Rivista Anarchica Online
Il fascino
ambiguo del potere
di Fausta Bizzozzero
"So benissimo
quanto sia illusorio pensare di modificare le situazioni
dall'interno, ma sono abbastanza realista da riconoscere che esiste
la necessità di un livello organizzativo più alto". 26 anni, lista
verde, promotrice dell'Università Verde a Lugo di Romagna, Anna
Donati è una delle figure di punta del Coordinamento delle liste
Verdi. In quest'intervista chiarisce molte sue idee, proposte,
iniziative. Ma sulla questione del potere, delle istituzioni e del
loro "utilizzo" proprio non ci convince. Quella "suggestione
del potere" che riconosce presente tra i verdi non le è
estranea. Il dibattito è
aperto.
Tra i tanti
relatori e animatori del convegno di Pescara, Anna Donati 26 anni,
lista verde di Lugo di Romagna, ci è sembrata un "personaggio"
particolarmente interessante sia per i contenuti della sua relazione
- ricca di dubbi ed interrogativi oltre che di idee -forza stimolanti
- sia perché costituisce in modo evidente un punto di riferimento
per l'arcipelago verde, sia, infine, perché il suo modo di essere
verde mi sembra emblematico, nel senso che mi sembra riunire pregi e
difetti, potenzialità libertarie ed istituzionali che, miscelate in
vario modo, caratterizzano tutto il movimento. Siamo riusciti a
parlare un po' con lei alla fine del convegno, in un ridotto del
teatro pieno di donne e bambini vocianti. Tre anni fa, nel
1983, dietro il successo ottenuto dalla prima Università verde -
quella di Mestre - Anna Donati è stata tra i promotori
dell'Università verde di Lugo di Romagna. "Siamo stati
spinti a questa scelta - racconta Anna - dal desiderio di fare
un'esperienza di autogestione e di diffusione della cultura e della
coscienza ecologica, una cultura e una coscienza che erano state
molto importanti per noi, per la nostra crescita personale, e che
volevamo promuovere nel nostro ambito locale da soli, senza
rivolgerci a nessuno e in modo completamente autogestito anche da un
punto di vista finanziario". Il "noi" a cui si riferisce
Anna sono ovviamente i verdi di Lugo: "un arcipelago del tutto
variegato di individui che si riconoscono in questa cultura e
coscienza ecologica indipendentemente dalla loro provenienza o non
provenienza politica". Tre anni di vita
per una iniziativa autogestita non sono pochi; mi chiedo e le chiedo
quale è stata l'evoluzione del loro lavoro in questo arco di tempo.
Il dato più significativo, secondo lei, è stata l'esigenza sempre
più forte di affiancare a un approfondimento teorico la pratica
delle conoscenze acquisite, cioè di agire sulla realtà cominciando
dalla propria vita, e allora viaggiare in bicicletta ma dove, come,
quando, alimentarsi con prodotti biologici e quindi organizzare una
rete di distribuzione di questi prodotti, conoscere la medicina
naturale ma imparare anche ad autocurarsi e quindi imparare a
conoscere il proprio corpo e le erbe. E proprio per rispondere a
questa esigenza fondamentale, che ciascuno potesse aver accesso reale
alle risorse, hanno affiancato ai corsi di tipo teorico corsi
pratici. L'università ha una dimensione locale (e infatti ce ne sono
trenta sparse un po' in tutta Italia) proprio perché intende
occuparsi dei problemi specifici del suo territorio, "intende
occuparsi di quello che i nostri occhi possono vedere e le nostre
mani possono fare". Da quando esiste i suoi corsi vedono una
partecipazione che va dalle 200/300 persone per quelli teorici, alle
30/50 persone per quelli pratici, ma si tratta di persone sempre
diverse per cui cresce e si allarga progressivamente quella famosa
coscienza ecologica di cui si parlava prima, tant'è vero che a un
corso recente di medicina naturale una metà dei partecipanti erano
medici.
