Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

Mujeres libres
di Martha Ackelsberg

Con 20.000 aderenti e 147 gruppi, un ruolo di particolare rilievo nella rivoluzione libertaria lo giocò "Mujeres libres": un'organizzazione specificamente femminile in un contesto pesantemente condizionato dal maschilismo. Basandosi anche sulle testimonianze di alcune "donne libere", la studiosa americana Martha Ackelsberg ricostruisce in queste pagine le tappe essenziali ed il senso di quell'eccezionale esperienza.

"Vivete in una città dove le donne sono relegate in una posizione insignificante, dedite esclusivamente alla casa e alla cura dei figli? Certamente avete pensato spesso con disgusto a questa situazione e vi siete rese conto di quanto sia difficile essere donna quando avete constatato di quale libertà godono i vostri fratelli o gli uomini della vostra famiglia. Ebbene, Mujeres Libres è contro tutto questo. Vogliamo che possiate essere libere come i vostri fratelli... Vogliamo che possiate fare udire la vostra voce con autorità pari a quella dei vostri padri. Vogliamo che possiate conquistare - senza preoccuparvi di ciò che dirà la gente - l'indipendenza che avete sempre desiderato.
Tuttavia rendetevi conto che tutto ciò richiede un impegno anche da parte vostra; che queste cose non nascono dal nulla; che per attuarle ci occorre l'aiuto del prossimo. Serve che altre abbiano a cuore i vostri stessi problemi e bisogna che voi stesse diate aiuto ad altre, così come altre aiutano voi. In breve, la vostra deve essere una lotta comunitaria; e ciò equivale a dire che dovete creare un gruppo di donne".(1)

Questo brano è tratto da un opuscolo intitolato "Come organizzare un gruppo di donne libere", redatto in Spagna, probabilmente nel 1937.
Il gruppo Mujeres Libres fu fondato dal movimento anarco-sindacalista spagnolo. Tra l'aprile del 1936 e il febbraio del 1939 queste donne costituirono un'organizzazione che vantava 20.000 aderenti (per la maggior parte della classe operaia), riunite in 147 gruppi disseminati in tutta la Spagna repubblicana. Il loro obiettivo era quello di dare maggior potere alle donne lavoratrici. Basandosi sulle proprie e altrui esperienze nel movimento anarco-sindacalista, le fondatrici di Mujeres Libres avevano maturato una convinzione: che per raggiungere quell'obbiettivo sarebbe stato necessario costituire un'organizzazione separata, che affrontasse quella che esse definivano "la triplice schiavitù femminile: culturale, economica e sessuale".
A differenza della maggior parte dei movimenti socialisti, che considerano i problemi economici (ad es. i rapporti di classe) come forme basilari di subordinazione, dalle quali dipendono tutte le altre, gli anarchici ritenevano che il problema cruciale risiedesse nella gerarchia, nell'autorità formalizzata. Nell'ambito di questa impostazione teorica, i diversi tipi di subordinazione (politica, sessuale, economica, ecc.) potevano essere trattati come tipi di rapporti umani più o meno indipendenti gli uni dagli altri, ciascuno dei quali deve essere affrontato da un movimento realmente rivoluzionario. Così, fin dal 1872, gli anarchici avevano posto tra gli obiettivi del movimento il superamento della subordinazione femminile.
Nonostante questa apertura a livello teorico, il movimento anarchico spagnolo non aveva però mai dato priorità all'oppressione della donna. Per la maggior parte, gli anarchici non riconoscevano la specificità della subordinazione della donna, e quando (raramente) si occupavano del problema davano per scontato che l'emancipazione femminile sarebbe stata una conseguenza naturale dell'inserimento della donna tra le forze di lavoro salariate, oppure più spesso ritenevano semplicemente che l'instaurazione di una società anarchica avrebbe risolto automaticamente la questione.
Nella migliore delle ipotesi sostenevano che la lotta per porre fine alla subordinazione della donna doveva essere condotta all'interno e attraverso le organizzazioni del movimento. Come disse un'attivista:

"Stiamo lavorando per creare una società nuova e dobbiamo operare all'unisono. Dobbiamo prendere parte attiva alle lotte sindacali insieme agli uomini, lottare per migliorare la nostra condizione e chiedere di essere prese sul serio".(2)

Ma le donne di Mujeres Libres credevano nella necessità di un'azione più diretta. Sebbene gli uomini anarchici "dicessero cose giuste" quando parlavano da una tribuna pubblica, nella vita quotidiana il loro atteggiamento nei confronti delle donne restava immutato. Una donna ricordava di aver detto ai suoi compagni: "Abbiamo lottato insieme, è vero, ma siete stati sempre voi a comandare. Noi ci siamo limitate a seguirvi, in strada come in casa. Se non siamo vostre schiave, poco ci manca!". Mujeres Libres non voleva soltanto superare le barriere di ignoranza e inesperienza, che impedivano alle donne di partecipare su basi di uguaglianza alla lotta per una società migliore, ma anche mettere sotto accusa la dominazione da parte degli uomini all'interno dello stesso movimento anarchico. Soledad Estorach, una delle "iniziatrici" del gruppo di Barcellona, mi ha detto:

"Quanto meno in Catalogna prevaleva la convinzione che uomini e donne dovessero essere coinvolti ugualmente nella lotta. Ma il problema era che gli uomini non sapevano come coinvolgere attivamente le donne. Continuavano (gli uomini, ma anche la maggior parte delle donne) a pensare alle donne soltanto come assistenti, accettate entro uno status secondario. Per loro, credo, l'ideale sarebbe stato avere accanto una companera che condividesse le loro idee, ma che nella vita privata non fosse diversa dalle altre donne. Volevano fare gli attivisti 24 ore su 24 - ed è ovvio che in una situazione del genere non possa esservi uguaglianza... La partecipazione degli uomini alla lotta era tale, che le donne venivano lasciate indietro quasi inevitabilmente. Ad esempio quando gli uomini venivano arrestati e finivano in carcere. Le donne, allora, dovevano badare ai figli, lavorare per mantenere la famiglia, far visita al compagno in galera, ecc... In questo le compañeras erano brave, eccome! Ma per noi non era abbastanza. Non era attivismo, quello".(3 )

