Rivista Anarchica Online
Ricordando Aldino Felicani difensore degli
oppressi
Lo scrivere su Aldino Felicani non m'è facile anche se fui fortunato d'incontrarlo
personalmente molte volte,
e fui in corrispondenza con lui per parecchi anni e lettore assiduo delle sue pubblicazioni, conoscendo
così in
un certo qual modo la sua opera e le sue attività per il bene di questa martoriata umanità e per
il trionfo della
giustizia sociale. Fu una delle più distinte personalità da me conosciute nel corso della mia
vita, la cui intelligenza e bontà
d'animo non erano separate o in conflitto ma integrate e in perfetta armonia. La sua gentilezza era squisita e
sincera; mancava in lui qualsiasi forma d'affettazione o arroganza. Il suo credo era di fare bene fino al sacrificio
di se stesso; questo credo l'abbracciò fin da giovinetto, quando apprendista tipografo a Bologna,
conobbe
Domenico Zavattero e l'attività che questi svolgeva attorno alla Scuola Moderna e il giornale
«L'Agitazione». Questo suo amore al bene lo spinse, non ancora ventenne, ad assumere le
responsabilità della redazione di
«Rompete le file», giornaletto antimilitarista, che si pubblicava in quella città. Dalle colonne di quel
giornale
ed altre attività connesse ad esso, gettò le basi solide dell'agitazione pro Augusto Masetti, il
giovane soldato
anarchico obiettore alla guerra imperialista della Casa Savoia per la conquista della Tripolitania, che
sparò un
colpo di fucile sul colonnello Stroppa quando questi nella Caserma Cialdini arringava i soldati che dovevano
partire per la guerra. Aldino Felicani, in quella occasione, non si lasciò trascinare dalle emozioni
giovanili ma agì con calma e
fermezza e la sua campagna si sviluppò, poi venne coadiuvata da altri e s'ingrandì tanto da
culminare nella
famosa Settimana Rossa, quando per poco la Casa Savoia non perdette il trono. Quando Sacco e Vanzetti
furono arrestati, agì da veterano della lotta e, con il medesimo sangue freddo, si buttò
nella lotta contro tutto l'apparato poliziesco e giudiziario dello Stato del Massachusetts. Aveva solo ventinove
anni d'età, e da non molto tempo in America, quando intraprese la difesa degli arrestati, formando un
comitato
per l'agitazione in loro favore e il finanziamento del collegio di difesa. C'è voluto del fegato per agire
in quel
modo in tempi così difficili e d'isteria patriottica, con i Palmer Raids, le persecuzioni contro qualsiasi
forma di
radicalismo, le deportazioni in massa degli stranieri, l'arresto arbitrario e il linciaggio di chiunque fosse sospetto
di non essere al cento per cento patriota o d'essere semplicemente pacifista. Fin dal primo momento, dopo
l'arresto di Sacco e Vanzetti, Aldino Felicani non solo dimostrò coraggio e
sagacia, ma nobiltà d'animo e carattere adamantino nell'intraprendere la difesa di due anarchici che
facevano
parte del Gruppo Galleani, con il quale, non molto tempo prima, aveva dovuto sostenere una polemica di
carattere personale, cosa che i supposti eredi di questi non gli hanno ancora perdonato. È stato detto
e scritto che il caso Sacco e Vanzetti, nel suo sviluppo, ha formato la personalità e la fama di
Aldino Felicani. Ciò è innegabile, ma è pure vero che, senza di lui, non ci sarebbe stato
il caso Sacco e Vanzetti
così com'è conosciuto da noi e dalla storia e con le sue conseguenze profondamente sociali.
Senza il suo pronto
intervento, i due arrestati sarebbero stati giustiziati subito dopo il processo, e prima ancora che il mondo venisse
a conoscere la montatura giudiziaria ordita a carico delle due vittime, conoscenza che ebbe immense
ripercussioni in ogni angolo del mondo, scuotendo le coscienze di ogni amante della giustizia e della
libertà e
del proletariato internazionale. È stato anche detto e scritto che la causa alla quale Aldino Felicani
dedicò sette anni d'attività intensissima, e
con lui la miriade di gente più svariata - avvocati, scrittori, giornalisti, poeti, professori, radicali e
conservatori,
ricchi e poveri - tutti a collaborare nella lotta per la giustizia verso gli imputati, fu perduta con l'esecuzione dei
due martiri. Ma Vanzetti stesso smentisce questo quando, di fronte ai giudici e al mondo, grida:
«Le nostre vite,
le nostre sofferenze, nulla. Lo stroncare le nostre vite - vite d'un buon calzolaio e d'un povero
pescivendolo,
tutto. L'ultimo momento appartiene a noi - questa agonia è il
nostro trionfo». Vanzetti parla di trionfo, non di
sconfitta. Il loro nome è e rimane negli annali della storia della lotta per la libertà e la giustizia,
così come lo
è il nome di Socrate, di Giordano Bruno, Angelo Brunetti, Francisco Ferrer e gli altri martiri della
redenzione
umana. Per quaranta anni susseguenti al martirio, Aldino Felicani dedicò la sua vita per la
redenzione dei nomi di Sacco
e Vanzetti. Non ci riuscì, questo è vero, ma non può essere considerata una sconfitta,
per come è stato scritto
e detto, anche se i loro nomi sono ancora negli archivi come colpevoli d'omicidio e rapina a mano armata.
Milioni di gente è convinta ch'erano e sono innocenti; centinaia di libri, d'opuscoli, di drammi, d'articoli
e
investigazioni più minuziose sono state fatte e scritte, tutte a provare la loro innocenza. Non credo
che con la morte di Aldino Felicani il caso di Sacco e Vanzetti sarà dimenticato; ogni generazione
ha i suoi amanti della libertà e giustizia, e questi non dimenticheranno il caso dei due martiri ma, dallo
studio
d'esso, attingeranno forza ed inspirazione e continueranno la lotta. Il caso Sacco e Vanzetti non
morirà mai, così come non morirà mai il nome di Aldino Felicani a loro
indissolubilmente legato.
Valerio Isca (New York)
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