Rivista Anarchica Online
L'anarchico Petacchi
di Mauro Cucurnia (Maurin)
A fronte della retorica
antifascista delle celebrazioni di regime, proponiamo,
con la biografia dell'anarchico Giuseppe Petacchi, l'esempio di una
vita vissuta giorno per giorno a fianco degli sfruttati. Gli scontri con i fascisti nella
natia Avenza, l'esilio in Francia, l'eccezionale
esperienza nella Spagna rivoluzionaria e libertaria del
'36, poi di nuovo in Francia, in Marocco, in Messico,
ecc. ecc... La partecipazione alla
Resistenza e l'impengo sociale nel secondo dopoguerra.
A 40 anni e più dalla caduta del
fascismo, la Resistenza si è trasformata in pretesto per
celebrazioni retoriche che lasciano ormai indifferenti tutti e
specialmente i giovani. Effetto di una classe dirigente che per più
di 40 anni ha approfittato della memoria di un movimento di massa,
per costruire fortune personali o di gruppo, politiche ed economiche,
presentandolo e rappresentandolo come realtà di pochi "eroi".
Diceva un poeta che è beato quel
popolo che non ha bisogno di eroi, ma beato sarà anche quel
popolo la cui storia non verrà raccontata per elevare
monumenti e dare medaglie a presunti eroi, ma per conservare la
memoria collettiva delle sue lotte collettive contro l'oppressione,
contro lo sfruttamento e contro ogni forma di dittatura.
Scheletri negli armadi
Ciò vale anche per la nostra
situazione locale. Sembrerebbe quasi, a leggere le cose che fin qui
sono state scritte, che antifascismo e Resistenza a Massa e Carrara
siano stati l'iniziativa di pochissimi onnipresenti, onnifacenti e
onniscienti. Di qui l'immagine di un movimento incomprensibile e
scarsamente attivo, quasi inerte a una storia piena di buchi, di
censure, di omissioni e di tabù spesso diplomatici e molto
imbarazzati e imbarazzanti. È
probabile che sia questa la ragione per cui nessuno finora si è
occupato con serietà scientifica di quanto in quegli anni è
avvenuto nella nostra zona (salvo rare e parziali eccezioni).
Ci sono anche scheletri negli armadi
che si ha paura di tirare fuori; ne verrebbe un'immagine più
vera della Resistenza, ma meno unitaria e nazionale, meno retorica e
da celebrazioni. Bisognerà, un giorno o l'altro, anche
esaminare perché ciò sia avvenuto e a chi sia servita
questa riduzione dell'opposizione di massa al nazifascismo, entro le
guide dell'ufficialità retorica e della censura peggiore, cioè
l'autocensura.
Per questo è tempo di
raccogliere, quanto più è possibile, ricordi e
documentazione diretti e indiretti, sulla Resistenza e l'antifascismo
in questa zona, prima che gli ultimi testimoni diretti scompaiano,
perché, quando ne sia possibile, ne venga scritta una storia
più spassionata e oggettiva, cioè meno unilaterale e
asservita a interessi privati o dei vari gruppi di potere che hanno
avuto convenienza ad auto-rappresentarsi con questa immagine
imbalsamata e morta di una grande lotta di popolo.
Importante è perciò
recuperare accanto ai soliti nomi dell'antifascismo o della
resistenza ad Avenza, da Gino Lucetti (l'attentatore a Mussolini), a
Stefano Vatteroni, a Gino Menconi, a Gino Bibbi, a Ugo Mazzucchelli,
il ricordo di altri oppositori del fascismo, per i sacrifici che
hanno affrontato durante la dittatura e per la loro partecipazione
alla Resistenza.
Tra questi è necessario
ricordare innanzitutto Giuseppe Petacchi (Avenza 1907-1961). Anche
lui era di Avenza, di un paese cioè che ha dato un contributo
molto grande all'antifascismo e alla Resistenza, ma che è
stato stranamente sempre sottovalutato da chi ne ha scritto; non
certo per motivi campanilistici, ma storico-politici che avrebbero
bisogno di essere chiariti con più ampiezza.
Avenza, Marsiglia, Barcellona
Nato nel 1907, Beppe Petacchi già
nel 1922 viene preso di mira dai fascisti locali che lo buttarono
fuori da un locale di Avenza a calci e pugni. Da questo momento in
poi, anche perché tutta la sua famiglia è antifascista,
è tutto un susseguirsi di pestaggi e di ammonizioni; non che
Beppe vada in cerca di fascisti per vendicarsi delle botte ricevute,
ma è vero che quando li incontra non fa nulla per evitare lo
scontro e così finisce per ritrovarsi, di volta in volta, con
la testa rotta.
Ad Avenza, in quel periodo, di queste
cose agli antifascisti ne succedevano quotidianamente; venivano
malmenati sia i repubblicani che i socialisti, ma soprattutto gli
anarchici, e Petacchi era uno di questi. Questa situazione si protrae
fino al 1933 quando divenuta sempre più insostenibile, Beppe,
insieme ai compagni Ercole Pisani, Pilade Menconi, Ciro Sparano e al
repubblicano Roberto Briganti decide di espatriare. Il compagno
Petacchi deve lasciare in Italia la sua compagna, prossima a
partorire, senza alcun sostegno economico. Arrivato a Marsiglia
riesce a trovare lavoro e invia varie volte somme di denaro alla
moglie, ma regolarmente la questura le sequestra.