La strategia dell'azione diretta
Quando le donne di Mujeres Libres discutevano dei loro obiettivi usavano il termine capacitacion, che non ha un equivalente nella nostra lingua. Si potrebbe dire, forse, "potenziamento". Per Mujeres Libres, come per gli anarchici in generale, mutare la consapevolezza che la gente ha di sé e del proprio ruolo nella società significa compiere un passo avanti decisivo verso una trasformazione in senso rivoluzionario. Restava tuttavia - come per tutti i movimenti sociali rivoluzionari - un difficile quesito: come si realizza un simile mutamento?
Benché Mujeres Libres fosse un'organizzazione femminile, che mirava al "potenziamento" delle donne, essa era profondamente radicata nel movimento anarchico spagnolo. Per comprendere il programma e la strategia, dobbiamo collocarla in quel più ampio contesto spagnolo.
Uno dei caratteri distintivi della "tradizione anarchico-comunitaria" (la tradizione di Bakunin, Kropotkin e Malatesta, dalla quale nacque il movimento anarchico spagnolo) era l'insistenza nel perseguire la coerenza tra mezzi e fini. Se la lotta rivoluzionaria mira ad una società non-gerarchica ed egualitaria, devono essere non-gerarchiche anche le attività del movimento che la creerà. Altrimenti coloro che prendono parte al movimento non acquisiranno mai la capacità di agire in modo indipendente e i militanti che dirigono il "movimento" diventeranno i "dirigenti" della società post-rivoluzionaria.
L'anarchismo poteva concepire un ordine non autoritario perché riteneva che non vi fosse incompatibilità tra l'individuo e la comunità, ma che anzi esistesse tra l'uno e l'altra un'interrelazione reciproca. L'universo sociale che gli anarchici si figuravano non era popolato da individui isolati, così come non era caratterizzato dal caos morale e sociale che spesso è associato al termine "anarchismo". Era piuttosto un mondo nel quale i rapporti umani erano fondati essenzialmente sull'ordine, non ottenuto con mezzi competitivi e gerarchici, ma con metodi cooperativi.
Negli anarchici e negli anarco-sindacalisti spagnoli questa concezione si traduceva in una spinta alla decentralizzazione e nella strategia dell'"azione diretta". L'azione diretta significava che l'attività e l'organizzazione rivoluzionarie avevano origine "laddove era la gente", e non si avvalevano di "intermediari" come i partiti politici. Queste attività locali erano coordinate attraverso la "propaganda del fatto", cioè attraverso azioni esemplari che facevano proseliti grazie alla forza dell'esempio positivo che offrivano, oppure attraverso una "organizzazione spontanea", cioè attraverso le federazioni non coercitive di gruppi locali. Il problema era ottenere ordine senza coercizione. Gli anarchici spagnoli raggiunsero l'obiettivo istituendo quella che potremmo chiamare una "rete federativa". Sotto l'egida del movimento - in senso generale - agivano sindacati, gruppi di affinità, scuole alternative, centri culturali, ecc... Tuttavia nessuno di questi gruppi poteva parlare - o agire - anche a nome degli altri. Erano "centri di discussione" più che organizzazioni dirigenti. (4)
Infine, gli anarchici spagnoli credevano che l'azione diretta potesse attuarsi soltanto in un contesto "preparato"; che un "ordine spontaneo" potesse emergere soltanto dal processo che dava maggiore potere, maggior forza alla gente. La chiave del successo di una strategia fondata sull'azione diretta era la "preparazione". Gli anarchici spagnoli rifiutavano il ruolo del partito che redige i piani per la rivoluzione, ma negavano anche che un mutamento sociale radicale potesse realizzarsi nel vuoto assoluto. La gente doveva acquisire fiducia in se stessa e nella propria capacità di comprendere il mondo. Ma una preparazione siffatta poteva essere condotta a termine in forma non gerarchica soltanto attraverso l'esperienza comune di forme di organizzazione sociale nuove e diverse.
Nel 1936, quando ebbe ufficialmente inizio la guerra civile, il movimento anarco-sindacalista era attivo e in continuo sviluppo già da una settantina d'anni. Le organizzazioni sindacali strutturate in forme non-gerarchiche, che si erano diffuse nelle regioni sia rurali, sia urbane e industriali della Spagna, erano state il luogo in cui i lavoratori avevano potuto sviluppare un senso della propria capacità - in unione con gli altri - di assumere il controllo del proprio lavoro e della propria vita. E i sindacati avevano portato avanti e alimentato anche le antiche tradizioni di azione collettiva. Sia nelle dichiarazioni di "comunismo libertario" nell'Andalusia rurale del diciannovesimo secolo, sia nelle manifestazioni contro la guerra e nelle rivolte per il pane a Barcellona nel ventesimo secolo, migliaia di uomini e di donne in tutta la Spagna avevano sperimentato l'"azione diretta". Erano scesi nelle strade a chiedere che i loro bisogni fossero soddisfatti; oppure, ancor meglio, avevano usato talvolta direttamente il loro potere per "liberare" mercati delle carni e rivendite di carbone.
Nelle scuole e negli ateneos razionalisti si ponevano anche altre basi su cui fondare la "preparazione". Queste scuole, sorte in molti quartieri operai di Barcellona all'inizio degli anni Trenta, erano sostenute dai sindacati locali ed erano gestite da pochi insegnanti impegnati, che erano riusciti a formarsi in un sistema educativo altrimenti dominato in toto dalla Chiesa. Le scuole erano un modello di educazione partecipativa, organizzata in modo non-gerarchico, che si batteva contro la cattiva cultura e al tempo stesso dava la sicurezza di sé e formava una coscienza di classe. I centri culturali, che di solito avevano sede nel medesimo edificio, fornivano occasioni di svago, delle quali vi era un grande bisogno - ma allo svago era legato sempre un messaggio. Le gite in montagna o al mare, ad esempio, erano sempre animate da charlas (discorsi). Come disse una donna, ricordando le sue esperienze con il gruppo: "Si facevano nascere idee, ci davano il senso di essere compañeros e compañeras... Fu questa la nostra formazione, profonda, ideologica".(5) La maggior parte degli ateneos disponeva anche di una biblioteca, unica possibilità per molti giovani di accesso ai libri: "Quando vidi la biblioteca dell'ateneo, mi parve di avere a portata di mano tutto il sapere universale".(6)
Perciò all'inizio della guerra civile vi era già una vasta rete di organizzazioni e di attività anarchiche e anarco-sindacaliste, soprattutto in Catalogna, nell'Aragona e nel Levante. Ma non tutti sanno che la guerra civile spagnola non fu semplicemente un conflitto tra "democrazia" e "fascismo". Nei territori "controllati" dalle forze locali repubblicane ebbe luogo una rivoluzione sociale. Secondo alcune stime, da 7 a 8 milioni di persone parteciparono alla collettivizzazione delle proprietà rurali o industriali e gli anarchici ebbero un ruolo preminente in queste iniziative. Mujeres Libres avrebbe operato in questo più ampio contesto rivoluzionario - i suoi 147 gruppi locali erano concentrati in aree nelle quali erano situati anche i centri più importanti del movimento anarco-sindacalista (a Madrid, in Catalogna, nel Levante, nell'Aragona).
Delle varie attività "preparatorie" che ho descritto, soprattutto le scuole e i centri culturali erano importanti per le donne. A quell'epoca la divisione tra i sessi era molto accentuata nella società spagnola. La maggior parte degli uomini e delle donne si ritrovava confinata nell'ambito di una società quasi esclusivamente del suo stesso sesso. Oltre a ciò, il grado di subordinazione delle donne - in campo sia economico che culturale - era molto più elevato di quello degli uomini. L'analfabetismo era diffuso tra le donne più che tra gli uomini. Alle donne (in prevalenza nubili) che lavoravano fuori casa erano riservate le occupazioni peggio retribuite, nelle condizioni di maggiore oppressione. Nei centri educativi e nelle organizzazioni giovanili anarchiche e anarco-sindacaliste, invece, vigeva l'integrazione tra i sessi. I giovani che li frequentavano, sia donne che uomini, avevano la possibilità di arricchirsi culturalmente e di intrattenere rapporti egualitari con coetanei dell'altro sesso. Inoltre questi centri potevano rispondere ai bisogni e alle esperienze delle donne - e dei lavoratori non organizzati - meglio di quanto potessero fare i sindacati, perché operavano in un ambito assai più ampio di quello del posto di lavoro.
Non c'è da stupirsi che quasi tutte le donne con le quali ebbi occasione di parlare dichiararono che le esperienze negli ateneos e nelle organizzazioni giovanili erano state fondamentali per la loro formazione e avevano giocato un ruolo essenziale nella loro "preparazione" alla militanza in Mujeres Libres. Alcune donne, dunque, trovarono nella comunità gestita dal movimento anarco-sindacalista e, in particolare nelle organizzazioni giovanili, un posto adatto a loro. Ma molte riconobbero anche che i gruppi avevano dei limiti. In primo luogo, non sempre queste donne erano trattate con la serietà, il rispetto e il senso di uguaglianza che ritenevano di meritare (al pari di tutte le loro compagne), in secondo luogo (e credo che questa seconda motivazione sia stata ritenuta più importante da molte delle fondatrici di Mujeres Libres, profondamente devote al movimento anarchico e al suo progetto) erano perfettamente consapevoli del fatto che il movimento anarco-sindacalista era incapace di attirare nelle sue file molte donne capaci e competenti, e tanto meno era in grado di affidare a donne ruoli di leader. Questa carenza veniva attribuita in parte al sessismo degli uomini, in parte alla "mancata preparazione" di un numero sufficiente di donne.

