Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 173
maggio 1990


Rivista Anarchica Online

Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

Allargare gli orizzonti

In attesa del prossimo numero di "A", col quale spero di farvi una bella sorpresa, questo mese vi propongo una specie di esperimento.
Mi sono proposto di scrivere una serie di appunti, note, pensieri. E di scrivere di getto, così da non avere un'idea di quali potranno essere le parole della frase successiva (comunque, il risultato arriverà a voi in una forma limata, ritagliata ed aggiustata da cento ripensamenti).
Stavolta vorrei occuparmi di musiche, di note anche musicali da letture, suoni, sogni. In due parole, vorrei parlarvi, oltre che di dischi, di viaggi, di libri, di storie, di gente che si muove, di gente che scrive.
Non un blando esercizio di stile per farvi vedere che oltre ad ascoltare musica mi piace molto leggere (sarebbe stato intellettualmente meno impegnativo iscriversi alla giuria di Wimbledon), e anche viaggiare, quanto piuttosto rispondere con qualche cosa di scritto, dei "fatti", ecco, a una lunga serie di castelli in aria e desideri vecchi e sempre accesi.
Allargare gli orizzonti, insomma, Provare a muoversi e a muovere. Fare dei viaggi in qualche parte, anche se per forza di cose immaginari, tutti rigorosamente compiuti col sedere appoggiato a una sedia di casa o al sedile dell'autobus e del treno. Viaggi nei ritagli di tempo, riflessioni tenute da parte per un'improbabile buona occasione (questa?), un po' per nostalgia, un po' per autocompatimento sornione.
Non sarà la solita musica, stavolta, né le solite idee: succedono troppe cose in questo periodo della mia vita, e posso offrirvi solo dei frammenti.

Markandeya e il Mahabharata

"...Molto tempo fa, tutte le creature morirono. Il mondo non era che una distesa d'acqua, una palude grigia, nebbiosa, ghiacciata. Soltanto un uomo si era salvato: solo, in mezzo al grande disastro. Il suo nome era Markandeya.
Egli camminò, camminò a lungo nell'acqua stantia, esausto, senza trovare alcun riparo, né traccia di vita. Disperato, la gola irrigidita da indescrivibile tristezza. Improvvisamente, e senza sapere perché, egli volse lo sguardo dietro di sé e vide un albero in mezzo all'acquitrino, un albero di fichi, ed ai piedi dell'albero un bambino bellissimo e sorridente.
Markandeya si fermò, senza respiro e barcollante, incapace di capire il perché di quella presenza, E il bambino si rivolse a lui dicendo: "Hai bisogno di riposare. Entra in me".
(...) Il bambino aprì la bocca, si alzò un forte vento e una forza irresistibile spinse Markandeya verso la bocca aperta. Egli entrò, e si trovò nel ventre del bambino. Markandeya si guardò intorno, e vide il mare, gli alberi, degli animali al pascolo. Vide delle portatrici d'acqua, una città, strade, persone, fiumi.
Nel ventre del bambino egli vide il mondo intero, pacifico e bello. Vide l'oceano, vide il cielo infinito. Egli camminò per più di cento anni, senza raggiungere la fine di quel corpo.
Infine, il vento si alzò di nuovo e sollevò Markandeya in aria, trasportandolo al di fuori della bocca del bambino seduto all'ombra dell'albero di fichi, il bambino lo guardò e sorrise: "Spero tu abbia riposato bene".
La storia di Markandeya e mille e mille altre sono raccolte nel Mahabharata, il più lungo poema mai scritto: oltre centomila stanze, circa quindici volte la lunghezza della Bibbia. In lingua sanscrita, "maha" significa grande, completo; "bharata", si riferisce generalmente all'indù, e in senso ancor più generico all'uomo. Si può quindi interpretare il Mahabharata come "la grande storia dell'umanità".
Nel poema si racconta la storia della lunga e sanguinosa lotta tra due gruppi rivali, tra loro parenti, come metafora delle forze che si contendono il destino del mondo.
La tradizione indiana afferma che "ciò che si trova nel Mahabharata è altrove, mentre ciò che non si trova nel Mahabharata non esiste".
Non l'ho letto, il Mahabharata, ma confesso mi piacerebbe farlo: quando le storie affondano le loro radici in luoghi così distanti ed in tempi così remoti, sembra che la fantasia si fonda alle cose reali come il cielo e il mare all'orizzonte.
Non è "strano", allora, trovare nelle foto di copertina di questo disco un uomo, un bambino e Ganesha l'elefante seduti allo stesso tavolo. Un'unione tra figure reali e simboli mitologici che porta al sogno, all'utopia, alla ridefinizione del definito secondo schemi sempre più esili, sino a farli scomparire.
Bisognerà attendere un distributore cinematografico illuminato, un gestore di sala intelligente o forse solo idealista, per riuscire a vedere "Mahabharata", l'ultimo film di Peter Brook del quale Peter Gabriel ha pubblicato sulla propria etichetta Real World la colonna sonora, Real World aveva iniziato la propria attività pochi mesi or sono, e ancora con una colonna sonora - quella de "L'ultima tentazione di Cristo", dando un senso particolarmente impegnato e anticoloniale alla sua opera di ricerca e diffusione della musica popolare e tradizionale.
In questo periodo l'industria discografica e culturale punta ai paesi lontani: l'esotismo delle proposte musicali somiglia a quello dei dépliant delle agenzie di viaggi organizzati, e sono sempre più frequenti le meteore musicali tipo tuttocompreso-e-bassa-stagione.
Se il modello angloamericano è sempre forte nonostante l'AIDS, ecco fiorire l'amore per la geografia: ci si ricorda dell'Australia perché ci sono i Midnight Oil in classifica (e non per Ayers Rock, o per gli aborigeni in estinzione), del Sudamerica per la cocaina e la lambada (e non per il Nicaragua, per i desaparecidos, o per Victor Jara), dell'Africa, perché il problema dell'immigrazione passa anche per Tam Tam Villagen e "rai" è una parola che ci è in qualche modo familiare...
E' per lo meno sorprendente e piacevolmente confortante accorgersi che c'è in giro qualcuno che riesce a costruire proprio quelle cose che, segretamente, si sarebbe disposti a dare un braccio pur di riuscire a vedere compiute.
La colonna sonora di questo film, ad esempio, è il frutto di un progetto ambizioso e mirabile: musicisti e studiosi di provenienze geografiche eterogenee, che si riuniscono a collaborare ad un progetto spontaneo, non prefigurato.
Partiti con una storia ed un percorso diverso ciascuno, TOSHI TSUSHITORI (studioso di musica tradizionale giapponese), MAHMOUD TABRIZI-ZADEH e DJAMCHID CHERAMI (Iran) e KUDSI ERGUNER (virtuoso flautista turco, già collaboratore di Peter Gabriel per "Passion"), KIM MENZER (Danimarca), PHILIPPE EIDEL (Francia) e la cantante SARMILA ROY hanno costruito un'ora abbondante di autentica e profonda gioia musicale basandosi sull'improvvisazione.
Il contributo di queste diverse culture, sospeso in un'atmosfera che immagino d'ispirazione profondamente spirituale, ha permesso la fusione perfetta di questa nuova musica, appena nata eppure vecchia come l'uomo.
Musica da "sentire", più che "ascoltare": le due orecchie non bastano.
Provate a farvi accompagnare da Bruce Chatwin nel deserto infuocato e spinoso dell'Australia delle "Songlines", o in giro per il mondo (se sapete leggere l'inglese) di "What am I doing here".
Leggere, ascoltare, camminare, vedere.
Altre parole per conoscere.