Rivista Anarchica Online
Mujeres
libres
di Martha Ackelsberg
Con
20.000 aderenti e 147 gruppi, un ruolo di particolare rilievo nella
rivoluzione libertaria lo giocò "Mujeres libres":
un'organizzazione specificamente femminile in un contesto
pesantemente condizionato dal maschilismo. Basandosi
anche sulle testimonianze di alcune "donne libere", la
studiosa americana Martha Ackelsberg ricostruisce in queste pagine le
tappe essenziali ed il senso di quell'eccezionale esperienza.
"Vivete
in una città dove le donne sono relegate in una posizione
insignificante, dedite esclusivamente alla casa e alla
cura dei figli? Certamente avete pensato spesso con disgusto a questa
situazione e vi siete rese conto di quanto sia difficile essere donna
quando avete constatato di quale libertà godono i
vostri fratelli o gli uomini della vostra famiglia. Ebbene, Mujeres
Libres è contro tutto questo. Vogliamo che possiate essere libere
come i vostri fratelli... Vogliamo che possiate fare udire la vostra
voce con autorità pari a quella dei vostri padri. Vogliamo che
possiate conquistare - senza preoccuparvi di ciò che dirà la gente
- l'indipendenza che avete sempre desiderato. Tuttavia
rendetevi conto che tutto ciò richiede un impegno anche da parte
vostra; che queste cose non nascono dal nulla; che per attuarle ci
occorre l'aiuto del prossimo. Serve che altre abbiano a cuore i
vostri stessi problemi e bisogna che voi stesse diate aiuto ad altre,
così come altre aiutano voi. In breve, la vostra deve essere una
lotta comunitaria; e ciò equivale a dire che dovete creare un gruppo
di donne".(1)
Questo
brano è tratto da un opuscolo intitolato "Come organizzare un
gruppo di donne libere", redatto in Spagna, probabilmente nel
1937. Il
gruppo Mujeres Libres fu fondato dal movimento anarco-sindacalista
spagnolo. Tra l'aprile del 1936 e il febbraio del 1939 queste donne
costituirono un'organizzazione che vantava 20.000 aderenti (per la
maggior parte della classe operaia), riunite in 147 gruppi
disseminati in tutta la Spagna repubblicana. Il loro obiettivo era
quello di dare maggior potere alle donne lavoratrici. Basandosi sulle
proprie e altrui esperienze nel movimento anarco-sindacalista, le
fondatrici di Mujeres Libres avevano maturato una convinzione: che
per raggiungere quell'obbiettivo sarebbe stato necessario costituire
un'organizzazione separata, che affrontasse quella che esse
definivano "la triplice schiavitù femminile: culturale,
economica e sessuale". A
differenza della maggior parte dei movimenti socialisti, che
considerano i problemi economici (ad es. i rapporti di classe) come
forme basilari di subordinazione, dalle quali dipendono tutte le
altre, gli anarchici ritenevano che il problema cruciale risiedesse
nella gerarchia, nell'autorità formalizzata. Nell'ambito di questa
impostazione teorica, i diversi tipi di subordinazione (politica,
sessuale, economica, ecc.) potevano essere trattati come tipi di
rapporti umani più o meno indipendenti gli uni dagli altri, ciascuno
dei quali deve essere affrontato da un movimento realmente
rivoluzionario. Così, fin dal 1872, gli anarchici avevano posto tra
gli obiettivi del movimento il superamento della subordinazione
femminile. Nonostante
questa apertura a livello teorico, il movimento anarchico spagnolo
non aveva però mai dato priorità all'oppressione della donna. Per
la maggior parte, gli anarchici non riconoscevano la specificità
della subordinazione della donna, e quando (raramente) si occupavano
del problema davano per scontato che l'emancipazione femminile
sarebbe stata una conseguenza naturale dell'inserimento della donna
tra le forze di lavoro salariate, oppure più spesso ritenevano
semplicemente che l'instaurazione di una società anarchica avrebbe
risolto automaticamente la questione. Nella
migliore delle ipotesi sostenevano che la lotta per porre fine alla
subordinazione della donna doveva essere condotta all'interno e
attraverso le organizzazioni del movimento. Come disse un'attivista:
"Stiamo lavorando per creare una società
nuova e dobbiamo operare all'unisono. Dobbiamo prendere parte attiva
alle lotte sindacali insieme agli uomini, lottare per migliorare la
nostra condizione e chiedere di essere prese sul serio".(2)
Ma
le donne di Mujeres Libres credevano nella necessità di un'azione
più diretta. Sebbene gli uomini anarchici "dicessero cose
giuste" quando parlavano da una tribuna pubblica, nella vita
quotidiana il loro atteggiamento nei confronti delle donne restava
immutato. Una donna ricordava di aver detto ai suoi compagni:
"Abbiamo lottato insieme, è vero, ma siete stati sempre voi a
comandare. Noi ci siamo limitate a seguirvi, in strada come in casa.
Se non siamo vostre schiave, poco ci manca!". Mujeres Libres non
voleva soltanto superare le barriere di ignoranza e inesperienza, che
impedivano alle donne di partecipare su basi di uguaglianza alla
lotta per una società migliore, ma anche mettere sotto accusa la
dominazione da parte degli uomini all'interno dello stesso movimento
anarchico. Soledad Estorach, una delle "iniziatrici" del
gruppo di Barcellona, mi ha detto:
"Quanto meno in Catalogna prevaleva la
convinzione che uomini e donne dovessero essere coinvolti ugualmente
nella lotta. Ma il problema era che gli uomini non sapevano come
coinvolgere attivamente le donne. Continuavano (gli uomini, ma anche
la maggior parte delle donne) a pensare alle donne soltanto come
assistenti, accettate entro uno status secondario. Per loro, credo,
l'ideale sarebbe stato avere accanto una companera che
condividesse le loro idee, ma che nella vita privata non fosse
diversa dalle altre donne. Volevano fare gli attivisti 24 ore su 24 -
ed è ovvio che in una situazione del genere non possa esservi
uguaglianza... La partecipazione degli uomini alla lotta era tale,
che le donne venivano lasciate indietro quasi inevitabilmente. Ad
esempio quando gli uomini venivano arrestati e finivano in carcere.