Enriqueta, Sara, Soleded, Pepita, ecc...
Vorrei presentare brevemente alcune di queste donne, che mi colpirono profondamente quando le conobbi e intervistai qualche anno fa, in Spagna e in Francia. Avere il senso di ciò che furono e di come vissero può essere di aiuto per inquadrare nella giusta prospettiva le riflessioni che seguono.
Molte delle attiviste erano giovani (anche se bisogna osservare che vi sono ovviamente maggiori probabilità di trovare ancora vive e in grado di raccontare la propria storia le donne che negli anni 1935-36 erano ancora giovani!) e nubili. Come accadeva alla maggior parte delle ragazze della classe operaia, molte di loro avevano cominciato a lavorare a un'età compresa tra gli otto e i dieci anni, ma la condizione di donne non sposate (e forse, fattore ancor più significativo, senza figli) consentiva loro di dedicare una certa quantità di tempo ad attività connesse con il movimento. Alcune delle attiviste di Mujeres Libres provenivano da famiglie anarchiche di vecchia data e dicevano di avere assimilato "le idee anarchiche" quasi con il latte materno.
Enriqueta Rovira, ed esempio, è una dei sette figli di una coppia di militanti anarchici ed è nipote di Abelardo Saavedra, uno dei primi insegnanti anarchici itineranti, che fu costretto a lasciare il paese per aver commesso il crimine di aver insegnato ai braccianti dell'Andalusia (una regione rurale nel sud della Spagna) a leggere. Non sa dire come è "diventata" anarchica - le idee le conosce da sempre. "Nessuno ci ha imposto queste idee... È come se lei (nostra madre) non ce le avesse insegnate, come se le avessimo vissute, come se fossimo nate con esse. Le abbiamo apprese come si impara a cucire, a mangiare".(7) Anche per Enriqueta - proveniente da una famiglia la quale non soltanto condivideva, ma addirittura coltivava i suoi ideali - l'associazione con altri in un ateneo fu cruciale. Suscitò in lei un profondo senso comunitario, che durò nel tempo. Alcune amicizie strette allora le diedero la possibilità di svolgere un importante lavoro durante la guerra civile.
Altre provenivano da famiglie con tendenze di sinistra (o almeno repubblicane) ma non dichiaratamente anarchiche. Sara Guillen, ad esempio, aveva all'incirca sedici anni quando era scoppiata la guerra, e prima di allora aveva avuto poco a che fare con il movimento. Aveva cominciato a conoscere la CNT accompagnando il padre alle riunioni sindacali e aveva cominciato a militare in Mujeres Libres nonostante l'iniziale disaccordo sulla necessità di avere una organizzazione separata per le donne quando si era trovata a rivendicare il diritto delle donne di riunirsi, incurante delle beffe degli uomini.
Il padre di Soledad Estorach - un insegnante repubblicano - era morto quando la figlia aveva dieci anni, ma a quell'età le aveva già inculcato l'amore per lo studio (e le aveva insegnato a leggere - una capacità rara a quell'epoca, per una donna). A quattordici anni la ragazza se n'era andata di casa - per evitare un matrimonio che l'avrebbe "confinata tra le quattro pareti di una casa". Si era trasferita a Barcellona, dove aveva cercato un lavoro che le consentisse di mantenere, oltre a sé, anche la madre e una sorella. Si era iscritta anche a un sindacato e aveva cominciato a frequentare un ateneo, il quale, come ebbe a dire lei stessa, le aprì un mondo del tutto nuovo: "Era una vita incredibile, la vita di una giovane militante. Una vita dedicata alla lotta, alla conoscenza, alla trasformazione della società. Era caratterizzata da una sorta di effervescenza, da un'attività costante".(8)
Altre ancora provenivano da famiglie apparentemente prive di qualsiasi legame con queste "idee". Pepita Carpona, ad esempio, aveva appreso dell'esistenza del CNT da organizzatori anarchici clandestini, che venivano a fare "proseliti" tra i giovani che frequentavano le sale da ballo. Al padre, che si mostrava riluttante a consentirle di partecipare alle riunioni serali, aveva risposto: "Sto solo facendo quello che avresti dovuto fare tu al mio posto: lottare per l'emancipazione dei lavoratori!". Poi aveva invitato il genitore ad accompagnarla alla riunione. Colpito dalla serietà e dalla dedizione dei militanti che aveva conosciuto alla riunione, il padre non aveva più ostacolato Pepita.
Ciò che tutte queste donne avevano in comune era la partecipazione ad attività sindacali o frequentazione di ateneos e/o organizzazioni giovanili. Queste esperienze davano loro energia, perché prospettavano un modo nuovo di vivere e di interagire con gli altri. I molteplici contatti creati in quegli ambienti costituivano una base importante, sia emozionale che materiale, per il futuro: molte donne allacciavano amicizie durature, e la solidarietà reciproca che ne derivava si rivelava essenziale nei periodi durante i quali (secondo le stesse parole di Soledad) "sembrava che vivessimo soltanto d'aria". Pepita Carpona, ad esempio, aveva ricevuto un piccolo stipendio dal sindacato metallurgici (nel quale aveva molti amici), grazie al quale aveva potuto lavorare a tempo pieno per Mujeres Libres.
Altre attiviste di Mujeres Libres - ad esempio le fondatrici madrilene del gruppo - erano più avanti con gli anni. E alcune erano sposate e avevano figli. Pilar Grangel aveva quasi quarant'anni quando era scoppiata la guerra, e fino ad allora aveva diretto con il suo compañero una "scuola alternativa". Quando aveva saputo di Mujeres Libres aveva cominciato a collaborare con il gruppo, organizzando corsi di formazione per insegnanti (ma anche corsi di alfabetizzazione di base, ecc. per donne adulte), con l'idea di portare avanti anche in quella sede l'opera che aveva intrapreso in proprio con il suo compañero. Anche Lola Iturbe aveva già trentaquattro anni all'inizio della guerra. Aveva cominciato a lavorare all'età di nove anni e mezzo ed era stata introdotta all'anarchismo all'età di quindici anni. Insieme con il suo compañero aveva lavorato nel giornale anarchico Tierra y Libertad e aveva collaborato con Mujeres Libres in veste di "operatrice culturale".
Mercedes Comaposada è un altro esempio di come le donne di Mujeres Libres erano approdate all'attivismo. Figlia di un socialista, Mercedes non aveva avuto quasi contatti con il movimento e le idee anarchiche fino a quando era andata a Madrid a studiare legge. Poi, nel 1933, un amico le aveva chiesto di tenere dei corsi di base in un centro sindacale della CNT. Mercedes aveva accettato con entusiasmo: "Volevano che insegnassi... Ma l'atteggiamento di alcuni dei compañeros lo rendeva impossibile. Gli uomini non prendevano sul serio le donne. Pensavano che dovessero limitarsi a cucinare e a fare la calza... In una situazione del genere le donne osavano a malapena parlare".(9) Da quel momento, Mercedes Comaposada e Lucia Sanchez Saornil (che insieme ad Ampara Poch, un medico, avrebbero fondato Mujeres Libres) avevano avuto una chiara consapevolezza della realtà:

