Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 209
maggio 1994


Rivista Anarchica Online

Ricordando Aldino Felicani difensore degli oppressi

Lo scrivere su Aldino Felicani non m'è facile anche se fui fortunato d'incontrarlo personalmente molte volte, e fui in corrispondenza con lui per parecchi anni e lettore assiduo delle sue pubblicazioni, conoscendo così in un certo qual modo la sua opera e le sue attività per il bene di questa martoriata umanità e per il trionfo della giustizia sociale.
Fu una delle più distinte personalità da me conosciute nel corso della mia vita, la cui intelligenza e bontà d'animo non erano separate o in conflitto ma integrate e in perfetta armonia. La sua gentilezza era squisita e sincera; mancava in lui qualsiasi forma d'affettazione o arroganza. Il suo credo era di fare bene fino al sacrificio di se stesso; questo credo l'abbracciò fin da giovinetto, quando apprendista tipografo a Bologna, conobbe Domenico Zavattero e l'attività che questi svolgeva attorno alla Scuola Moderna e il giornale «L'Agitazione».
Questo suo amore al bene lo spinse, non ancora ventenne, ad assumere le responsabilità della redazione di «Rompete le file», giornaletto antimilitarista, che si pubblicava in quella città. Dalle colonne di quel giornale ed altre attività connesse ad esso, gettò le basi solide dell'agitazione pro Augusto Masetti, il giovane soldato anarchico obiettore alla guerra imperialista della Casa Savoia per la conquista della Tripolitania, che sparò un colpo di fucile sul colonnello Stroppa quando questi nella Caserma Cialdini arringava i soldati che dovevano partire per la guerra.
Aldino Felicani, in quella occasione, non si lasciò trascinare dalle emozioni giovanili ma agì con calma e fermezza e la sua campagna si sviluppò, poi venne coadiuvata da altri e s'ingrandì tanto da culminare nella famosa Settimana Rossa, quando per poco la Casa Savoia non perdette il trono.
Quando Sacco e Vanzetti furono arrestati, agì da veterano della lotta e, con il medesimo sangue freddo, si buttò nella lotta contro tutto l'apparato poliziesco e giudiziario dello Stato del Massachusetts. Aveva solo ventinove anni d'età, e da non molto tempo in America, quando intraprese la difesa degli arrestati, formando un comitato per l'agitazione in loro favore e il finanziamento del collegio di difesa. C'è voluto del fegato per agire in quel modo in tempi così difficili e d'isteria patriottica, con i Palmer Raids, le persecuzioni contro qualsiasi forma di radicalismo, le deportazioni in massa degli stranieri, l'arresto arbitrario e il linciaggio di chiunque fosse sospetto di non essere al cento per cento patriota o d'essere semplicemente pacifista.
Fin dal primo momento, dopo l'arresto di Sacco e Vanzetti, Aldino Felicani non solo dimostrò coraggio e sagacia, ma nobiltà d'animo e carattere adamantino nell'intraprendere la difesa di due anarchici che facevano parte del Gruppo Galleani, con il quale, non molto tempo prima, aveva dovuto sostenere una polemica di carattere personale, cosa che i supposti eredi di questi non gli hanno ancora perdonato.
È stato detto e scritto che il caso Sacco e Vanzetti, nel suo sviluppo, ha formato la personalità e la fama di Aldino Felicani. Ciò è innegabile, ma è pure vero che, senza di lui, non ci sarebbe stato il caso Sacco e Vanzetti così com'è conosciuto da noi e dalla storia e con le sue conseguenze profondamente sociali. Senza il suo pronto intervento, i due arrestati sarebbero stati giustiziati subito dopo il processo, e prima ancora che il mondo venisse a conoscere la montatura giudiziaria ordita a carico delle due vittime, conoscenza che ebbe immense ripercussioni in ogni angolo del mondo, scuotendo le coscienze di ogni amante della giustizia e della libertà e del proletariato internazionale.
È stato anche detto e scritto che la causa alla quale Aldino Felicani dedicò sette anni d'attività intensissima, e con lui la miriade di gente più svariata - avvocati, scrittori, giornalisti, poeti, professori, radicali e conservatori, ricchi e poveri - tutti a collaborare nella lotta per la giustizia verso gli imputati, fu perduta con l'esecuzione dei due martiri. Ma Vanzetti stesso smentisce questo quando, di fronte ai giudici e al mondo, grida: «Le nostre vite, le nostre sofferenze, nulla. Lo stroncare le nostre vite - vite d'un buon calzolaio e d'un povero pescivendolo, tutto. L'ultimo momento appartiene a noi - questa agonia è il nostro trionfo». Vanzetti parla di trionfo, non di sconfitta. Il loro nome è e rimane negli annali della storia della lotta per la libertà e la giustizia, così come lo è il nome di Socrate, di Giordano Bruno, Angelo Brunetti, Francisco Ferrer e gli altri martiri della redenzione umana.
Per quaranta anni susseguenti al martirio, Aldino Felicani dedicò la sua vita per la redenzione dei nomi di Sacco e Vanzetti. Non ci riuscì, questo è vero, ma non può essere considerata una sconfitta, per come è stato scritto e detto, anche se i loro nomi sono ancora negli archivi come colpevoli d'omicidio e rapina a mano armata. Milioni di gente è convinta ch'erano e sono innocenti; centinaia di libri, d'opuscoli, di drammi, d'articoli e investigazioni più minuziose sono state fatte e scritte, tutte a provare la loro innocenza.
Non credo che con la morte di Aldino Felicani il caso di Sacco e Vanzetti sarà dimenticato; ogni generazione ha i suoi amanti della libertà e giustizia, e questi non dimenticheranno il caso dei due martiri ma, dallo studio d'esso, attingeranno forza ed inspirazione e continueranno la lotta.
Il caso Sacco e Vanzetti non morirà mai, così come non morirà mai il nome di Aldino Felicani a loro indissolubilmente legato.

Valerio Isca (New York)