Le donne, allora, dovevano badare ai figli, lavorare per mantenere la
famiglia, far visita al compagno in galera, ecc... In questo le
compañeras erano brave, eccome! Ma per noi non era
abbastanza. Non era attivismo, quello".(3 )
La
strategia dell'azione diretta
Quando
le donne di Mujeres Libres discutevano dei loro obiettivi usavano il
termine capacitacion, che non ha un equivalente nella nostra lingua.
Si potrebbe dire, forse, "potenziamento". Per Mujeres
Libres, come per gli anarchici in generale, mutare la consapevolezza
che la gente ha di sé e del proprio ruolo nella società significa
compiere un passo avanti decisivo verso una trasformazione in senso
rivoluzionario. Restava tuttavia - come per tutti i movimenti sociali
rivoluzionari - un difficile quesito: come si realizza un simile
mutamento? Benché
Mujeres Libres fosse un'organizzazione femminile, che mirava al
"potenziamento" delle donne, essa era profondamente
radicata nel movimento anarchico spagnolo. Per comprendere il
programma e la strategia, dobbiamo collocarla in quel più ampio
contesto spagnolo. Uno
dei caratteri distintivi della "tradizione
anarchico-comunitaria" (la tradizione di Bakunin, Kropotkin e
Malatesta, dalla quale nacque il movimento anarchico spagnolo) era
l'insistenza nel perseguire la coerenza tra mezzi e fini. Se la lotta
rivoluzionaria mira ad una società non-gerarchica ed egualitaria,
devono essere non-gerarchiche anche le attività del movimento che la
creerà. Altrimenti coloro che prendono parte al movimento non
acquisiranno mai la capacità di agire in modo indipendente e i
militanti che dirigono il "movimento" diventeranno i
"dirigenti" della società post-rivoluzionaria. L'anarchismo
poteva concepire un ordine non autoritario perché riteneva che non
vi fosse incompatibilità tra l'individuo e la comunità, ma che anzi
esistesse tra l'uno e l'altra un'interrelazione reciproca. L'universo
sociale che gli anarchici si figuravano non era popolato da individui
isolati, così come non era caratterizzato dal caos morale e sociale
che spesso è associato al termine "anarchismo". Era
piuttosto un mondo nel quale i rapporti umani erano fondati
essenzialmente sull'ordine, non ottenuto con mezzi competitivi e
gerarchici, ma con metodi cooperativi. Negli
anarchici e negli anarco-sindacalisti spagnoli questa concezione si
traduceva in una spinta alla decentralizzazione e nella strategia
dell'"azione diretta". L'azione diretta significava che
l'attività e l'organizzazione rivoluzionarie avevano origine
"laddove era la gente", e non si avvalevano di
"intermediari" come i partiti politici. Queste attività
locali erano coordinate attraverso la "propaganda del fatto",
cioè attraverso azioni esemplari che facevano proseliti grazie alla
forza dell'esempio positivo che offrivano, oppure attraverso una
"organizzazione spontanea", cioè attraverso le federazioni
non coercitive di gruppi locali. Il problema era ottenere ordine
senza coercizione. Gli anarchici spagnoli raggiunsero l'obiettivo
istituendo quella che potremmo chiamare una "rete federativa".
Sotto l'egida del movimento - in senso generale - agivano sindacati,
gruppi di affinità, scuole alternative, centri culturali, ecc...
Tuttavia nessuno di questi gruppi poteva parlare - o agire - anche a
nome degli altri. Erano "centri di discussione" più che
organizzazioni dirigenti. (4) Infine,
gli anarchici spagnoli credevano che l'azione diretta potesse
attuarsi soltanto in un contesto "preparato"; che un
"ordine spontaneo" potesse emergere soltanto dal processo
che dava maggiore potere, maggior forza alla gente. La chiave del
successo di una strategia fondata sull'azione diretta era la
"preparazione". Gli anarchici spagnoli rifiutavano il ruolo
del partito che redige i piani per la rivoluzione, ma negavano anche
che un mutamento sociale radicale potesse realizzarsi nel vuoto
assoluto. La gente doveva acquisire fiducia in se stessa e nella
propria capacità di comprendere il mondo. Ma una preparazione
siffatta poteva essere condotta a termine in forma non gerarchica
soltanto attraverso l'esperienza comune di forme di organizzazione
sociale nuove e diverse. Nel
1936, quando ebbe ufficialmente inizio la guerra civile, il movimento
anarco-sindacalista era attivo e in continuo sviluppo già da una
settantina d'anni. Le organizzazioni sindacali strutturate in forme
non-gerarchiche, che si erano diffuse nelle regioni sia rurali, sia
urbane e industriali della Spagna, erano state il luogo in cui i
lavoratori avevano potuto sviluppare un senso della propria capacità
- in unione con gli altri - di assumere il controllo del proprio
lavoro e della propria vita. E i sindacati avevano portato avanti e
alimentato anche le antiche tradizioni di azione collettiva. Sia
nelle dichiarazioni di "comunismo libertario"
nell'Andalusia rurale del diciannovesimo secolo, sia nelle
manifestazioni contro la guerra e nelle rivolte per il pane a
Barcellona nel ventesimo secolo, migliaia di uomini e di donne in
tutta la Spagna avevano sperimentato l'"azione diretta".
