'Istituto nella costituzione del Direttorio con una sezione speciale dedicata alle scienze morali e politiche non è altro che la prima, seppure incompleta, testimonianza dell'importanza che il governo moderno attribuisce ai mandarini della cultura e alla loro razionalità scientifica (22).
Vista sotto questa luce, tuttavia, la natura borghese della Rivoluzione francese va oltre il contributo tutto sommato parziale che essa diede alla formazione del capitalismo francese ottocentesco, e rivela un più ampio progetto di controllo sociale, nell'ambito del quale il capitalismo è un momento storico e lo stato un'istituzione pilota (23). Il progetto è anche un progetto di modernità, e da ciò deriva il suo aspetto inizialmente razionale, emancipatorio e progressista. Tuttavia, esso ha anche un nucleo ideologico, incentrato sulla gestione della democrazia. Ciò spiega la sua costante evocazione ad opera delle élite della più varia connotazione politica, e al tempo stesso spiega la sua costante ambiguità: progresso, ma anche regresso; più autonomia, ma anche maggiore controllo.
Proprio questa ambiguità rende difficile l'interpretazione e l'analisi dello Stato moderno. Il dirigismo incipiente agli esordi dello Stato borghese è cresciuto al punto che non c'è più quasi nulla di specificamente borghese nello Stato. Secondo questa linea di pensiero, il fascismo diventa un momento nello sviluppo dello Stato moderno, piuttosto che un punto di regressione nello sviluppo del capitalismo, un ordine sociale che favorisce l'emergere di una tecnoburocrazia funzionalmente necessaria all'amministrazione di quello stesso Stato (24).Questa concezione spiegherebbe anche come mai, in momenti storici differenti e in situazioni politiche diverse, il progetto di modernità abbia conservato notevoli somiglianze. Laddove si proclama il governo del popolo, ma poi di fatto esso rimane in mano alle élite, non stupisce che si indichi nella rivoluzione culturale il cuore della modernizzazione.

Lo Stato dappertutto
Sintomo evidente della persistenza della dominazione, questa formula ideologica ha caratterizzato regimi disparati, come quelli della Germania nazista, della Cina maoista e dell'Iran islamico. A proposito dell'America latina, un autore ha scritto:
Indubbiamente esiste, tra i movimenti riformisti o rivoluzionari, di ispirazione cristiana o umanista, sotto le uniformi e i cilici, una corrente non trascurabile che esprime la necessità di giungere a una reale emancipazione, a una piena democrazia, a una effettiva partecipazione e a una reale responsabilità, sia per i produttori, sia per gli operai, sia per i contadini. Ma è soltanto una contro-corrente, che troppo spesso si perde nella confusione della tendenza generale, la quale mira e tende soltanto al potere statale, come unica fonte di cambiamento e di autorità. L'origine sociale e la formazione caratteriale di questi attivisti rende difficile stabilire a priori quanto queste due concezioni siano inconciliabili e irriducibili.
Se non ci si limita alle parole e alle dichiarazioni d'intenti, ma si esaminano i comportamenti e i rapporti instaurati dai singoli membri delle nuove avanguardie, bisogna riconoscere che tutti si sono posti come regola generale quella di giungere a una mobilitazione totale delle risorse e degli uomini, di utilizzarli al massimo, di garantirne la disciplina e la gestibilità, di estorcere loro tutto il possibile e di organizzare un'economia di guerra. Riforme agrarie per favorire la creazione di un proletariato operaio, impiego razionale delle capacità produttive per rendere possibili investimenti che rafforzino il potenziale industriale, organizzazioni multiple per garantire la produttività e la disciplina della forza lavoro: questi sono gli orientamenti essenziali. Inizialmente facendo appello all'entusiasmo e al volontariato, ma ricorrendo poi quasi subito a metodi coercitivi ben diversi.