"Avevamo contro un milione di persone. Tutte le grandi rivoluzionarie - Clara Zetkin, Alexandra Kollontaj, Rosa Luxemburg - avevano cercato di fare qualcosa per le donne. Ma avevano finito inevitabilmente per scoprire che non era possibile fare alcunché all'interno di un partito o di una organizzazione rivoluzionaria già esistente. Ricordo, ad esempio, di aver letto una lettera di Lenin a Clara Zetkin, nella quale egli scriveva: "Sì, tutto ciò che dici a proposito dell'emancipazione della donna è giusto. È un'ottima causa. Ma per dopo". Gli interessi di un partito vengono sempre prima di quelli delle donne"(10)

Il femminismo? Mai sentito nominare
Perciò verso la fine del 1933 avevano cominciato a scrivere ad altre donne in tutto il paese - e non soltanto della CNT - per annunciare l'intenzione di fondare una organizzazione di donne e per chiedere quali problemi avrebbero dovuto essere affrontati con maggiore urgenza. "Ciò che ci riempì di gioia", mi disse Mercedes, "fu la risposta. Le donne erano entusiaste, e il consenso cresceva continuamente".(11)
Contemporaneamente a Barcellona altre donne stavano vivendo esperienze simili e ottenendo risposte analoghe. Soledad Estorach, che fu una delle iniziatrici di quel gruppo, ne descrive così la nascita:

"Mujeres Libres (o quello che poi sarebbe diventato Mujeres Libres) cominciò a formarsi in Catalogna intorno al 1934 sulla base delle esperienze di attivismo in gruppi misti che molte militanti come noi avevano avuto. Le donne venivano una volta, magari a una gita domenicale o a una discussione di gruppo - talvolta s'iscrivevano anche - poi non si facevano più vedere. A Barcellona, sai, il movimento era molto numeroso e molto forte... In alcune industrie, in particolare nell'industria tessile e in quella delle confezioni, una parte consistente delle maestranze femminili aderiva al sindacato.
Ciò nonostante, le donne che esprimevano le loro idee, che facevano sentire la loro voce all'interno del sindacato erano pochissime. Cominciammo a preoccuparci per le donne che stavamo perdendo e pensammo di creare un gruppo che si occupasse specificamente di questo problema.
Nel 1935 lanciammo un appello a tutte le donne del movimento libertario e con quelle che risposero costituimmo un gruppo che prese il nome di "grupo cultural feminino CNT".(12)

Inizialmente, i gruppi come questo operarono sotto l'egida della CNT. Il loro scopo era quello di portare un maggior numero di donne alla militanza attiva nelle file del movimento anarco-sindacalista. Ma ben presto fu chiaro che il compito era tutt'altro che facile. Per raggiungere le donne nel modo in cui volevano raggiungerle, i gruppi avrebbero dovuto rendersi indipendenti.
Alla fine il gruppo di Barcellona ebbe notizia delle esperienze madrilene e nel settembre del 1936 i due nuclei "unirono le forze" assumendo il nome che il gruppo di Madrid aveva scelto per sé - "Mujeres Libres". Nel frattempo, nell'aprile di quello stesso anno il gruppo di Madrid aveva pubblicato il primo numero dell'omonima rivista. Prima di essere costretta a chiudere, alla fine della guerra, la rivista avrebbe totalizzato 13 uscite.
La fondazione di Mujeres Libres è un buon esempio di "azione diretta", o di "organizzazione spontanea". E mostra quanto il gruppo fosse profondamente radicato nel movimento anarchico, il quale sosteneva la necessità dell'auto-organizzazione per soddisfare i bisogni formulati ed espressi dagli individui. Soledad riuscì a dare efficacemente il senso di ciò che il gruppo aveva in animo di fare:

"Naturalmente c'era anche chi diceva che stavamo sbagliando, che avremmo dovuto operare in gruppi misti, che rischiavamo di cadere nel "femminismo".
A quell'epoca la maggior parte di noi, me compresa, non aveva mai sentito parlare di "femminismo". Non sapevo che fuori dalla Spagna esistessero gruppi di donne che si organizzavano e lottavano per i loro diritti. Nel nostro gruppo soltanto una o due donne, che erano state in Francia, avevano sentito parlare di femminismo. Ma io non avevo idea che esistesse qualcosa del genere! Quello che sto cercando di dire è che noi operavamo nell'ambito della nostra situazione particolare, sulla base delle nostre esperienze. Non ci eravamo ispirate a modelli esterni. Non sapevamo neppure che esistessero!".(13)

È importante ricordare che le donne di Mujeres Libres - e quasi tutti gli anarchici - avevano un atteggiamento estremamente negativo nei confronti del femminismo, che identificavano con la lotta delle donne borghesi per il voto e/o per privilegi di natura professionale. Come organizzazione prevalentemente operaia, per l'emancipazione delle donne lavoratrici, Mujeres Libres giudicava il femminismo individualista irrilevante - se non addirittura contrario - rispetto ai propri obiettivi.
Le fondatrici di Mujeres Libres ritenevano che le donne dovessero organizzarsi indipendentemente dagli uomini, sia per superare la propria subordinazione, sia per contrastare la resistenza che gli uomini opponevano all'emancipazione femminile. Non diversamente dal movimento anarchico spagnolo, Mujeres Libres fondava il proprio programma sull'azione diretta e sulla preparazione, ma sosteneva che la preparazione delle donne all'attività rivoluzionaria dovesse emergere dalla loro particolare esperienza di vita.
L'autonomia aveva un'importanza fondamentale - era ciò che rendeva possibile l'autodefinizione, a sua volta elemento essenziale ai fini del "potenziamento". Come scrisse nel 1935 Lucia Sanchez Saornil: "Credo che non tocchi all'uomo attribuire alla donna un ruolo nella società, per quanto elevato esso sia. Ripeto: il modo anarchico consiste nel lasciare che la donna agisca in piena libertà, senza essere guidata né incoraggiata; nel lasciare che si muova seguendo le proprie inclinazioni e le proprie capacità.(14).

Oppure, come cercava di spiegare Enriqueta Rovra:

"Ai compañeros dicevo: "Non vogliamo essere libere di portarvi via il lavoro, di togliervi dalle mani le vanghe e i martelli, o il pane di bocca. Vogliamo essere libere di rivendicare i nostri diritti. Chi dà a voi il diritto di avere quattro o cinque donne, mentre noi dobbiamo accontentarci di un uomo solo, anche se abbiamo desideri diversi? Perché dobbiamo limitarci alle faccende domestiche, quando siamo in grado di fare le segretarie, le dirigenti, o chissà che cos'altro ancora? No, dovete semplicemente rendervi conto di questo: che le donne sono capaci di fare tutto. L'uguaglianza è tutto". (15)