Erano scesi nelle strade a chiedere che i loro bisogni fossero
soddisfatti; oppure, ancor meglio, avevano usato talvolta
direttamente il loro potere per "liberare" mercati delle
carni e rivendite di carbone. Nelle
scuole e negli ateneos razionalisti si ponevano anche altre basi su
cui fondare la "preparazione". Queste scuole, sorte in
molti quartieri operai di Barcellona all'inizio degli anni Trenta,
erano sostenute dai sindacati locali ed erano gestite da pochi
insegnanti impegnati, che erano riusciti a formarsi in un sistema
educativo altrimenti dominato in toto dalla Chiesa. Le scuole erano
un modello di educazione partecipativa, organizzata in modo
non-gerarchico, che si batteva contro la cattiva cultura e al tempo
stesso dava la sicurezza di sé e formava una coscienza di classe. I
centri culturali, che di solito avevano sede nel medesimo edificio,
fornivano occasioni di svago, delle quali vi era un grande bisogno -
ma allo svago era legato sempre un messaggio. Le gite in montagna o
al mare, ad esempio, erano sempre animate da charlas (discorsi). Come
disse una donna, ricordando le sue esperienze con il gruppo: "Si
facevano nascere idee, ci davano il senso di essere compañeros e
compañeras... Fu questa la nostra formazione, profonda,
ideologica".(5) La maggior parte degli ateneos disponeva anche
di una biblioteca, unica possibilità per molti giovani di accesso ai
libri: "Quando vidi la biblioteca dell'ateneo, mi parve di avere
a portata di mano tutto il sapere universale".(6) Perciò
all'inizio della guerra civile vi era già una vasta rete di
organizzazioni e di attività anarchiche e anarco-sindacaliste,
soprattutto in Catalogna, nell'Aragona e nel Levante. Ma non tutti
sanno che la guerra civile spagnola non fu semplicemente un conflitto
tra "democrazia" e "fascismo". Nei territori
"controllati" dalle forze locali repubblicane ebbe luogo
una rivoluzione sociale. Secondo alcune stime, da 7 a 8 milioni di
persone parteciparono alla collettivizzazione delle proprietà rurali
o industriali e gli anarchici ebbero un ruolo preminente in queste
iniziative. Mujeres Libres avrebbe operato in questo più ampio
contesto rivoluzionario - i suoi 147 gruppi locali erano concentrati
in aree nelle quali erano situati anche i centri più importanti del
movimento anarco-sindacalista (a Madrid, in Catalogna, nel Levante,
nell'Aragona). Delle
varie attività "preparatorie" che ho descritto, soprattutto
le scuole e i centri culturali erano importanti per le donne. A
quell'epoca la divisione tra i sessi era molto accentuata nella
società spagnola. La maggior parte degli uomini e delle donne si
ritrovava confinata nell'ambito di una società quasi esclusivamente
del suo stesso sesso. Oltre a ciò, il grado di subordinazione delle
donne - in campo sia economico che culturale - era molto più elevato
di quello degli uomini. L'analfabetismo era diffuso tra le donne più
che tra gli uomini. Alle donne (in prevalenza nubili) che lavoravano
fuori casa erano riservate le occupazioni peggio retribuite, nelle
condizioni di maggiore oppressione. Nei centri educativi e nelle
organizzazioni giovanili anarchiche e anarco-sindacaliste, invece,
vigeva l'integrazione tra i sessi. I giovani che li frequentavano,
sia donne che uomini, avevano la possibilità di arricchirsi
culturalmente e di intrattenere rapporti egualitari con coetanei
dell'altro sesso. Inoltre questi centri potevano rispondere ai
bisogni e alle esperienze delle donne - e dei lavoratori non
organizzati - meglio di quanto potessero fare i sindacati, perché
operavano in un ambito assai più ampio di quello del posto di
lavoro. Non
c'è da stupirsi che quasi tutte le donne con le quali ebbi occasione
di parlare dichiararono che le esperienze negli ateneos e nelle
organizzazioni giovanili erano state fondamentali per la loro
formazione e avevano giocato un ruolo essenziale nella loro
"preparazione" alla militanza in Mujeres Libres. Alcune donne,
dunque, trovarono nella comunità gestita dal movimento
anarco-sindacalista e, in particolare nelle organizzazioni giovanili,
un posto adatto a loro. Ma molte riconobbero anche che i gruppi
avevano dei limiti. In primo luogo, non sempre queste donne erano
trattate con la serietà, il rispetto e il senso di uguaglianza che
ritenevano di meritare (al pari di tutte le loro compagne), in
secondo luogo (e credo che questa seconda motivazione sia stata
ritenuta più importante da molte delle fondatrici di Mujeres Libres,
profondamente devote al movimento anarchico e al suo progetto) erano
perfettamente consapevoli del fatto che il movimento
anarco-sindacalista era incapace di attirare nelle sue file molte
donne capaci e competenti, e tanto meno era in grado di affidare a
donne ruoli di leader. Questa carenza veniva attribuita in parte al
sessismo degli uomini, in parte alla "mancata preparazione"
di un numero sufficiente di donne.
Enriqueta,
Sara, Soleded, Pepita, ecc...
Vorrei
presentare brevemente alcune di queste donne, che mi colpirono
profondamente quando le conobbi e intervistai qualche anno fa, in
Spagna e in Francia. Avere il senso di ciò che furono e di come
vissero può essere di aiuto per inquadrare nella giusta prospettiva
le riflessioni che seguono. Molte
delle attiviste erano giovani (anche se bisogna osservare che vi sono
ovviamente maggiori probabilità di trovare ancora vive e in grado di
raccontare la propria storia le donne che negli anni 1935-36 erano
ancora giovani!) e nubili. Come accadeva alla maggior parte delle
ragazze della classe operaia, molte di loro avevano cominciato a
lavorare a un'età compresa tra gli otto e i dieci anni, ma la
condizione di donne non sposate (e forse, fattore ancor più
significativo, senza figli) consentiva loro di dedicare una certa
quantità di tempo ad attività connesse con il movimento. Alcune
delle attiviste di Mujeres Libres provenivano da famiglie anarchiche
di vecchia data e dicevano di avere assimilato "le idee
anarchiche" quasi con il latte materno. Enriqueta
Rovira, ed esempio, è una dei sette figli di una coppia di militanti
anarchici ed è nipote di Abelardo Saavedra, uno dei primi insegnanti
anarchici itineranti, che fu costretto a lasciare il paese per aver
commesso il crimine di aver insegnato ai braccianti dell'Andalusia
(una regione rurale nel sud della Spagna) a leggere. Non sa dire come
è "diventata" anarchica - le idee le conosce da sempre.
"Nessuno ci ha imposto queste idee... È
come se lei (nostra madre) non ce le avesse insegnate, come se le
avessimo vissute, come se fossimo nate con esse. Le abbiamo apprese
come si impara a cucire, a mangiare".(7) Anche per Enriqueta -
proveniente da una famiglia la quale non soltanto condivideva, ma
addirittura coltivava i suoi ideali - l'associazione con altri in un
ateneo fu cruciale. Suscitò in lei un profondo senso comunitario,
che durò nel tempo. Alcune amicizie strette allora le diedero la
possibilità di svolgere un importante lavoro durante la guerra
civile. Altre
provenivano da famiglie con tendenze di sinistra (o almeno
repubblicane) ma non dichiaratamente anarchiche. Sara Guillen, ad
esempio, aveva all'incirca sedici anni quando era scoppiata la
guerra, e prima di allora aveva avuto poco a che fare con il
movimento. Aveva cominciato a conoscere la CNT accompagnando il padre
alle riunioni sindacali e aveva cominciato a militare in Mujeres
Libres nonostante l'iniziale disaccordo sulla necessità di avere una
organizzazione separata per le donne quando si era trovata a
rivendicare il diritto delle donne di riunirsi, incurante delle beffe
degli uomini. Il
padre di Soledad Estorach - un insegnante repubblicano - era morto
quando la figlia aveva dieci anni, ma a quell'età le aveva già
inculcato l'amore per lo studio (e le aveva insegnato a leggere - una
capacità rara a quell'epoca, per una donna). A quattordici anni la
ragazza se n'era andata di casa - per evitare un matrimonio che
l'avrebbe "confinata tra le quattro pareti di una casa". Si
era trasferita a Barcellona, dove aveva cercato un lavoro che le
consentisse di mantenere, oltre a sé, anche la madre e una sorella.
