Rivista Anarchica Online
Il mio rifiuto, la mia rabbia
di Pietro Bonadonna
"Su dai, cosa vuoi che sia un anno
di militare, alla fine, passa velocemente...". Quante volte ho sentito queste parole,
quante volte ho sofferto nel vederle accettare da amici che, con lo
sguardo spento, partivano per il militare, quante volte le ho
riconosciute negli atteggiamenti della gente che per rassegnazione
accetta una vita che, fino in fondo, non soddisfa neanche loro. Quante volte sono stato tentato,
quante volte ho chiuso gli occhi e, invaso dalla noia, mi sono fatto
trasportare dal fatale percorso che questa società ci propina
come vita. Sicuramente lasciarsi educare alla
monotonia, alla routine; imparare il meglio possibile una professione
che ti dia sicurezza e che ti permetta di essere competitivo nella
scalata sociale alla quale tutti ambiscono, senza domandarsi troppi
perché, senza cercare di dare un senso alla propria vita,
sarebbe stato più facile. Ma altrettanto sicuramente, se non
avessi cercato di realizzare qualcosa di mio, non avrei gustato la
pienezza di quella indescrivibile sensazione che si prova quando,
giorno dopo giorno, attimo dopo attimo si sta lottando per
conquistare una propria vita, spazi di libertà nei quali
realizzare i propri progetti, le proprie utopie: quando il potere
coercitivo cede il posto alle volontà. Ma cosa c'entra tutto ciò con il
servizio militare? C'entra e come: viviamo in una società
nella quale l'ingiustizia, il dominio, la sopraffazione stanno alla
base dell'inquinamento, di migliaia di vite bruciate dell'eroina, di
migliaia di vite sacrificate per il dominio territoriale ( per quanto
lontano, un terzo del mondo è in guerra), della mancanza di
rapporti umani soddisfacenti (il consumo, la "carriera"
hanno preso il posto della solidarietà, dell'amicizia). Chiunque ha il coraggio di aprire,
anche solo per un istante, gli occhi si rende conto che è
drammaticamente urgente un cambiamento. Ma per poterlo fare bisogna esserne
capaci, e ciò sarà difficile fino a che non avremo la
possibilità di spezzare quel processo educativo orientato a
fabbricare individui disciplinati, consenzienti e rassegnati. La
rassegnazione è la piattaforma sulla quale si regge la
conservazione del dominio. Quindi rifiutare il servizio militare,
che è la somma di tutte quelle violenze che un individuo
subisce, in quel processo che comunemente viene chiamato educativo,
significa rifiutare questa società, non legittimarla a
continuare ad esistere. Certo, anche in questo caso, te la
fanno pagare cara, un anno o più di galera, ma il mio rifiuto,
la mia rabbia, la mia volontà di cambiamento è più
forte della loro repressione. Mi rifiuto di rassegnarmi: voglio una
società più giusta nella quale l'uomo e la sua libertà
abbiano un valore, un senso, un rispetto prima e al di sopra di ogni
altra cosa.
Pietro Bonadonna (obiettore
totale, militante del Circolo Anarchico "Ponte della Ghisolfa"
di Milano, avrebbe dovuto presentarsi in caserma a Diano Castello lo
scorso 2 Novembre).
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