Rivista Anarchica Online
Dentro l'Ashram
di Anna Monis
A colloquio con Harivallab Parikh, tra i primi seguaci di Gandhi e militante del movimento
Sarvodaya con Vinoba Bave, poi fondatore dell'Anand Niketan
Ashram's. Il significato dell'autosufficienza
ricercata nel villaggio gandhiano, le colpe del colonialismo nella
distruzione del rapporto tradizionale con la terra, la crisi del
movimento e i segnali di ripresa.
Passeggio nella grande corte
ombreggiata da un enorme banano dell'Anand Niketan Ashram's con la
mente sovraccarica di pensieri ed impressioni anche contraddittori
che quasi sempre l'India suscita in me mettendo in crisi i miei
sistemi logici.
Un piccolo secco rumore sulla mia
sinistra attira la mia attenzione e colgo il compunto deambulare di
una scimmietta che, chiusa nel suo sogno, incurante della mia
presenza attraversa una fresca zona d'ombra perdendosi nel folto dei
cespugli della ricca vegetazione tutt'attorno all'Ashram.
Una piccola scimmia. Solo poche decine
di anni fa sarebbe stata Lei, la Tigre, la Signora, a far riempire
di terrore gli occhi dei bambini dell'Ashram; ora non più,
ridotta ormai a poche decine di esemplari ha ceduto lo scettro di
animale dell'India alla vacca. La vacca sacra. Ma quale vacca sacra?
Quella della sacralità della vacca è una delle
innumerevoli immagini oleografiche che l'Occidente ha dell'India.
L'India non le ha mai costruito nessun
tempio; ha preferito proteggerla e mungerla, grata del suo latte, ma
ve lo concedo, infine, essa rappresenta abbastanza bene l'India,
l'India nonviolenta del duro lavoro contadino. Eccoli, nelle prime
luci dell'alba, quando l'aria è ancora fresca e trasparente,
i contadini dell'Ashram con i loro carri trainati da vacche e bufali
guadare l'Heran, il fiume sulle cui rive un seguace di Gandhi,
Harivallab Parikh e sua moglie Prabba, un giorno di 40 anni fa
fondarono l'Anand Niketan Ashram's.
L'Anand Niketan Ashram's si definisce
una struttura che fornisce servizi. E' stata registrata nel 1953
come "Registred Pubblic Trust" sotto il nome di Anand
Niketan Ashram's Trust ed ha sede nel villaggio di Rangpur, distretto
di Baroda, nello stato indiano del Gujarat.
L'Ashram si fonda su principi gandhiani
ed ha come scopo il recupero socio-economico degli adivasi, le
popolazioni Tribali native di questa zona dell'India.
Rajastano di nobili origini, Harivallab
Parikh diviene giovanissimo seguace di Gandhi e lo segue nell'Ashram
di Sewagram (Warda) nello stato indiano del Mharashtra. Nel 1948, ad
un anno appena dall'indipendenza dell'India muore Gandhi per mano
di un fanatico indù. Harivallab milita nel movimento Sarvodaya
, accanto a Vinoba Bave, collaboratore di Gandhi e figura di grande
spicco del movimento.
Voluto da Gandhi, per una società
più giusta e nonviolenta, il Sarvodaya, che in lingua
gujarati significa l'emancipazione di tutti è un sistema di
villaggi economicamente autonomi come piccole repubbliche collegate
tra di loro in modo da favorire gli scambi di beni economici, i
servizi, gli incontri e l'interazione. L'essere il più autosufficienti
possibile, producendo tutto quello che si può da soli è
uno dei principi fondamentali del Sarvodaya: lo Swadeschi.
Un lungo e paziente lavoro
Qual era o cosa era quarant'anni fa
l'autosufficienza della tribù Adivasi che vive lungo il fiume
Heran? Chiediamolo a Bhaiji (così affettuosamente i tribali
chiamano Harivallab Parikh).
