Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Come ricordo Pino
di Paolo Finzi

Sempre pronto a darti retta o a proporti un libro in lettura, a coinvolgerti nei suoi interessi. Buono, allegro, attivo. Così un redattore di "A" ricordava Giuseppe Pinelli in una testimonianza apparsa sul mensile anarchico "L'Internazionale" del dicembre 1979, nel decennale della strage di stato e dell'assassinio di Pino.

Pino è stato uno dei primi anarchici "in carne ed ossa" che io abbia conosciuto. Quella sera del marzo '68, in un circolo culturale di sinistra, Masini teneva una conferenza sulla Prima Internazionale: oltre allo scarso pubblico, c'era un drappello di pochi giovani anarchici (quasi tutti quelli allora attivi a Milano). Distribuivano il volantino "chi sono gli anarchici" e cercavano nuovi simpatizzanti; anch'io cercavo "gli anarchici", già dal giugno dell'anno prima (dopo aver letto su Umanità Nova la presa di posizione della FAI in merito alla guerra arabo-israeliana, posizione che mi aveva entusiasmato al punto che avevo attaccato al muro U.N. accanto alla foto di Che Guevara - che dopo avrei... tolto) - anch'io, dicevo, volevo mettermi in contatto con i compagni, per cui fui ben contento di accogliere l'invito che mi fu fatto di andare al Circolo Ponte della Ghisolfa, che in quelle settimane si stava mettendo in ordine in vista dell'inaugurazione pubblica che avvenne poi il 1° maggio 1968 - proprio mentre il vento della ribellione libertaria cominciava a soffiare in tutto il mondo.
Tutte le volte che scendevo al Circolo, sia che fosse pieno di gente sia che ci fosse solo qualcuno a mettere in ordine, Pino era lì - indaffarato, chiacchierone, attivo. Era con Cesare il più "vecchio" dei giovani, eppure sembrava per la giovialità il più "ragazzone". Se è vero (come spesso si sente dire) che conta molto, per un "estraneo" che si avvicini al nostro movimento, il tipo di ambiente, di calore umano, di disponibilità che incontra, allora certamente Pino è stato moltissimo per me - insieme a pochi altri compagni/e. Era sempre pronto a darti retta, a proporti un libro in lettura, a coinvolgerti nei suoi interessi: la sua presenza si sentiva.
Altri compagni, quelli che già allora erano militanti del Circolo, potrebbero ricordare con maggior precisione le tante iniziative di cui Pino fu partecipe e spesso promotore in quegli anni infuocati: dall'assistenza alle vittime politiche (Pino era una delle "colonne" della Croce nera anarchica) ai contatti con gli altri compagni e gruppi del movimento (lo favoriva il fatto di essere ferroviere), ecc. ecc. Personalmente lo ricordo sempre come un compagno buono, allegro, attivo.
L'ho rivisto per l'ultima volta - questo lo ricordo bene - nelle stanze dell'ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre 1969, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là "fermati", più o meno "sospettati" dell'attentato alla banca dell'Agricoltura. Come quasi tutti i fermati, fui rilasciato la sera successiva. Qualcuno fu trattenuto più a lungo, al di là degli stessi termini previsti dalla (loro) legge. Appresi dai mass-media la notizia della sua morte, che come a tutti i compagni e a quanti lo avevano conosciuto non sembrò per niente "oscura", come scrisse vilmente l'Unità (per non parlare della grande stampa padronale, che parlò subito di suicidio "perché capiva di esser stato scoperto").
I suoi funerali, sabato 20 dicembre, sono stati la più significativa manifestazione anarchica alla quale abbia partecipato: nel pieno della canea anti-anarchica, isolati dalle altre organizzazioni della sinistra parlamentare ed extra-parlamentare (Capanna e gli altri leader stalinisti del Movimento Studentesco indissero un'assemblea contro la repressione nell'Università Statale proprio in concomitanza con i funerali di Pino), testimoniammo la vitalità del movimento anarchico, sfilando in quel grigio e freddo pomeriggio, tipico dell'inverno milanese, in un silenzio totale, rotto solo dal ronzio delle cineprese degli sbirri dell'ufficio politico, appostati alle finestre delle case di via Preneste, dove Pino abitava con la sua famiglia e da dove partì il corteo funebre.
Il ricordo del volto buono di Pino richiama quello di un altro volto che chi ha conosciuto non può dimenticare: quello di Franco Serantini, che ti colpiva subito per le spesse lenti che portava, segno evidente di una vista ridottissima. Se provo a immaginare la selvaggia bastonatura alla quale è stato sottoposto in quella strada di Pisa, mentre gli occhiali gli erano caduti e il mondo circostante per lui era diventato densa nebbia e niente più, se provo a immaginare la sua richiesta di soccorso e di assistenza nel carcere Don Bosco ed il cinico menefreghismo delle autorità, mi ritrovo in quelle stanze dell'ufficio politico milanese nelle quali Pino fu assassinato e gettato giù.