Rivista Anarchica Online
Il cinico sovversivo
di Elena Petrassi
Prima di entrare nel vivo di questa segnalazione di lettura è necessario
che chiarisca, anche a me stessa, il
significato della parola cinismo. Nella sua accezione comune il cinismo sta a indicare «la qualità
di chi è cinico», suo sinonimo è «indifferenza»,
inoltre «il cinismo è la filosofia della scuola socratica fondata da Antistene ad Atene nel IV sec.
affermatasi
come disprezzo delle convenzioni sociali e austero esercizio della virtù». Così recita il
Vocabolario della lingua
italiana Zingarelli in mio possesso, benché si tratti di un'edizione di venticinque anni fa, non credo
possano
essere intervenuti cambiamenti nell'intendere questa parola e l'atteggiamento che essa sta a indicare. Non mi
fermo qui, decido di consultare anche la «Garzantina» di filosofia, che in circa mezza colonna riassume la storia
della scuola cinica, elenca i nomi dei «cinici» più importanti e conclude con « La virtù
dell'uomo consiste nel
vivere secondo natura: dove la virtù non è più una scienza, come in Socrate e in
Platone, ma una pratica di vita,
un esercizio, e dove per natura si intende la condizione di vita più elementare...Contrario alla natura e
dunque
degno di disprezzo è il nomos, la consuetudine, la regola, l'insieme dei valori acquisiti
della tradizione religiosa,
civile e culturale.» Dunque i cinici sono austeri e anticonvenzionali, ma ancora non sono arrivata dove volevo.
Chiarito molto in sintesi quali siano i significati comuni della parola cinismo voglio iniziare a parlare del libro
oggetto di questo scritto: «Cinismo - principi per un'etica ludica» del filosofo francese Michel Onfray, ma
inizierò parlando della parte finale del libro (Principi per un'etica ludica,
Rizzoli, Milano 1992, lire 32.000)
e dato che non si tratta di un giallo non credo leverò a nessuno il piacere della lettura. L'appendice del
volume
si intitola «Frammenti di cinismo volgare» e inizia: «Tratteggiare una piccola teoria del cinismo volgare
significa proporsi un riassunto sommario della storia dell'umanità», ma per chiarezza di esposizione
l'autore
decide, dato che il cinismo volgare agisce a tutti i livelli della vita sociale, di utilizzare il metodo strutturale
tracciato da Dumezil individuando i tre livelli in cui si intrecciano un assieme di cinismi tipici: nella logica del
sacerdote e del sacro, del guerriero e della violenza, della massa dei produttori e dello scambio (considerate
virgolettate tutte le enunciazioni perché sono quasi tutte citazioni letterali dal testo). Dunque il cinismo
religioso
mette in scena una mitologia che ricorre al terrore per consolidare il proprio potere e le religioni funzionano
grazie all'odio per la vita e al nichilismo: poggiano sul disgusto per la vita, poi invitano a superare la morte, per
meglio infiltrarla nel cuore della vita. Il cinismo religioso è cinismo volgare poiché invita a
preferire l'ipotetico
al reale, e poiché svaluta questa nostra vita in nome di una vita nell'aldilà. Il secondo frammento
del reale è
composto di militari, di guardiani, o di chi si è specializzato nel porre la forza e la violenza fra i re, i
sacerdoti
e il popolo. Ultima istanza è il cinismo capitalista che non esita a trasformare la vita umana in
carburante dei
profitti e degli' utili. Il denaro è il fine che autorizza questa estorsione. Nel tempo le forme si sono
evolute, ma
la sostanza dell'impresa capitalista è rimasta la stessa: sacrificare gli uomini agli imperativi economici,
trascurare l'individualità a vantaggio dell'insieme. Per finire «si potrebbe semplicemente collegare
il cinismo mercantile al cinismo etico, perché quest'ultimo in
effetti è motore di tutti gli altri, è costitutivo dei cinismi religioso, politico, clericale e militare.
Esso riguarda,
in buona sostanza, il rifiuto di una intersoggettività egualitaria, sostituita da una relazione disciplinare
e
gerarchizzata». Mi fermo qui con le citazioni e arrivo al dunque di questa recensione, questo libro mi è
piaciuto
perché il cinismo filosofico, il cinismo che forma i principi per un'etica ludica somiglia tanto
all'anarchismo,
a un certo tipo di anarchismo individualista certo e che io amo molto. Dunque gli anarchici, alcuni anarchici
ma forse tutti somigliano molto ai cinici. Centrale al pensiero cinico è la costruzione di sé, lo
sforzo che
l'individuo compie per dare da sé un senso alla propria esistenza, il «pensiero pagano della
modificazione di sé»,
pensiero pagano perché solo nell'individuo e dall'individuo nascono le leggi, nessuna forza trascendente
è
legittimata a regolare la vita, nessun dominio viene riconosciuto se non quello dell'individuo su sé
stesso. I
bisogni del cinico sono ridotti all'essenziale e cercano immediata soddisfazione, la sessualità è
liberata e gioiosa,
praticata in tutte le sue forme, i vestiti e la casa sono strumenti non fini. Viene quindi rifiutato tutto quanto in
qualsiasi modo rende l'uomo schiavo e lo rende indisponibile a sé stesso. Le mode, i costumi, come
diceva Montaigne,che appartengono sempre a tempi e luoghi rendono l'uomo schiavo,
il lavoro in un'economia capitalista che diventa semplice scambio di tempo contro denaro, del denaro necessario
a comprare quel che ci occorre a vivere. Ma cosa ci occorre realmente per vivere? Case comprate con il mutuo?
