Rivista Anarchica Online
Quale modello?
di Fausta Bizzozzero
Nel forum su
"Rottura radicale o trasformazione graduale?" si sono
sentite cose anche interessanti, ma si è rimasti troppo nel vago.
Rifiutare l'attuale modello di sviluppo che cosa significa
concretamente? Quali sono le implicazioni di questo rifiuto? E poi
basta davvero il ristabilimento di un corretto rapporto uomo-natura
per porre naturalmente fine anche ai rapporti di potere tra gli
uomini?
Il titolo del
forum, "Rottura radicale o trasformazione graduale?", era
accattivante, soprattutto per quello che evocava in una come me,
segnata irrimediabilmente da un approccio "politico" ai problemi.
Ma pensavo anche che fosse una domanda d'obbligo per il neonato
movimento verde, come per qualsiasi movimento allo stato nascente. Il titolo -
spiegava invece Fiorello Cortiana (lista verde di Milano e
coordinatore del forum) - era infelice e fuorviante e il problema mal
posto. "Il problema della trasformazione radicale o graduale
dell'ecologia e dell'economia - sosteneva Cortiana nella sua
interessante relazione introduttiva - è oggi per noi un falso
dilemma, che può provocare sterili conflitti tra identità
contrapposte e soprattutto tante inutili parole. Neanche una piccola
comunità ecologista (...) che vive nel miraggio di una rottura
radicale può sfuggire alle radiazioni passate e a quelle incombenti.
Noi abbiamo il problema e il desiderio di fermare da subito la
locomotiva in corsa verso il burrone. Gli atti che produciamo, siano
economici o tecnologici, politici o legislativi, hanno una sola
necessità: quella di capire e verificare quanto siano funzionali
alla stimolazione ecologica, cioè se costituiscono il filtro per la
sigaretta della crescita o invece cosa producono nel mettere in
discussione il modello di sviluppo basato sulla filosofia della
crescita materiale. (...) Il sistema naturale è composto da cicli e
circuiti interconnessi tra loro e l'economia e la tecnologia
intervengono solo in modo finalizzato su specifici pezzi di questi
circuiti: per loro vale il detto il fine giustifica i mezzi, per noi
i mezzi non solo debbono convalidarsi alla luce delle
interconnessioni del sistema naturale, ma addirittura non ci sono
fini e mete da raggiungere; per noi i mezzi, il loro modo di essere
pensati e usati sono il fine perché sono la risposta alla nostra
domanda su qual è il posto dell'uomo nel rapporto circolare
uomo-società-ambiente". Difficile non
essere d'accordo con Cortiana quando sostiene che ai valori di
un'economia basata su una stima quantitativa delle risorse bisogna
opporre valori etici diversi; quando dice che bisogna costruire un
nuovo sapere teorico-pratico che si opponga al sapere della cultura
antropocentrica; quando dice che la rivoluzione ecologica è e deve
essere da subito una rivoluzione culturale, che le proposte concrete
dei verdi debbono essere convenienti oltre che convincenti e che
comunque si deve imparare a fare a meno delle tecnologie dannose
anche quando non esistono surrogati. Fin qui tutto bene. Ma rifiutare il
modello di sviluppo attuale cosa significa concretamente? Quali sono
le implicazioni di questo rifiuto? Questo modello di sviluppo è sì
basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali,
sullo scempio e sulla distruzione dell'ambiente, ma è anche basato
sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, su un'organizzazione sociale
gerarchica, su precisi rapporti di potere, sulla disuguaglianza.
Nessuno ha neppure sfiorato questo altro fondamentale aspetto del
problema. Che si tratti di un rimosso collettivo, oppure di un totale
disinteresse, oppure della convinzione che, per magico automatismo,
il ristabilimento di un corretto rapporto uomo-società-natura ponga
naturalmente fine anche ai rapporti di potere tra gli uomini? L'altra relazione
introduttiva, del direttore di "Politica ed economia", era molto
più "concreta" e analizzava la graduale maggiore
importanza assunta dalla "azienda verde" all'interno
dell'economia nazionale sia in termini di fatturato (1% del Prodotto
Interno Lordo) che in termini di occupazione (300.000 addetti)
sottolineandone la prevedibile futura espansione. La domanda, ovvia,
che mi sono posta è: non è forse anche questa una dimostrazione
delle compatibilità/funzionalità dell'agire verde con le strutture
sociali/economiche/politiche esistenti? Ma neppure gli interventi
successivi - alcuni improbabili e naif, altri inscritti in una logica
chiaramente istituzionale di ex-sessantottini riciclati - hanno
chiarito i miei dubbi. Lo farà il tempo, suppongo.
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