Nel 1949, quando arrivammo in questo
remoto villaggio del Gujarat ai confini con il Rajasthan, trovammo
ancora superbe foreste abitate dalla tigre e dagli Adivasi che fin
dai tempi vedici respinti dalle invasioni ariane vi avevano trovato
rifugio. Nonostante la non enorme distanza da grandi città
come Bombay (500 km) questi tribali vivevano in una condizione di
estrema emarginazione. Molto arretrati, analfabeti, oppressi dagli
usurai, dalla polizia e dal corpo forestale; vittime dell'alcolismo
si uccidevano fra loro nelle frequenti risse per lo più
provocate da questioni di interesse.
Bhaiji, ma questi usurai di cui tanto
si sente parlare in India, chi sono e come mai sono tanto diffusi?
In un paese in cui "la terra è
di Dio e l'uomo ne è solo l'amministratore" nella prima
metà dell'800 i colonizzatori britannici introdussero il
sistema di proprietà romano con relativa imposta fondiaria,
inventarono una classe di proprietari considerando nel Nord come tale
l'ex funzionario incaricato dall'impero Moghul di raccogliere i
tributi in un determinato territorio, e fu la creazione dei
Zamindar, o grandi proprietari. Altrove, si preferì
riconoscere allo stesso agricoltore il titolo di proprietario della
terra che lavorava: fu il sistema Raiyatwari. Si determinò
così una situazione di estrema concentrazione delle terre
nelle mani di alcuni grandi proprietari e l'eccessiva frammentazione
del resto del suolo fra una moltitudine di minuscoli proprietari.
Come corollario della proprietà privata venne introdotto il
denaro nel circuito agricolo. L'imposta fondiaria era pagata in
contanti.
Nell'organizzazione tradizionale del
villaggio, la maggioranza degli scambi avveniva sotto forma di
prestazioni e di contro-prestazioni e il tributo dovuto al potere
politico era in natura; il contadino non aveva affatto bisogno di
moneta. Ma dovette trovarne per pagare l'imposta. Al contadino
proprietario si offrirono allora tre possibilità: trasformare
una parte delle sue colture alimentari in colture commerciali (di
cui l'economia britannica aveva bisogno) quali cotone, iuta, tè
e caffè. La produzione di queste colture aumentò
quindi rapidamente, ma a spese di quelle del riso e del miglio,
alimento base della popolazione, che intanto cresceva in modo lento
ma inesorabile. Così si preparavano le condizioni per le
tremende carestie del periodo coloniale, ponendo le basi per uno
stato di sotto-alimentazione cronica della maggioranza della
popolazione.
Seconda possibilità per il
contadino era vendere o affittare la sua terra e unirsi all'immensa
massa di braccianti senza terra.
Restava l' ultima e più
facile soluzione: indebitarsi.
E così il villaggio indiano
vide installarsi e ingrandire come un cancro un nuovo personaggio:
l'usuraio. L'usura divenne una miniera d'oro e assunse una
estensione catastrofica: si è calcolato che alla vigilia
dell'indipendenza quasi il 52 per cento delle terre coltivate
apparteneva di fatto agli usurai. I nostri Adivasi, preda degli
usurai, arrivavano a pagare anche il 300 per cento di interessi e
indebitati per la vita finivano per perdere la terra.
Quali furono i problemi e le difficoltà
che incontraste all'inizio dell'attività dell'Ashram?
Occorse un lungo e paziente lavoro
per conquistare la fiducia di questa gente diffidente, poco avvezza
ai contatti con gli "stranieri". In un primo tempo il
nostro piccolo gruppo si accampò sotto alcuni grossi alberi
in prossimità del villaggio ed attendevamo alle nostre
abituali faccende quotidiane osservati costantemente da lontano dagli
aborigeni che ci ritenevano gli emissari dei temutissimi "Kakas"
(usurai).