Si era iscritta anche a un sindacato e aveva cominciato a frequentare
un ateneo, il quale, come ebbe a dire lei stessa, le aprì un mondo
del tutto nuovo: "Era una vita incredibile, la vita di una
giovane militante. Una vita dedicata alla lotta, alla conoscenza,
alla trasformazione della società. Era caratterizzata da una sorta
di effervescenza, da un'attività costante".(8) Altre
ancora provenivano da famiglie apparentemente prive di qualsiasi
legame con queste "idee". Pepita Carpona, ad esempio, aveva
appreso dell'esistenza del CNT da organizzatori anarchici
clandestini, che venivano a fare "proseliti" tra i giovani
che frequentavano le sale da ballo. Al padre, che si mostrava
riluttante a consentirle di partecipare alle riunioni serali, aveva
risposto: "Sto solo facendo quello che avresti dovuto fare tu al
mio posto: lottare per l'emancipazione dei lavoratori!". Poi
aveva invitato il genitore ad accompagnarla alla riunione. Colpito
dalla serietà e dalla dedizione dei militanti che aveva conosciuto
alla riunione, il padre non aveva più ostacolato Pepita. Ciò
che tutte queste donne avevano in comune era la partecipazione ad
attività sindacali o frequentazione di ateneos e/o organizzazioni
giovanili. Queste esperienze davano loro energia, perché
prospettavano un modo nuovo di vivere e di interagire con gli altri.
I molteplici contatti creati in quegli ambienti costituivano una base
importante, sia emozionale che materiale, per il futuro: molte donne
allacciavano amicizie durature, e la solidarietà reciproca che ne
derivava si rivelava essenziale nei periodi durante i quali (secondo
le stesse parole di Soledad) "sembrava che vivessimo soltanto
d'aria". Pepita Carpona, ad esempio, aveva ricevuto un piccolo
stipendio dal sindacato metallurgici (nel quale aveva molti amici),
grazie al quale aveva potuto lavorare a tempo pieno per Mujeres
Libres. Altre
attiviste di Mujeres Libres - ad esempio le fondatrici madrilene del
gruppo - erano più avanti con gli anni. E alcune erano sposate e
avevano figli. Pilar Grangel aveva quasi quarant'anni quando era
scoppiata la guerra, e fino ad allora aveva diretto con il suo
compañero una "scuola alternativa". Quando aveva saputo di
Mujeres Libres aveva cominciato a collaborare con il gruppo,
organizzando corsi di formazione per insegnanti (ma anche corsi di
alfabetizzazione di base, ecc. per donne adulte), con l'idea di
portare avanti anche in quella sede l'opera che aveva intrapreso in
proprio con il suo compañero. Anche Lola Iturbe aveva già
trentaquattro anni all'inizio della guerra. Aveva cominciato a
lavorare all'età di nove anni e mezzo ed era stata introdotta
all'anarchismo all'età di quindici anni. Insieme con il suo
compañero aveva lavorato nel giornale anarchico Tierra y Libertad e
aveva collaborato con Mujeres Libres in veste di "operatrice
culturale". Mercedes
Comaposada è un altro esempio di come le donne di Mujeres Libres
erano approdate all'attivismo. Figlia di un socialista, Mercedes non
aveva avuto quasi contatti con il movimento e le idee anarchiche fino
a quando era andata a Madrid a studiare legge. Poi, nel 1933, un
amico le aveva chiesto di tenere dei corsi di base in un centro
sindacale della CNT. Mercedes aveva accettato con entusiasmo:
"Volevano che insegnassi... Ma l'atteggiamento di alcuni dei
compañeros lo rendeva impossibile. Gli uomini non prendevano sul
serio le donne. Pensavano che dovessero limitarsi a cucinare e a fare
la calza... In una situazione del genere le donne osavano a malapena
parlare".(9) Da quel momento, Mercedes Comaposada e Lucia Sanchez
Saornil (che insieme ad Ampara Poch, un medico, avrebbero fondato
Mujeres Libres) avevano avuto una chiara consapevolezza della realtà:
"Avevamo contro un milione di persone.
