Rivista Anarchica Online
Quell'eretico di
un Leone
di Andrea Papi
Ottima scelta quella
delle edizioni "La Baronata" (cas. post. 22, CH - 906 Lugano
6) di pubblicare la breve antologia "Scritti Eretici" di
Leone Tolstoj (pag. 147, lire 10.000). Come viene spiegato
bene nella nota del curatore, vi sono riprodotte le "briciole della
sua opera... non a caso meno conosciute", cioè poco citate e
quasi mai messe in evidenza. È
la parte più scomoda e trasgressiva del suo pensiero e delle sue
opere, in cui appare con forza come il noto scrittore russo non sia
recuperabile e assimilabile a nessuna istanza precostituita, a
nessuna filosofia ufficiale dominante. In effetti Tolstoj
non è incasellabile all'interno di nessun movimento e di nessuna
concezione del suo tempo, mentre ha dato notevoli e validi contributi
che sono stati fatti propri da più pensatori e più movimenti. Di
qui il carattere completamente peculiare del suo pensare, agire e
scrivere, dove l'opera scritta riflette il suo cammino interiore, le
sue riflessioni e il suo procedere intellettualmente ed
esistenzialmente, alla costante ricerca di ciò che è collocato al
di là della superficie e oltre l'apparenza. Egli fu cristiano,
ma non si riconobbe nella cristianità. Anzi fu scomunicato e messo
al bando dalle chiese ufficiali, detentrici del potere temporale,
perché considerato un eretico pericoloso. Buon per lui che era
finito il tempo delle inquisizioni, altrimenti, molto probabilmente,
avrebbe subìto il martirio che le chiese somministrarono a molti
liberi pensatori disobbedienti. Dopo un lunghissimo travaglio
interiore, verso i cinquant'anni aderì alla rivelazione delle parole
di Cristo, ma ne colse l'aspetto di trasformazione individuale, la
solidarietà concreta verso i più deboli e i derelitti, rinnegando
al contempo lo sfrenato lusso e il prepotente strapotere delle
strutture gerarchiche del dominio ecclesiale. Oltre che cristiano,
divenne perciò anche anticlericale. È
stato uno dei riconosciuti padri fondatori della nonviolenza. Ma i
nonviolenti, pur riconoscendone con venerazione l'incontestabile
validità, in genere prendono le distanze da lui. È
pur vero che la pratica nonviolenta fu perfezionata da Gandhi, il
quale la fece diventare un vero e proprio fatto collettivo, fino a
divenire momento propulsore di lotta di popolo, mentre in Tolstoj è
molto più simile a una dichiarazione di principio, anche se ne fa un
vero e proprio enunciato di resistenza individuale e lo propugna come
metodo di lotta. Ma le ragioni delle distanze, a mio avviso, sono
altre. Per il nostro Leone la nonviolenza è una diretta conseguenza
di tutto un modo di pensare e di vedere le cose; non è punto di
partenza, ma di arrivo, conseguenza delle scelte etiche e della
visione della società di potere che contesta. C'è, in lui, un
rifiuto radicale delle strutture del dominio, che identifica come
causa prima della violenza. Da qui, la sua nonviolenza che si collega
direttamente al ripudio delle organizzazioni sociali basate sulla
prepotenza dei governi e delle leggi ad essi funzionali. Fu un sostenitore
ad oltranza del pacifismo e dell'antimilitarismo. Però il suo ha ben
poco a che vedere con l'attuale pacifismo di facciata. La quasi
totalità dei pacifisti, a parte qualche frangia emarginata, oggi
propugna di fatto un'illusoria pace basata essenzialmente
sull'assenza di guerre mentre si affida alle trattative tra gli
stati, nella speranza vacua che si accordino per non combattersi più.
Anche i più avanzati, come quelli che chiedono il disarmo
unilaterale, lo concepiscono all'insegna di una non ben definita
coscientizzazione degli stati stessi che, secondo le loro pie
illusioni, dovrebbero pervenire spontaneamente alla decisione di
smilitarizzarsi. In Tolstoj, invece, c'è una chiarissima
consapevolezza che ciò non può avvenire, perché stati e governi
hanno un bisogno congenito degli eserciti, generatori in quanto tali
delle guerre. Per lui la pace è l'effetto della cessata esistenza di
ogni esercito. Per questo non si chiede a governi e stati di
disarmarsi, bensì si disobbedisce loro ribellandosi alle
imposizioni. Rispetto al suo anarchismo, la questione è controversa,
perché non si riconobbe mai all'interno di nessun movimento
anarchico. Lo riteneva portatore di metodi di lotta troppo violenti
per sentirsene parte. Sostenitore della resistenza passiva, come
metodo di risposta ai soprusi e alle violenze dei poteri costituiti,
non poteva accettare né la ribellione violenta né la strategia
insurrezionale quali strumenti di lotta contro gli stati, nelle quali
l'anarchismo storicamente determinatosi si è sempre riconosciuto. Gli stessi
anarchici discordano nel giudicare la sua personalità politica.