Ci rendemmo conto che le popolazioni
locali, divise e litigiose, non avrebbero mai potuto opporsi a
quelli che le sfruttavano. Decidemmo allora un programma di visite ai
villaggi e percorrendo una media di 20 miglia al giorno, lavorando
nei loro campi, ripulendo le strade dei loro villaggi, gradualmente
venimmo accettati e conquistammo la loro fiducia.
Giustizia parallela
Oggi, a 40 anni dalla sua fondazione,
l'Anand Niketan-Ashram's estende la sua influenza su un'area di
20.000 km²
comprensiva di 3296 villaggi abitata da 2.500.000 persone,
75 cooperative agricole - progetti agro-forestali: impianti di
irrigazione, sbarramenti e bacini di raccolta d'acqua, 600 impianti
di biogas, introduzione di tecnologie e meccanizzazioni nei
villaggi, rimboschimento anche ad uso commerciale; manufatti in lana,
cotone, stampati..., sartoria, falegnameria, tipografia; scuole per
bambini e adulti; pianificazione familiare, servizio assistenza
sanitaria e legale. Tutto questo ha reso i tribali di
queste zone liberi dallo sfruttamento di cui erano vittime, capaci
di autosufficienza grazie anche al mutuo appoggio e alla più
completa e partecipata solidarietà, valori a loro prima
sconosciuti, che caratterizzano la comunità dell'Ashram.
Ma ci dice Bhaiji, è stato
soprattutto per merito del Lok Adalat e della fiducia nella sua
imparzialità ed onestà che gli Adivasi hanno riposto
in esso, che ci ha permesso di sviluppare con successo le multiformi
attività dell'Ashram.
Che cosa è il Lok Adalat?
Lok Adalat significa tribunale
popolare; è un sistema paralegale unico, con il quale si
dimostra l'implicita fiducia che la gente ha nel trovare un modo
semplice di comporre le proprie controversie. Quando all'inizio
dell'attività dell'Ashram noi giravamo per i villaggi per
conoscere la gente ed essa cominciò a riferirci dei loro
problemi, beghe e controversie, venne abbastanza naturale per me
cercare di mettere pace fra di loro. Mi sedevo sotto un albero a uguale
distanza dalla capanna dell'uno e dell'altro contendente e mettevo
pace tra i due. Così ebbe inizio il Lok Adalat, che ora si
riunisce un paio di volte al mese a Rangpur nella grande corte
dell'Ashram.
Il sistema giudiziario ufficiale (Nyaya
Pandayati), che dovrebbe occuparsi dei casi giudiziari nella zona, è
praticamente inattivo, essendosi creato una reputazione di parzialità
a causa di casi di corruzione verificatisi durante le elezioni del
Panchayat (consiglio comunale). Inoltre i programmi governativi di
assistenza legale ai poveri non hanno funzionato e si sono rivelati
largamente insufficienti. Ottenere giustizia dai tribunali
tradizionali è irto di una serie di difficoltà: è
costoso, è causa di frustrazione per chi non è in
grado di comprenderne le tecniche ed è stato comparato ad una
tela di ragno, nella quale i più poveri e i meno informati
restano impigliati per poi essere fatti a pezzi dai ricchi e dai
potenti; per di più i tempi sono lunghissimi. Il Lok Adalat, che è stato
riconosciuto per legge dal Parlamento Indiano, nell'arco di questi
40 anni ha risolto amichevolmente più di 50.000 casi. Oggetto
di studio da parte di eminenti esperti nel campo legale indiano viene
suggerito, dai tribunali regolari, ai contendenti per una più
rapida ed economica composizione delle vertenze.
Le sedute, alle quali partecipano i
tribali in grande numero con testimonianze, suggerimenti, sollevando
obiezioni od approvando a seconda dei casi, sono informali e vengono
presiedute da Bhaiji. Quando è il caso vengono nominati 4
"Panchas" (giuristi), 2 per parte.
