Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Tuck & Patti
Anche se in "Musica&idee"
ci si è sempre occupati di realizzazioni del circuito musicale
indipendente ed alternativo, la bellezza sorprendente di questo disco
impone un mezzo strappo alla regola. Sto parlando del debut-album di
TUCK & PATTY "Tears of joy", edito dalla Windham
Hill Records, un'etichetta quasi-indipendente (è distribuita
dalla potente A&M) specializzata in materiale di elevata qualità
tecnica e in veri e propri saggi di virtuosismo: il fondatore,
William Ackerman, è un chitarrista di raro gusto e
talento, col chiodo fisso della perfezione tecnologica, Tuck
Andress e Patti Cathcarf costituiscono un formidabile duo.
Provengono dal sottobosco dei piccoli
club, dove la poesia ed il lavoro/passione di chi sta sul palco,
quando questo esiste, hanno spesso come compagni il calore dei
superalcolici e la nebbia delle troppe sigarette accese. Lui è
un musicista di classe: preciso, dal fingerpicking pulito e a tratti
virtuoso e turbolento, ma sempre ed immancabilmente umano. Il suono
della sua chitarra elettrica è puro e cristallino, ricco di
sfumature armoniche. Lei, Patti, ha una voce che è impossibile
dimenticare. Nera, profonda, capace di swing caleidoscopico e di
dolci acquarelli.
"Tears of joy" è stato
interamente registrato dal vivo e in diretta: nessuna sovraincisione,
nessun trucco o intervento in studio. Dire, in due parole, che si
tratta di uno dei più bei dischi degli ultimi tempi non è
abbastanza. Reperibilità abbastanza facile
nei negozi specializzati in jazz e avanguardia.
Gil Evans e Steve Lacy
Scrivere di due "mostri sacri"
del jazz quali GIL EVANS e
STEVE LACY può essere per me un po' imbarazzante: intorno
a questi nomi è stata costruita una parte importante della
storia della musica contemporanea, mentre io spesso e volentieri
tratto di personaggi di ben altro calibro (senza con questo voler
togliere niente a nessuno...). "Paris blues" contiene le
ultime registrazioni di Evans, e propone una dimensione assolutamente
affascinante del grande musicista recentemente scomparso: la
semplicità degli arrangiamenti - un pianoforte, un sassofono -
intrecciati indissolubilmente in una spirale magica. L'abilità
e l'estro del Lacy improvvisatore sono qui a tessere ricami sul
tappeto pianistico di Evans. Tre composizioni di Charles Mingus,
la title-track di Duke Ellington, due variazioni su tema di
Lacy e uno di Evans: un'ora di grande musica, di sana ginnastica
cerebrale. Il disco è edito dalla label francese Owl, 4 Rue de
Livarot Fervaques, F-14040 Livarot.
Zero Pop
ZERO POP è il nome del
gruppo fondato dal sassofonista francese Bruno Meillier e dal
chitarrista statunitense Mark Howell all'inizio del 1986. Ai
due si sono aggiunti via via nuovi e diversi musicisti, dalla
percussionista giapponese Ikue Mori (ex-DNA) a Jim
Meneses (ex-David Moss Dense Band) all'attuale Bruce Golden
(ex-Beat Temptation e Windbreakers). Le vie che hanno portato ad un
simile sodalizio sono traverse: Zero Pop è una miscela
difficile da interpretarsi e piuttosto complicata nelle forme. Mark
Howell è nato e cresciuto negli Stati Uniti del Sud.
Trasferitosi a New York ha collaborato
con alcuni musicisti dell'area sperimentale irriducibile quali
Michael Lytle (dei Dr. Nerve) ed i Curlew di George Cartwright, sino
a giungere a collaborazioni con John Zorn, Elliot Sharp e Don Cherry.
Bruno Meillier ha formato Les I (tre album all'attivo),
partecipato all'attività di Eltron Fou Leloublan - una
delle più importanti formazioni alternative francesi - e
avviato con Ferdinand Richard l'ambizioso progetto poetico-musicale
di Bruniferd. Dotato di una notevole ed ammirevole
tecnica strumentistica, nonché di una rara sensibilità
musicale, Bruno ha deciso di estendere la propria attività in
molti paesi, viaggiando quanto più possibile e soffermandosi
con sempre maggior frequenza tra le sponde dell'Atlantico. Le idee
nuove e la scintillante abilità di questo "pendolare
delle musiques innovatrices", hanno conquistato certa America:
ZERO POP è figlio della sensibilità europea e della
spericolatezza newyorchese, e da entrambi le fonti ha ereditato le
cose migliori. L'album di debutto si intitola "All the big
mystics" ed è edito dalla intraprendente Rec Rec di
Zurigo: una raccolta di fotografie musicali strappate, tagliuzzate e
curiosamente ricomposte. Reperibilità non facile, ma l'ascolto
di queste degenerazioni sorridenti vi ripagherà certamente
dello sforzo.
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