Un programma che si potrebbe definire socialista, poiché a parole consente di fondere aspirazioni millenarie e necessità imposte dalla pianificazione. Ma un metodo che potrebbe essere definito in termini ben diversi meno cerebrali e persino, diciamolo francamente, meno pericolosi, se soltanto fossimo disposti a spingere la nostra curiosità fino al punto di chiedere chi comanda, chi gode dei benefici e chi può disporre del plusvalore. (25)
E recentemente, a proposito dell'Etiopia, un altro autore ha scritto:
Nel 1981 i membri della COPTE (Commission on Organisation of the Ethiopian Workers'Party - Commissione per l'Organizzazione del partito etiopico dei lavoratori, che ha già tutte le caratteristiche di un partito) si potevano classificare come segue: contadini, 1,2%; operai, 2,9%, insegnanti, impiegati dell'amministrazione pubblica, membri delle forze armate e di altri settori della società, 95%. Nell'ottobre del 1982, dopo una intensa campagna di reclutamento e una modifica nei criteri di ammissione, le percentuali sono risultate le seguenti: contadini, 3,3%; operai, 21,7%; intellettuali, impiegati dell'amministrazione pubblica, membri delle forze armate e di altri settori della società, 75%. Queste cifre parlano da sole.
La COPTE sarà trasformata in un partito in occasione del decimo anniversario della rivoluzione, e in queste condizioni non è difficile capire chi detiene e chi deterrà il potere ad Addis-Abeba. Non è un caso che il celebre scrittore Bealu Girma sia stato destituito dalla carica di segretario generale del Ministero dell'Informazione, e che il suo ultimo libro sia stato confiscato e messo al bando: in esso egli accusava i nuovi burocrati di desiderare soltanto donne e automobili, e li paragonava alla "nuova classe" di Milovan Gilas. (26)
Anche in Occidente la nuova classe acquista sempre più potere e i meccanismi di controllo aumentano. Forse questo fenomeno è più appariscente nella politica estera degli stati capitalisti contemporanei: nell'uso delle istituzioni monetarie internazionali allo scopo di mantenere sia la dipendenza del Terzo Mondo, sia le tendenze bonapartiste nei suoi confronti (27); nell'esportazione delle scuole di tortura e delle tecniche di pacificazione che hanno ampliato e affinato i sistemi che Hoche applicò per conto del Direttorio in Vandea (28); nel ricorso sempre più frequente all'iperbole e all'offuscamento ideologico, per cui "incursione" significa "invasione", "sicurezza nazionale" significa imperialismo e le libere elezioni sono un pretesto per la repressione (29).
Questi sviluppi, tuttavia, non sono privi di ripercussioni nella politica dei paesi capitalisti, dove la vita sta diventando sempre più difficile, piena di preoccupazioni. La crisi sta prendendo piede, fa crollare sogni e rovina intere esistenze. Le persone che vivono di sussidi e i disoccupati aumentano in continuazione. I giovani hanno scarse prospettive di lavoro. I tassi di natalità calano. Le famiglie si sgretolano. Le frontiere si chiudono.
Lo Stato riduce i fondi destinati all'assistenza sociale (30), ma mentre cerca di liberarsi dell'onere assistenziale, si muove per interferire in nuovi settori dell'attività sociale, o per stabilire nuove regolamentazioni in aree già sottoposte al suo controllo: in campo sessuale, nella sanità, in campo demografico, in materia di immigrazione, nella conquista dello spazio. Nella Germania Federale il governo ha varato una politica, in base alla quale le donne che acconsentono a non abortire ricevono cospicui aiuti finanziari da parte dello Stato. La politica relativamente liberale del Canada in materia di immigrazione è mutata al punto che oggi è molto difficile per uno straniero immigrare in quel paese, a meno di essere ricco o altamente qualificato (31). Negli Stati Uniti il governo sta stanziando miliardi di dollari per la ricerca sugli armamenti, con lo scopo di portare la guerra nucleare nello spazio.
Sottesa a queste ed altre iniziative è una rivalità economica internazionale tra gli Stati Uniti, l'Europa occidentale e il Giappone. La corsa alla supremazia tecnologica sta favorendo lo sviluppo del militarismo e dell'autarchia a un ritmo sempre più sostenuto (32). Il razzismo e la violenza sono tornati a manifestarsi nelle democrazie costituzionali, sotto forme divergenti quali i movimenti politici di destra (il Front Nationale in Francia), i video musicali (Thriller), l'inspiegabile aumento degli omicidi e la televisione. Anthony Hecht ha reso bene questo clima nella sua poesia "Ti scavalcano, Erode; ti prego, evitalo":

Stasera i miei figli stanno gobbi
davanti al loro western, e sono felici
quando, con un pugno domenicale,
il Buono butta fuori il Cattivo.
