Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Allargare gli orizzonti
In attesa del prossimo numero di "A",
col quale spero di farvi una bella sorpresa, questo mese vi propongo
una specie di esperimento.
Mi sono proposto di scrivere una serie
di appunti, note, pensieri. E di scrivere di getto, così da
non avere un'idea di quali potranno essere le parole della frase
successiva (comunque, il risultato arriverà a voi in una forma
limata, ritagliata ed aggiustata da cento ripensamenti). Stavolta vorrei occuparmi di musiche,
di note anche musicali da letture, suoni, sogni. In due parole,
vorrei parlarvi, oltre che di dischi, di viaggi, di libri, di storie,
di gente che si muove, di gente che scrive. Non un blando esercizio di stile per
farvi vedere che oltre ad ascoltare musica mi piace molto leggere
(sarebbe stato intellettualmente meno impegnativo iscriversi alla
giuria di Wimbledon), e anche viaggiare, quanto piuttosto rispondere
con qualche cosa di scritto, dei "fatti", ecco, a una lunga
serie di castelli in aria e desideri vecchi e sempre accesi.
Allargare gli orizzonti, insomma,
Provare a muoversi e a muovere. Fare dei viaggi in qualche parte,
anche se per forza di cose immaginari, tutti rigorosamente compiuti
col sedere appoggiato a una sedia di casa o al sedile dell'autobus e
del treno. Viaggi nei ritagli di tempo, riflessioni tenute da parte
per un'improbabile buona occasione (questa?), un po' per nostalgia,
un po' per autocompatimento sornione.
Non sarà la solita musica,
stavolta, né le solite idee: succedono troppe cose in questo
periodo della mia vita, e posso offrirvi solo dei frammenti.
Markandeya e il Mahabharata
"...Molto tempo fa, tutte le
creature morirono. Il mondo non era che una distesa d'acqua, una
palude grigia, nebbiosa, ghiacciata. Soltanto un uomo si era salvato:
solo, in mezzo al grande disastro. Il suo nome era Markandeya.
Egli camminò, camminò a
lungo nell'acqua stantia, esausto, senza trovare alcun riparo, né
traccia di vita. Disperato, la gola irrigidita da indescrivibile
tristezza. Improvvisamente, e senza sapere perché, egli volse
lo sguardo dietro di sé e vide un albero in mezzo
all'acquitrino, un albero di fichi, ed ai piedi dell'albero un
bambino bellissimo e sorridente.
Markandeya si fermò, senza
respiro e barcollante, incapace di capire il perché di quella
presenza, E il bambino si rivolse a lui dicendo: "Hai bisogno di
riposare. Entra in me".
(...) Il bambino aprì la bocca,
si alzò un forte vento e una forza irresistibile spinse
Markandeya verso la bocca aperta. Egli entrò, e si trovò
nel ventre del bambino. Markandeya si guardò intorno, e vide
il mare, gli alberi, degli animali al pascolo. Vide delle portatrici
d'acqua, una città, strade, persone, fiumi.
Nel ventre del bambino egli vide il
mondo intero, pacifico e bello. Vide l'oceano, vide il cielo
infinito. Egli camminò per più di cento anni, senza
raggiungere la fine di quel corpo.
Infine, il vento si alzò di
nuovo e sollevò Markandeya in aria, trasportandolo al di fuori
della bocca del bambino seduto all'ombra dell'albero di fichi, il
bambino lo guardò e sorrise: "Spero tu abbia riposato
bene". La storia di Markandeya e mille e mille
altre sono raccolte nel Mahabharata, il più lungo poema mai
scritto: oltre centomila stanze, circa quindici volte la lunghezza
della Bibbia. In lingua sanscrita, "maha" significa grande,
completo; "bharata", si riferisce generalmente all'indù,
e in senso ancor più generico all'uomo. Si può quindi
interpretare il Mahabharata come "la grande storia
dell'umanità". Nel poema si racconta la storia della
lunga e sanguinosa lotta tra due gruppi rivali, tra loro parenti,
come metafora delle forze che si contendono il destino del mondo.