Tutte le grandi rivoluzionarie - Clara Zetkin, Alexandra Kollontaj,
Rosa Luxemburg - avevano cercato di fare qualcosa per le donne. Ma
avevano finito inevitabilmente per scoprire che non era possibile
fare alcunché all'interno di un partito o di una organizzazione
rivoluzionaria già esistente. Ricordo, ad esempio, di aver letto una
lettera di Lenin a Clara Zetkin, nella quale egli scriveva: "Sì,
tutto ciò che dici a proposito dell'emancipazione della donna è
giusto. È un'ottima causa. Ma per dopo". Gli interessi di un
partito vengono sempre prima di quelli delle donne"(10)
Il
femminismo? Mai sentito nominare
Perciò
verso la fine del 1933 avevano cominciato a scrivere ad altre donne in
tutto il paese - e non soltanto della CNT - per annunciare
l'intenzione di fondare una organizzazione di donne e per chiedere
quali problemi avrebbero dovuto essere affrontati con maggiore
urgenza. "Ciò che ci riempì di gioia", mi disse Mercedes,
"fu la risposta. Le donne erano entusiaste, e il consenso cresceva
continuamente".(11) Contemporaneamente
a Barcellona altre donne stavano vivendo esperienze simili e
ottenendo risposte analoghe. Soledad Estorach, che fu una delle
iniziatrici di quel gruppo, ne descrive così la nascita:
"Mujeres Libres (o quello che poi
sarebbe diventato Mujeres Libres) cominciò a formarsi in Catalogna
intorno al 1934 sulla base delle esperienze di attivismo in gruppi
misti che molte militanti come noi avevano avuto. Le donne venivano
una volta, magari a una gita domenicale o a una discussione di gruppo
- talvolta s'iscrivevano anche - poi non si facevano più vedere. A
Barcellona, sai, il movimento era molto numeroso e molto forte... In
alcune industrie, in particolare nell'industria tessile e in quella
delle confezioni, una parte consistente delle maestranze femminili
aderiva al sindacato. Ciò nonostante, le donne che esprimevano le
loro idee, che facevano sentire la loro voce all'interno del
sindacato erano pochissime. Cominciammo a preoccuparci per le donne
che stavamo perdendo e pensammo di creare un gruppo che si occupasse
specificamente di questo problema. Nel 1935 lanciammo
un appello a tutte le donne del movimento libertario e con quelle che
risposero costituimmo un gruppo che prese il nome di "grupo cultural feminino CNT".(12)
Inizialmente,
i gruppi come questo operarono sotto l'egida della CNT. Il loro scopo
era quello di portare un maggior numero di donne alla militanza
attiva nelle file del movimento anarco-sindacalista. Ma ben presto fu
chiaro che il compito era tutt'altro che facile. Per raggiungere le
donne nel modo in cui volevano raggiungerle, i gruppi avrebbero
dovuto rendersi indipendenti. Alla
fine il gruppo di Barcellona ebbe notizia delle esperienze madrilene
e nel settembre del 1936 i due nuclei "unirono le forze"
assumendo il nome che il gruppo di Madrid aveva scelto per sé -
"Mujeres Libres". Nel frattempo, nell'aprile di quello
stesso anno il gruppo di Madrid aveva pubblicato il primo numero
dell'omonima rivista. Prima di essere costretta a chiudere, alla fine
della guerra, la rivista avrebbe totalizzato 13 uscite. La
fondazione di Mujeres Libres è un buon esempio di "azione
diretta", o di "organizzazione spontanea". E mostra
quanto il gruppo fosse profondamente radicato nel movimento
anarchico, il quale sosteneva la necessità dell'auto-organizzazione
per soddisfare i bisogni formulati ed espressi dagli individui.
Soledad riuscì a dare efficacemente il senso di ciò che il gruppo
aveva in animo di fare:
"Naturalmente c'era anche chi diceva che
stavamo sbagliando, che avremmo dovuto operare in gruppi misti, che
rischiavamo di cadere nel "femminismo". A quell'epoca la maggior parte di noi, me
compresa, non aveva mai sentito parlare di "femminismo".
Non sapevo che fuori dalla Spagna esistessero gruppi di donne che si
organizzavano e lottavano per i loro diritti. Nel nostro gruppo
soltanto una o due donne, che erano state in Francia, avevano sentito
parlare di femminismo. Ma io non avevo idea che esistesse qualcosa
del genere! Quello che sto cercando di dire è che noi operavamo
nell'ambito della nostra situazione particolare, sulla base delle
nostre esperienze. Non ci eravamo ispirate a modelli esterni. Non
sapevamo neppure che esistessero!".(13) È
importante ricordare che le donne di Mujeres Libres - e quasi tutti
gli anarchici - avevano un atteggiamento estremamente negativo nei
confronti del femminismo, che identificavano con la lotta delle donne
borghesi per il voto e/o per privilegi di natura professionale. Come
organizzazione prevalentemente operaia, per l'emancipazione delle
donne lavoratrici, Mujeres Libres giudicava il femminismo
individualista irrilevante - se non addirittura contrario - rispetto ai
propri obiettivi. Le fondatrici di Mujeres Libres ritenevano
che le donne dovessero organizzarsi indipendentemente dagli uomini,
sia per superare la propria subordinazione, sia per contrastare la
resistenza che gli uomini opponevano all'emancipazione femminile.
Non diversamente dal movimento anarchico spagnolo, Mujeres Libres
fondava il proprio programma sull'azione diretta e sulla
preparazione, ma sosteneva che la preparazione delle donne
all'attività rivoluzionaria dovesse emergere dalla loro particolare
esperienza di vita. L'autonomia aveva un'importanza fondamentale
- era ciò che rendeva possibile l'autodefinizione, a sua volta
elemento essenziale ai fini del "potenziamento". Come scrisse
nel 1935 Lucia Sanchez Saornil: "Credo che non tocchi all'uomo
attribuire alla donna un ruolo nella società, per quanto elevato
esso sia. Ripeto: il modo anarchico consiste nel lasciare che la
donna agisca in piena libertà, senza essere guidata né
incoraggiata; nel lasciare che si muova seguendo le proprie
inclinazioni e le proprie capacità.(14). Oppure,
come cercava di spiegare Enriqueta Rovra:
"Ai compañeros dicevo: "Non
vogliamo essere libere di portarvi via il lavoro, di togliervi dalle
mani le vanghe e i martelli, o il pane di bocca. Vogliamo essere
libere di rivendicare i nostri diritti. Chi dà a voi il diritto di
avere quattro o cinque donne, mentre noi dobbiamo accontentarci di un
uomo solo, anche se abbiamo desideri diversi? Perché dobbiamo
limitarci alle faccende domestiche, quando siamo in grado di fare le
segretarie, le dirigenti, o chissà che cos'altro ancora? No, dovete
semplicemente rendervi conto di questo: che le donne sono capaci di
fare tutto. L'uguaglianza è tutto". (15)
Mujeres
Libres mirava ad attuare un contesto nel quale le donne potessero
superare la condizione subordinata e maturare una nuova
consapevolezza di sé. I programmi di Mujeres Libres prendevano in
considerazione problemi d'interesse particolare per le donne - quelli
ai quali, secondo l'analisi del gruppo, si potevano far risalire le
cause primarie della subordinazione femminile - quali
l'analfabetismo, la dipendenza e lo sfruttamento economici,
l'ignoranza in materia di salute, la cura dei figli, la sessualità.
