Rivista Anarchica Online
Sono un cristiano
Chiedo
ospitalità per portare il mio contributo, quale cristiano, al
problema "Religione..." e semplicemente rispondendo alla
lettera di Nik pubblicata sullo scorso numero. Purtroppo
non possiedo quella ricchezza di termini psico-socio-filosofici che
l'autore della lettera dimostra di conoscere così bene, ma
ugualmente vorrei sottolineare una serie di luoghi comuni, e sviste,
da cui traspare una conoscenza del pensiero cristiano alquanto
superficiale, frutto di una morale e cultura cattolica romana che fin
da piccoli viene inculcata ed espressa nella relazione Cristo =
Chiesa = Salvezza; logicamente il rifiuto del cattolicesimo diventa
il rifiuto di Cristo. Quando
Feuerbach dice che: "Dio non è altro che la proiezione sul piano
dell'assoluto dei desideri e degli ideali degli uomini" ed ancora
"L'essere divino non è altro che l'essere dell'uomo liberato dai
limiti dell'individuo (...) e oggettivato, ossia contemplato e
adorato come un altro essere da lui distinto (...) i predicati
attribuiti a Dio dalla religione sono soltanto antropomorfismi, cioè
rappresentazioni umane", ha perfettamente ragione se
consideriamo vera la possibilità di conoscere Dio attraverso quelle
sistemazioni razionali o ideali (di cui la storia è piena) che
trasformano Dio in un Dio a profitto dell'uomo (...o di certe
classi...). Ma
se consideriamo Cristo come l'unico mediatore, l'unico veicolo di
conoscenza di Dio, allora il nostro fondamento diventa un condannato
alla pena infamante della crocefissione, riservata agli schiavi ed
agli esclusi della società; l'affermazione di Feuerbach o di chi
altro crollano, non hanno più senso alcuno. Quale
proiezione, quale immagine ed esempio può darci Uno che per coloro
del suo tempo (padroni e servi compresi) fu SCANDALO ed ERESIA? Che
non ha insegnato certe regole morali, non ha annunciato certe verità
religiose, non ha stabilito o confermato certi riti; anzi ha fatto
saltare il diaframma del rito nel rapporto con Dio (Mt 6,6), non ha
osservato ma violato i giorni sacri (Mt 12,1-8), non ha esaltato ma
svalutato i sacrifici (Mc 12,33), non ha raccomandato di ricorrere ai
sacerdoti, ma ha considerato superato il regime sacerdotale (Mt
21,43-45) e inevitabile il conflitto con i suoi rappresentanti (Lc
9,22), non ha contribuito al mantenimento del centro della religione,
il tempio, ma ne ha annunciato la fine (Giov. 2,19-etc..) negando
così le strutture portanti del sacro, comuni a tutte le società e a
tutte le religioni che conosciamo e mettendo in crisi, di
conseguenza, il sistema stesso del sacro e tutto il potere che vi è
strettamente connesso. Nik
parla di "libertà senza condizionamenti mistico-idealistici" ma
in nessuno dei brani sopra citati vedo alcun tipo di condizionamento,
ma una rottura da tutti i condizionamenti esterni ed interni:
riferimento dell'uomo non è più un valore, di cui potrebbe una
volta di più appropriarsi, non più una legge, dalla cui osservanza
potrebbe vantarsi, non più un sentimento che potrebbe coltivare come
patrimonio interiore, non più una religione, di cui potrebbe
diventare pio seguace, ma un uomo vissuto in un preciso momento della
nostra storia e che i suoi più stretti familiari, sua madre, i suoi
fratelli e sorelle, credevano... pazzo (Mc 3,21). Seguire
questo uomo comporta la rottura con tutti gli schemi della mentalità
e dell'ambiente circostante; il vangelo usa un termine ben preciso
"Metànoia" (greco) che significa proprio questo, ma che in
latino e poi italiano abbiamo reso con Poenitentia-Penitenzae su cui
il cattolicesimo romano si è sbizzarrito nel modo più
folcloristico. Un'ultima
cosa. Nik parla di liberazione "dell'inconscio desiderio di morte
insito" nell'uomo per poter costruire "la città dell'uomo"; la
sua affermazione è giusta dal punto di vista di un
cristianesimo-cattolicizzato che sotto l'influsso del pensiero
platonico ha coniato una distinzione tra Anima e Corpo totalmente
estranea all'ebraismo, che considerava l'uomo nella sua totalità, e
che comportava la mortificazione della carne per liberarsi del Corpo
e quindi purificare l'Anima peccatrice, la morte diventava così il
momento dell'incontro tra Dio e l'uomo. Ma
anche qua Gesù di Nazareth (ebreo) rovescia gli schemi, di fronte
alla morte (ed al dolore fisico... che egli combatte in tutti i modi)
non è certamente felice e gioioso: innanzi alla tomba di Lazzaro
"piange", al pensiero della sorte che l'attende "suda sangue",
sulla croce grida la sua paura "Dio mio perché mi hai
abbandonato?"; l'esempio di Cristo è di "...inconscio
desiderio di morte?"; a me sembra tutto il contrario: è un invito
a rifiutare la morte non "naturale" (Cristo è morto ammazzato)
ed a stanarla dove si nasconde. È
un'affermazione prettamente borghese dire che di fronte alla morte
siamo tutti uguali (e non cristiana) perché è falsa. Esiste
un diritto alla morte "naturale" che oggi viene ripetutamente
violato: guerre, disastri ecologici, malattie, incidenti sul lavoro;
l'affermazione ed il riconoscimento di questo diritto implica la
creazione di una società in cui la morte naturale sia la regola od
almeno possa diventarla, uguaglianza di fronte alla morte! Potrei
continuare a lungo ma è togliere spazio ad altri e... ne ho già
abusato; vi invito a riesaminare alla luce di queste mie
considerazioni il problema del "fatto religioso" e ad estenderle
ad altri aspetti solo sfiorati, senza toccare l'aspetto della Fede...
ma questa è un'altra storia.
Stefano
Beretti (Marina
di Carrara)
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