Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

Dimenticare Chernobyl
di Nino Siclari

Nanocurie, iodio 131, soglia d'attenzione, stronzio 137, ecc.: non se ne parla più. Per i mass-media il gioco è fatto. Lo spettacolo è finito. Ma la realtà è ben diversa. E coinvolge, con le scelte energetiche, l'intero modello di sviluppo

Forse un giorno si potrà dire che l'anno 1986 ha rappresentato il punto trigonometrico di riferimento nella questione dell'impatto ambientale e delle scelte sociali e produttive che lo provocano.
Metanolo, radioattività, atrazina, diossina. Riguardo a quest'ultima, il decimo anniversario del disastro Seveso, che ricorre quest'anno, richiama all'attenzione di tutti non solo come si possa distruttivamente inquinare un territorio, ma anche come si possa non bonificarlo ed omettere strumentalmente di studiare le conseguenze sulla salute delle popolazioni esposte a quell'inquinamento.
Si può dire che Seveso, oltre che laboratorio di fallite sperimentazioni chimiche e biologiche, sia stato un fruttuoso campo di sperimentazione sociale da parte del potere.
La tesi, purtroppo dimostrata da questa esperienza, è che il mezzo più efficace per minimizzare un evento e farne dimenticare le conseguenze consiste nella disinformazione delle popolazioni soggette a rischio. Questo percorso viene poi facilitato dall'istintivo rifiuto del pericolo, che porta alla rimozione psicologica da parte della gente.
In questa emblematica operazione esiste un vero e proprio movente, e non va cercato lontano. È lo stesso presidente della Regione Lombardia Guzzetti che ce lo spiega: "...L'intervento a Seveso, pur esponendo la Regione Lombardia, faceva emergere che la Amministrazione era capace di misurarsi con questo problema e di legittimarsi in una realtà fortemente industrializzata come la Lombardia". È questa necessità di autolegittimazione che porta, in una grave situazione di inefficienza, a disinformare per poi garantirsi il controllo sociale. Seveso quindi ci propone con molta attualità questo modello, mentre ci troviamo di fronte al "giorno dopo" di un evento senza precedenti: il disastro nucleare di Chernobyl.

Dove sono finiti i nanocurie?
Al di là dei gravi danni causati in Ucraina e dintorni, per quanto riguarda l'Europa e l'Italia sembra quasi non sia successo nulla. Sembra quasi che il fantasma Iodio 131 abbia portato via con sé tutti quegli altri strani nomi che avevano disturbato per un mese i nostri sonni. Uno degli effetti della rimozione psicologica di cui si parlava prima consiste nel non chiedersi quale sia lo stato dell'inquinamento radioattivo a tre mesi di distanza.
Non si parla più di nanocurie sui vegetali, non si sa nemmeno se vi siano dei valori di radioattività al di sotto della tanto decantata quanto ascientifica "soglia di attenzione".
Soltanto un effetto meccanico di diluizione nell'ambiente potrebbe garantire che elementi radioattivi come il Cesio 137 e lo Stronzio 90, con tempi di dimezzamento di trent'anni, perdano gradualmente la loro capacità dannosa attualmente dovuta alle loro concentrazioni. Questo fenomeno di diluizione può essere valutato molto difficilmente e dipende da molti fattori. Non rimane quindi che seguire perlomeno il cammino temporale del dissolvimento di questi radioisotopi, effettuando severi controlli della catena alimentare e delle acque.
Ma il dibattito sul dopo si focalizza sulla questione della sicurezza delle macchine che potenzialmente possono produrre situazioni critiche come quella dei mesi scorsi. Altri "effetti Chernobyl" si sono aggiunti alle reticenze passate e presenti dei governi europei interessati a grossi piani nucleari nazionali.
In primo luogo si è creato un comprensibile interesse della gente per la questione nucleare in generale, cosa che ha innalzato il livello di attenzione e mobilitato i meccanismi informativi, provocando l'errata impressione che gli incidenti nucleari si verifichino oggi con una frequenza senza precedenti, mentre ciò è dovuto al fatto che prima di Chernobyl l'informazione o era scarsa o veniva sapientemente pilotata.
Si è inoltre evidenziato un clima di ripensamento politico sul tema sia da parte dei partiti a vari livelli sia da parte dei sindacati. Ciò ha generato in alcuni casi posizioni del tutto nuove con effetti di rilievo, come ad esempio il recente blocco del reattore sperimentale PEC (prova elementi di combustibile) adottato dalle Regioni Toscana ed Emilia Romagna.
In modo molto evidente si è poi creata nel mondo scientifico una vera e propria spaccatura che vede due modi radicalmente diversi di intendere l'accettabilità del rischio. Questa diversa visione dell'affidabilità del nucleare è causata da una nuova valutazione della dimensione sociale di un evento catastrofico.

Invertire la rotta
Oggi chiunque si rende conto che rischi come quello del fumo, degli incidenti stradali, delle attività umane correnti, per quanto giustamente discussi e contrastati, fanno parte di un concetto di rischio distinto da quello catastrofico . La risposta della società di fronte ad un disastro di dimensioni concentrate in un breve periodo, è molto diversa da quella che si ha di fronte a rischi usuali spesso inconsapevolmente "accettati".
Da ciò deriva il fatto che il rischio catastrofico non può essere "accettato" nemmeno in cambio di un cosiddetto "benessere sociale". Nell'82 il Prof. Polvani dell'ENEA (ex-CNEN) scriveva: "La valutazione fortemente negativa della prospettiva di un evento rarissimo con conseguenze estremamente gravi non può essere ricondotta solamente a fattori emotivi e di apprezzamento psicologico, dal momento che l'incidente con conseguenze molto gravi, capace di provocare rapidamente in un'area un gran numero di vittime o la perdita per lungo tempo d'un territorio, conduce a una forte e talvolta irreparabile compromissione di un segmento della società. La connotazione di distruttività d'un aggregato sociale o d'un sottosistema antropologico e culturale è ragione di repulsione e di rifiuto ad acconsentire, anche come possibilità remota, alla prospettiva di incidenti molto gravi o catastrofici".
Con tale prospettiva le scelte energetiche non possono non subire dei mutamenti e ciò mette in discussione anche il modello di sviluppo che la società attuale si è dato. Un modello di forti costi sociali e di rilevanti fenomeni consumistici detti "benefici". Molti ormai sostengono che la logica della produzione a rischio è superata. Non è vero, ma anche se lo fosse non sarebbe sufficiente. Perché si possa giungere a una reale inversione di rotta è necessario sviluppare una nuova coscienza che leghi indissolubilmente il modo di vivere dell'uomo, e quindi le sue scelte, con le conseguenze che esse comportano sull'ambiente.