D'altro canto, la struttura dell'organizzazione - la sua autonomia
dalle organizzazioni esistenti dominate dagli uomini - era pensata
allo scopo di costruire e di tutelare il nuovo senso d'individualità
che stava emergendo. Benché
non fossero state individuate priorità tra le cause riconosciute
della subordinazione femminile, la maggior parte delle attività
dell'organizzazione miravano a vincere l'ignoranza e a combattere lo
sfruttamento economico. Mujeres Libres promosse una massiccia
campagna di alfabetizzazione, che ponesse le basi necessarie per una
"acculturazione delle donne", e istituì corsi in tutte le
cittadine e i villaggi nei quali l'organizzazione era in qualche modo
presente. Inoltre fondò veri e propri centri nelle città in cui
l'organizzazione era più forte come gli "Istituti Mujeres
Libres" a Madrid e Valencia e il "Casal de la Dona
Traballadora" (Istituto della donna lavoratrice) a Barcellona. Nei
centri si tenevano regolarmente corsi di alfabetizzazione di base;
corsi più avanzati di lingua, dattilografia e stenografia; corsi
"professionali" di infermeria, puericultura, educazione
tecnica (elettricità, meccanica, ecc.) e sanitaria. Inoltre si
tenevano corsi di formacion social (organizzazione sindacale,
economia) e incontri settimanali, che davano alle donne la
possibilità di conoscere altre donne, di scambiare opinioni
(favorendo al tempo stesso l'attivismo politico). L'istruzione era
considerata un mezzo attraverso il quale le donne avrebbero potuto
sviluppare una maggiore coscienza di sé, e uno strumento che avrebbe
reso più facile una piena partecipazione alla vita sociale e al
processo di trasformazione. "Era quasi come una scuola per
attiviste... Non si poteva dire che indottrinassimo la gente, ma
davamo loro qualcosa di più che una semplice istruzione tecnica...
Le esortavamo ad una maggiore attenzione, a diventare attiviste".
Contro
la morale borghese
Mujeres
Libres riteneva che la dipendenza economica delle donne affondasse le
radici nella rigida divisione del lavoro tra i sessi, che riservava
alle donne le occupazioni peggio retribuite, nelle condizioni di
lavoro più oppressive. Per cercare di risolvere questo problema,
Mujeres Libres operò in stretta collaborazione con i sindacati della
CNT, promuovendo programmi di formazione professionale e di
apprendistato in molte fabbriche. Come emerge chiaramente dalla
testimonianza di Mercedes Comaposada, i programmi avevano molteplici
funzioni: "Il settore del lavoro era forse il più importante.
Cominciammo subito a muoverci su quel terreno, perché era essenziale
che le donne uscissero di casa. Alla fine riuscimmo a organizzare
gruppi in quasi tutte le fabbriche. Probabilmente molti di questi
corsi incentrarono la loro attenzione su problemi che avevano poco a
che vedere con l'emancipazione femminile, tuttavia fornivano alla
donna un contesto nel quale discutere di questioni legate al lavoro". Nelle
aree rurali, Mujeres Libres promosse programmi di formazione sulle
tecniche agricole. Inoltre chiese e promosse l'istituzione di asili e
nidi d'infanzia, sia nei quartieri che nei luoghi di lavoro, per
consentire alle donne di andare a lavorare. E condusse una battaglia
per la parificazione salariale tra uomini e donne. Tuttavia è
importante ricordare che l'organizzazione non prestò eccessiva
attenzione alla divisione del lavoro tra i sessi in quanto tale, né
alle implicazioni legate all'uguaglianza sessuale, né alla
stereotipizzazione di alcune mansioni come tipicamente maschili o
femminili. L'organizzazione,
nel suo complesso, non aveva una posizione chiara sulla
subordinazione culturale della donna. Alcuni dei suoi membri
(comprese Ampara Poch e Lucia Sanchez Saornil, due delle fondatrici)
criticavano aspramente la "morale borghese" (e in particolare
i concetti di matrimonio e monogamia), la quale, dicevano, pone la
donna in una posizione subordinata e limita per tutti la possibilità
di instaurare rapporti umani. Respingevano anche la definizione della
donna intesa unicamente come madre. "Volevamo chiarire che la
donna è un individuo, che vale indipendentemente dal suo ruolo di
madre. Volevamo liberarci, una volta per tutte, del mito della MADRE.
O almeno volevamo che le madri fossero tali per scelta consapevole.
Bisognerebbe poter scegliere quando e come mettere al mondo dei
figli".(16) Ma
probabilmente la maggior parte dei membri dell'organizzazione si
manteneva fedele all'idea di rapporti improntati alla monogamia, se
non addirittura fondati sul matrimonio. E, salvo rare eccezioni,
l'ideale del "libero amore" (anche nel senso che gli
individui dovrebbero essere liberi di iniziare o interrompere un
rapporto monogamico a loro piacere, senza essere costretti a
rispettare norme imposte dalla Chiesa o dalla società) sembrava di
pertinenza più maschile che femminile. Su
altri aspetti della subordinazione femminile vi era maggiore accordo.
Uno degli obiettivi più innovativi che Mujeres Libres si era posto
(ma che le vicende belliche impedirono di realizzare appieno) era
quello che prevedeva la creazione di liberatorios de prostitucion,
ovvero di centri nei quali ex prostitute che intendevano cambiar vita
potessero trovare asilo e assistenza. Un
altro punto focale di attenzione era la cura della salute. Fino allo
scoppio della guerra, la gestione della salute era totalmente nelle
mani della Chiesa. Mujeres Libres istruì infermiere con le quali
rimpiazzare le suore e promosse programmi di educazione sanitaria e
igienica da attuarsi nei reparti di maternità degli ospedali e nei
centri di quartiere. I programmi avevano lo scopo di rimuovere
l'ignoranza delle donne sul loro corpo e sulla loro sessualità,
perpetuata dalla Chiesa - un'ignoranza che Mujeres Libres riteneva in
parte responsabile della subordinazione della donna nei confronti
dell'uomo.