E nelle loro fiabe
il gigante butterato e la strega
son richiusi in prigioni senza porte,
e la piccola fiammiferaia fa fortuna.
Mi sono versato da bere.
Il gigante e la strega stanno
per tagliare la corda,
dopo che i miei figli sono andati a letto.
Su tutte le frequenze risuonano
segnali disperati;
con lampi e codici morse affollano
la sfera dell'aria.
Perché i malvagi sono diventati forti,
sono tanti da farsi gioco della morte,
la loro vacca partorisce vitelli,
il loro toro procrea.
Colui che dà loro forza,
Satana, sovrasta il globo;
lo fruga in lungo e in largo
e trova persino Giobbe.
Eppure, da modelli ben diversi
prendono esempio i miei figli;
mezzo Dio e mezzo Babbo Natale,
ma con la mia voce e il mio volto,
un eroe giunge a salvare
il povero, l'accattone e il ladro,
a rimettere giudizio al mondo
e a porre fine al dolore.
E perché il loro sonno sia tranquillo
recito questa fiaba,
che un tempo non avrebbe potuto
salvarli dalla camera a gas. (33)

Ma dietro queste preoccupazioni forse si cela il sospetto che tutto ciò sia in qualche modo giustificato: la crisi, l'austerità, la repressione occulta su scala mondiale, il senso che forse la vera natura della crisi risieda nell'inutilità dell'organizzazione sociale contemporanea in rapporto alle conoscenze, alle risorse, alle ricchezze e all'energia.
Eppure si tratta solo di un sospetto, di un dubbio. La reazione più diffusa e più immediatamente percepibile è una sensazione di frustrante impotenza, rafforzata dal fatto che le stesse élite statali e del settore privato ammettono di non essere in grado di far fronte alle pressioni internazionali incontrollabili. Paradossalmente, il panico che ne deriva alimenta un desiderio di controllo, il quale a sua volta dà forza a quelle forze sociali che rendono non impensabile o improbabile una trasformazione in senso autoritario in questa parte del mondo occidentale (34). In un certo senso, la stessa inutilità dell'attuale organizzazione sociale spinge in questa direzione.
L'automatizzazione di intere fabbriche, l'introduzione dei robot, l'impiego sempre più massiccio dei computer ha reso obsolescente il lavoro come noi lo conoscevamo; tuttavia la società si regge ancora sul denaro, perciò il lavoro come noi lo conoscevamo, sebbene ridondante, è pur sempre necessario (35). Così la divisione del lavoro nelle società al centro del capitalismo assomiglierà sempre più alla divisione del lavoro, e delle ricompense, nell'ambito dell'ordine internazionale: una vasta sottoclasse relativamente povera sarà governata da una élite internazionale, la cui stessa esistenza - per non parlare dei privilegi - dipenderà dal mantenimento di un sistema di controllo nell'ambito del quale lo Stato, magari in forma diversa dall'attuale, continuerà a giocare un ruolo determinante (36). Una conferma della verosimiglianza di questo scenario è data - se si deve prestar fede alle statistiche - dal numero sempre maggiore di persone dotate di un titolo di studio, ma del tutto illetterate dal punto di vista funzionale.
In questa prospettiva, l'elemento pernicioso consiste nel fatto che, pur sopravvivendo la burocrazia, il potere si diffonda attraverso la società, mascherando gli elementi di controllo tuttora persistenti e creando l'impressione che lo Stato sia morto. Questo fenomeno è stato descritto anche dai teorici dei sistemi, i quali però hanno considerato la progressiva evoluzione attiva della società come un fattore costitutivo della sua stessa libertà: Ciò implica, da un lato maggiori libertà di azione per i singoli individui che fanno parte della società, dall'altra nuovi meccanismi di controllo, che rendono possibile il funzionamento di queste libertà a livelli sempre più generalizzati (37).
