Rivista Anarchica Online
Ma quale utilità?
di Maria Teresa Romiti
Contestando
implicitamente l'impostazione data da Carlo Oliva, la nostra
redattrice Maria Teresa Romiti sottolinea che i tempi biologici, i
tempi evolutivi, sono lentissimi, lavorano nell'arco di milioni di
anni. E si domanda
polemicamente: possiamo realisticamente pensare di fare i giusti
cambiamenti oggi per un tempo così lungo? L'utilità è una base
sufficiente alle nostre scelte? E, prima ancora, è davvero giusto
considerare ancora una volta I'uomo al centro dell'universo?
Qualline, pomatate,
uomini-scimmia, vacche grasse come maiali e maiali grandi come
vitelli, topi giganti e non so quante altre stranezze. Non sono i
mostri usciti dalla fantasia malata di uno scrittore di fantascienza
in cerca del premio Nobel o Hugo. Sono la realtà di laboratori
sparsi nel mondo, dove i nuovi sacerdoti dell'impossibile tentano
esperimenti sempre diversi per cercare di ricostruire dall'inizio i
fondamenti biologici della vita. L'uomo tenta di
sostituirsi all'evoluzione, vuole riuscire ad ottenere in pochi anni
ciò che l'orologio biologico ha costruito in centinaia di migliaia
di anni. È un male? È
un bene? Il dibattito è
esploso da poco in Italia, le notizie si sono moltiplicate sui
giornali, riviste, radio e televisione, anche se l'ingegneria
genetica lavora ormai da anni nel chiuso dei suoi laboratori ed è
stata messa più o meno in discussione in molte parti del mondo. Noi,
buoni ultimi, ci chiediamo solo ora se ci si debba fermare su questa
strada o viceversa si possa andare avanti nelle ricerche. Da una parte c'è
il sogno di una età dell'oro nella quale l'uomo riesca finalmente a
sconfiggere malattie considerate incurabili quasi, in cui si possano
avere i principi farmacologici ridotti naturalmente, un mondo
liberato dalla fame, dove i pomodori e le patate possano crescere
sulla stessa pianta, grossi tre volte gli attuali e capaci di
sopportare freddo, caldo, siccità, acqua e chissà cosa altro. Non è
un caso che la giustificazione più ricorrente nelle affermazioni dei
bioingegneri sia proprio la possibilità di liberare il mondo dalla
fame e dalla penuria. Dall'altra si
presentano i pericoli della manipolazione genetica, la possibilità
di intervenire direttamente sulle informazioni stesse delle cellule,
quindi sugli individui, sulle specie. Una nuova evoluzione
controllata dall'uomo. Ma quanto controllata?
Come una bomba ad
orologeria
Dopotutto le
manipolazioni non possono essere precise, dei processi di formazione
della vita sappiamo ben poco o forse nulla. Non è un po', come altre
volte, innescare una bomba ad orologeria senza sapere quando
scoppierà e i danni che potrà provocare? È
vero che tra gli studiosi più sensibili la preoccupazione di salvare
tutto il patrimonio genetico esiste, proprio perché l'eterogeneità
è la salvezza di una specie, la sua possibilità di sopravvivere ai
cambiamenti. Ma è anche vero che l'attenzione non si sposta oltre la
specie umana, senza considerare, fino in fondo, le complesse
interazioni ecologiche presenti tra le varie specie, di cui l'umana è
solo una. E poi la possibilità di cambiare gli esseri viventi può
dare corpo ai folli sogni di pochi. Vegetali ed animali costruiti
esattamente secondo le esigenze umane e, perché no, umani a misura
di altri umani: schiavi tranquilli pronti a lavorare ed obbedire
oppure orde di guerrieri preparati secondo la necessità e disposti
al sacrificio totale. E se, secondo Giorgio Celli, la paura per
l'ingegneria genetica è un problema metafisico: "Si ha paura
che 'smonti', e soprattutto 'rimonti' il
congegno-uomo, dimostrando, alla fin fine, che, nella macchina non
c'è nessun fantasma", forse varrebbe veramente la pena di
ritornare alla metafisica, fermarsi un attimo a considerare dove
stiamo andando e cosa vogliamo fare. Anche se, ora, siamo molto
lontani da simili traguardi: un conto è manipolare batteri e
organismi non molto complessi, e un altro, molto diverso, ottenere
risultati intervenendo su organismi complessi, in cui le interazioni
cellulari svolgono una funzione altrettanto importante di quello
svolto dalle informazioni del DNA, funzione che ci risulta quasi
totalmente sconosciuta. Il problema rimane.