Mujeres Libres mirava ad attuare un contesto nel quale le donne potessero superare la condizione subordinata e maturare una nuova consapevolezza di sé. I programmi di Mujeres Libres prendevano in considerazione problemi d'interesse particolare per le donne - quelli ai quali, secondo l'analisi del gruppo, si potevano far risalire le cause primarie della subordinazione femminile - quali l'analfabetismo, la dipendenza e lo sfruttamento economici, l'ignoranza in materia di salute, la cura dei figli, la sessualità. D'altro canto, la struttura dell'organizzazione - la sua autonomia dalle organizzazioni esistenti dominate dagli uomini - era pensata allo scopo di costruire e di tutelare il nuovo senso d'individualità che stava emergendo.
Benché non fossero state individuate priorità tra le cause riconosciute della subordinazione femminile, la maggior parte delle attività dell'organizzazione miravano a vincere l'ignoranza e a combattere lo sfruttamento economico. Mujeres Libres promosse una massiccia campagna di alfabetizzazione, che ponesse le basi necessarie per una "acculturazione delle donne", e istituì corsi in tutte le cittadine e i villaggi nei quali l'organizzazione era in qualche modo presente. Inoltre fondò veri e propri centri nelle città in cui l'organizzazione era più forte come gli "Istituti Mujeres Libres" a Madrid e Valencia e il "Casal de la Dona Traballadora" (Istituto della donna lavoratrice) a Barcellona. Nei centri si tenevano regolarmente corsi di alfabetizzazione di base; corsi più avanzati di lingua, dattilografia e stenografia; corsi "professionali" di infermeria, puericultura, educazione tecnica (elettricità, meccanica, ecc.) e sanitaria. Inoltre si tenevano corsi di formacion social (organizzazione sindacale, economia) e incontri settimanali, che davano alle donne la possibilità di conoscere altre donne, di scambiare opinioni (favorendo al tempo stesso l'attivismo politico). L'istruzione era considerata un mezzo attraverso il quale le donne avrebbero potuto sviluppare una maggiore coscienza di sé, e uno strumento che avrebbe reso più facile una piena partecipazione alla vita sociale e al processo di trasformazione. "Era quasi come una scuola per attiviste... Non si poteva dire che indottrinassimo la gente, ma davamo loro qualcosa di più che una semplice istruzione tecnica... Le esortavamo ad una maggiore attenzione, a diventare attiviste".

Contro la morale borghese
Mujeres Libres riteneva che la dipendenza economica delle donne affondasse le radici nella rigida divisione del lavoro tra i sessi, che riservava alle donne le occupazioni peggio retribuite, nelle condizioni di lavoro più oppressive. Per cercare di risolvere questo problema, Mujeres Libres operò in stretta collaborazione con i sindacati della CNT, promuovendo programmi di formazione professionale e di apprendistato in molte fabbriche. Come emerge chiaramente dalla testimonianza di Mercedes Comaposada, i programmi avevano molteplici funzioni: "Il settore del lavoro era forse il più importante. Cominciammo subito a muoverci su quel terreno, perché era essenziale che le donne uscissero di casa. Alla fine riuscimmo a organizzare gruppi in quasi tutte le fabbriche. Probabilmente molti di questi corsi incentrarono la loro attenzione su problemi che avevano poco a che vedere con l'emancipazione femminile, tuttavia fornivano alla donna un contesto nel quale discutere di questioni legate al lavoro".
Nelle aree rurali, Mujeres Libres promosse programmi di formazione sulle tecniche agricole. Inoltre chiese e promosse l'istituzione di asili e nidi d'infanzia, sia nei quartieri che nei luoghi di lavoro, per consentire alle donne di andare a lavorare. E condusse una battaglia per la parificazione salariale tra uomini e donne. Tuttavia è importante ricordare che l'organizzazione non prestò eccessiva attenzione alla divisione del lavoro tra i sessi in quanto tale, né alle implicazioni legate all'uguaglianza sessuale, né alla stereotipizzazione di alcune mansioni come tipicamente maschili o femminili.
L'organizzazione, nel suo complesso, non aveva una posizione chiara sulla subordinazione culturale della donna. Alcuni dei suoi membri (comprese Ampara Poch e Lucia Sanchez Saornil, due delle fondatrici) criticavano aspramente la "morale borghese" (e in particolare i concetti di matrimonio e monogamia), la quale, dicevano, pone la donna in una posizione subordinata e limita per tutti la possibilità di instaurare rapporti umani. Respingevano anche la definizione della donna intesa unicamente come madre. "Volevamo chiarire che la donna è un individuo, che vale indipendentemente dal suo ruolo di madre. Volevamo liberarci, una volta per tutte, del mito della MADRE. O almeno volevamo che le madri fossero tali per scelta consapevole. Bisognerebbe poter scegliere quando e come mettere al mondo dei figli".(16)
Ma probabilmente la maggior parte dei membri dell'organizzazione si manteneva fedele all'idea di rapporti improntati alla monogamia, se non addirittura fondati sul matrimonio. E, salvo rare eccezioni, l'ideale del "libero amore" (anche nel senso che gli individui dovrebbero essere liberi di iniziare o interrompere un rapporto monogamico a loro piacere, senza essere costretti a rispettare norme imposte dalla Chiesa o dalla società) sembrava di pertinenza più maschile che femminile.
Su altri aspetti della subordinazione femminile vi era maggiore accordo. Uno degli obiettivi più innovativi che Mujeres Libres si era posto (ma che le vicende belliche impedirono di realizzare appieno) era quello che prevedeva la creazione di liberatorios de prostitucion, ovvero di centri nei quali ex prostitute che intendevano cambiar vita potessero trovare asilo e assistenza.
Un altro punto focale di attenzione era la cura della salute. Fino allo scoppio della guerra, la gestione della salute era totalmente nelle mani della Chiesa. Mujeres Libres istruì infermiere con le quali rimpiazzare le suore e promosse programmi di educazione sanitaria e igienica da attuarsi nei reparti di maternità degli ospedali e nei centri di quartiere. I programmi avevano lo scopo di rimuovere l'ignoranza delle donne sul loro corpo e sulla loro sessualità, perpetuata dalla Chiesa - un'ignoranza che Mujeres Libres riteneva in parte responsabile della subordinazione della donna nei confronti dell'uomo.
È importante notare che il programma e l'organizzazione di Mujeres Libres differivano notevolmente da quelli di altre organizzazioni femminili spagnole, che all'epoca erano formate per la maggior parte dalle "ausiliarie femminili" delle varie organizzazioni di partito. Mujeres Libres ricordava sempre ai suoi membri: "Tra tanti sacrifici... stiamo lottando per trovare noi stesse, per situarci in un'atmosfera che finora ci è stata negata: quella dell'azione sociale".(18)
Stabilendo un importante parallelo con la posizione del movimento anarchico sul problema della rivoluzione sociale, Mujeres Libres sosteneva che non v'era alcun bisogno di attendere la fine della guerra per attuare l'emancipazione femminile e che il modo migliore in cui le donne potevano aiutare se stesse e la causa della guerra consisteva nel rivendicare la propria uguaglianza e nel partecipare il più attivamente possibile alla lotta in corso.
Tuttavia, risolvere il problema della subordinazione femminile e coinvolgere appieno le donne nella lotta rivoluzionaria richiedeva qualcosa di più che una battaglia contro i fattori che erano causa di quella condizione. Le donne dovevano acquisire una nuova coscienza di sé, dovevano cominciare a considerare se stesse come protagoniste sulla scena sociale, indipendenti ed efficienti.
La crescita della consapevolezza era un aspetto essenziale del programma di Mujeres Libres e raramente l'organizzazione si lasciò sfuggire l'occasione di coinvolgere le donne in questo processo di trasformazione. Organizzò dibattiti e gruppi di discussione per far sì che le donne si abituassero a parlare in pubblico e ad ascoltare il suono della propria voce. La cosiddetta preparacion social divenne un elemento basilare di ogni iniziativa. Ad esempio, in collaborazione con i sindacati, gruppi di donne di Mujeres Libres facevano visita alle donne che lavoravano in fabbrica, con l'intento palese di coinvolgerle maggiormente nell'attività sindacale. In gruppi di due o tre, le "organizzatrici" di Mujeres Libres riuscivano a visitare fino a cinquanta fabbriche al giorno. Per un quarto d'ora, facevano fermare la catena di montaggio e parlavano con le operaie. Ne approfittavano anche per fare un discorsetto sul significato della loro partecipazione in quanto donne. In alcune aree (ad es. Terrassa) riuscirono a ottenere che le donne del sindacato si riunissero separatamente agli uomini, in modo da poter discutere problemi che le riguardavano in modo particolare e in modo da potersi incoraggiare a vicenda a partecipare più attivamente alle attività sindacali. Il gruppo di Barcellona istituì dei "centri volanti di assistenza diurna all'infanzia", che fornivano un servizio di baby-sitting a domicilio per consentire alle donne di prendere parte alle riunioni sindacali.
Il suo carattere autonomo, separato, consentì all'organizzazione di perseguire programmi indipendenti, volti a soddisfare le esigenze specifiche delle donne, e di affrontare direttamente il problema della subordinazione. Inoltre, come alcune donne non mancarono di osservare, costringeva le militanti ad assumersi responsabilità anche in settori nei quali di norma gli uomini, più "esperti", avrebbero "naturalmente" prevalso.