Il rischio Stato
Uno dei pericoli
contro cui Anna Donati metteva in guardia nella sua relazione era
quello del rivendicazionismo che se da un lato può essere necessario
per risolvere i problemi più impellenti, dall'altro rischia di
spegnere la potenzialità di autogestione e di azione diretta che
certamente questo movimento esprime. Mi sembra un nodo importante,
che ha fatto capolino un po' in tutto il corso del convegno, per cui
le chiedo di approfondirlo. "Io parlavo di rischi che un
movimento in fase di espansione come questo può correre, ma si
tratta di un rischio molto reale come dimostra, almeno in Italia,
quello che è successo al movimento delle donne. È
ovvio che le rivendicazioni sono sacrosante perché fanno giustizia
dei diritti civili elementari, ma è anche evidente che esse tendono
ad allargare la sfera del mercato e la sfera dello stato, sia esso
assistenziale o meno. Può accadere, ad esempio, che noi chiedendo
maggiori controlli e maggiore prevenzione per una salute diversa
otteniamo un controllo tale da parte delle istituzioni statali da
limitare la libertà di tutti. Per questo ha tanto fascino su di me
il discorso di Sacchetti (autore del libro L'uomo
antibiologico, ed. Feltrinelli, n.d.r.) quando sostiene
che dobbiamo avere ben chiaro che non è possibile controllare tutto
perché per farlo sono necessari strumenti che solo lo stato può
gestire, e delegare allo stato questa funzione può essere molto
pericoloso. Al di là quindi delle rivendicazioni indispensabili è
necessario - ed è quello che le università verdi tentano di fare -
promuovere una profonda concezione autogestionaria in tutti i campi.
Ad esempio io non sono d'accordo a delegare allo stato la gestione
del parto nonviolento, mentre credo che andrebbe autogestito con le
donne della comunità in cui si vive. Pensiamo ai
consultori: sono stati chiesti, la legge è stata fatta, sono stati
creati i comitati di gestione che sono andati a far parte di quel
gran marasma di enti inutili; sta di fatto che i consultori non hanno
modificato in nessun modo il rapporto tra donne e medicina ed esse
usufruiscono del consultorio come usufruiscono del dentista o di
altri servizi sanitari pubblici, senza la più pallida idea che
potrebbe esistere un altro modo di curarsi, che si potrebbe diventare
il medico di se stessi. Lo stesso problema si ripropone ora per i
verdi in tanti campi, dal problema della salute a quello del
disinquinamento, per cui si chiedono leggi che poi sono regolarmente
aggirate, si chiedono depuratori che poi non depurano o provocano
altri tipi di inquinamento, e così via". Un nodo difficile
da sciogliere, non c'è che dire, e che mi sembra strettamente legato
al grande dilemma attorno a cui tutto il convegno ha ruotato: entrare
o non entrare nelle istituzioni, presentarsi alle elezioni politiche
o continuare a lavorare solo a livello locale? "L'esperienza
tutto sommato positiva delle liste verdi locali certo fa supporre che
ci sia una disponibilità, e c'è anche da parte mia - dice Anna - a
discutere anche di un eventuale ingresso nelle istituzioni. Il
problema secondo me è capire se noi possiamo "usare" questa
occasione per riproporre le cose che noi vogliamo evitandone i
rischi. Se io chiedo, come ho chiesto a Lugo, delle agevolazioni per
i piccoli coltivatori di prodotti biologici, non credo che questo
possa inficiare il discorso autogestionario !". Ma tu pensi davvero
che sia possibile entrare nelle istituzioni e modificarle
dall'interno, pensi davvero che non esista un'altra possibilità
organizzativa, ad esempio una rete che cresca e si sviluppi seguendo
la crescita di quella coscienza ecologica e autogestionaria di cui si
parlava prima? "So benissimo
quanto sia illusorio pensare di modificare le istituzioni
dall'interno ma sono abbastanza realista da riconoscere che esiste la