Questa è una descrizione abbastanza calzante del modo in cui il potere opera e viene percepito soggettivamente nella società contemporanea, specialmente nelle rappresentazioni diffuse dai media. I dibattiti politici tendono invariabilmente ad assumere un tono terapeutico. I moderatori sono sempre progressisti. I partecipanti sono dogmatici e freddi. Ma, come disse uno dei personaggi di L'uomo che cadde sulla Terra (o qualcosa del genere): "La televisione dice molte cose, ma non dice mai tutta la verità". Forse nessuno dice mai tutta la verità, ma in questa particolare follia c'è un metodo, il metodo dei maniaci dell'ordine, un tentativo di costringere la definizione della situazione attuale entro i paradigmi di controllo attualmente in vigore.
La gente si vede costruire dinanzi agli occhi un mondo, una struttura sociale, che sfugge comunque al suo controllo, anche se cerca di impadronirsene, o soltanto di partecipare. La strutturata inuguaglianza del potere e delle risorse fa sì che il controllo sia un sogno necessariamente riservato a pochi; tuttavia, finché la grande maggioranza avrà accesso alla sua definizione, e cercherà la salvezza nei suoi termini, il sistema di controllo continuerà a esistere, anche se sembra un sistema incontrollato (38): la società come il suo stesso sistema di azione cibernetica.
Bisogna riconoscere che lo scenario è dei più lugubri, veramente orwelliano. Richiederà certe innovazioni e certe convergenze a livello internazionale (est e ovest, nord e sud, aziende statali e multinazionali), necessarie a rimettere in sesto e a ristrutturare quel processo ormai secolare, noto come modernizzazione, ma la prospettiva non è una fantasia, se non in senso etimologico.
Tuttavia, c'è un'altra linea possibile, più conforme alle tradizioni funzionalista e marxista, che sono sempre state portate a immaginare - ciascuna a suo modo, ma concordemente - un lento ma deciso sviluppo della storia caratterizzato da sempre maggiori possibilità reali di progresso e di libertà. Secondo questa concezione evoluzionista, le società più complesse, più adattabili, rappresentano necessariamente il futuro, nel quale l'autonomia e il controllo sono, e rimarranno, indissolubilmente legati, ma il progresso, benché ambiguo, è reale, cosi come lo è l'autonomia individuale, benché accompagnata da nuove e più sofisticate forme di controllo. Basta guardare ai dati relativi ai tassi di mortalità negli ultimi cinquecento anni, e alla maggiore apertura mentale nei riguardi del sesso e dei ruoli sessuali.
Anche il controllo e la sua concomitante razionalità scientifica hanno aspetti positivi, poiché costituiscono la base materiale per il grado di relativa libertà di cui godiamo, per le possibilità di linee di sviluppo imprevedibili (i viaggi nello spazio, con tutte le loro implicazioni) e per una condizione esistenziale nella quale l'ansia e le preoccupazioni siano alla fine, drasticamente ridotte. Erede politica di questa concezione è la socialdemocrazia in tutte le sue varianti: da qui la sua strenua difesa dello Stato, costituzionale e controllato, come elemento indispensabile in una società mediata che si apra alla libertà; e da qui il suo realismo.
È una prospettiva non del tutto inverosimile; tuttavia ci lascia ugualmente in dubbio, a parte l'ovvia considerazione già espressa (all'epoca in cui essa potrà attuarsi, saremo morti tutti), e a parte il paragone con ciò che si potrebbe fare qui e ora per ridurre i motivi di ansia, e che invece non viene fatto, anche a causa dello spreco al quale lo Stato partecipa, quando addirittura non l'organizza.
Il dubbio persiste anche a causa della stessa ambiguità dei concetti di libertà e di progresso nelle aree più liberali del mondo, e dei problemi che esse continuamente suscitano. La possibilità di scelta è più ampia, ma ciò non cambia nulla, perché rimane l'impressione che la scelta, dal sesso alla politica, sia in realtà una non-scelta; e l'abbondanza di marchingegni e di apparecchi vari, che ha semplificato i lavori domestici, sembra parte di un processo che nel complesso rende più difficile il compito di allevare ed educare i figli (39).