Individuo e comunità
Evidentemente, le donne di Mujeres Libres non attinsero soltanto alle proprie esperienze all'interno del movimento anarco-sindacalista. Fecero anche tesoro delle idee sulla società e sulla trasformazione sociale che animavano il movimento stesso. L'obiettivo di "potenziare" le donne attraverso la partecipazione a gruppi che rispondessero alle esigenze specifiche della vita quotidiana faceva riferimento alla pratica anarchica dell'azione diretta. Né i singoli rappresentanti del movimento anarchico spagnolo, né le sue più importanti organizzazioni mostrarono entusiasmo per i programmi e le iniziative di Mujeres Libres (o diedero il loro appoggio) tanto quanto le donne del gruppo avrebbero desiderato. Ciò nonostante, esse cercarono di mettere in pratica un orientamento verso la vita sociale e politica che gli anarchici, almeno in teoria, perseguivano da tempo: quelle del rispetto per la diversità.
Le donne di Mujeres Libres avevano legami profondi con l'anarchismo e con gli obiettivi e le strategie del movimento anarco-sindacalista spagnolo. Tuttavia, con la volontà di creare una organizzazione separata, andarono probabilmente oltre i limiti che il movimento, in quanto tale, era disposto a varcare. I risultati delle loro azioni furono limitati per forza di cose - anche a causa della situazione bellica nella quale dovettero operare - e tuttavia i loro programmi rivelano un'idea di rapporti tra individualità e comunità, dalla quale possiamo imparare molto.
La crescita della consapevolezza è essenzialmente un processo di potenziamento. Riconoscere che altri condividono le preoccupazioni e le difficoltà che consideriamo "personali" costituisce un primo passo importante verso lo sviluppo di una coscienza "politica", della consapevolezza che le nostre vite sono socialmente organizzate e che il mondo può essere modificato. Così, benché si attui a livello individuale, personale, la crescita della consapevolezza è fondamentalmente un processo collettivo che affonda le radici in un senso della comunità che di fatto contribuisce a creare e a rafforzare. Ed è questo senso della comunità che, a sua volta, dà forza a coloro i quali prendono parte al processo.
Questo concetto è importante, ma spesso è stato oscurato dalle critiche di chi riteneva che il femminismo fosse soltanto una questione di "promozione personale" o di "uguali possibilità". Secondo la concezione classica di stampo "liberal" (della quale sono eredi i cittadini statunitensi) comunità e individualità sono ai due estremi opposti. Ma io credo che sia più corretto il punto di vista dal quale sono partite le donne di Mujeres Libres: si diventa persone nel senso più pieno del termine non in contrapposizione con la comunità, ma nel contesto di essa, di una comunità, naturalmente, che rispetti e valorizzi la persona umana.
Esaminiamo la questione in modo più approfondito. In quanto cittadini di un regime "democratico liberale", molti di noi americani tendono a stabilire una equazione tra "comunità" e uguaglianza. Ne consegue l'idea (spesso rivolta contro gli anarchici o altri egualitari) che il concetto di comunità sia incompatibile con i concetti di creatività (che ne verrebbe soffocata) e di individualità. Da ciò hanno origine, credo, alcuni dei problemi politici più significativi emersi in America, e non soltanto per ciò che concerne le femministe. A quanto pare, infatti, partiamo dal presupposto che una politica veramente democratica, rispettosa dell'individualità, debba essere fondata su un contratto e su interessi - gli interessi innati di ciascun individuo, indipendentemente da connotazioni di razza, classe e cultura. Gran parte della politica democratica "liberal" sembra basata sul presupposto che una organizzazione incentrata sulle diversità (e in particolare sulle differenze di razza, classe, sesso e cultura) comprometta l'unità del tutto.
Tuttavia, come osservano da qualche tempo i membri di gruppi minoritari negli USA - recentemente nel contesto del movimento femminista - un atteggiamento politico e una concezione della persona di questo genere riducono di fatto le nostre potenzialità e possono servire a negare la nostra individualità. Ci stiamo rendendo conto, ad esempio, che forse la "donna" non esiste - ciascuna di noi ha le sue radici nelle particolari comunità culturali, etniche, religiose, ecc. nelle quali è cresciuta e alle quali è, in qualche misura, legata. Chiederci di rinnegare queste identità (e i legami in cui sono radicate) in nome di una astratta identità "femminile" significherebbe negare la ricchezza che la vita di ciascuna di noi possiede, non diversamente da come la reticenza degli uomini nel riconoscere l'esperienza specifica delle donne, in nome di una generica "umanità", nega la pienezza della nostra personalità e della nostra storia.
Dobbiamo modificare il nostro concetto di "comunità", facendo piazza pulita della sua presunta incompatibilità con lo sviluppo della persona. E credo che in questo le idee anarchiche possano esserci di aiuto. Innanzitutto vi sono senza dubbio aspetti di noi stesse che possiamo realizzare soltanto nel rapporto con gli altri, e talvolta è necessaria una rete di rapporti, ovvero una comunità. Dobbiamo cominciare a considerare le comunità non soltanto come mezzi, mediante i quali ciascuno di noi può raggiungere gli scopi che si è prefisso, ma come contesti nei quali realizzare ed esprimere la pienezza del nostro essere. Per contro, giacché ciascuno di noi, in pratica, avrà radici in più di un contesto, ogni comunità che voglia valorizzare la nostra pienezza dovrà non soltanto comprendere nella sua stessa definizione la diversità, ma anche favorirla attivamente.
Le donne di Mujeres Libres mi interessano particolarmente perché in qualche modo si confrontarono già allora con questi problemi. Devote com'erano agli obiettivi del movimento anarchico - e con radici profonde in quella comunità - sentivano, come donne, la mancanza di qualcosa. Per la maggior parte di loro fu una scoperta traumatica. Alcune di coloro che poi divennero attiviste rifiutarono l'idea di una organizzazione separata, quando questo progetto fu avanzato per la prima volta, perché il movimento anarco-sindacalista nel quale erano cresciute era molto importante per loro e vedevano con terrore qualsiasi cosa potesse comprometterne l'unità. Tuttavia, col tempo anche queste donne si convinsero che per la loro crescita individuale e per quella delle altre donne (come persone e come anarchiche), ma anche nell'interesse stesso del movimento, era essenziale costruire una organizzazione separata, che lottasse per l'emancipazione femminile.
Forse la loro esperienza ci può insegnare un modo diverso di pensare alla nostra realtà. Secondo Mujeres Libres, le donne potevano essere "potenziate" - e rese attive - nell'ambito del movimento anarchico soltanto a condizione che al tempo stesso riconoscessero i legami di esperienza comune con le altre donne e li usassero come una base su cui costruire. Molti uomini del movimento anarchico vedevano nel programma di Mujeres Libres un fattore di divisione, ma le donne che militavano nell'organizzazione la pensavano senz'altro diversamente. Anzi sostenevano che, in ultima analisi, non soltanto l'accettazione, ma anche l'arricchimento di quei legami nel contesto più ampio del movimento avrebbe reso possibile una unità potenziata.