È
importante notare che il programma e l'organizzazione di Mujeres
Libres differivano notevolmente da quelli di altre organizzazioni
femminili spagnole, che all'epoca erano formate per la maggior parte
dalle "ausiliarie femminili" delle varie organizzazioni di
partito. Mujeres Libres ricordava sempre ai suoi membri: "Tra
tanti sacrifici... stiamo lottando per trovare noi stesse, per
situarci in un'atmosfera che finora ci è stata negata: quella
dell'azione sociale".(18)
Stabilendo
un importante parallelo con la posizione del movimento anarchico sul
problema della rivoluzione sociale, Mujeres Libres sosteneva che non
v'era alcun bisogno di attendere la fine della guerra per attuare
l'emancipazione femminile e che il modo migliore in cui le donne
potevano aiutare se stesse e la causa della guerra consisteva nel
rivendicare la propria uguaglianza e nel partecipare il più
attivamente possibile alla lotta in corso. Tuttavia,
risolvere il problema della subordinazione femminile e coinvolgere
appieno le donne nella lotta rivoluzionaria richiedeva qualcosa di
più che una battaglia contro i fattori che erano causa di quella
condizione. Le donne dovevano acquisire una nuova coscienza di sé,
dovevano cominciare a considerare se stesse come protagoniste sulla
scena sociale, indipendenti ed efficienti. La
crescita della consapevolezza era un aspetto essenziale del programma
di Mujeres Libres e raramente l'organizzazione si lasciò sfuggire
l'occasione di coinvolgere le donne in questo processo di
trasformazione. Organizzò dibattiti e gruppi di discussione per far
sì che le donne si abituassero a parlare in pubblico e ad ascoltare
il suono della propria voce. La cosiddetta preparacion social divenne
un elemento basilare di ogni iniziativa. Ad esempio, in
collaborazione con i sindacati, gruppi di donne di Mujeres Libres
facevano visita alle donne che lavoravano in fabbrica, con l'intento
palese di coinvolgerle maggiormente nell'attività sindacale. In
gruppi di due o tre, le "organizzatrici" di Mujeres Libres
riuscivano a visitare fino a cinquanta fabbriche al giorno. Per un
quarto d'ora, facevano fermare la catena di montaggio e parlavano con
le operaie. Ne approfittavano anche per fare un discorsetto sul
significato della loro partecipazione in quanto donne. In alcune aree
(ad es. Terrassa) riuscirono a ottenere che le donne del sindacato si
riunissero separatamente agli uomini, in modo da poter discutere
problemi che le riguardavano in modo particolare e in modo da potersi
incoraggiare a vicenda a partecipare più attivamente alle attività
sindacali. Il gruppo di Barcellona istituì dei "centri volanti
di assistenza diurna all'infanzia", che fornivano un servizio di
baby-sitting a domicilio per consentire alle donne di prendere parte
alle riunioni sindacali. Il
suo carattere autonomo, separato, consentì all'organizzazione di
perseguire programmi indipendenti, volti a soddisfare le esigenze
specifiche delle donne, e di affrontare direttamente il problema
della subordinazione. Inoltre, come alcune donne non mancarono di
osservare, costringeva le militanti ad assumersi responsabilità
anche in settori nei quali di norma gli uomini, più "esperti",
avrebbero "naturalmente" prevalso.
Individuo
e comunità
Evidentemente,
le donne di Mujeres Libres non attinsero soltanto alle proprie
esperienze all'interno del movimento anarco-sindacalista. Fecero
anche tesoro delle idee sulla società e sulla trasformazione sociale
che animavano il movimento stesso. L'obiettivo di "potenziare"
le donne attraverso la partecipazione a gruppi che rispondessero alle
esigenze specifiche della vita quotidiana faceva riferimento alla
pratica anarchica dell'azione diretta. Né i singoli rappresentanti
del movimento anarchico spagnolo, né le sue più importanti
organizzazioni mostrarono entusiasmo per i programmi e le iniziative
di Mujeres Libres (o diedero il loro appoggio) tanto quanto le donne
del gruppo avrebbero desiderato. Ciò nonostante, esse cercarono di
mettere in pratica un orientamento verso la vita sociale e politica
che gli anarchici, almeno in teoria, perseguivano da tempo: quelle
del rispetto per la diversità. Le
donne di Mujeres Libres avevano legami profondi con l'anarchismo e
con gli obiettivi e le strategie del movimento anarco-sindacalista
spagnolo. Tuttavia, con la volontà di creare una organizzazione
separata, andarono probabilmente oltre i limiti che il movimento, in
quanto tale, era disposto a varcare. I risultati delle loro azioni
furono limitati per forza di cose - anche a causa della situazione
bellica nella quale dovettero operare - e tuttavia i loro programmi
rivelano un'idea di rapporti tra individualità e comunità, dalla
quale possiamo imparare molto. La
crescita della consapevolezza è essenzialmente un processo di
potenziamento. Riconoscere che altri condividono le preoccupazioni e
le difficoltà che consideriamo "personali" costituisce un
primo passo importante verso lo sviluppo di una coscienza "politica",
della consapevolezza che le nostre vite sono socialmente organizzate
e che il mondo può essere modificato. Così, benché si attui a
livello individuale, personale, la crescita della consapevolezza è
fondamentalmente un processo collettivo che affonda le radici in un
senso della comunità che di fatto contribuisce a creare e a
rafforzare. Ed è questo senso della comunità che, a sua volta, dà
forza a coloro i quali prendono parte al processo. Questo
concetto è importante, ma spesso è stato oscurato dalle critiche di
chi riteneva che il femminismo fosse soltanto una questione di
"promozione personale" o di "uguali possibilità".
Secondo la concezione classica di stampo "liberal" (della
quale sono eredi i cittadini statunitensi) comunità e individualità
sono ai due estremi opposti. Ma io credo che sia più corretto il
punto di vista dal quale sono partite le donne di Mujeres Libres: si
diventa persone nel senso più pieno del termine non in
contrapposizione con la comunità, ma nel contesto di essa, di una
comunità, naturalmente, che rispetti e valorizzi la persona umana. Esaminiamo
la questione in modo più approfondito. In quanto cittadini di un
regime "democratico liberale", molti di noi americani
tendono a stabilire una equazione tra "comunità" e
uguaglianza. Ne consegue l'idea (spesso rivolta contro gli anarchici
o altri egualitari) che il concetto di comunità sia incompatibile
con i concetti di creatività (che ne verrebbe soffocata) e di
individualità. Da ciò hanno origine, credo, alcuni dei problemi
politici più significativi emersi in America, e non soltanto per ciò
che concerne le femministe. A quanto pare, infatti, partiamo dal
presupposto che una politica veramente democratica, rispettosa
dell'individualità, debba essere fondata su un contratto e su
interessi - gli interessi innati di ciascun individuo,
indipendentemente da connotazioni di razza, classe e cultura. Gran
parte della politica democratica "liberal" sembra basata
sul presupposto che una organizzazione incentrata sulle diversità (e
in particolare sulle differenze di razza, classe, sesso e cultura)
comprometta l'unità del tutto. Tuttavia,
come osservano da qualche tempo i membri di gruppi minoritari negli
USA - recentemente nel contesto del movimento femminista - un
atteggiamento politico e una concezione della persona di questo
genere riducono di fatto le nostre potenzialità e possono servire a
negare la nostra individualità. Ci stiamo rendendo conto, ad
esempio, che forse la "donna" non esiste - ciascuna di noi
ha le sue radici nelle particolari comunità culturali, etniche,
religiose, ecc. nelle quali è cresciuta e alle quali è, in qualche
misura, legata. Chiederci di rinnegare queste identità (e i legami
in cui sono radicate) in nome di una astratta identità "femminile"
significherebbe negare la ricchezza che la vita di ciascuna di noi
possiede, non diversamente da come la reticenza degli uomini nel
riconoscere l'esperienza specifica delle donne, in nome di una
generica "umanità", nega la pienezza della nostra
personalità e della nostra storia. Dobbiamo
modificare il nostro concetto di "comunità", facendo
piazza pulita della sua presunta incompatibilità con lo sviluppo
della persona. E credo che in questo le idee anarchiche possano
esserci di aiuto. Innanzitutto vi sono senza dubbio aspetti di noi
stesse che possiamo realizzare soltanto nel rapporto con gli altri, e
talvolta è necessaria una rete di rapporti, ovvero una comunità.
