Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

Sono un cristiano

Chiedo ospitalità per portare il mio contributo, quale cristiano, al problema "Religione..." e semplicemente rispondendo alla lettera di Nik pubblicata sullo scorso numero.
Purtroppo non possiedo quella ricchezza di termini psico-socio-filosofici che l'autore della lettera dimostra di conoscere così bene, ma ugualmente vorrei sottolineare una serie di luoghi comuni, e sviste, da cui traspare una conoscenza del pensiero cristiano alquanto superficiale, frutto di una morale e cultura cattolica romana che fin da piccoli viene inculcata ed espressa nella relazione Cristo = Chiesa = Salvezza; logicamente il rifiuto del cattolicesimo diventa il rifiuto di Cristo.
Quando Feuerbach dice che: "Dio non è altro che la proiezione sul piano dell'assoluto dei desideri e degli ideali degli uomini" ed ancora "L'essere divino non è altro che l'essere dell'uomo liberato dai limiti dell'individuo (...) e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui distinto (...) i predicati attribuiti a Dio dalla religione sono soltanto antropomorfismi, cioè rappresentazioni umane", ha perfettamente ragione se consideriamo vera la possibilità di conoscere Dio attraverso quelle sistemazioni razionali o ideali (di cui la storia è piena) che trasformano Dio in un Dio a profitto dell'uomo (...o di certe classi...).
Ma se consideriamo Cristo come l'unico mediatore, l'unico veicolo di conoscenza di Dio, allora il nostro fondamento diventa un condannato alla pena infamante della crocefissione, riservata agli schiavi ed agli esclusi della società; l'affermazione di Feuerbach o di chi altro crollano, non hanno più senso alcuno.
Quale proiezione, quale immagine ed esempio può darci Uno che per coloro del suo tempo (padroni e servi compresi) fu SCANDALO ed ERESIA? Che non ha insegnato certe regole morali, non ha annunciato certe verità religiose, non ha stabilito o confermato certi riti; anzi ha fatto saltare il diaframma del rito nel rapporto con Dio (Mt 6,6), non ha osservato ma violato i giorni sacri (Mt 12,1-8), non ha esaltato ma svalutato i sacrifici (Mc 12,33), non ha raccomandato di ricorrere ai sacerdoti, ma ha considerato superato il regime sacerdotale (Mt 21,43-45) e inevitabile il conflitto con i suoi rappresentanti (Lc 9,22), non ha contribuito al mantenimento del centro della religione, il tempio, ma ne ha annunciato la fine (Giov. 2,19-etc..) negando così le strutture portanti del sacro, comuni a tutte le società e a tutte le religioni che conosciamo e mettendo in crisi, di conseguenza, il sistema stesso del sacro e tutto il potere che vi è strettamente connesso.
Nik parla di "libertà senza condizionamenti mistico-idealistici" ma in nessuno dei brani sopra citati vedo alcun tipo di condizionamento, ma una rottura da tutti i condizionamenti esterni ed interni: riferimento dell'uomo non è più un valore, di cui potrebbe una volta di più appropriarsi, non più una legge, dalla cui osservanza potrebbe vantarsi, non più un sentimento che potrebbe coltivare come patrimonio interiore, non più una religione, di cui potrebbe diventare pio seguace, ma un uomo vissuto in un preciso momento della nostra storia e che i suoi più stretti familiari, sua madre, i suoi fratelli e sorelle, credevano... pazzo (Mc 3,21).
Seguire questo uomo comporta la rottura con tutti gli schemi della mentalità e dell'ambiente circostante; il vangelo usa un termine ben preciso "Metànoia" (greco) che significa proprio questo, ma che in latino e poi italiano abbiamo reso con Poenitentia-Penitenzae su cui il cattolicesimo romano si è sbizzarrito nel modo più folcloristico.
Un'ultima cosa. Nik parla di liberazione "dell'inconscio desiderio di morte insito" nell'uomo per poter costruire "la città dell'uomo"; la sua affermazione è giusta dal punto di vista di un cristianesimo-cattolicizzato che sotto l'influsso del pensiero platonico ha coniato una distinzione tra Anima e Corpo totalmente estranea all'ebraismo, che considerava l'uomo nella sua totalità, e che comportava la mortificazione della carne per liberarsi del Corpo e quindi purificare l'Anima peccatrice, la morte diventava così il momento dell'incontro tra Dio e l'uomo.
Ma anche qua Gesù di Nazareth (ebreo) rovescia gli schemi, di fronte alla morte (ed al dolore fisico... che egli combatte in tutti i modi) non è certamente felice e gioioso: innanzi alla tomba di Lazzaro "piange", al pensiero della sorte che l'attende "suda sangue", sulla croce grida la sua paura "Dio mio perché mi hai abbandonato?"; l'esempio di Cristo è di "...inconscio desiderio di morte?"; a me sembra tutto il contrario: è un invito a rifiutare la morte non "naturale" (Cristo è morto ammazzato) ed a stanarla dove si nasconde. È un'affermazione prettamente borghese dire che di fronte alla morte siamo tutti uguali (e non cristiana) perché è falsa.
Esiste un diritto alla morte "naturale" che oggi viene ripetutamente violato: guerre, disastri ecologici, malattie, incidenti sul lavoro; l'affermazione ed il riconoscimento di questo diritto implica la creazione di una società in cui la morte naturale sia la regola od almeno possa diventarla, uguaglianza di fronte alla morte!
Potrei continuare a lungo ma è togliere spazio ad altri e... ne ho già abusato; vi invito a riesaminare alla luce di queste mie considerazioni il problema del "fatto religioso" e ad estenderle ad altri aspetti solo sfiorati, senza toccare l'aspetto della Fede... ma questa è un'altra storia.

Stefano Beretti (Marina di Carrara)