Forse ciò è dovuto in parte alla maggiore quantità di tempo che la gente nei paesi industrializzati dedica a se stessa e ai rapporti interpersonali, questa dimensione sociale imperscrutabile. Ma forse è anche una conseguenza del processo nel quale ciascuna conquista dell'uomo diventa l'anello successivo nella catena del controllo sociale, invece che un passo avanti verso la riorganizzazione della vita sociale, la semplificazione dei bisogni e la liberazione dalla loro schiavitù. Appena l'uomo riesce a liberarsi da un'attività faticosa, subito viene indirizzato o attratto in altre, che potrà padroneggiare e godere soltanto a prezzo di continui sacrifici, sottomissioni e conflitti. Ciò vale sia per ciò che avviene nella sfera psichica dell'individuo, sia per ciò che avviene tra l'individuo e la collettività: la società della desublimazione repressiva (40), del tempo spettacolare, nella quale
"La vita individuale non ha ancora storia. Gli pseudo-eventi che trascorrono rapidi in spettacolari drammatizzazioni non sono stati vissuti da coloro che ne erano informati; inoltre si perdono nell'inflazione della loro frenetica sostituzione ad ogni fremito della macchina spettacolare. Per di più, ciò che è realmente vissuto non ha relazione alcuna con il tempo ufficiale irreversibile della società ed è in diretta contrapposizione con il ritmo pseudo-ciclico del sottoprodotto consumabile di quest'epoca. Quest'esperienza individuale di vita quotidiana separata resta priva di linguaggio, senza concetti, senza possibilità di accesso critico al proprio passato, che non è stato registrato in alcun luogo. Non viene comunicata. Non viene compresa, e la si dimentica a vantaggio della falsa memoria spettacolare dell'immemorabile" (41).
Ecco che cosa sembra voler dire, spesso, camminare per le strade di un centro metropolitano del mondo sviluppato; e pare che diventi sempre più difficile.
Il disaccordo tra le prospettive delle due teorie che, per mancanza di termini migliori, potremmo chiamare positivista e critica, verte in parte sui fatti e in parte sul modo di interpretarli. Ciononostante le tendenze politiche dominanti, che entrambe le prospettive discernono, delineano ciò che sempre più spesso il mondo contemporaneo mette al bando; l'utopia, e il principio di speranza che lo spirito libertario energicamente propugna. Punto focale del dibattito politico sulla natura della Stato è il dubbio circa la possibilità di una società senza Stato, ma dedita alla libertà e, sì, anche al progresso. Questa questione è alla base del dibattito tra socialdemocrazia e anarchismo, tra realpolitik e utopia. Eppure, con tutto il loro realismo e il loro empirismo, il positivismo e la socialdemocrazia sembrano dimenticare che lo Stato contemporaneo si è sviluppato storicamente sottomettendo e integrando gli elementi utopici della democrazia (42), mentre le soluzioni che essi propongono sembrano riprodurre pari pari i problemi dai quali si voleva uscire (43).
Forse non abbiamo nulla di meglio da offrire, ma forse non è da ingenui ritenere che soltanto una trasformazione radicale della struttura dell'organizzazione sociale porti in sé la prospettiva di un miglioramento paragonabile all'entità dell'impegno. Forse oggi più che mai, "considerate le possibilità utopiche concrete, la dialettica è l'ontologia dello stato sbagliato delle cose" (44).
Fortunatamente ci sono persone e gruppi che continuano a protestare, che rifiutano di accettare le cose come stanno e cercano di impedire in tutti i modi che il passato sia cancellato dal presente, perché soltanto così potrà esserci un futuro. Sono, tra le tante, le persone che formano Amnesty International, quelle che danno vita al movimento pacifista, che portano avanti la lotta per i diritti della donna, che lavorano nel Terzo Mondo, che continuano a porre domande sbagliate sullo stato sbagliato delle cose e che cercano nelle risposte una misura di verità che non vacilli dinanzi all'immensità del compito che li attende.
Forse queste persone condividono l'affermazione secondo la quale "la critica dell'ideologia... è fondamentale" (45) e cercano di viverla affrontando le loro stesse contraddizioni. Fare di più è compito dell'azione politica, e chiarire l'obiettivo è compito della teoria.

(traduzione di Michele Buzzi)

1) United Nations High Commision for Refugees, Refugees, gennaio 1984, Ginevra.
2) Cfr. N. Caplan, Futile Diplomacy, 2 voll., Londra, Cass, 1983, 1984.