Sarebbe lungo riportare il dibattito che in proposito si è
sviluppato. Basti qui ricordare che una parte degli anarchici lo
ripudia fino a considerarlo pericoloso, in quanto la sua passività
di risposta di fronte ai soprusi dei potenti è ritenuta utile solo
alla sottomissione. C'è, chi, al contrario, lo considera un
anarchico a tutti gli effetti, che si caratterizza per la sua
specificità nonviolenta. C'è pure chi, come me, è convinto che,
anche se non inseribile all'interno dell'anarchismo classico, Tolstoj
ha tuttavia dato un notevole contributo di riflessione e di pensiero,
oltre che di testimonianza diretta, all'evolversi dell'anarchismo
stesso. Ritengo inoltre molto relativo il fatto che non facesse parte
del movimento che si richiama storicamente all'anarchismo. Le sue
prese di posizione nei confronti delle leggi, dei governi, del
militarismo, dei poteri costituiti, la sua critica radicale alle
gerarchie ecclesiastiche e burocratiche, la sua denuncia costante
della diseguaglianza e dell'ingiustizia, sono sufficienti ad
annoverarlo tra i pensatori libertari che maggiormente hanno
contribuito a denunciare il presente stato di cose, e a far sorgere
il bisogno di ribellarsi e di lottare per una società basata sulla
libertà degli individui e sull'uguaglianza. Egli spinge
continuamente a rifiutare l'organizzazione sociale oppressiva, e, con
estrema coerenza etica, invita a non patteggiare con i responsabili
di questo stato di cose. Tutto ciò contribuisce, senza ombra di
dubbio, allo sviluppo del pensiero e delle pratiche utili a
realizzare una società in cui gli anarchici possano riconoscersi. Per quanto riguarda
il suo essere cristiano, mi viene spontanea la seguente riflessione.
Ben vengano tutti coloro che, attraverso il vangelo, sono portati a
pensare e ad agire come fece Leone Tolstoj. Se le parole di Cristo
sono in grado di suscitare sentimenti di ribellione, di rifiuto delle
gerarchie ed azioni per l'avvento della libertà e l'uguaglianza,
esse non possono essere considerate in sé malefiche, come spesso
superficialmente succede. Soprattutto, se pensiamo che invece sono
sempre servite ai preti come alibi per imporre il loro terribile
potere secolare per quasi due millenni. Rispetto al
vangelo, come del resto ad ogni altro pensiero, i giudizi e le scelte
non possono che essere individuali e solo su questo piano debbono fra
loro confrontarsi, al di fuori di presunte verità supposte uguali
per tutti, perciò da imporre. Partendo proprio dal vangelo Tolstoj
divenne eretico, anticlericale e libertario; e noi, pur non
condividendo l'insieme del suo pensare, non possiamo che salutarlo
come nostro fratello e di ciò rallegrarci. Ce ne fossero di
cristiani animati da simili sentimenti e intenzioni! Secondo me, sono
ben altre le critiche che gli si possono muovere. Come la massima
parte dei pensatori del suo tempo, si lascia infatti prendere la mano
da una buona dose di determinismo e manifesta una spropositata
fiducia nelle facoltà razionali. Mostra una profonda convinzione che
il mondo proceda verso la salvezza, quasi per un destino insito
nell'ordine naturale delle cose sostenuto dalla divina provvidenza.
Per lui ci sono addirittura segni evidenti di questo ineluttabile
progredire. Scrivendo del rifiuto di un certo Van der Veer, obiettore
di coscienza, afferma che il suo gesto sarà forzatamente seguito da
altri, fino a far sì che "della guerra e dell'esercito non resterà
che il ricordo. E questi sono tempi vicini". In ciò che scrive
appare più volte una certezza quasi messianica che il mondo non può
che procedere verso una liberazione sempre più prossima. A circa un
secolo di distanza, con l'occhio disincantato dagli avvenimenti, oggi
possiamo sorridere di questo suo ingenuo determinismo. Ad esso si
accompagna la fede che la ragione prevarrà. Anche questo fu un vizio
di pensiero abbastanza diffuso. Ciò che determina l'ingiustizia e la
sofferenza è insensato e irrazionale, ma per lui gli uomini sono
vicini ad usar la ragione per comprendere l'assurdità di ciò che
hanno determinato. Sembra quasi uno strascinarsi residuale del secolo
dei lumi. Come quasi tutti i suoi contemporanei, non tiene conto dei
condizionamenti culturali, delle tensioni emotive, delle pulsioni
inconsce, di tutto quell'apparato irrazionale insomma che riesce il
più delle volte ad imporsi sulla nostra ragione, fino a determinare
le scelte che muovono le nostre azioni. È
la vecchia illusione secondo cui gli esseri umani scelgono
esclusivamente in base alle proprie riflessioni razionali, per cui la
causa dei mali che ci affliggono sta nel non aver compreso
razionalmente le cause. Come se una volta che queste ci
illumineranno, il mondo potesse cambiare d'incanto. Anche questo
fideismo razionalistico oggi ci fa sorridere. Nel contempo, Tolstoj
ebbe delle intuizioni estremamente attuali, che sembrano contraddire
le ingenuità precedenti. Quando, per esempio, comprese che solo la
presa di coscienza individuale è in grado di opporsi alla prepotenza
della forza armata e all'imposizione gerarchica dei poteri
costituiti. Oppure quando si rese conto che il dominio può essere
esercitato perché c'è un'interiorizzazione della sottomissione, un
addestramento a far diventare gli uomini dei robot, in modo che
possano essere reclutati ed educati a pensare come loro si comanda.
In altre parole, si rese conto che tutto si sorregge sul consenso
delle coscienze, le quali, proprio perché spinte dalla parte
irrazionale dell'individuo di cui in altre parti non sembra
accorgersi, si identificano con la mentalità e le ragioni di chi ci
sottomette. Nell'antologia
"Scritti Eretici" di cui stiamo parlando, tutto ciò compare
con molta evidenza. È un
libro veramente utile che aiuta a riflettere, oltre che su Tolstoj,
soprattutto sull'oggi e sul che cosa fare, perché, come tutti i
pensieri autentici, stimola le capacità critiche di ognuno di noi.
La critica ci permette di non accettare supinamente ciò che ci viene
imposto o rivelato. Quando è genuino, il pensiero degli individui è
eretico.
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