Rivista Anarchica Online
L'ombra del
demonio
di Carlo Oliva
Non saprei proprio
dire quale imprescindibile necessità pastorale, o quale demone
maligno (non si sa mai...) abbia spinto il cardinale Ratzinger, che
mi dicono teologo di vaglia, oltre che stimato Prefetto della
Congregazione della Dottrina della Fede (quell'organo della chiesa
cattolica che vigila sull'ortodossia, o sull'ammissibilità,
delle affermazioni dottrinali pronunciate da quei membri della stessa
chiesa abilitati a farlo) a emettere, un paio di mesi fa, il noto
documento di condanna dell'omosessualità. Mi è
sembrato di capire, forse, che il numero dei teologi, dei sacerdoti e
persino dei vescovi disposti a considerare gli omosessuali come dei
fedeli (o degli infedeli, se nel caso) uguali a tutti gli altri,
avesse ormai raggiunto, dal suo punto di vista, il livello di
guardia, onde la necessità di un salutare ammonimento e di una
ferma condanna. Condanna che, si badi bene, non riguarda le pratiche
omosessuali, ma l'omosessualità in sé, come condizione
assoluta o, per così dire, astratta, dell'esperienza umana: vi
ci si afferma in buona sostanza, che per quanto amabili persone e
credenti convinti siano i portatori di questa opzione, il loro status
va visto come "oggettivamente disordinato" (per cui si può
supporre, anche se la conclusione è implicita, che andranno
tutti all'inferno). C'è di più: si aggiunge che ogni
tendenza o propensione in tal senso, anche se non messa in atto, e
quindi non peccaminosa, va considerata elemento di grave turbativa
morale, o qualcosa di simile.
Tranquille
certezze
Dichiarazioni del
genere, oggi come oggi, sembrano fatte apposta per irritare un po'
tutti, e non solo i diretti interessati. Anzi, costoro, abituati
comunque a una qualche forma di riprovazione sociale, per quanto
ingiusta, avranno almeno apprezzato il fatto che il documento non
contiene, come sarebbe successo ai bei tempi di quando la
Congregazione si chiamava Santo Uffizio, nessuna forma d'invito allo
sterminio. Ad essere duramente colpiti, naturalmente, sono quei
settori del mondo cattolico sinceramente impegnati in un tentativo di
recupero di tutti i gruppi sociali tradizionalmente fuori dalla
chiesa, in quanto per un verso o per l'altro marginalizzati e
perseguitati (ma appunto per questo considerabili come destinatari
privilegiati del messaggio evangelico). Inoltre il documento
disturba, e non poco, quella vasta middle opinion cattolica
post giovannea, blandamente disposta a manifestare ossequio verso la
gerarchia (quella cattolica come qualunque altra...) e non estranea
alla pratica dei sacramenti, purché non si mettano in crisi le
sue tranquille certezze evidenziando contrasti troppo stridenti tra
il magistero ecclesiastico e la morale corrente. I cattolici
"impegnati" sono sempre pronti a lanciare bibliche sferzate
in direzione di questi loro pacifici compagni di fede, ma sanno bene
che essi rappresentano il nerbo, per non dire la base di massa
residua, della loro chiesa, per lo meno nei paesi "sviluppati"
dell'occidente. E naturalmente una presa di posizione del genere non
può che suscitare il dileggio dei laici, compresi quei laici
moderati e tolleranti con cui non è inopportuno intrattenere
rapporti cordiali: citiamo per tutti Giuliano Zincone (una delle
poche "penne pensanti" del "grande" giornalismo)
che ha appunto scritto sul Corriere che dalla chiesa non ci si
poteva aspettare nulla di diverso, e che il problema di una civile
convivenza con i diversi di qualsiasi genere o specie non può
che essere affrontato dalla cultura laica. Quest'ultima
affermazione, probabilmente, è esatta, nel senso che un punto
di vista laico è condizione necessaria, anche se assolutamente
non sufficiente (basta pensare a chi fa professione di laicismo nel
nostro paese...) per l'accettazione di una morale "aperta",
tollerante, che si sforzi di penalizzare meno comportamenti
possibile. La chiesa ha sempre vantato, o lasciato vantare, la sua
tolleranza, ma su certi argomenti non ne ha mai dimostrata punto. Il
massimo che il mondo contemporaneo si può attendere dalle sue
gerarchie, in tema di diritto alla sessualità, è una
politica di doppio binario, di negazione teorica al vertice e in sede
dottrinale e di laisser faire abbastanza diffuso nella vita
quotidiana. Ma evidentemente questo atteggiamento non vale per
l'omosessualità, visto che il documento del cardinale
Ratzinger è appunto un richiamo alle strutture perché,
in materia, si adeguino alla rigidità prescritta dalla
dottrina. Bah. Un laico
assolutamente digiuno di studi teologici potrebbe anche chiedersi da
quale imperativo divino derivi la sessuofobia della chiesa. Se, come
mi sembra di ricordare, deriva dall'impostazione dualistica del
rapporto spirito/materia, dio/natura, eccetera, con la svalutazione
costante del secondo termine di fronte al primo, allora è
strano che certe modalità di rapporto siano condannate in
quanto "contro natura". Ma questo è solo un
paradosso: naturalmente il problema consiste nel fatto che quei
rapporti non possono essere ricondotti all'interno del matrimonio,
che è l'unico ambito in cui la chiesa è disposta ad
ammettere l'esercizio di questa imbarazzante funzione umana. La
sessualità "normale" fuori dal matrimonio, qual è
ampiamente diffusa oggi nelle nostre società più o meno
permissive, è certamente da deplorarsi, ma può sempre
essere sanata (o si può sperare che lo sia) dal ricorso al
sacramento, con conseguente istituzionalizzazione: l'omosessualità
evidentemente no. E sulla sua condanna bisogna tener duro, a costo di
subire qualche critica e suscitare qualche malumore tra gli uomini di
buona volontà: essa non è altro che la pietra angolare
di tutta la costruzione repressiva che la chiesa ha eretto nei secoli
contro ogni forma d'amore non istituzionale.
Quelle cose
proibite
Singolare fiducia,
questa, nel fatto che il matrimonio, in quanto istituzione naturale
(ma come faccia un'istituzione a essere naturale è problema
che sfida l'acume del più agguerrito metodologo del
linguaggio), sia in grado di annullare quello che è,
evidentemente, l'elemento che la chiesa pensa vada annullato, il
principio del piacere. Chi pensa che anche da un punto di vista
puramente laico il matrimonio sia qualcosa di positivo, avrebbe tutto
il diritto di sentirsi offeso. Non è il
caso, naturalmente: il cardinale Ratzinger, e chi per lui, non
possono proprio non affermare che certe cose sono proibite, o che chi
vi ci si ostina va dritto all'inferno. Non per niente, poi, sono
costretti a risuscitare dal fondo oscuro della coscienza collettiva
l'ombra del Demonio, dello spirito che nega, di Satana , e tentare di
darvi, con operazioni che pure dovrebbero suscitare l'interesse degli
analisti del linguaggio, una realtà logica e teologica. In quest'impresa,
oltre al cardinale Ratzinger, è personalmente impegnato anche
il papa. Pover'uomo anche lui.
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