3) Per il Guatemala, cfr. America's Watch, "Extermination in Guatemala", New Work Review of Books, e giugno 1983, pagg. 13-16. Per l'Uruguay cfr. Le Monde Diplomatique, dicembre 1983, pagg. 9-13. Per l'Argentina cfr. Le Monde Diplomatique, ottobre 1983, pagg. 22-27. Cfr. anche Amnesty International, Rapport 1981. EFAI, Parigi, 1982 e Amnesty International, Les "disparus", Seuil, Parigi, 1981.
4) Per l'Iran cfr. gli articoli su La Revolution lslamique Iranienne, Le Monde Diplomatique, aprile 1984, pag. 12-18; per la Cambogia cfr. N. Chomsky e H. Hernan, The Political Economy of Human Rights, e voll., Montreal, Black Rose Books, 1979, specialmente il secondo volume, anche se il saggio cerca soprattutto di precisare il ruolo della stampa occidentale, e non pretende di offrire un resoconto esaustivo degli avvenimenti in Cambogia.
5) Anche se da punti di vista teorici e politici assai diversi, c'è una notevole concordanza circa il luogo e il periodo in cui si verificò la trasformazione verso la modernità. Cfr. ad esempio: I. Wallerstein, The Modern World System, Academic Press, New York e Londra, 1974, e T. Parsons, Social System and the Evolution of Action Theory, Free Press, Gleoncoe, Illinois, 1977. A proposito dell'equazione modernità-progresso, benché ambiguo e riluttante, cfr. F. Braudel, Capitalism and Material Life, 1400-1800, Londra, 1973, e P. Chaunu, La Civilisation de l'Europe des lumieres, Champs Flammarion, Parigi, 1982. Per osservazioni critiche sulla natura del progresso e della modernizzazione, cfr. E. P. Thompson, The Making of the English Working Class, Penguin 1968, e B. Moore Jr. The Social Origins of Dictatorship and Democracy, Boston, 1966.
6) Chomsky e Herman, op. cit., capitolo 2.
7) Citato in H. Arendt, "Bertold Brecht", in Arendt, Men in Dark Times, Jonathan Cape, Londra, 1970, pag. 213.
8) E. G. Bermejo. "La decennie honeuse", Le Monde Diplomatique, dicembre 1983, pag. 11.
9) Cfr. Amnesty International, Rapport 1981, op. cit. pagg. 33-39 per la Repubblica Sudafricana e pagg. 383-392 per l'Urss.
10) Cfr. ad esempio J. Donzelot, La police des familles, Paris, Minuit, 1977 per una descrizione di questo processo.
11) J. L. Herbert, "La force mobilisatrice d'une spiritualité" in Le Monde Diplomatique, aptile 1984, pag. 17.
12) Per un esame di questa questione cfr. P. Aycoberry, La question nazie, Seuil, Parigi, 1979.
13) F. Furet e D. Richet, La Revolution Francaise, Marabout, Verviens, Belgio, 1979, pag. 149.
14) Ibid. pagg. 112-113
15) Ibid. pagg. 184-185
16) Ibid. pagg. 382-383
17) Cfr. le osservazioni della Arendt sul modo in cui l'avventura imperialista europea del diciannovesimo secolo assunse un carattere di vendetta contro i paesi esportatori, in H. Arendt, The Origin of Totalitarianism, New York, 1951.
18) Furet e Richet, op. cit. pag. 198.
19) Ibid. pag. 225.
20) Cfr. H. Sklar, Trilateralism, Black Rose Books, Montreal, 1980, e soprattutto A. Wolfe, "Capitalism Shows Its Face: Giving Up On Democracy", pagg. 295-307, per un'analisi del rapporto della Forza Trilaterale sulla Crisi della Democrazia, che indica nell'"eccesso di democrazia" un problema fondamentale dell'età contemporanea.
21) Furet e Richet, op. cit. pag. 248.
22) Ibid. pagg. 467-470.
23) Per una trattazione di questo argomento da un punto di vista veramente radicale, cfr. G. Debord, The Society of Spectacle, Black and Read, Detroit, 1977, Champ Libre, 1971, al tempo stesso, la mia interpretazione della Rivoluzione francese deve molto a F. Furet, Penser la Revolution Francaise, Gallimard, Parigi, 1978, la cui analisi della Rivoluzione offre un'acutissima valutazione del rapporto fra rivoluzione e ideologia e solleva quasi in ogni pagina importanti interrogativi circa la natura della politica moderna.