Dobbiamo cominciare a considerare le comunità non soltanto come
mezzi, mediante i quali ciascuno di noi può raggiungere gli scopi
che si è prefisso, ma come contesti nei quali realizzare ed
esprimere la pienezza del nostro essere. Per contro, giacché
ciascuno di noi, in pratica, avrà radici in più di un contesto,
ogni comunità che voglia valorizzare la nostra pienezza dovrà non
soltanto comprendere nella sua stessa definizione la diversità, ma
anche favorirla attivamente. Le
donne di Mujeres Libres mi interessano particolarmente perché in
qualche modo si confrontarono già allora con questi problemi. Devote
com'erano agli obiettivi del movimento anarchico - e con radici
profonde in quella comunità - sentivano, come donne, la mancanza di
qualcosa. Per la maggior parte di loro fu una scoperta traumatica.
Alcune di coloro che poi divennero attiviste rifiutarono l'idea di
una organizzazione separata, quando questo progetto fu avanzato per
la prima volta, perché il movimento anarco-sindacalista nel quale
erano cresciute era molto importante per loro e vedevano con terrore
qualsiasi cosa potesse comprometterne l'unità. Tuttavia, col tempo
anche queste donne si convinsero che per la loro crescita individuale
e per quella delle altre donne (come persone e come anarchiche), ma
anche nell'interesse stesso del movimento, era essenziale costruire
una organizzazione separata, che lottasse per l'emancipazione
femminile. Forse
la loro esperienza ci può insegnare un modo diverso di pensare alla
nostra realtà. Secondo Mujeres Libres, le donne potevano essere
"potenziate" - e rese attive - nell'ambito del movimento
anarchico soltanto a condizione che al tempo stesso riconoscessero i
legami di esperienza comune con le altre donne e li usassero come una
base su cui costruire. Molti uomini del movimento anarchico vedevano
nel programma di Mujeres Libres un fattore di divisione, ma le donne
che militavano nell'organizzazione la pensavano senz'altro
diversamente. Anzi sostenevano che, in ultima analisi, non soltanto
l'accettazione, ma anche l'arricchimento di quei legami nel contesto
più ampio del movimento avrebbe reso possibile una unità
potenziata.
Rispettare
la diversità
Mujeres
Libres non ebbe il tempo di tradurre in realtà i suoi progetti,
perciò non possiamo sapere fino a che punto avrebbe potuto spingersi
con successo. D'altra parte, per quanto ne so, non aveva neppure una
formula precisa in base alla quale agire. Ma l'organizzazione era
strutturata come una federazione di gruppi locali autonomi e il
rapporto che essa avrebbe voluto (ma non poté) instaurare con il
movimento anarchico si basava sul concetto di una serie autonoma di
unità operanti nell'ambito di un più ampio complesso federato.
Forse questo modello (e il senso della propensione anarchica per
l'azione diretta e l'organizzazione spontanea) può darci qualche
indicazione utile. Credo
che si possa imparare molto dalle esperienze di Mujeres Libres, dalla
consapevolezza che, se vogliamo veramente rispettare e valorizzare
l'individualità, non dobbiamo costituire soltanto "piccole
comunità" da potenziare, ma anche comunità più grandi, che
rispettino e accolgano con favore quelle diversità (e la diversità
insita in ciascuno di noi). Invece di partire dal presupposto che
bisogna rinunciare al pieno sviluppo della nostra personalità per il
bene della comunità, o che bisogna rinunciare alle soddisfazioni
della vita e delle attività comunitarie in nome di obiettivi
individuali, possiamo cominciare a immaginare - e a desiderare - un
mondo nel quale la creatività si arricchisca attraverso i rapporti,
e nel quale le comunità possano veramente "potenziare"
coloro che vi appartengono.
(traduzione
di Michele Buzzi dal n.4 vol. 18, di "Radical America")
(1)
El Comité Nacional Mujeres Libres, Como organizar una agrupacion
Mujeres Libres (Publicaciones Mujeres Libres), citato in Mary
Nash, "Mujeres Libres" Espana 1936-1939, Tusquets
Ed., Barcellona 1976, pag. 76.
(2)
Igualdad Ocana, intervista, Hospitalet, 14.2.1979.
(3)
Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6.2.1982.
(4)
Cfr., per esempio, Temma Kaplan, Anarchists of Andalucia,
Princeton University Press, Princeton 1978, pagg. 206-207.
(5)
Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 29.12.1981.
(6)
Soledad Estorach, int. cit.
(7)
Enriqueta Rovira, int. cit.
(8)
Soledad Estorach, int. cit.
(9)
Mercedes Camposada, intervista, Parigi, 5.1.1982.
(10)
Mercedes Camposada, int. cit.
(11)
Mercedes Camposada, int. cit.
(12)
Soledad Estorach, int. cit.
(13)
Soledad Estorach, int. cit.
(14)
"Resumen al margen", citato in Mary Nash, op. cit.,
pag.64.
(15)
Enriqueta Rovira, int. cit.
(16)
Soledad Estorach, int. cit.
(17)
Soledad Estorach, int. cit.
(18)
Carmen Alcalde, La mujer en la Guera civil española, Editorial
Cambio 16, Madrid s.d., pag. 154.
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