Se non sarà oggi, sarà domani. Senza contare che, nel frattempo,
potrebbe succedere anche un disastro. Ed allora tutto si riduce nel
cercare una nuova etica in grado di giustificare le manipolazioni e,
nello stesso tempo, capace di porre limiti ben precisi, evitando
abusi e distorsioni. Ma su cosa basare l'etica del dominio? Sulla
religione (e quale?), sulla natura (ridicolo e poi in che modo?),
sulla scienza (troppo coinvolta), sulla filosofia? È
sempre difficile cercare i fondamenti di un'etica, ma addirittura
cercare un'etica per giustificare una ricerca scientifica sta tra
l'osceno e il ridicolo. Nel frattempo si cercano e si trovano (gli
uomini trovano sempre quando lo vogliono fortemente) giustificazioni
diverse. L'argomento
principe è che l'ingegneria genetica è al servizio dell'uomo, in
quanto si pone come fine il miglioramento della sua vita, che l'uomo
ha sempre cambiato l'ambiente, fin dai tempi più antichi, l'unica
differenza, oggi, è la scala temporale. "Dunque, l'uomo è fin
dagli inizi un essere modificatore, che vuole rendere la natura
conforme ai propri desideri e alle proprie necessità. L'ingegneria
genetica, di cui tanto si parla e si sparla, non è certo nuova nelle
intenzioni, è nuova nelle possibilità, enormemente accresciute e
accelerate. Se la selezione artificiale "empirica'"operava
con un ritmo di secoli, e quella scientifica di decenni, l'ingegneria
genetica è fulminea, perché alla scelta ripetuta sostituisce
l'intervento diretto sul genoma degli organismi "bersaglio"
(Giorgio Celli). La natura del resto non esiste in realtà, è solo
un concetto umano, l'unica realtà è ciò che ci circonda: animali,
piante, minerali, pianeti, ecc... È vero, in parte.
È vero che la natura è un concetto umano, non è la realtà, ma
tutto ciò di cui parliamo, abbiamo coscienza, sperimentiamo è solo
un concetto umano. Il nostro universo reale è un universo di simboli
e di concetti che mediano la realtà, che noi ci siamo costruiti e
che ci permettono astrazioni, rapporti, comunicazioni, comprensioni.
Se possiamo dire che la natura non è reale in quanto concetto umano,
risulterà difficile trovare qualcosa di reale in un mondo, il
nostro, fatto solo di concetti e di simboli. E se realtà è il
pianeta terra, gli animali, i vegetali, i minerali, allora è una
realtà complessa e multiforme fatta di esseri viventi che nascono,
vivono, muoiono, interagiscono, una realtà che noi chiamiamo natura
e che merita attenzione. È vero, anche, che
l'uomo ha sempre cambiato l'ambiente, che lo hanno cambiato le specie
che lo hanno preceduto fin dall'Homo Erectus, non diversamente da
molti, tutti, gli altri esseri viventi che pure cambiano
continuamente e lentamente il loro ambiente e non diversamente dalla
terra stessa che continuamente muta. I castori che costruiscono le
dighe sui fiumi non ne cambiano il corso? Le termiti con i loro
giganteschi termitai non cambiano la savana? Non cambiano l'ambiente
i coralli che costruiscono una barriera lunga migliaia di chilometri?
E poi la variabile temporale non è una piccola variabile che non
cambia sostanzialmente nulla: i cambiamenti lenti e continui che
agiscono nei secoli e nei millenni non sono per nulla equivalenti ai
mutamenti rapidi che l'ingegneria genetica vorrebbe poter fare.
Inoltre i cambiamenti lenti e continui sono anche interdipendenti,
fanno parte di un sistema dinamico in equilibrio che media tra la
necessità di una specie e le esigenze di molte altre.
Con la testa
all'incontrario
Alla fine il
concetto fondante rimane l'utilità per l'uomo. La scelta, il
criterio deve essere unicamente l'utilità per le specie umana. Prima
di tutto è molto difficile stabilire cosa è veramente utile: quello
che oggi può sembrare giusto e migliorativo, e forse lo è pure, in
un piccolo arco di tempo, può rivelarsi, alla lunga, pericoloso o
addirittura disastroso. I tempi biologici, i tempi evolutivi sono
lentissimi, lavorano nell'arco di milioni di anni, sono molto oltre
il tempo umano. Possiamo realisticamente pensare di fare i giusti
cambiamenti oggi per un tempo così lungo? Ma anche se, per un colpo
di bacchetta magica, riuscissimo a spingere l'evoluzione nella
direzione da noi voluta, sarebbe giustificabile? L'utilità è una
base sufficiente alle nostre scelte? Non è porsi al centro
dell'universo, considerarsi, una volta di più, la misura di tutto?
Per quanto tutte le culture tendano, quasi per definizione, ad essere
antropocentriche, a partire dall'uomo, non stiamo andando un po'
troppo oltre? Non è ancora la concezione cristiana ed ebraica degli
esseri viventi, la terra, l'intero universo creati per l'uomo, posto
da Dio a signore del creato? Non siamo ancora alla teoria tolemaica
che non riusciva ad immaginare la terra - abitata dall'uomo - non al
centro dell'universo? Ci siamo spinti così avanti sulla strada del
progresso per scoprire di essere ancora bambini che battono i piedi
quando non sono al centro dell'attenzione? È
così difficile considerarsi animali tra gli altri animali, esseri
viventi tra altri esseri viventi, uguali nella diversità. Siamo
animali che hanno prodotto e producono cultura, ma per questo
dobbiamo anche considerarci superiori e migliori? Un pensiero del
genere, non nuovo e neppure originale, è così difficile da
accettare, da comprendere? Siamo veramente, irrimediabilmente, nati
"con la testa girata al contrario"?
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