24) L. Lanza, "Fascism and Techno-burocracy", in Our Generation, Montreal, vol. 12, n. 1 estate 1977, pagg. 45-57. Per un dibattito più approfondito sulla tecnoburocrazia, cfr. Un collectif de recherche anarchiste, Le nouveaux patrons: onze etudes sur la techno-burocratie, Ginevra, Editions Noir, 1979. tradotto dall'italiano, I nuovi padroni, Edizioni Antistato, Milano, 1978.
25) L. Mercier Vega, La revolution par l'etat, Payot, Parigi, 1978, pagg. 10-11.
26) O. Kapeliouk, "Quand le paysan est tenu à l'ecart des décision politiques", in Le Monde Diplomatique, aprile 1984, pag. 11.
27) Cfr. ad esempio G. Corn "Une fructuose renegotation des dettes", in Le Monde Diplomatique, settembre 1983, pag. 3; F. Clairmonte, "Le pouvoir méconnu", ibid. pag. 2; Chomsky e Herman, op. cit..
28) Furet e Richet, op. cit., pag. 339, e l'ideologia della pacificazione così ampiamente presente nella condizione della guerra in Vietnam da parte degli americani.
29) L'invasione della Cambogia fu un'incursione. Il nome del carcere più importante per detenuti politici in Uruguay è Libertad. Cfr. anche Chomsky e Herman, op. cit., soprattutto il vol. 2.
30) E. Shragge, "A Libertarian response to the Welfare State", in Our Generation, vol. 15 n.ro 4, primavera 1983, pagg. 36-47.
31) Il governo della Repubblica Federale Tedesca rispedirebbe volentieri in Turchia una buona parte dei lavoratori immigrati, e anche la maggioranza dei tedeschi sarebbe favorevole all'espulsione dei lavoratori stranieri, ai quali viene attribuita la responsabilità della disoccupazione. Cfr. L. Vekilli, "Turken raus?", in Le Monde Diplomatique, dicembre 1983.
32) P. Chamsol, "Cette guerre que null ne veut...", Le Monde Diplomatique, aprile 1984, pagg. 1, 26-27.
33) A. Hecht, The Hard Hours, Atheneum, New York, 1978, pagg. 67-68.
34) Per una di queste versioni, cfr. R. Heilbroner, An Inquiry into the Human Prospect, Norton, New Yok, 1979.
35)Per una prima valutazione delle possibilità di una riduzione del lavoro, cfr. Adret, Travailler duex heures par jour, Seuil, Parigi, 1977.
36) Cfr. N. Laurin-Frenette, "Les Intellectuels et l'Etat", in Sociologie ed societes, vol. XV, n.ro 1, aprile 1983, pagg. 121-129, per una iniziale e importante valutazione dei rapporti attuali tra gli intellettuali e lo Stato entro gli schemi dominanti di potere e di controllo.
37) Parsons, op. cit., pag. 130.
38) H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1968.
39) Cfr. Laurin-Frenette, "Féminism et Anarchisme - quelques elements theoriques et historiques pour une analyse de la relation entre le Mouvement des femmes ed l'Etat", in Y. Cohen (a cura di), Femmes et politique, Le Jour, Montreal, 1981, pag. 167. Per una versione integrale di questo articolo, cfr. Our Generation, vol. 15, n.ro 2, estate 1982.
40) H. Marcuse, op. cit.
41) G. Debord, op. cit. sezione 157.
42) M. Bookchin, The Ecology of Freedom, Chesire Press, Palo Alto, California, 1982, (edizione italiana: L'ecologia della libertà, Edizioni Antistato, Milano, 1984), specialmente i capp. 7 e 8.
43) Per un esempio di quello che la "sinistra" ha da offrire, cfr. R. Debray, La Puissance et le Reves, Gallimard, Paris 1984; e per una critica interessante cfr. C. De Brie, "Vers une Realpolitik de Gauche", in Le Monde Diplomatique, aprile 1984, pag. 28.
44) T. Adorno, Negative Dialectis, New York, Seabury Press, 1973, pag. 11.
45) Ibid., pag. 148.