In Francia entra in contatto con
Camillo e Giovanna Berneri, Emilio Lussu, Randolfo Pacciardi, Aldo
Garosci, Umberto Marzocchi, Pio Turroni, Carlo Persici e con i
fratelli Rosselli, in particolare con Carlo, ma non c'è
antifascista, anche tra i meno conosciuti e i più modesti
culturalmente e politicamente, che Petacchi non cerca di avvicinare,
nel tentativo di rendere sempre più incisiva la lotta contro
il fascismo.
Allo scoppio della Rivoluzione
spagnola, Petacchi si trasferisce immediatamente a Barcellona; quello
che avviene in Spagna è troppo importante per lui perché
possa sottrarvisi. Partecipa alla battaglia di Montepelato assieme a
Rosselli, Angeloni e Aldo Garosci. Angeloni vi troverà la
morte, Rosselli verrà ferito e Petacchi si salverà a
stento dall'incendio della sua autoblindo colpita da un proiettile
dell'artiglieria franchista. Riuscì ad uscire con le sue
forze, ma ardeva come una candela. Venne soccorso da alcuni compagni
e fu trasferito nelle retrovie in ospedale. Poi, appena fu in grado
di reggersi in piedi, ritornò al fronte. Qui assiste con
rabbia alla controrivoluzione stalinista.
Nel '38 ritorna in Francia, a Parigi,
dove finalmente può essere raggiunto dalla moglie e dal
figlio, e trova ospitalità in casa del professor Monti, ma,
poco dopo, a causa della sua attività antifascista, viene
espulso dalla polizia francese e ripara in Belgio.
Quei passaporti falsi
Con l'occupazione tedesca del Belgio
ritorna a Marsiglia clandestinamente, e la sua casa, nella Casbah al
vecchio Porto, diventa un centro di ospitalità per tutti gli
antifascisti che hanno bisogno di un rifugio, specie per quelli che
ritornano dalla Spagna ormai occupata dai franchisti, e per ebrei
zingari la cui sopravvivenza è messa in pericolo dalla stessa
polizia francese. E in casa sua Lussu e la sua compagna, bravissima a
imitare qualsiasi scrittura, passano intere giornate a falsificare
documenti e passaporti. In questo modo riescono a far espatriare
molti di questi antifascisti di tutte le nazionalità che
entrano in contatto con lui.
Scoppiata la guerra con la Francia,
Petacchi riesce ad abbandonarla prima dell'arrivo dei tedeschi
insieme a Emilio Lussu, la sua compagna e Pacciardi. Con una nave
raggiungono Casablanca. Qui Beppe ritrova Pio Turroni e imbarcatosi
su una nave svedese, va con lui in Messico dove lavorano come
muratori nella costruzione di piccole case, poi passano in Canada,
perché hanno avuto notizia dai compagni che è possibile
di lì ritornare in Europa per riprendere la lotta contro i
nazifascisti.
Imbarcatisi su una nave, arrivano a
Liverpool, ma, per errore burocratico, vengono scambiati per fascisti
e chiusi in un campo di concentramento. I continui scontri che hanno
con i fascisti lì rinchiusi convincono le autorità
inglesi dell'errore compiuto nella loro identificazione e vengono
liberati. Inviati in Nord Africa, Petacchi segue un breve corso di
paracadutismo e si fa lanciare in Italia, presso Empoli, per andare
ad organizzare formazioni partigiane.
Soggiorna brevemente ad Avenza e poi si
trasferisce a Firenze, al Centro Antifascista ed entra in contatto
con molti compagni e lavora con Carlo Lodovico Ragghianti, Carlo
Cassola, Adriano Milani, fratello di don Milani e altri. Ritrova
sempre a Firenze anche il suo compaesano Gino Menconi.
Fino alla liberazione di Firenze fu un
combattente attivissimo.
Né onori né premi
Ritorna ad Avenza dopo la liberazione
per riprendere il suo posto tra i compagni e nella lotta contro il
fascismo che continuava ad opprimere la Spagna e molte altre nazioni
in varie parti del mondo.
Non ha da rivendicare né onori
né premi per la sua vita di antifascista e la sua
partecipazione alla Resistenza, né vuole sfruttarle per
carriere politiche, ma ogni compagno che arriva a Carrara continua a
trovare ospitalità in casa sua, rifugio e copertura, aiuto.
Più volte Petacchi nel dopoguerra rischia il carcere per aver
nascosto magari in qualche casa sicura di Avenza o fornito di
documenti e di aiuti i compagni ricercati dalla polizia e
dall'Interpol; molto spesso si trattava di compagni spagnoli braccati
nel loro e nel nostro paese.
Bisognerebbe anche raccontare questa
seconda resistenza a cui parteciparono Petacchi ed altri, così
come si svolse qui da noi, contro l'ordine repressivo e autoritario
che venne instaurato in Italia e nel resto del mondo dopo la guerra;
è una resistenza che molti di quelli che hanno lottato contro
il fascismo non hanno voluto fare, soddisfatti della restaurazione
del potere della borghesia, ma che i veri resistenti, quelli che
volevano sconfiggere ogni forma di oppressione e di sfruttamento,
hanno continuato a fare con modestia, umiltà e consapevolezza
della povertà dei propri mezzi, ma anche del grande valore che
aveva per tutti, perché la lotta per la libertà e
contro lo sfruttamento non può essere un mezzo per raggiungere
medaglie, ma l'unica dimensione umana possibile.
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