Lavori ripetitivi che nel ricordo diventano un'unica interminabile giornata passata seduti a una scrivania o dietro
a una catena di montaggio o al bancone di un negozio? O forse fine settimana in montagna, passati per
buona parte in interminabili code in autostrade, o vacanze,
riposo obbligatorio, divertimento obbligatorio. Lo so, so che da secoli mai così tanta gente evita di
morire di
fame, mai così tanta gente vive bene (in Occidente, non dimentichiamolo), ma ciò non muta
il disagio di essere
una bianca occidentale che vive in una grande città del Nord del mondo. So di essere più libera
delle mie
progenitrici, lavoro, viaggio, mangio tutti i giorni, posso scegliere se legare il mio destino a quello di un uomo,
posso scegliere se diventare madre o meno. Ma ancora continuo a essere una privilegiata, ho anche potuto
scegliere di essere anarchica, ma anche questo perché sono nata in un certo tempo a una certa latitudine
e in un
certo ambiente. Gli spazi di libertà sono esigui, e il nostro desiderio universalista, in quanto anarchici,di
libertà,
si scontra quotidianamente non solo con la nostra società, ma anche con quel che la nostra
società ha fatto del
resto del mondo, e con il resto del mondo occidentale e no, che anarchico non è. Ma «mentre gli altri
uomini
cercano all'esterno le regole della propria condotta e obbediscono alle leggi e alle consuetudini, il saggio, libero
da qualunque amor filiale o di patria, da qualunque dovere verso lo stato e la famiglia, sciolto da quei legami
che, secondo lui, i casi della nascita e le convenzioni umane impongono agli altri uomini, è diretto
soltanto dalla
propria virtù e gode di una libertà illimitata», credo che per me, in quanto anarchica sia questo
lo stile di vita
verso il quale tendere. L'insegnamento dei cinici investe l'interezza dell'esperienza umana ed è rivolto
a tutti gli
uomini, a chiunque voglia ascoltarlo e praticarlo. In questi tempi di crisi di ideologie, di caduta di miti che la
storia ha superato, e del ritorno di miti che sembravano superati, la nazione, la patria, il sacro, «il cinico vuol
mandare in frantumi le strutture culturali caduche ..... vuole promuovere lo Sradicamento contro l'Interramento,
l'Esilio contro la Patria, la Mescolanza contro la Razza, l'Intelligenza contro il Sangue». Il cinico è
l'errante, il
sovversivo colui che non si arrende allo stato delle cose, è insolente con il potere e con i detentori del
potere,
è ribelle e disobbediente. «Il cinico esprime la lucidità portata al culmine e insegna che
il re è nudo, che il potere esiste soltanto in quanto
lo permettiamo e legittimiamo come tale e lo veneriamo quasi fosse una divinità». «Il filosofo cinico,
libero di
andare dove gli pare è dappertutto a casa sua perché dappertutto esiliato ... Alla domanda "di
dove sei?" Diogene
risponde "Cittadino del mondo. La sola vera cittadinanza è quella che si estende al mondo intero".
Cratete in
risposta alla stessa domanda, userà questa splendida formulazione: "Sono concittadino di Diogene"».
Credo che questo breve itinerario nel libro di Michel Onfray dovrebbe invogliare alla sua lettura e
soprattutto
invitare alla riflessione, perché se è vero che gli anarchici hanno lontane radici tra i cinici
dell'antica Grecia,
è anche vero che il mondo contemporaneo, nella sua complessità ci pone una sfida alla quale
mi domando
spesso se noi siamo e come siamo in grado di rispondervi. Mi domando se la nostra funzione continua a essere
quella di gridare la nudità del re o se questo non basta più, mi domando se dirsi anarchici ci
rende tali
automaticamente, mi domando quale sia la nostra presa sulla realtà e se la nostra funzione deve
continuare a
essere quella di voci nel deserto, la nostra storia quella di coloro che corrono davanti ai treni e per questo li
perdono comunque. Questo libro non dà risposte, non abbiamo bisogno di libri che diano risposte,
quanto piuttosto ci invita a una
seria riflessione sul senso stesso dell'anarchia e del nostro desiderio di essere prima di tutto anarchici, e non
è
poco. Il cammino è iniziato in Grecia molti secoli fa, mi piace pensare che ne stiamo comunque
percorrendo
un pezzo insieme oggi quasi alla fine del secondo millennio.
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