Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Il passato che ritorna opportunamente
Chi dirige un film e racconta una storia si trova sempre alle prese con ciò che precede. I suoi
personaggi raramente
debbono essere colti sul nascere ma, perlopiù, cominciano ad agire sullo schermo quando hanno una
storia non
adatta alle spalle. Laddove ad un letterato potrebbe bastare una frase, o un aggettivo piazzato al punto
giusto, il
regista ha, invece, a disposizione più strade di diversa natura, nessuna delle quali facilissima a
percorrersi. Facciamo il caso di Petersen in Virus letale. Una parte che nonostante lavori per
le forze armate americane sembra
acuto, capace di anteporre l'umano alla ragion di Stato e perfino onesto - ci viene raccontata in una sequenza
brevissima. Lui sta facendo un fagotto delle suppellettili di casa, fotografie che lo ritraggono in vari momenti
dell'esistenza ed in particolare con una donna che, occhio e croce, potrebbe essere sua moglie. Come dire che
c'è
una dolorosa separazione precedente. Gli sviluppi del film, poi, oltre a farci capire che, se siamo ancora vivi, lo
dobbiamo a fortunate coincidenze (perché se i prossimi padroni del mondo, i virus, vengono combattuti
con
questa cattiva volontà e questa criminalità istituzionale più che di casualità non
si può parlare), ci terranno
informati anche sulla forza di quel legame e sul suo futuro radioso alla faccia di Ebola e soci. Una selezione
accurata del passato, dunque, ritorna, e ritorna con notevole efficacia ad imprimere svolte di
narrazione. Ecco perché il personaggio, dall'inizio del racconto, doveva essere provvisto di una dote.
L'eroina-si-fa-per-dire di Showgirls di Verhoeven appare alla nostra percezione di spettatori sul ciglio di una
strada. Di lei non ci viene detto nulla ma fa l'autostop per Las Vegas e se va a Las Vegas un motivo ci
sarà. Come,
ci sarà un motivo, perché porta con sé un coltello a scatto e pare pronta ad usarlo,
perché porta i jeans con lo
sbrego, perché ha le labbra inturgidite dal collagene bovino che, presumibilmente, ci si è fatta
iniettare, perché
slaccia la camicetta con una nonscialanza eccezionale, perché balla come una mantide religiosa turettica
che faccia
il verso ai costumi sessuali americani, perché ostenti in giro mastodontiche unghie policromatiche. Un
motivo
ci sarà. Che poi a metà film ci si induca al sospetto che questo motivo ci verrà sciorinato
e che poi proprio in zona
cesarini davvero va a finire che ce lo sciorinano rientra nei patti penosi che il narratore in crisi di idee conviene
con quell'ideologia realistica che vorrebbe come, all'interno di ogni narrazione meritevole, tutti i conti tornassero
- così il destinatario va a casa consolato e sicuro che una logica governi le cose di questo
mondo. Famiglia disastrata, orfanotrofio, violenza subita, droga, furtarelli, prostituzione e rapine - per il
Verhoeven
antiamericano con l'accortezza di sputare nel piatto soltanto dopo aver mangiato, come per tanti altri registi di
bocca ancor più buona della sua - costituiscono il pacchetto classico per il motivo sufficiente: da Las
Vegas alle
unghie tutto, allora, quadra. Il passato, qui, ritorna di botto, come l mappa di un genoma che aspiri a spiegare per
filo e per segno l'intero sviluppo dell'organismo vivente. E la svolta conclusiva è bella e fatta: il carico
di valori
positivi sulle spalle dell'eroina-si-fa-per-dire è tale che la sua ribellione alle luci stroboscopiche della
ribalta e
la sua fuga da Las Vegas ne diventano le conseguenziali opzioni. Le virtù erano nel freezer, la
società opulenta
è scema, assatanata di sesso e ciucca di droga - ve lo mostro così com'è, ne faccio parte
per innata modestia e
quanto al cambiarla ne parliamo un'altra volta. Una storia non detta alle spalle del protagonista, che rimanga
non detta, parrebbe incompatibile con gli stili
vincenti del narrare. Eppure ciò dovrebbe suonare perlomeno strano: la nostra esperienza, al contrario,
è tutto un
susseguirsi di personaggi che compaiono e scompaiono senza che nessuno si senta in dovere di giustificarne la
presenza e le caratteristiche via via acquisite. Così come sono certo della truffaldinità di una
società che pretenda
il sapere ben dotato di "fondamenti", comincio a pensare che sia triste, e neppure essa innocente, quella
società
che non sa apprezzare il gratuito.
P.S.: dopo gli artigli lamettanti del Freddy Kruger di Nightmare, l'America si merita le vistose
unghie di Nomi
Malone, una delle girls dello show, quella che vuole arrivare a tutti i costi e che parte
dopo averne pagato
qualcuno. Se le dipinge a losanghine rosa e viola, le indora e le infiora con minuscole simmetrie tendenti ad
affilarle come armi da preda. Deve passarci giornate intere. La sciagurata forse non sa che già nell'antica
Cina
usavano simili raffinatezze: l'unghia lunga e decorata era segno di stato nobiliare, perché la mano che se
la può
permettere non è una mano che possa lavorare. Come la mano di Freddy, peraltro, non è la
più idonea per
ghermire e tenere ben stretto. Protesi più estetiche che funzionali, nella democrazia all'americana, sono
finite
dall'altra parte della scala sociale: appannaggio di coloro che pretenderebbero di attentare alla tranquillità
altrui.
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