necessità di un livello organizzativo più alto; la rete di cui tu
parli esiste già - o meglio ne esistono molte - ma non sono
sufficienti. In questo senso io vedo lo strumento elettorale come uno
strumento per avere una maggiore capacità organizzativa, non certo
come punto d'arrivo del nostro movimento né come catalizzatore di
tutte le nostre energie che invece debbono continuare ad essere spese
localmente. D'altro canto noi siamo già da ora un movimento
contraddittorio e dobbiamo trovare dei modi per disinnescare questa
situazione e quindi dobbiamo capire quali sono le prospettive che ci
si pongono. Anche l'uso dei mass-media comporta rischi notevoli e a
me personalmente pone molti problemi: mai come in questi giorni mi è
parso evidente la loro doppiezza, la loro capacità di manipolare e
stravolgere quello che si dice. Ma credo che se si vuole allargare il
proprio messaggio si debbano correre questi rischi pur con la
consapevolezza del limite implicito in questo strumento. Credo
comunque che la garanzia delle liste verdi che si presentano alle
elezioni politiche sia la loro concretezza, il loro linguaggio
diretto: l'anno scorso durante la campagna elettorale abbiamo
piantato degli alberi, ripulito dei posti, e questo nostro modo di
essere sarà lo stesso in futuro. Quello che sarebbe profondamente
sbagliato sarebbe concentrare tutte le nostre forze sull'obiettivo
elettorale, lo ripeto, perché significherebbe la morte del
movimento".
Solidarietà e
tolleranza
C'è una domanda
che mi sono posta spesso in questi tre giorni, seguendo gli
interventi e guardandomi intorno, ma a cui non ho saputo dare una
risposta: al di là del discorso ambientale-ecologico, della ricerca
di una qualità di vita diversa (alimentazione, medicina, ecc.)
esiste un filo che lega le isole di questo arcipelago tanto
diversificato? "Direi che un
filo che ci lega esiste - dice Anna - ma è proprio un filo sottile.
Potrei citare dei valori condivisi da tutti, come il rifiuto
dell'antropocentrismo che significa rifiuto di un modello di sviluppo
industriale, quindi rifiuto di secoli di storia, e ricerca di un
rapporto intraspecifico di armonia con la natura. Circola fra di noi
un'aria di solidarietà e di tolleranza- e questo mi sembra un fatto
molto positivo - che permette il coesistere di concezioni diverse per
quanto riguarda il futuro, senza dogmi e senza che nessuno creda di
avere la verità in tasca, per cui accanto a chi pensa alla necessità
- che deve nascere dalla gente - di ripopolare le zone abbandonate
(colline e montagne) e per questo degradate, c'è chi pensa a una
vita urbana diversa facilitata da una rete telematica di
comunicazioni con costi energetici molto bassi. L'importante è che
non esistano suggestioni univoche né in un senso né nell'altro". Certo il rifiuto
della concezione antropocentrica che ha informato il nostro processo
di sviluppo mi sembra significativo e ricco di potenzialità, ed è
stato effettivamente un tema ricorrente e continuamente riproposto;
ma ho anche avuto la netta sensazione che a un'analisi puntuale e
approfondita del rapporto di potere dell'uomo sulla natura non
corrispondesse affatto un'analisi e una preoccupazione di un'altra
forma di potere - che pure a me sembra strettamente legata alla prima
- non meno importante, e cioè il potere dell'uomo sull'uomo. Mi
sembra cioè che nelle riflessioni verdi manchi del tutto l'aspetto
sociale della dominazione, o mi sbaglio? "Hai ragione,
è un approfondimento che ancora dobbiamo affrontare. Ma d'altra
parte l'emergenza ambientale è tale e talmente evidente che, almeno
per ora, è su questo discorso che possiamo trovare la disponibilità
ad ascoltarci da parte della gente. Anche se poi parlare come
facciamo noi di libero accesso alle risorse per tutti significa
arrivare ad analizzare e cambiare le strutture sociali, significa