La tradizione indiana afferma che "ciò
che si trova nel Mahabharata è altrove, mentre ciò che
non si trova nel Mahabharata non esiste".
Non l'ho letto, il Mahabharata, ma
confesso mi piacerebbe farlo: quando le storie affondano le loro
radici in luoghi così distanti ed in tempi così remoti,
sembra che la fantasia si fonda alle cose reali come il cielo e il
mare all'orizzonte.
Non è "strano",
allora, trovare nelle foto di copertina di questo disco un uomo, un
bambino e Ganesha l'elefante seduti allo stesso tavolo. Un'unione tra
figure reali e simboli mitologici che porta al sogno, all'utopia,
alla ridefinizione del definito secondo schemi sempre più
esili, sino a farli scomparire.
Bisognerà attendere un
distributore cinematografico illuminato, un gestore di sala
intelligente o forse solo idealista, per riuscire a vedere
"Mahabharata", l'ultimo film di Peter Brook del quale Peter
Gabriel ha pubblicato sulla propria etichetta Real World la colonna
sonora, Real World aveva iniziato la propria attività pochi
mesi or sono, e ancora con una colonna sonora - quella de "L'ultima
tentazione di Cristo", dando un senso particolarmente impegnato
e anticoloniale alla sua opera di ricerca e diffusione della musica
popolare e tradizionale.
In questo periodo l'industria
discografica e culturale punta ai paesi lontani: l'esotismo delle
proposte musicali somiglia a quello dei dépliant delle agenzie
di viaggi organizzati, e sono sempre più frequenti le meteore
musicali tipo tuttocompreso-e-bassa-stagione. Se il modello angloamericano è
sempre forte nonostante l'AIDS, ecco fiorire l'amore per la
geografia: ci si ricorda dell'Australia perché ci sono i
Midnight Oil in classifica (e non per Ayers Rock, o per gli aborigeni
in estinzione), del Sudamerica per la cocaina e la lambada (e non per
il Nicaragua, per i desaparecidos, o per Victor Jara), dell'Africa,
perché il problema dell'immigrazione passa anche per Tam Tam
Villagen e "rai" è una parola che ci è in
qualche modo familiare... E' per lo meno sorprendente e
piacevolmente confortante accorgersi che c'è in giro qualcuno
che riesce a costruire proprio quelle cose che, segretamente, si
sarebbe disposti a dare un braccio pur di riuscire a vedere compiute. La colonna sonora di questo film, ad
esempio, è il frutto di un progetto ambizioso e mirabile:
musicisti e studiosi di provenienze geografiche eterogenee, che si
riuniscono a collaborare ad un progetto spontaneo, non prefigurato. Partiti con una storia ed un percorso
diverso ciascuno, TOSHI TSUSHITORI (studioso di musica tradizionale
giapponese), MAHMOUD TABRIZI-ZADEH e DJAMCHID CHERAMI (Iran) e KUDSI
ERGUNER (virtuoso flautista turco, già collaboratore di Peter
Gabriel per "Passion"), KIM MENZER (Danimarca), PHILIPPE
EIDEL (Francia) e la cantante SARMILA ROY hanno costruito un'ora
abbondante di autentica e profonda gioia musicale basandosi
sull'improvvisazione. Il contributo di queste diverse
culture, sospeso in un'atmosfera che immagino d'ispirazione
profondamente spirituale, ha permesso la fusione perfetta di questa
nuova musica, appena nata eppure vecchia come l'uomo. Musica da "sentire", più
che "ascoltare": le due orecchie non bastano. Provate a farvi accompagnare da Bruce
Chatwin nel deserto infuocato e spinoso dell'Australia delle
"Songlines", o in giro per il mondo (se sapete leggere
l'inglese) di "What am I doing here". Leggere, ascoltare, camminare, vedere. Altre parole per conoscere.
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