I casi trattati e risolti sono i più
svariati: dalle liti concernenti i terreni, accuse di corruzione nei
confronti di funzionari della polizia, tentativi di omicidio, fino a
casi di stregoneria, ma per la maggior parte (60 per cento) si
tratta di matrimoni falliti.
Come fa l'Adalat a convincere, senza
mandati di comparizione, gli accusati a presentarsi alla corte?
Diciamo loro che non crediamo a una parola di quanto viene detto su
di loro e che vogliamo sentire la loro versione. Se dopo avere
mandato degli incaricati per tre volte la persona non si presenta,
viene inviata una delegazione per controllare che non vi sia
qualche politico o altri che impedisce all'accusato di presentarsi.
Come ultima soluzione nell'Ashram si
ricorre allo sciopero della fame a catena (Satyagrah), tuttavia
raramente si arriva a tanto.
Spesso è la parte in fallo a
presentarsi per prima sapendo che non vi saranno punizioni
corporali, e perché alla fine in cuor suo, ognuno desidera
arrivare ad una composizione pacifica della vertenza. Al termine
della seduta, un osservatore, sorbendo lo zucchero di canna offerto a
tutti come simbolo della ritrovata armonia ha commentato: "Qui
non si tratta di decidere chi ha perso o chi ha vinto, poiché
tutto viene deciso dalla gente che è presente e raramente si
rende necessario un giudizio dall'alto".
Baiji, oggi l'India è
economicamente in gran parte un sistema capitalista anche se segnato
da forti elementi precapitalistici feudali e da aspetti tipici
della burocrazia socialista. In questa India esiste, secondo te, un
futuro per un sistema economicamente alternativo come il Sarvodaya?
Il movimento Sarvodaya era all'apice
quando nel 1951 Vinoba Bave lanciò una campagna intesa a
portare a termine una rivoluzione della terra attraverso il Bhoodan
(donazione della terra ai contadini che ne erano privi) seguita poi
dal Gramdam (la volontaria costituzione di comunità fondiarie
a livello di villaggio).
Con il successo della distribuzione
di oltre un milione di acri a mezzo milione di contadini privi di
terra da coltivare, il movimento si assicurò una notevole
popolarità. Nel 1969 il Movimento Sarvodaya era in grado di
proclamare che 140.000 villaggi si erano dichiarati favorevoli
all'idea Gramdam. Il Gramdam è molto vicino alla Comune cinese
e al Kibbutz israeliano ma, mentre nella comune cinese domina il
partito politico e nel Kibbutz israeliano il denaro e il mercato, noi
abbiamo cercato e trovato una via diversa. Tuttavia, quando all'inizio degli
anni settanta una stasi progettuale del movimento determinò
una condizione di crisi, Jayarra Kash Naravan, l'ex capo del partito
socialista che si era unito al Sarvodaya nel 1954, avendo raccolto un
ampio consenso fra i militanti Sarvodaya, modificò la
strategia di lotta di Vinoba per una rivoluzione nonviolenta
finalizzata alla costruzione consensuale di una società
alternativa, politicizzando il movimento. Ne risultò una frattura grave
con conseguente perdita di essenza del movimento stesso. Oggi io
lavoro qui in Gujarat, altri gruppi in Tamil Nadu, Uttar Pradesh e
Bihar. Tutti hanno fatto un buon lavoro nelle loro zone, ma il
movimento ha perso il vigore e il senso originario. Esistono però
segni positivi di ripresa: c'è gente che comincia ad
interessarsi del movimento e sono numerosi i giovani che invece di
andare nelle città vengono nei villaggi a lavorare secondo le
idee e i principi gandhiani.
Con queste parole di speranza termina
l'intervista. Baiji si allontana fra gli eucalipti nel rosso
tramonto sul fiume, figura romantica nei suoi semplici abiti
gandhiani di tela Kadi . Zoppica un po', troppe marce e forse troppa
jeep. Qualche bimbo dell'Ashram gli corre dietro rumorosamente. . .
ed è già quasi buio.