ridefinire il senso del lavoro nella vita di ciascun individuo,
significa capire che noi siamo complici delle scelte che vengono
attuate a tutti i livelli". L'ecologia, quindi,
potrebbe diventare una chiave di lettura e di trasformazione di tutti
gli aspetti della vita. In questa chiave come vedi l'evoluzione del
rapporto uomo/donna finora inserito in una cultura in cui a uomini e
donne vengono assegnate precise caratteristiche? "Non ne sono
certa, ma credo che una maggiore vicinanza delle donne, una maggiore
sintonia con la natura esista, forse proprio per come la donna ha
sempre vissuto, per la sua vita quotidiana e perché essa, come la
natura, è sempre stata sfruttata. Ma credo anche che le cose stiano
cambiando, che la maggiore o minore sensibilità non sia più legata
in modo prevalente a un genere o all'altro, ho l'impressione che
stiamo andando, in questo senso, verso una società unisex. Mi sembra
che se uomini e donne vivono nello stesso modo, fanno le stesse cose,
fanno le stesse esperienze, debbano venire a cadere le distinzioni di
genere per cui si svilupperanno dei comportamenti più maschili e
altri più femminili ma che non coincideranno necessariamente col
sesso d'appartenenza". Discutiamo a lungo
su questa sua tesi che poi è anche quella sostenuta da Elizabeth
Badinter nel suo ultimo libro L'un èst l'autre che tanto
scalpore ha suscitato in Francia. Una tesi affascinante, ma che a me
sembra contraddetta, purtroppo, dall'osservazione quotidiana dei
comportamenti individuali e sociali in cui si esprime l'immaginario
collettivo. Discutiamo della lunga storia dell'oppressione femminile,
del dualismo complementare esistente in alcune tribù "primitive"
e di come, in situazioni di squilibrio, i ruoli in queste società
potessero diventare interscambiabili. Ad Anna sembra si possa tentare
un parallelo con la fase che sta vivendo la nostra società e legge i
comportamenti sempre più indifferenziati di una esigua minoranza
(coloro che vogliono cambiare se stessi e il mondo) come una linea di
tendenza. Tornare al discorso donne/potere, verdi/potere è
inevitabile. "Io sono molto
legata - dice Anna - ad un'idea di Gorz rispetto a dei poteri
funzionali, che poi è il discorso degli scienziati o degli esperti.
È ovvio che se queste
persone sono poche possono esercitare un potere enorme, ma se esiste
una rete che diffonde informazioni e permette a chiunque di
acquisirle, allora si può pensare ad una sorta di controllo
generalizzato. Non è pensabile in una società come la nostra fare a
meno degli esperti - abbiamo visto anche in questi giorni come sia
indispensabile un Mattioli per contrastare le tesi dei nuclearisti - ma
si può benissimo fare in modo di crearne molti. Né si può pensare
che ciascuno abbia una conoscenza globale, enciclopedica, e anche se
fosse pensabile sarebbe orribile perché essere una società vuol
dire anche aver bisogno del tuo vicino. Per quanto riguarda
le donne nel nostro movimento quello che ho notato dai loro
comportamenti è un rifiuto delle situazioni di competizione e una
grande disponibilità, invece, nelle situazioni di cooperazione (ma
ci sono anche uomini che si comportano in questo modo), ed è proprio
in queste situazioni che le donne crescono e vengono fuori come
individui con le loro capacità". Ma secondo te
esiste, circola tra i verdi una riflessione sul potere a tutti i
livelli, sociale, politico, personale? "Ancora no,
anche perché siamo in una fase di espansione, non c'è stato un
riconoscimento, non ci è stato dato niente da gestire per cui non si
è posto neppure alcun problema di spartizione. Io credo che la
suggestione del potere abbia un grosso fascino anche nei verdi ma
credo che i contenuti e la funzionalità rispetto a un ruolo siano
ancora prevalenti rispetto a questo fascino che pure esiste".
|