Rispettare la diversità
Mujeres Libres non ebbe il tempo di tradurre in realtà i suoi progetti, perciò non possiamo sapere fino a che punto avrebbe potuto spingersi con successo. D'altra parte, per quanto ne so, non aveva neppure una formula precisa in base alla quale agire. Ma l'organizzazione era strutturata come una federazione di gruppi locali autonomi e il rapporto che essa avrebbe voluto (ma non poté) instaurare con il movimento anarchico si basava sul concetto di una serie autonoma di unità operanti nell'ambito di un più ampio complesso federato. Forse questo modello (e il senso della propensione anarchica per l'azione diretta e l'organizzazione spontanea) può darci qualche indicazione utile.
Credo che si possa imparare molto dalle esperienze di Mujeres Libres, dalla consapevolezza che, se vogliamo veramente rispettare e valorizzare l'individualità, non dobbiamo costituire soltanto "piccole comunità" da potenziare, ma anche comunità più grandi, che rispettino e accolgano con favore quelle diversità (e la diversità insita in ciascuno di noi). Invece di partire dal presupposto che bisogna rinunciare al pieno sviluppo della nostra personalità per il bene della comunità, o che bisogna rinunciare alle soddisfazioni della vita e delle attività comunitarie in nome di obiettivi individuali, possiamo cominciare a immaginare - e a desiderare - un mondo nel quale la creatività si arricchisca attraverso i rapporti, e nel quale le comunità possano veramente "potenziare" coloro che vi appartengono.

(traduzione di Michele Buzzi dal n.4 vol. 18, di "Radical America")

(1) El Comité Nacional Mujeres Libres, Como organizar una agrupacion Mujeres Libres (Publicaciones Mujeres Libres), citato in Mary Nash, "Mujeres Libres" Espana 1936-1939, Tusquets Ed., Barcellona 1976, pag. 76.

(2) Igualdad Ocana, intervista, Hospitalet, 14.2.1979.

(3) Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6.2.1982.

(4) Cfr., per esempio, Temma Kaplan, Anarchists of Andalucia, Princeton University Press, Princeton 1978, pagg. 206-207.

(5) Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 29.12.1981.

(6) Soledad Estorach, int. cit.

(7) Enriqueta Rovira, int. cit.

(8) Soledad Estorach, int. cit.

(9) Mercedes Camposada, intervista, Parigi, 5.1.1982.

(10) Mercedes Camposada, int. cit.

(11) Mercedes Camposada, int. cit.

(12) Soledad Estorach, int. cit.

(13) Soledad Estorach, int. cit.

(14) "Resumen al margen", citato in Mary Nash, op. cit., pag.64.

(15) Enriqueta Rovira, int. cit.

(16) Soledad Estorach, int. cit.

(17) Soledad Estorach, int. cit.

(18) Carmen Alcalde, La mujer en la Guera civil española, Editorial Cambio 16, Madrid s.d., pag. 154.