Autosufficienza e cooperazione
Il pianeta India: alcune grandi
megalopoli e una galassia di 700.000 villaggi. Il villaggio indiano celebrato dai sociologi britannici del
periodo romantico come una specie di utopia tradotta in realtà, studiato a lungo da Marx
è il fulcro della visione di una società decentrata e a basso consumo energetico, maturata in
Gandhi nei primi decenni del secolo. Negli scritti di Gandhi la testimonianza dei suoi sforzi per dare il massimo
potere al villaggio rurale indiano.
Verità e non violenza
costituiscono le fondamenta della mia concezione di ordine. Il nostro
primo dovere è di non essere un peso per la società,
cioè dovremmo essere autosufficienti. Da questo punto di vista
la stessa autosufficienza è una forma di servizio. Dopo essere
diventati autosufficienti useremo il nostro tempo libero al servizio
d'altri. Se tutti diventano autosufficienti nessuno sarà più
in difficoltà. In tale stato di cose non ci sarà
bisogno di servire nessuno. Ma non abbiamo ancora raggiunto questo
stadio e perciò dobbiamo pensare ai servizi sociali. Anche se
riuscissimo a realizzare completamente l'autosufficienza, essendo
l'uomo un essere sociale, dovremmo accettare il servizio in una forma
o nell'altra. Cioè l'uomo è tanto autodipendente,
quanto interdipendente. Quando la dipendenza diventa necessaria per
mantenere la società in buon ordine, non è più
dipendenza, ma diventa cooperazione. C'è la dolcezza nella
cooperazione; fra chi coopera non c'è né il debole né
il forte. Ciascuno è uguale all'altro. Nella dipendenza c'è
un senso di impotenza. I membri di una famiglia sono tanto
autodipendenti quanto interdipendenti. Non c'è alcun senso di
mio o di tuo. Sono tutti cooperatori. Così anche quando prendiamo una
società, una nazione o l'intera umanità come se fosse
una sola famiglia, tutti gli uomini diventano cooperatori. Se
riusciamo ad immaginare una cooperazione del genere scopriamo che non
ci sarebbe alcun bisogno di appoggiarsi alla macchina senza vita.
Invece di fare un uso spropositato delle macchine saremmo capaci di
usarle il minimo possibile e in ciò sta la vera sicurezza e
autoproduzione della società. Ciò che intendo per
autosufficienza è che i villaggi devono bastare a se stessi
per il cibo, il vestiario e le altre necessità fondamentali.
Ma anche questo può essere portato all'eccesso. Quindi bisogna
comprendere bene la mia idea. Autosufficienza non significa miopia.
Essere autosufficienti non significa essere completamente chiusi. In
nessuna circostanza saremmo capaci di produrre tutto ciò di
cui abbiamo bisogno. Così, anche se il nostro scopo è
la completa autosufficienza, dovremmo prendere da fuori ciò
che non possiamo produrre nel villaggio. Dei nostri prodotti dovremo
produrre più di quello che ci basta per poter ottenere in
cambio ciò che non siamo capaci di produrre. Senza dubbio l'ideale per ogni famiglia
è coltivare, filare, tessere ed indossare il proprio cotone,
avere a disposizione la propria terra, coltivare il proprio
granoturco, cucinarlo o mangiarlo. Quanto al cibo, l'India è ricca
di terre fertili, c'è acqua a sufficienza e non manca la
manodopera. Il popolo dovrebbe essere educato a diventare
autosufficiente. Quando saprà che deve reggersi sulle proprie
gambe, questo elettrizzerà l'atmosfera. L'India produce più cotone di
quello che di cui ha bisogno per le sue necessità. La gente
dovrebbe filare e tessere da sola. Dovrebbe produrre il proprio panno
Khadi. Il solo fatto di produrre il cibo e il panno per vestirsi,
cambia completamente il modo di vedere delle persone.
M.K.Gandhi
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